I tamburi di Piazza del Popolo

Uno dei modi con i quali si sta cercando da più parti di giustificare o razionalizzare quello che è
avvenuto a Roma il 14 dicembre è quello che consiste nel dire che in fondo è accaduto solo quello che è
già accaduto in Francia, in Grecia, in Spagna e in Inghilterra. Oppure, il ché è quasi lo stesso, che è un
effetto della crisi o della «assenza di futuro», qualcosa cioè di essenzialmente reattivo. In fin dei conti
definire la rivolta come pura “esplosione di rabbia” vuol dire relegarla nel purgatorio delle passioni
irrazionali. È un modo tra i tanti di relativizzare l’evento, un modo buono per tutti i gusti: sia per gli
“antagonisti” ossessionati da problemi di identità e che fino all’altro ieri dovevano accontentarsi di un
po’ di riotporn su youtube, sia per i “gestionali” i quali, dopo lo sbigottimento, per rimettere le cose a
posto ora possono dire con patetico understanding: «Abbiamo respirato un clima più europeo e meno
provinciale del solito» (ma il tizio avrà detto questa stupidaggine per apparire simpatico agli erasmini,
agli intellettuali cosmopoliti o semplicemente per diluire la singolarità della rivolta romana nella notte
dove tutte le vacche sono nere?). Contenti loro.
Certo, sarebbe da stupidi non vedere che in Europa negli ultimi quattro anni si è fatta avanti ed è venuta
facendosi sempre più comune una pratica del conflitto anticapitalista che fa rimbalzare enormi
sommosse da un paese all’altro. Anzi, ad avere l’occhio lungo si poteva prevederne la tendenza già da
tre o quattro anni almeno. Il testo maggiormente premonitore in questo senso, L’insurrection qui vient, è
del 2007. Ci sono stati diversi compagni e compagne che hanno provato per tempo a intercettare la
tendenza e a socializzarla, peccato che nelle nostre provincie venissero trattati peggio di come Saviano
oggi tratta i rivoltosi di Roma. In ogni caso, per quanto ci riguarda, crediamo ancora nella verità del
vecchio motto “prima le lotte, poi il capitale” e che la resistenza venga prima del potere. Crediamo
ancora che autonomia significhi capacità di determinare una propria temporalità e quindi saper
prendere e tenere l’iniziativa e non subire sempre e comunque quella del governo (o della bassa cucina
politica) per poi reagire. E non ci crediamo astrattamente, per noi è parte di una prassi. Piazza del
Popolo e tutto quello che è avvenuto attorno ha significato finalmente imporre il piano dell’iniziativa
autonoma a tutti. Al governo in divisa blu in primo luogo, poi alla politica e quindi a quei poveracci che
si sono illusi di poter ancora e per sempre condurre le danze con uno pseudo-assalto al Palazza in
perfetto stile “reality show”, a uso e consumo della miriade di fotografi e cameramen che già
conoscevano l’angolo di strada dove assieparsi. Il nodo che la rivolta romana ha sciolto con violenza sta
proprio in questa affermazione: all’esercizio comune di un rifiuto corrisponde la crescita dell’autonomia
e che la verità della lotta non poteva consistere né nella sua messinscena né nella finta assemblea
democratica che avrebbe dovuto chiudere la manifestazione ma nella frattura profonda con ogni
continuità e quindi anche con l’edulcorata grammatica della protesta che fino ad oggi ha potuto
egemonizzare i movimenti in Italia. E finalmente si è vista in azione un bel po’ di «rude razza pagana»!
