Sono mesi e settimane che un forte movimento sta attraversando il cosiddetto “Mondo Arabo”, il quale non è altro che una parte dell’intero mondo capitalistico. Paesi come la Tunisia, l’Egitto, lo Yemen, il Bahrain, la Libia, la Siria ed altri, e città come Tunisi, Gafsa, Sfax, Kasserine, Cairo, Alessandria, Suez, San’a', Aden, Tripoli, Bengasi, Misrata, Tobruch, Damasco, Der’a, Latakia, Homs ed altre sono investite da una incandescente rabbia sociale. Proteste e manifestazioni, scontri con la polizia ed unità speciali, scioperi violenti e di massa, espropri, incendi di banche e di palazzi del potere statale, azioni di solidarietà e di mobilitazione, fiorire di comitati e di “shoras”… tutto questo ed altro non sono altro che l’espressione di un movimento proletario che si è diffuso il tutta la regione. E’ la nostra prospettiva di classe quella che emerge da queste “rivolte popolari”, in cui si organizzano strutture per la distribuzione del cibo e per l’assistenza medica fuori e contro relazioni di scambio come a Misrata, che emerge pure dalla distruzione delle sedi del sindacato di stato egiziano da parte dei lavoratori, come pure dalle manifestazioni rivoluzionarie di opposizione in Arabia Saudita contro le truppe del paese inviate a reprimere le rivolta in Bahrain.
I media tuttavia continuano a descrivere il movimento o come una battaglia contro le dittature e per la democrazia, oppure come un’azione di irresponsabili sobillatori e di agenti provocatori pagati dalla CIA, allo scopo di tenere nascosta e negare la vera e profonda natura del nostro movimento di classe. Sarkozy, Obama, Cameron, Ban Ki-Moon, Schwarzenberg o Chavez, come anche la pletora di analisti politici e militari e di giornalisti, non fanno altro che darci un’altra spiegazione di quello che sta avvenendo. Ma non è una sorpresa. Costoro ce la disegnano nella maniera che meglio si addice agli interessi della borghesia. E questi interessi sono chiari: mantenere questo ordine mondiale, ancorché scosso dal movimento proletario, con ogni mezzo possibile, costringendo da un lato i governi impresentabili a lasciare il potere per proclamare la “vittoria della rivoluzione” (come in Egitto o in Tunisia), e dall’altro schiacciare i ribelli inviando unità speciali ed eserciti contro di loro (come in Bahrain). Qualunque sia il metodo, il fine è il medesimo – impedire la diffusione di questo movimento anche nei “nostri paesi amati “, enfatizzando sul fatto che gli eventi in corso nei paesi arabi siano determinati da condizioni specifiche come la presenza di “regimi autoritari”, oppure la “mentalità mediorientale”, le “relazioni tribali”, “la fame di petrolio delle compagnie imperialiste”, ecc. Pur considerando poco probabile che in ci nascano movimenti così, il solo fantasma di questa possibilità minaccia la borghesia europea (in Grecia, come in Portogallo ed in Irlanda sicuramente più che nella Repubblica Ceca) e la borghesia di tutto il mondo.
E questo perché si tratta della realtà materiale delle condizioni di vita comuni ormai al proletariato mondiale; una realtà fatta di sfruttamento, di povertà e di terrore di stato, che sono le dunque le vere ragioni di ogni lotta di classe. La crescita dei prezzi di beni alimentari, della benzina, dell’acqua e dell’elettricità, l’aumento del tasso di sfruttamento e la generalizzazione di condizioni di lavoro precarie per coloro che ancora hanno un lavoro, la decrescita del salario reale, la carenza di alloggi, sono gli stessi problemi che devono affrontare i proletari di tutto il mondo, dall’Europa Centrale alla Russia, dal Nord America all’Indonesia, e tutti questi problemi sono anche la causa reale dell’attuale movimento di lotte di classe nel Maghreb e nel Mashrek.
Perchè nessun cambiamento di regime o di governo può risolvere questi problemi, dal momento che essi sono il modus vivendi del capitale. Scioperi, scontri, collettivi espropri di beni sono ancora in corso anche dopo la caduta di Mubarak e di Ben Ali, e numerosi altri governi sono intanto caduti. I lavoratori tessili di El-Mahalla El-Kubra come pure gli operai del canale di Suez o i lavoratori agricoli in tutto l’Egitto hanno lanciato uno movimento per lo sciopero di massa che chiede l’aumento del salario minimo, contro gli alti prezzi dei beni alimentari. Aspramente criticato da tutte le fazioni della borghesia egiziana (dai militari come dai Fratelli Musulmani o dalla cricca di Muhammad al-Baradei), il movimento di sciopero in Egitto (come pure in Tunisia) non demorde, nonostante il divieto imposto dal governo militare. In Libia, il “Consiglio Nazionale Transitorio” (CNT) punta alla “restaurazione della consueta vita civile”, il che in realtà significa togliere ai proletari la possibilità di organizzare la propria vita. Mentre disarma gli insorti e restaura il monopolio della violenza a favore dello stato, il CNT organizza guardie armate che mantengono la legge e l’ordine nei campi petroliferi e nelle raffinerie dove c’erano stati scioperi agli inizi della rivolta.
Perché ogni movimento proletario contiene in sé i semi per il rovesciamento del capitalismo, le espressioni di una prospettiva di comunità umana senza classi, che sarà costruita sulle ceneri del vecchio mondo. Il movimento proletario nel Maghreb e nel Mashrek hanno espresso questa prospettiva in modo limitato e con evidente debolezza, ma hanno fortemente rivelato quali fossero gli interessi proletari antagonisti a quelli della borghesia. In Libia il movimento ha preso la strada di una insurrezione armata organizzata che ha costretto la borghesia ad intervenire (via bombardamenti NATO e negoziati diplomatici) per creare due campi contrapposti: quello della vecchia e nuova borghesia (per metà sono ex-ufficiali del regime precedente) organizzata nel CNT e quello del “colonnello socialista” Gheddafi (l’amato partner di affari delle fazioni della borghesia occidentale fino a poco tempo fa), facendo così in modo da pervertire lo scontro tra proletariato e borghesia e la guerra di classe in uno sanguinosa guerra civile.
In Egitto, Tunisia, Libia, Iraq, Siria, Yemen, Bahrain, nel Regno Unito, in Grecia, Wisconsin, Cina, Cile… nella Repubblica Ceca… in tutto il mondo, il capitale ci offre due possibilità: quella di farci morire lentamente di lavoro quando ha bisogno della nostra forza-lavoro, oppure la distruzione fisica delle nostre vite quando non ha più bisogno di noi.
>In Egitto, Tunisia, Libia… sono i nostri fratelli e le nostre sorelle, è la nostra classe che lotta contro il capitale e contro lo Stato. La loro lotta è anche la nostra.
Affermiamo la prospettiva proletaria contro tutte le mistificazioni democratiche!
TŘÍDNÍ VÁLKA (Guerra di classe), Aprile 2011
autistici.org/tridnivalka
tridnivalka{at}yahoo{dot}com
[1] Contrariamente all’ideologia euro-centrista che disegna il mondo come entità separate con un centro (Europa e Nord America) ed una periferia (il resto del mondo), noi preferiamo usare le parole arabe “Maghreb” (che significa “ponente”) e “Mashrek” (che significa “Levante”), cioè l’occidente e l’oriente del mondo “arabo-islamico”, piuttosto che le espressioni Vicino Oriente e Medio Oriente. Vicino a che? Vicino all’Europa, ovviamente!