La Lega Nord non ha idee, ma fomenta e cavalca le paure, gli egoismi e i risentimenti di un paese impoverito, confuso, violento, ipocrita, sull’orlo ormai di uno sfacelo civile senza ritorno.
La Lega Nord non fornisce risposte, ma asseconda le pulsioni d’intolleranza che essa stessa ha contribuito a creare: e chiama questo «ascoltare la gente».
La Lega Nord è un partito come altri: corrotto, colluso, bugiardo, truffatore, affarista. La banca leghista Credieuronord ha coperto le truffe sulle quote latte. Un’altra truffa da un miliardo di euro è stata contestata al parlamentare leghista Fabio Rainieri, presidente della Commissione agricoltura della Camera. Vi sono amministratori leghisti come Angelo Ciocca che hanno rapporti con boss della ’Ndrangheta, o che sono stati sorpresi con le mazzette in mano, o che fanno cospicui favori a parenti e amici. Vi sono comuni leghisti così ben amministrati da dichiarare bancarotta.
Ma la Lega Nord ha un di più rispetto ad altri partiti: cerca di convogliare ossessivamente sui migranti la rabbia generata dall’ingiustizia sociale. È un partito razzista, xenofobo, che si compiace di una continua, aggressiva istigazione all’odio razziale. Un parlamentare leghista, Mario Borghezio, si è lasciato sfuggire questa dichiarazione: «Il regionalismo è solo una copertura. Noi siamo sempre i fascisti di un tempo».
La Lega Nord ha al suo attivo gesti razzisti odiosi e irresponsabili. Nel 2006 un’esibizione del ministro Calderoli in tivù suscitò una manifestazione a Bengasi davanti all’ambasciata italiana e la polizia di Gheddafi, per compiacere gli amici leghisti, fece 14 morti. Nel 2008, mentre si moltiplicavano gli incendi dolosi nei campi nomadi, il leghista Gentilini dichiarava durante un comizio: «Voglio la pulizia dalle strade di tutte queste etnie che disturbano il nostro paese. Ho distrutto due campi di nomadi e di zingari. Voglio eliminare tutti i bambini degli zingari. Voglio tolleranza a doppio zero!». Ancora Borghezio ha affermato: «Gli immigrati che annegano inquinano le acque di Lampedusa».
Non si può non considerare un’offesa e una provocazione la candidatura del leghista Manes Bernardini a sindaco di una città come Bologna, che ha una tradizione radicata di accoglienza, dialogo e antirazzismo, e che ha pagato drammaticamente i crimini del Fascismo e del neofascismo.
Non si può non considerare un’offesa e una provocazione il manifesto xenofobo affisso dalla Lega Nord per le strade di Bologna, «Indovina chi è l’ultimo?», che ricalca l’iconografia razziale del Ventennio fascista.
Negli anni scorsi Manes Bernardini, amico carissimo dell’imbroglione Flavio Delbono, è stato il nevrastenico sacerdote leghista delle ronde, sempre in gara con il sindaco-sceriffo Cofferati nel chiedere schedature di massa di lavavetri e venditori abusivi, promotore di ridicoli ultimatum alla città e di iniziative xenofobe che hanno mostrato solo il suo desiderio di dominio e la sua personalità chiusa e paranoica.
Ora Manes che fa? Posto a capo della coalizione di centrodestra, ha subito dichiarato: «Noi non abbiamo certo l’anello al naso» (non sono insomma degli ingenui “selvaggi”, ma solo autentici razzisti e fascisti “dal volto umano”, come scrivono compiacenti i giornali). Ecco Manes che va in Piazzola e cosa dice? «Temo per il continuo diminuire della presenza di commercianti italiani rispetto a quelli extracomunitari». Ogni volta Manes non sa dire altro: non punta su altro che sull’odio sociale. Eccolo di nuovo: «Precedenza ai cittadini italiani residenti in città nell’assegnazione degli alloggi pubblici». C’è la guerra contro la Libia, centinaia di migranti muoiono in mare, e Manes cosa ne pensa? «Bossi dice “immigrati föra di ball”? Dico lo stesso anch’io, ma in bolognese. In queste circostanze non possiamo permetterci di accogliere i profughi del Nord Africa. Bisogna lasciarli in Sicilia e da lì riportarli subito a casa loro. Poi gli si dà una mano nei loro paesi di origine».
Va detto che, senza lo sfruttamento del lavoro migrante, questo paese sarebbe già in bancarotta, lo Stato non potrebbe pagare le pensioni, né tenere aperte le scuole, e gente come Manes finirebbe a lavorare in fonderia o a raccogliere pomodori a 2 euro l’ora.
Ma non vi è solo l’odio xenofobo. Dietro il comodo paravento della demagogia razzista, quello di Manes è anche un progetto di spoliazione economica a beneficio dei poteri forti della cosiddetta «Padania», ossia dei faccendieri lumbard. Coprire le buche nelle strade? Sì, si può fare, ma per questa ardua impresa bisognerà vendere Hera agli amici degli amici (la società lumbard A2A): «I soldi per le buche? – dichiara Manes – bisogna ragionare sulle quote di Hera, ossia i proventi derivanti da cessioni di quote in partecipate che devono essere investiti per esigenze tangibili sul territorio e non destinati a colmare ammanchi di bilancio». È una vecchia ricetta che in Lombardia risale all’età di Maria Teresa d’Austria & figli, come cantava nel 1785 l’abate Giuseppe Parini: «E fingendo nova esca / al pubblico guadagno, / l’onda sommuovi, e pesca / insidioso nel turbato stagno». Poi però venne l’età delle rivoluzioni.
In conclusione, nonostante il ritratto compiacente offerto dalle cronache locali, Manes Bernardini ha tutta l’aria di essere l’ennesimo «furbetto della Padania» che porta solo miseria, sessismo e razzismo.
Per gli etruschi il Manes era un demone doppio, raffigurato con due facce, una davanti e l’altra dietro, una buona e una malvagia, una finta e cordiale e l’altra vera e crudele. Non è difficile scorgere, dietro l’ipocrita faccia pulita di Manes, il volto livido e prepotente dell’odio leghista.
Siamo certi che chi vive a Bologna e in provincia saprà rispondere in maniera adeguata al fatto che, con i soldi rastrellati nell’attività politica, la Lega Nord abbia aperto una fastosa sede a due passi da piazza Maggiore.
Oggi è possibile e necessario opporsi al paradigma razzista e xenofobo della Lega Nord, immaginando, praticando e difendendo spazi di libertà, di solidarietà, di creatività antigerarchica e di autorganizzazione, al di fuori della trista palude della politica istituzionale.
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