Come non aver paura
Pubblicato il 01.01.2009 in letture || Nessun Commento
Sembra una scelta semplice, ma non lo è. La scelta meno costosa infatti copre sia i casi di terrorismo sia gli altri, e sembrerebbe la migliore. Ma quando un gruppo di psicologi ha provato a sottoporla a un gruppo di persone durante un test, si è scoperto che la maggior parte delle persone preferiscono pagare l’opzione che protegge solo in caso di terrorismo. Dunque il semplice suggerimento di un problema “terrorismo”, ha un effetto così potente da convincere la gente a cmpiere scelte decisamente non convenienti.
Sei all’aeroporto e stai per prendere un volo quando improvvisamente ti rendi conto di esserti dimenticato di comperare una polizza assicurativa per il viaggio. Vai all’ufficio delle linee aere e ti offrono una scelta: un pacchetto che copre i casi di morte per terrorismo,e uno, meno costoso, che copre i casi di morte per cause varie. Cosa sceglieresti? Questo quesito è stato posto in un articolo pubblicato dalla rivista didivulgazione scientifica New Scientist in un articolo pubblicato il 27 August del 2008.L’eccessiva influenza della paura sul comportamento umano è emersa in modo molto chiaro in seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001. Per tutti i 12 mesi successivi molti americani hanno scelto di guidare, invece che volare. Il risultato è che il numero di persone coinvolte in incidenti stradali durante quell’anno è salito a 1.600 persone, vale a dire sei volte di più di che si trovavano nei tre aerei dirottati. Lo studio è stato pubblicato su Risk Analysis da Gerd Gingerenzer del Max planck Institute for Human Development.
Pessime decisioni vengono prese anche quando dobbiamo ponderare i rischi/benefici che possono essere provocati da un’analisi per il cancro o da una vaccinazione, o giudicare la pericolosità di un impianto nucleare o dell’effetto serra.
Ma se non ce la facciamo, un motivo c’è: il problema risiede nella nostra risposta emotiva. Quando siamo turbati o comunque colpiti nelle nostre emozioni, siamo incapaci di soppesare con calma le varie opzioni possibili. Veniamo invece condotti solo dalle nostre sensazioni. E se sono di terrore e paura, il risultato è facilmente intuibile.
Secondo psicologi e neuroscienziati le risposte con cui gente reagisce all’incertezza e alla paura si possono dividere in due grandi categorie. Una è cognitiva e analitica e coinvolge l’analisi razionale, l’analisi delle probabilità e considera gli effetti. L’altra è intuitiva, veloce, soprattutto inconscia e basata su sentimenti e emozioni.
Le decisioni pilotate dalle emozioni però sono molto importanti: servivano all’uomo nelle prime fasi della sua evoluzione e sono ancora la nostra risposta istintiva. L’istinto è essenziale quando la risposta deve essere rapida e le situazioni coinvolgono scelte complesse..
Ma quando la paura o il dolore prevalgono, il sistema intuitivo può allontanarci dalla decisione migliore.
Un classico esempio è quello del rischio catastrofico, un evento con una bassa probabilità ma con conseguenze gravi se accade. Gli attacchi terroristici sono un classico esempio. La minaccia di cancro un altro. Esattamente come la gente ha utilizzato il giudizio istintivo, condotto dalla paura, per decidere come viaggiare dopo l’11/9, quando le immagini vivide degli attacchi erano prevalenti nelle loro menti, quelli che hanno visto da vicino un amico o un parente che ha sofferto di cancro tendono a sovrastimare le probabilità di contrarre la malattia. E il risultato è che possono perfino sottoporsi a indagini invasive (e potenzialmente dannose) senza valutarne i rischi.
Secondo uno studio pubblicato su American Scientist da Michale Sivak e Michael Flannagan dell’Università del Michigan Ann Arbor, guidare lungo una strada lunga quanto il volo domestico americano di lunghezza media (circa 1157 km) è 65 volte più rischioso che volare. Gli eventi del 9/11 dovrebbero essere accaduti tutti i mesi per rendere il volo pericoloso quanto la guida.
L’influenza della paura nelle decisioni di ogni giorno è ben illustrata anche esempi che riguardano l’inevitabilità della propria morte. Quando si ricorda a una persona che può morire in qualsiasi momento, entra in una sorta di confusione mentale in cui cerca di sopprimere il pensiero della morte. Questo processo di rimozione richiede uno sforzo mentale e può distorcere la riflessione su altri aspetti.
Il problema con la paura e in genere con i sentimenti forti è che essi influenzano il nostro giudizio perché fanno andare in corto circuito altri processi mentali che possono portarci a una conclusione più realistica. Ma i sentimenti da soli non sono l’unica scorciatoia per decisioni sbagliate in materia di rischi. Anche la memoria gioca un ruolo importante, in particolare la nostra memoria di ricordare immagini grafiche. Questo meccanismo è noto presso gli psicologi come regola della disponibilità: più facilmente puoi richiamare immagini, più facilmente pensi che potranno accadere. E’ provocata da sensazioni, e le memorie di situazioni molto emotive sono le prime a essere richiamate. Una delle principali ragioni per cui sovrastimiamo la probabilità che qualcuno muoia in un incidente aereo, nell’attacco di uno squalo o in un episodio di terrorismo è dovuta all’estesa copertura di questi eventi nei media , e alla presenza di numerose fotografie. Allo stesso modo sottostimiamo la possibilità di morire per colpa di una malattia, perché notizie relative a questo tipo di morte sono generalmente presentate in termini statistici e non con immagini sensazionali.
