Ore 21 proiezione del film Gli equilibristi. Regia Ivano De Matteo, 2012. A Seguire dibattito: introduce la trasmissione “Visionari” di Radio Onda Rossa, incontro con Ivano De Matteo e Valerio Mastrandrea
Nel 2002 abbiamo occupato l’ex cinodromo trasformandolo nel laboratorio del precariato metropolitano. Eravamo e siamo ancor oggi acrobati, equilibristi sospesi sul filo della precarietà tra lavori intermittenti, disoccupazione e affitti inarrivabili. Nel 2012 sono milioni i precari che vivono nell’ansia, uno stato di insicurezza cronico dovuto non solo a sentirsi come sospesi a un filo, ma consapevoli che il più piccolo errore o malaugurato accidente può fare la differenza tra un tenore di vita accettabile e una vita da marciapiede. Per questo siamo convinti che combattere contro la precarietà significa lottare per la dignità e per la libertà. Siamo lieti di presentare l’ultimo lavoro di Ivano De Matteo, un film che racconta la nostra condizione esistenziale.
>> Intervista a Valerio Mastrandrea (di Samir Hassan)
“Anche chi ha il posto fisso è un’equilibrista”.
Valerio Mastandrea racconta il suo nuovo film, un’altalena tra precarietà professionale e sentimentale.
Quando più di un anno fa l’ex-ministro Brunetta definì un gruppo di precari (che lo contestarono a Roma, ad un convegno sulle innovazioni tecnologiche) come l’Italia peggiore, non si aprì solo una fitta canea mediatica, ma anche una ridefinizione del tema della precarietà. Si udirono da più parti inviti, rivolti ai “giovani bamboccioni”, di andare a lavorare; di cercarsi un lavoro, un posto fisso, di uscire dall’alveo familiare, di tuffarsi nella vita e nel mercato del lavoro e delle professionalità. La Grecia era nel pieno del suo collasso, lo spread era un termine usato da pochi addetti ai lavori e l’Italia ancora non aveva un governo tecnico. Eppure qualche giovane senza peli sulla lingua fece la voce grossa, ricordando al paese che il posto fisso, in un mercato del lavoro senza garanzie e sistematicamente deregolamentato, è un meccanismo di precarizzazione tale e quale ad un contratto a progetto. Gli Equilibristi, una delle ultime fatiche interpretate da Valerio Mastandrea, sembra essere il sequel reale di quel fatto; una pellicola che evidenzia come le connessioni tra la precarietà lavorativa e quella esistenziale non siano solo salde, ma anche sequenziali, conseguenti, quasi inevitabili. Con delle specifiche ben precise: il degrado umano della persona, il problema della famiglia, la difficoltà di accettare un così repentino cambio di vita.
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Gli Equilibristi più che un film sembra l’amara verità di molte famiglie italiane; possiamo definirla una vera e propria pellicola di “denuncia sociale”?
«Ogni film che riesce ad indagare sulla realtà delle cose e del mondo che ci circonda in genere compie un lavoro di “denuncia sociale”. Denunciare è dunque sinonimo di mettere in risalto, mostrare le zone sotterranee della nostra storia, della storia delle persone. Tuttavia “denunciare” non è un verbo che mi piace molto. Potrebbe essere sostituito da “stimolare”, “riscoprire” e tanti altri che non permetterebbero di non perdere il senso più profondo del fare cinema. Capire, forse questa è l’espressione più appropriata.»
Mettendoti nei panni di Giulio, un italiano qualunque, hai percepito la povertà come sola mancanza di denaro oppure la colleghi ad un’umanità che il tuo personaggio sembra smarrire scena dopo scena?
«Nel film si parla di un uomo col posto fisso, cioè il nuovo grande sogno italiano. Questa è, forse, la novità dei tempi nostri; ovvero, anche chi appartiene ad un ceto medio, quindi relativamente “coperto” da un punto di vista professionale, non è più al sicuro davanti ad uno sconvolgimento della propria vita. Non è al sicuro economicamente, non lo è altrettanto dal punto di vista emotivo. Economia ed emotività. Due cose così distanti ma che possono creare un corto circuito molto pericoloso.»
Il titolo del film rimanda ad una vita in bilico, vissuta tra precarietà e altalene professionali. Responsabilità delle classi dirigenti o della passività di chi ne fa le spese ogni giorno senza alzare la voce?
«La povertà ha sempre fatto parte della storia dell’uomo. E’ cambiato il potenziale di solidarietà ed aiuto che si potrebbe mettere collettivamente in campo per scongiurarla, per alleviarla laddove non si può evitare. Parlo di potenziale perché – paradossalmente – più aumenta la coscienza e l’attenzione verso chi non se la passa bene e più, chi possiede maggiori possibilità, ignora e tira dritto. E non sto parlando di classi sociali più abbienti, ma degli apparati istituzionali che – direttamente o indirettamente – sono parti in causa di queste crisi.»
Quando De Matteo ti ha parlato della sceneggiatura, qual’è stata la tua prima reazione? E com’è sul set Ivano, ai più noto come il Puma della serie di Romanzo Criminale?
«Ivano lo conosco da quasi 20 anni. Conosco il suo percorso artistico e la sua passione smodata che infonde in questo lavoro. Tutti ci dovrebbero lavorare almeno una volta, sarebbe un’ottima scuola, umana e professionale.»
Il film diretto da De Matteo, Il comandante e la cicogna, Padroni di casa: tre film contemporaneamente nelle sale, una mole di lavoro – immaginiamo – notevole. Ti senti, a modo tuo, un’equilibrista?
«A dire il vero mi dispiace di queste uscite in contemporanea. Questi tre film sono frutto di tanti mesi di lavoro, e vederli sfidarsi, vedere il loro destino giocato nell’arco di un mese o poco più è una sensazione abbastanza desolante. In un certo senso possiamo dire che è il segno evidente di un mercato impazzito, che cerca di tutelare i suoi prodotti cercando di venderli nel minor tempo possibile rispetto ad altri produzioni promosse in contemporanea. Io continuo a considerare i film a cui partecipo tutt’altro che prodotti da vendere, ma comprendo che si muovono in un mercato che, però, deve riconsiderare regole, spazi e soprattutto deve imporsi di educare il pubblico a pensare che un film al cinema è diverso d un film visto su un dvx o in televisione.»