Dire che quello che è accaduto è spiegabile, meccanicisticamente, come fosse una fatale prosecuzione
di ciò che è già avvenuto altrove non spiega granché, non spiega affatto come la rivolta si è fatta spazio
qui ed ora, in Italia, nel dicembre 2010. La dimensione globale della “crisi”, d’altronde, mostra come
funziona il capitale molto più che la fisica delle lotte. Sempre che il problema principale sia quello di
spiegare e noi, eterni scettici, non crediamo effettivamente sia la questione più urgente. Quello che
possiamo dire è che i politicanti, i gestionali, perfino molti tra i militanti più scaltri non se l’aspettavano
– «la situazione ci è sfuggita di mano», dice candidamente uno di loro – ma le cose sono andate come da
anni non ci stancavamo di ripetere, ovvero che l’accumulazione dei comportamenti di insubordinazione
doveva rovesciarsi in un momento di attacco complessivo, che come tale ha la capacità di spostare tutti
i termini della lotta politica in Italia. Chi riconoscesse qualcosa di familiare in queste parole non si
sbaglia: se la sovversione è una scienza vuol dire che ha le sue regolarità. Ma anche, come dice il
vecchio Kuhn, le sue rotture epistemologiche. La scienza della sovversione è la scienza di queste
rotture principalmente ma se non ci fossero delle costanti, delle continuità sotterranee, si tratterebbe
solo di caos.
La contraddizione più curiosa e, se vogliamo, rivelatrice nei “razionalizzatori” è da un lato nel dire
«non è altro che un punto in continuità con quello che è già accaduto altrove» e dall’altro «non ce lo
aspettavamo». Se alcuni di loro sono in buona fede, per altri si tratta di riportare a un ordine del
discorso accettabile l’emersione di ciò che avevano timore che accadesse. Il 14 dicembre ha tra le sue
virtù quella di aver finalmente rotto la credenza che ogni conflitto, ogni manifestazione e ogni corteo
debba essere governato: se ne facciano una ragione o si tolgano dalle strade invece di continuare a
delirare sulla “vera democrazia”.
Altra virtù è quella di far comprendere che è anche finito il tempo delle “azioni” fatte in pochi e
contenti di esserlo. Anche qui a buon intenditor poche parole. Quello che tutti, ma proprio tutti, hanno
dovuto riconoscere, nella rivolta romana come nelle altre sommosse europee, è che alle avanguardie,
che ci sono sempre, si sono immediatamente unite migliaia di singolarità qualunque. Migliaia di
singolarità che quando non partecipavano direttamente comunque tifavano rivolta, con buona pace di
chi pensa che questo bel sentimento comune sia un disprezzabile «esercizio apologetico» e che invece
adesso si tratterebbe di isolare l’evento, capitalizzarlo ed essere responsabili. Buttarla in politica cioè e
ritornare a essere cittadini. Perché i moti insurrezionali della contemporaneità sono anche la figura in
movimento dell’estraneità alla democrazia reale. È parte dello «sciopero infinito» nei confronti di ogni
identità a partire da quella più socializzata e scontata di tutte, ovvero quella del triste cittadino
planetario che non abita più nulla se non la sua alienazione dalla potenza.
****
Esiste un modo e un sentimento dell’esistenza rivoluzionaria che diffida dei soggetti e delle ideologie
come mezzi per leggere le situazioni; esso invece vive e vede il mondo come un insieme di linee che si
incrociano e di piani che si intersecano, di masse di atomi che vengono a collisione e di esistenze che si
incontrano. Ogni linea, ogni piano, ogni atomo, ogni esistenza è una potenza e ogni scontro è scontro
tra potenze. Quello che viene detto il possibile è il prodotto estatico di questi incontri tra potenze, di
queste collisioni fatali dalle quali prendono il loro corso eventi che sono tali proprio perchè non sono
frutto del caos – solo degli ideologi del risentimento potrebbero pensarlo – ma dell’organizzazione che
degli esseri dotati di determinazione gli hanno conferito a partire da quel momento e quello spazio nei
quali l’incontro e poi la collisione sono avvenuti. Incontrarsi e comporsi, comporsi e aumentare la
potenza, aumentare la potenza e scagliarla intera contro il nemico: cosa altro è organizzarsi?
Comunismo non è altro che il nome di questi incontri insurrezionali a partire dai quali si costruisce un
mondo comune.
