Alcuni fatti sono ormai noti: 4 poliziotti delle volanti sospesi dal servizio e agli arresti, perché “pescati” a malversare dei “delinquenti” dopo la “normale” sequenza di intimidazioni, minacce e percosse. Se non ci fosse stata la malversazione (si parla di 600 euro in un caso e 900 euro in un altro) tutto sarebbe finito nel novero delle “normali” funzioni di pubblica sicurezza; al massimo con qualche lavata di capo per un eccesso di zelo.
La difesa d’ufficio del corpo viene dai vertici della questura che, com’è ormai ovvio e ritrito, parlano delle solite mele marce, isolate dal corpo sano che è stato interpretato dai colleghi della mobile (i celerini, per capirci). La stampa evoca scaramanticamente la Uno Bianca, mettendo subito in chiaro che non c’è connessione, che è tutta un’altra storia. Peccato che il contesto, gli uffici, le connessioni siano proprio le stesse. Punto di snodo il SAP, quel sindacato di polizia che raccorda la difesa corporativa alla coltivazione di un humus di securitarismo cameratesco e maschio, necessario, a loro dire, ad affrontare le insidie della strada.
Che il SAP sia di “destra” non rappresenta scandalo; che il suo segretario sia stato a sua volta un picchiatore delle volanti nessuno lo menziona.
Anche questa vicenda finirà presto nel dimenticatoio; già il Viminale ha inviato una signora in doppio petto ad “investigare” e rimettere le cose al loro posto.
Nessuna connessione verrà rilevata dalla dott.sa Stradiotto con altri fatti di cronaca e con la sequela dei fatti che alle cronache sono sfuggite perché le vittime non hanno trovato modo di denunciare i torti (sempre in sequenza, intimidazioni, minacce, percosse) subiti. Nonostante che dall’interno della stessa questura si levino voci che mettono in evidenza il “sistema” attraverso il quale si esercita la pubblica sicurezza. Nonostante il fatto che i “casi” e le mele marce siano una sequela lunga, articolata, inoppugnabile. Nonostante i
“servizi di sicurezza ed investigazione”, privati e pubblici, siano i gangli di un sistema nel quale si effettuino le operazioni coperte e si sviluppino le iniziativa personali, dove gruppi “interforze” possono godere di sostegno, logistica, armi e munizioni fuori ordinanza e le “provviste” siano ottenute con tutti i mezzi necessari allo scopo.
Anche nei primi anni ‘90 mettevamo in luce come i fatti che si verificavano in città, in provincia e nella regione fossero da ricondurre ad un sistema. Di fronte alle faide che si scatenarono nei gruppi “interforze” lo stato espiò con il sacrificio della banda della Uno Bianca. Quella mattanza non poteva essere opera di una “banda” per quanto criminale, per quanto determinata. Le operazioni “militari” (significativa la rapina all’ufficio postale di via Emilia Levante del 15/1/1990) e le ricorrenze con i comunicati della Falange Armata portavano ad intravedere un complesso sistema di gestione della “crisi”: eravamo a pochi anni dall’esplosione di tangentopoli e la “banda” verrà “sgominata” solo dopo la ri-stabilizzazione del potere.
Quando quelle circostanze venivano denunciate in tempi non sospetti le reazioni erano scontate: pregiudizio ideologico, falsità, forzatura dei fatti.
Oggi a chi voglia mettere in evidenza il sistema di gestione dell’ordine pubblico si risponde con le stesse rime: voi, nemici dello stato, non siete credibili perché odiate la polizia a prescindere.
Eppure la gran parte delle cosiddette mele marce di ieri e di oggi sono al loro posto, hanno avuto avanzamenti di carriera, sono andate in pensione con le gratifiche di servizio. Ricompensate per il loro silenzio, la loro complicità, la loro dedizione al servizio. Questo fa scuola.
La Questura di Bologna non è mai stanca
di giorno manganelli, di notte uno bianca
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