L’attenzione dei media sugli eventi traumatici e scioccanti stimola la parte intuitiva e immediata del nostro processo decisionale ed è alle radici di molte interpretazioni sbagliate. Basta pensare alla grande differenza di percezioni che si hanno sui rischi di essere vittima di terrorismo o di un fulmine, due eventi che hanno ucciso più o meno lo stesso numero di americani da quando esistono i registri statistici, dice Nassim Nicholas Taleb, co-direttore del Decision Research Laboratory della London Business School.
Un buon esempio di come la copertura grafica nei media può distorcere le nostre percezioni degli eventi reali è la scoperta di James Ost dell’Università di Portsmouth (Uk): la gente che è stata esposta alle notizie delle bombe di Londra il 7 luglio 2005 riusciva a ricordare particolari degli attacchi che non aveva di sicuro potuto vedere, per esempio se il bus che era scoppiato in Tavistock square stava muovendosi in quel momento.
La copertura dei media relativa ai crimini “normali” sembra avere un effetto simile. Il 65 per cento dei cittadini inglesi crede che i reati stiano crescendo in Gran Bretagna. In realtà il British crime survey mostrava che i crimini erano fermi dopo essere scesi del 42 per cento per dieci anni dal 1995. Una situazione simile si è verificata negli Stati Uniti: tra il 1990 e il 1998 i crimini registrati sono scesi del 20 per cento mentre la copertura televisiva è cresciuta dell’83 per cento. La copertura degli omicidi nello stesso periodo è cresciuta del 473 per cento, mentre il numero degli omicidi è sceso del 33 per cento.
Questa sproporzione nel riportare gli eventi drammatici ha una particolare efficace nella distorsione delle decisioni soprattutto quando porta a una progressione a cascata, un processo di formazione delle proprie sicurezze che rinforza la plausibilità di una storia man mano che la gente lo accetta come fatto reale. Questo spesso origina delle leggende metropolitane che durano per anni. E da questioni come le conseguenze dello zucchero e del caffè ai rischi della guida, dell’energia nucleare e del riscaldamento globale, ciascuno di noi sembra dipendere di più dall’informazione su cosa gli altri sembrano sapere.e non sanno davvero.
La disponibilità di informazioni infatti non è l’unico fattore che condiziona la gente nel prendere decisioni. Un lavoro di Dan Kahan e colleghi del Cultural Cognition Project della Yale Law School, dimostra che quando la gente prende in considerazione la sicurezza o i rischi ambientali come l’uso di armi, le vaccinazioni o la sicurezza delle nuove tecnologie, sono molto influenzati dalle opinioni degli esperti o delle figure pubbliche che sembrano condividere il loro molto culturale e i loro valori. Noi siamo predisposti a credere nella innocuità delle nanotecnologie, per esempio, se vengono sostenute da persone della stessa classe sociale o che condividono le nostre direzioni politiche, e siamo predisposti a rifiutare invece le argomentazioni di persone che hanno valori che non ci piacciono, indipendentemente dalle idee che avevamo prima di sentirli. Sfortunatamente tutto questo non necessariamente porta alla scelta migliore, dunque la semplice idea che basti diffondere una corretta informazione sia il modo migliore di permettere alla gente di fare scelte ragionate, non basta. La gente, soprattutto se non ha strumenti per interpretarle, e nel caso di situazioni complesse avviene quasi sempre, la rifiuterà se non viene presentata da persone con cui si sentono affini.
Cambiare il nostro processo decisionale per essere capaci di fare scelte migliori non è semplice. Le emozioni giocano un ruolo decisivo, e così quando siamo impauriti o insicuri, finiamo dritti nella strada del nostro comportamento primitivo.
Questo ha portato alcuni studiosi a suggerire che dobbiamo arricchire le statistiche con un significato più emotivo, per farle capire fino al cuore. Impariamo a trattare i numeri fin da bambini come fossero delle entità astratte, ma non impariamo a pensarli per quello che rappresentano nella realtà. Dovremmo pensare invece come insegnare alla gente a pensare più attentamente a quello che i numeri rappresentano davvero, vale a dire alla qualità e non solo alla quantità. .
Taleb pensa che insegnare alla gente qualcosa dei rischi non cambierà il comportamento. Dice che sarebbe più produttivo insegnare alla gente a selezionare le informazioni che distorcono le nostre decisioni piuttosto che insegnare a usare meglio le informazioni. “Se fosse possibile insegnare alla gente a cambiare il suo comportamento in funzione dei rischi, non avremmo nessuno che fuma. E invece lo abbiamo. La nostra intelligenza non si trasferisce in comportamenti come vorremmo”.
La prossima volta che dobbiamo prendere una decisione e la nostra mente è piena di pensieri di morte, violenza o disagio, o i politici ci raccontano di cosa dovremmo aver paura e da cosa ci proteggeranno, potremmo provare questa strategia:
spegnerte la televisione e chiudere il giornale, essere soddisfatti e coscienti della propria risposta di panico (che dipende dal fatto che siamo animali), ma anche considerare che potrebbe essere poco appropriata, visto che non stiamo vivendo nella savana. Solo a questo punto pesare gli elementi in gioco e i fatti e. infine, sentire i numeri e considerare la qualità dell’informazione che contengono.