Una terra vista dalla sella di una bici

di Marco Piccinelli

Il manifesto, 2 ottobre 2012, p. 11
C’è Nandu Popu dei Sud Sound System e il Salento, la terra che «fa rima con sole, mare, vento». Ci sono le biciclette della sua squadra e quella che lui si è comprato faticosamente, sognando quella col telaio di titanio, proibitivo per il costo, ma resistentissimo agli urti. C’è una cartina, all’inizio di questo libro di racconti – Salento fuoco e fumo, Laterza pp. 105, euro 12 – che indica i posti visitati dall’autore.
Una cartina è necessaria ai non salentini che di Trepuzzi, Squinzano, San Cataldo, Frigole e Torchiarolo – sede di una particolare pizzica identificata come, appunto, «pizzica di torchiarolo» in cui il ragno che morde le giovani donne è la zamara – non ne conoscono la collocazione geografica.
Come le mani sul tamburo dei suonatori di pizzica battono forte, scandiscono un ritmo frenetico, così si muove l’autore fra i paesini del leccese. Popu e compagni sfrecciano di fronte agli anziani dei paesini che si ritrovano sempre a «bere birra e a sorridere a chiunque incroci il loro sguardo».

I racconti che Popu ha impresso su carta sono veloci, leggeri, a volte scarni di tutto quel comparto di aggettivi, pronomi e particelle che la letteratura tradizionale ha imposto o semplicemente tramandato. Talvolta sono così brevi che non si riesce a dare una dimensione totale all’«ambiente Salento», all’entroterra leccese di cui sono, invece, impregnati.
Tra campanilismi e Salento, il linguaggio dell’entroterra leccese è inusuale all’udito: come aspirato, con uno sforzo notevole del diaframma; alla lettura è cavilloso, quasi lento ma se si entra nel meccanismo diventa divertente. Basta stare attenti a piccole cose, una di quelle che più saltano all’occhio è, ad esempio, la coniugazione dell’infinito presente del verbo «morire»: nel salentino dell’entroterra leccese diventerebbe «cu mueri» come se si stesse dicendo «di morire».
Come gli infiniti presenti dei verbi salentini, anche le «zeta» sono caratteristiche di chi, leccese di nascita, parla italiano rendendo dolcissima qualsiasi «zeta»: quelle aggressive di «razzista» diventano morbide come quella di «zaino».
Il mondo del Salento è pieno anche di integrazione tra i «locali» e la gente non del posto. Senegalesi, magari, come quel ragazzo che schernisce, usando un fluente dialetto salentino, un anziano che non accetta di perdere la partita a carte.
E così continua l’avventura tra gli olivi e la terra brulla del Salento, le scampagnate in bicicletta e gli allenamenti con i ragazzi dei quartieri popolari, i saluti agli anziani e i «nodi alla gola» che prendono Fernando Blasi (alias Nandu Popu) e compagni quando vedono gli scorci offerti dalle coste salentine.