Di quante cose non è rimasto che qualche brandello di muro? Quanta memoria collettiva è andata perduta negli anni del silenzio e in quelli del troppo rumore? Gli armadi della vergogna prima e il delirio consumistico e televisivo poi hanno confinato pensieri e ricordi in isole circondate dalla nebbia, dove i più non vogliono andare. Invece, andandoci troviamo parte di noi e soprattutto la parte migliore. Quei luoghi in cui a mala pena sono rimasti i muri contro i quali vennero assassinati uomini e donne colpevoli di non voler regalare il loro territorio al nazismo, colpevoli di non essere fascisti o semplicemente di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.
La storia che vorrei raccontare è una delle tante rimaste chiuse negli armadi della vergogna della DC, una di quelle che oggi sono offese e bestemmiate. E’ la storia della Creda, una piccola frazione di Salvaro in cima a un colle sulla valle del Reno. La Creda nel 1944 era un pugno di case, famiglie contadine numerose che vivevano di agricoltura e del lavoro delle donne alla filanda di Lama di Reno. Mia nonna era una di loro. Si alzava alle quattro di mattina per essere puntuale al lavoro e a valle ci andava scalza perché, come tutte, aveva solo un paio di scarpe e quelle erano per le feste importanti non per lavorare. Aveva cinque figli, quattro maschi e una femmina, e quel giorno di settembre stava raccogliendo legna con la bambina quando passò da lì Reder con le sue bestie e le mitragliarono. Lei nell’ultimo momento di vita si gettò sulla bimba che venne travolta, loro le credettero morte tutte e due. Anna, una delle poche testimoni dell’eccidio avvenuto alla Creda, restò lì per giorni prima di avere il coraggio di scendere a valle. Le bestie si spostarono verso le case, rastrellarono tutti quelli che trovarono, misero le persone contro un muro e uccisero tutti. Mio padre “fortunatamente” era stato deportato in Germania, altri due fratelli erano prigionieri di guerra, ma il nonno Girolamo e lo zio Gaetano erano lì e vennero fucilati come gli altri abitanti di quel luogo fuori dal mondo. Di Creda, piccola frazione di poche case, è rimasta una fossa comune con novanta morti, tutti quelli che disgraziatamente si trovavano a casa in quel maledetto 29 settembre 1944.
Penso a questo quando leggo che alle Caserme Rosse il muro dei fucilati ignoti è stato distrutto più volte e che dall’ultima volta, a inizio anno, ancora non lo si è restaurato. Bestie, animali feroci che vanno in cerca di qualcosa da distruggere, da devastare.
Qualcosa che noi chiamiamo libertà e speranza.
Daniela Valdiserra — Bologna
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