no bici

cop-no-bici1Alberto Fiorillo, No bici, Ediciclo editore, Portogruaro 2012

Cosa lega l’ascensore dei nostri palazzi con il Locomotive Act del Regno Unito che nel 1861 prescriveva “che un uomo con una bandiera rossa o una lanterna” doveva precedere le autovetture nei centri urbani per segnalarne l’arrivo a carrozze, pedoni e ciclisti? Come può essere sfuggito a molti storici che una delle cause della disfatta di Caporetto del 1917 fu il traffico, reso caotico dal federalismo delle norme della circolazione sancite dal Regio decreto n. 416 del 1901?

La risposta è semplice: le qualità e le funzionalità di un mezzo di trasporto dipendono più dal valore che la società gli attribuisce che dal suo effettivo valore d’uso. Ma di questo chi passa anni interi della propria vita negli ingorghi non si accorge, come non si può rendere conto che prendere o no l’ascensore è una scelta “dettata solo dal suo valore d’uso, non da una serie di sollecitazioni frutto di alterate elucubrazioni mentali che convertono il modo dello spostamento in status symbol, in piacere, in astruse congetture su velocità e comodità”.

Quale è, oggi, il valore sociale della bicicletta? Trendy, fashion, cool, hipster, ecologica, verde, economica, oggetto di lusso o di arredamento nei nostri salotti, prodotto di marketing o cavallo di troia per altri prodotti di marketing, persino regalo per la raccolta punti dal benzinaio di fiducia. “No Bici” è una metafora che vuole spogliare la bicicletta da “tutti i simboli e le metafore che hanno esageratamente appesantito la macchina più leggera che esiste”. “No Bici” è il sogno di riportare le biciclette al loro valore d’uso: mezzo di trasporto che soddisfa quello che per l’autore è un bisogno, quello della mobilità.

Fin qui tutto bene, il libro è interessante e stimolante, se non fosse che Fiorillo, responsabile aree urbane di Legambiente e blogger tra i promotori di #salvaiciclisti, si espone al rischio di fare di tutta l’erba un fascio, appiattendo tutti i mezzi di trasporto al loro valore d’uso. In questo modo l’idea filosofica della bicicletta (penso che sarebbe daccordo nel definirla il trasformatore energetico più efficiente di tutti i tempi) e il suo carattere anticapitalista e di protesta (si, tutti sappiamo cosa è una critical mass e quale è il costo sociale del traffico nel nord del mondo e delle guerre nel sud del mondo – mi si perdoni la semplificazione) finisce per essere un rivestimento ideologico, proprio come la bici icona dei trattamenti dimagranti o con la bici di moda che fa figo.

Quindi secondo l’autore oggi non ha senso”costruire un’epica contemporanea della bicicletta”, non ha senso “caratterizzare questo veicolo […] sulla base della sensazione di felicità, libertà o crescita individuale” che ci offre, ma quello che importa è che tutti i ciclisti provino a fare rete a “sintetizzare la grande biodiversità cicilstica per far pesare sul mercato delle scelte e delle strategie urbane questi cinque milioni di consumatori abituali di mobilità a pedali”.

Il ragionamento, intendiamoci, ci piace, il libro è ben scritto e merita una attenta lettura, ma io non mi sento “consumatore” di mobilità, nè sento di rivestire la mia bicicletta con altri significati oltre a quelli che ne caratterizzano l’essenza: libertà, resistenza urbana, riscoperta del proprio corpo, delle proprie capacità e dei propri bisogni. Bisogno di mobilità, bisogno di manualità, bisogno di relazioni, bisogno di ribellione e di utopia. Perchè appiattire la bicicletta a mezzo di trasporto va nella direzione del modello nordeuropeo: piste ciclabili su ogni strada, contravvenzioni a chi passa con il rosso, impennata delle vendite ecc. Insomma riduce la biciletta ad un ingranaggio del sistema capitalista, ancorchè molto più umano e certo auspicabile per il nostro stivale, disegnato ad uso e consumo del trasporto su gomma. Mentre la bicicletta potrebbe continuare ad essere un granello di sabbia negli ingranaggi del sistema, una lente di ingrandimento sulla barbarie del progresso e sulla diopendenza dalla tecnologia, insomma un invito alla rivolta.

Si, sono di parte. sono utopista ed estremista. Lo so e mi piace così. Per concludere, “No Bici” è un invito a far uscire dalle cantine e dai salotti le biciclette, usandole per quello che sono: mezzi di trasporto. In questo non posso che essere d’accordo poichè la bicicletta, quando viene usata, rischia di cambiare il nostro sguardo sul mondo e su noi stessi.