8 MARZO 2015: L’EMANCIPAZIONE DELLA DONNA NON PROFUMA DI MIMOSA

donne 3 aLa memoria storica sull’origine della Giornata internazionale delle donne è confusa.
Alcuni sostengono che sia stata istituita per ricordare l’incendio del 1908 nella fabbrica
“Cotton” di New York nel quale morirono 129 operaie. Altri rimandano la sua origine
alla Conferenza internazionale delle donne socialiste del 1907 e alla loro lotta per il
suffragio femminile, che nel 1910 avrebbe portato questo movimento a proporre
l’istituzione della Giornata internazionale della donna. Ma, è nel giugno del 1921 che
la seconda Conferenza internazionale delle donne comuniste stabilisce la data dell’otto
marzo come Giornata internazionale dell’operaia, per rintracciare una data unica
in tutti i Paesi.
Oggi altro che di operaie si parla … l’otto marzo è diventata una mera ricorrenza,
dove si regala la mimosa e si va fuori a cena. Tutto questo in perfetta sintonia con il
ruolo di subalternità della donna voluto e perpetuato dalla società capitalista, dalla sua
politica e dalla sua storiografia ufficiale.
I governi che si succedono, infatti, ci propinano leggi ottuse o nella migliore delle
ipotesi si rifanno ad una certa storiografia che mistifica e sminuisce il ruolo delle
donne, addirittura anche in quei processi storici (si pensi alla Resistenza) dove, invece
a nostro avviso, si può iniziare a rintracciare la nascita di una nuova coscienza che
parifica uomini e donne e riconosce il contributo che quest’ultime hanno dato e danno
nella storia dell’emancipazione delle classi oppresse. Inoltre, sul versante della politica
istituzionale si avvicendano i cosiddetti Pacchetti sicurezza (ricordiamo il decreto
Maroni del 2009) per la sicurezza delle donne dicono loro, ma in realtà volti a fare
della violenza di genere una questione razziale etichettando il migrante come
violentatore … senza considerare che la maggioranza delle violenze subite dalle donne
avviene proprio tra le “sicure” mura domestiche. Ma si pensi anche alle continue
declamazioni moraliste sull’eliminazione della prostituzione (decreto Carfagna,
2008) perché fenomeno sociale degradante, ma solo se si vede perché, di fatto, si
ripropongono le famigerate case chiuse (abolite già con la Legge Merlin nel 1958!). Da
ultimo, in ordine temporale, ricordiamo il decreto sul femminicidio dell’agosto del
2013, diventato legge nell’ottobre dello stesso anno, nel quale la parola femminicidio
va a coprire ben altri interessi ed obiettivi, ad esempio quelli circa il potenziamento
delle forze armate nei cantieri Tav!
No, grazie. Né vogliamo questo, né ridurci semplicemente ad enumerare quello che è
stato fatto. L’otto marzo deve proporsi, invece, come una giornata di lotta, nella quale
difendere ciò che abbiamo conquistato e conquistare ancora.
E così non arretriamo dinanzi ai continui attacchi che vanno nella stessa e nota
direzione di strumentalizzazione del corpo e della coscienza delle donne, che in quanto
soggetti sempre più attivi nelle lotte di tutti i giorni, dalla difesa del posto di lavoro
alla difesa dei territori, pagano duramente questa crisi, con la loro libertà e la loro
indipendenza. Si pensi alla martellante e arrogante campagna antiabortista partita
l’anno scorso dalla vicina Spagna, dove l’allora ministro della Giustizia Gallardón
intendeva vietare l’interruzione volontaria di gravidanza tranne nei casi di violenza
sessuale o di grave rischio. Tutta la civile Europa ha rimesso in discussione
quest’avanzamento e, ovviamente, in Italia non siamo da meno. Nel nostro Bel Paese,
infatti, dall’approvazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza,
vari e molteplici sono stati i tentativi di delegittimare il diritto delle donne a decidere
sul proprio corpo, dagli attacchi “legali” alla quotidiana e squallida propaganda
antiabortista, passando per i vili obiettori di coscienza e l’assenza di politiche sociali
per il funzionamento dei consultori.
E oggi, forti dell’esempio di resistenza curdo, non ci stupiamo della partecipazione
delle donne nella guerra contro l’I.S. e l’imperialismo, ma bensì la celebriamo. Le
combattenti curde e la situazione nel Rojava rappresentano un avanzamento nella
lotta contro il sistema capitalistico e per l’emancipazione di genere. In migliaia
combattono tra le fila delle YPG (Unità di difesa popolare) e delle YPJ (Unità di difesa
delle donne) del PYD (Partito dell’Unità Democratica), vicino al PKK turco (Partito dei
lavoratori turco) e sebbene la propaganda mainstream non abbia tardato a dipingerle
esclusivamente come bellezze con il fucile in mano, noi sappiamo che si tratta di ben
altro. Le donne sono una componente fondamentale del movimento di liberazione
curdo e raccogliere il loro insegnamento significa non cadere in luoghi comuni e
comprendere che la reale emancipazione della donna non è possibile in una società
che sfrutta l’essere umano, il suo lavoro, l’ambiente, imponendo ritmi massacranti e
guerre come strumenti per mantenersi in vita.
Consci che solo cambiando la struttura del sistema nel quale viviamo la donna sarà
davvero emancipata e fonte di nuove emancipazioni!
A dispetto di chi vuole la donna come oggetto, succube, solo madre apprensiva e
moglie perfetta, le donne sono state e sono partigiane, studentesse, lavoratrici e
compagne di lotta.
Collettivo politico * Scienze Politiche