Secondo sciopero generale in Brasile

Venerdì scorso centinaia di migliaia di persone hanno marciato in tutto il Brasile contro le riforme del lavoro volute dal governo. Il presidente Temer ha reagito alla mobilitazione affermando che “con l’aumento degli investimenti, con l’accelerazione dei consumi e le azioni che stanno riducendo il tasso di interesse, molto presto avremo il definitivo ritorno alla crescita. Il Brasile sta camminando, anche se alcuni vogliono fermarlo”.

Promesse da mercante, false come quelle di tutti i politicanti in cerca di consensi.

Le manifestazioni si sono svolte in tutto il paese, da San Paolo (dove ci sono stati blocchi stradali e il MTST ha occupato l’aeroporto internazionale) a Rio De Janeiro (dove ci sono stati scontri con la polizia), passando per Salvador, Porto Alegre, Belém, Belo Horizonte e Brasilia. Ma gli scioperi, i blocchi stradali, i picchetti e le dimostrazioni contro le riforme del lavoro e delle pensioni, che secondo i sindacati stanno facendo tornare indietro i diritti e le tutele dei lavoratori, hanno interessato altre decine di città.

Il limite di questo secondo sciopero generale (#GrevePorDireitos), come d’altronde di quello di fine aprile, è nella politicizzazione del malcontento sociale con le parole d’ordine della fine della presidenza di Temer e la richiesta di nuove elezioni. Sarà anche vero che la stragrande maggioranza dei brasiliani esprime avversione verso il presidente in carica, ma a pochi giorni dallo sciopero i sindacati confederali, fiutando la non alta partecipazione, hanno tentato di fare un passo indietro lasciando l’iniziativa in mano alle sigle minori. Inoltre in diverse città i dipendenti del settore dei trasporti hanno deciso di non aderire a causa delle multe ricevute per lo sciopero precedente.

Al di là della bassa o alta partecipazione alla giornata lotta, lo scopo di ogni sindacato non dovrebbe certo essere quello di fare campagna elettorale per questo o quel partito, questa o quella coalizione, bensì quello di organizzare i lavoratori al fine di ottenere dei miglioramenti delle loro condizioni di vita e di lavoro. Invece, come al solito, i bonzi sindacali a tutto pensano fuorché all’autonomia di classe, incanalando la rabbia proletaria nello scontro sinistra vs destra invece che in quello lavoro vs capitale.

Nonostante ciò i lavoratori brasiliani continuano ad esprimere un notevole potenziale di lotta e ci auguriamo che al più presto – anche a causa del precipitare della crisi politica ed economica – prendano in mano il loro destino mandando al diavolo non solo un governante “corrotto”, ma tutti i politici, i capitalisti e i burocrati del sindacato. Auspicio che, naturalmente, non riguarda solo il Brasile.

da http://www.chicago86.org/index.php

Facebook

YouTube