Una stagione di lotte studentesche
In questo periodo, alla fine di un’intensa stagione di lotte che hanno coinvolto studenti e studentesse in tutta Europa, possiamo permetterci di guardare indietro e fare alcune considerazioni. E’ importante farlo, perché i caratteri di questo movimento hanno rappresentato, relativamente a Bologna, un’esperienza innovativa rispetto agli ultimi anni. Innanzitutto la particolare partecipazione degli studenti medi. Lungi dall’essere stata semplice riflesso di un ritualistico ribellismo giovanile fine a se stesso (che purtroppo invece ha caratterizzato alcune frange del movimento universitario), la mobilitazione dei medi si è messa subito in evidenza per le radicate modalità autorganizzative, il tentativo di coordinamento e la volontà di portare la lotta oltre la mera contrapposizione ad una riforma scolastica, gettando uno sguardo critico all’intera società: così abbiamo visto il coinvolgimento degli studenti più giovani nelle mobilitazioni contro ogni fascismo, contro il razzismo della lega, per la liberazione e la difesa degli spazi, contro la devastazione ambientale della TAV. Nelle occupazioni si sono affrontate tematiche che vanno oltre le politiche in materia di istruzione di un governo: ripensare la pedagogia in una prospettiva libertaria, spazi comuni non mercificati, un ambiente non da sfruttare ma da difendere. Soprattutto alcune di queste occupazioni hanno avuto la loro grande vittoria nella presa di responsabilità individuale, nel mettersi in gioco, da parte di ciascuno e ciascuna, all’interno di uno spazio non più imposto ma autogestito: la mancanza di gerarchie non è assenza di regole ma la riappropriazione del decidere per sé, con gli altri, su ciò che è comune. Nei contesti dove le occupazioni non sono state portate avanti da “avanguardie rivoluzionarie illuminate”, la partecipazione è stata maggiore, più duratura e foriera di una più profonda presa di coscienza rispetto alla società in cui viviamo. Questa presa di coscienza, che ha caratterizzato anche il movimento universitario, è il secondo di quei caratteri che vorrei evidenziare: è indubbio infatti che nella stagione appena trascorsa il movimento ha avuto la volontà di provare aonfrontarsi con una molteplicità di questioni che, seppur non direttamente collegate all’istruzione, informano la nostra vita. Ma i pericoli della superficialità e dell’ingenuità con cui talvolta si sono affrontate alcune tematiche rischiano di far scadere il tutto in una sorta di ribellismo esistenziale, piuttosto che tradurlo in pratiche e prospettive di lotta sociale volte alla trasformazione radicale e reale dell’esistente. L’ultimo punto che vorrei portare all’attenzione del dibattito è quello dei momenti di radicalità di questo movimento e dell’assoluta inesistenza di una divisione tra buoni e cattivi. In un filo che lega il 14 dicembre scorso con la lotta per riprendersi la Libera Repubblica della Maddalena, in Val di Susa, possiamo vedere come i movimenti, pur nella legittima diversità delle pratiche, non abbiano più avuto paura di difendersi di fronte alla violenza repressiva dello Stato. Una violenza spropositata che dalle manganellate e i lacrimogeni di Roma a quelli della Val di Susa ha colpito anche con varie misure cautelari compagni e compagne in tutta Italia, colpevoli di aver preso parte alle mobilitazioni di questo autunno come tante altre decine di migliaia di persone. A questa aggressione degli apparati statali è importante resistere con fermezza e unità, alla luce del sole, continuando a essere attive/i nelle lotte sociali e a praticare una società altra.
Alla luce di questa analisi, a noi anarchici ed anarchiche spetta di sollecitare ed ampliare il dibattito nel movimento oltre che tra di noi e di far fiorire sempre più quei contatti e quei legami di solidarietà che sono nati nel corso di questo anno nella prospettiva di un maggiore coordinamento delle lotte.
Jacopo A.
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