La calda scienza dell’insurrezione, la logica fredda della rivolta, la tagliente ragione rivoluzionaria sono
fatte di questi incontri, di questi piani di vita che vengono a disegnarsi nell’esistenza comune come in
un quadro di Malevich. L’intelligenza di una sommossa significa allora saper leggere le linee di
conflitto che si vengono a incrociare e organizzare nel panorama tanto rutilante quanto squallido della
metropoli. Guardie e giornalisti generalmente vedono in queste linee che diventano piano solo un
ammasso informe, una folla senza pensiero, uno strumento manovrabile composto da una plebe acefala,
delle vite infami. Per questi “analisti”, in genere, questa folla non è un soggetto e non è nemmeno
composta da soggettività politiche. Questo è il lavoro della desoggettivazione nemica. Si veda cosa ha
scritto il Corriere, ad esempio, il quale definisce tutti i partecipanti alla rivolta semplicemente come
«macchina della violenza», contrapponendola in questo modo ai veri soggetti politici. Il problema di
questi signori sarebbe infatti quello di evitare che la macchina divenga soggettività, o meglio ancora, lo
dicono loro stessi, che divenga partito. Macchina da guerra/partito immaginario: è il loro incubo
ricorrente.
I manager movimentisti non sono così lontani. Certo, sfumano i toni e cercano di vestire le linee e i
piani con dei predicati che ne possano fare immediatamente dei soggetti da unire/inglobare nel loro
maniacale sogno del Grande Soggetto alternativo alla crisi. Farne un buon soggetto da utilizzare come
massa di manovra nella contrattazione con i prossimi governanti. All’indomani della rivolta di Roma
abbiamo avuto abbondanti esempi di questi predicati: erano “ragazzini”, “precari”, “incazzati”,
“studenti”, “una generazione”, “giovani”… “persone”(sic). Un eguale cecità, un’eguale ignoranza che
agli uni fa dire che a scatenare la rivolta sono stati i “black bloc” e agli altri che è stata la passione
irrazionale di “giovanissimi” disperati per il loro futuro. Come dire che da un lato e dall’altro vedono
solo il nulla. Un nulla da dominare o a cui dar forma di Soggetto da dirigere. Chi sono allora i veri
nichilisti?
Ciò che davvero hanno in comune questi due soggetti politici è una paura: non quella della violenza ma
quella del vuoto. Vuoto politico s’intende. Un vuoto che si installa, separandoli, tra Palazzo e Piazza, tra
Politica e Autonomia, tra Governo e Ingovernabile. Per questo appaiono tutti affannatti nel cercare di
occupare l’abisso. Ma non c’è nessun vuoto. C’è solo la rottura di ogni possibilità di mediazione insieme
all’apparizione folgorante dell’indistinzione tra fuori e dentro, pubblico e privato, guerra e pace che
contraddistingue a ogni latitudine il governo dell’ordine imperiale. Per noi è evidente che si tratta di
rendere irreversibile la rottura.
Quello che abbiamo visto il 14 dicembre è anche lo scontrarsi all’interno di ciascuno e ciascuna delle
linee di soggettivazione con quelle di desoggettivazione ma per una volta lo scontro non dipendeva
dall’essere catturati in un dispositivo astratto, quando lo subisci senza nemmeno sapere cosa e come, ma
dall’essere avvolti in un sentimento comune. Perché è vero che c’erano studenti, ragazzi, artigiani,
precari, operai ma è vero anche che nel percorrere quelle linee che si confondevano con le strade della
capitale, tutti questi “soggetti” hanno sentito improvvisamente una profonda stanchezza per questa
sociologia da rapporto Censis e si sono scoperti a provare odio non solo per la polizia e per i dispositivi
di controllo disseminati sul percorso ma anche per se stessi in quanto dispositivi, per tutti questi sé
impacchettati dentro delle gabbiette pavloviane per cui ad ogni soggetto, a ogni identità, corrisponde un
comportamento standard.
L’odio per i padroni e per i poteri non prescinde da quello per ciò che di tirannico portiamo addosso e
dentro di noi. Per quella schifezza di produzione di soggettività postmoderna a cui tanti zombie della
politica di movimento si appassionano tanto. Ad andare distrutto nel riot oltre al mobilio urbano è stata
anche buona parte di quello che arreda questa gruccia concava chiamata soggetto a cui viene appesa la
vita per poi riporla nell’armadio del futuro. Se un tempo valeva per gli operai il “rifiuto del lavoro”
negli e contro gli stabilimenti industriali, oggi, che è la stessa soggettività metropolitana a costituire lo
stabilimento e il prodotto del lavoro, la sovversione prende sempre più spesso la forma del rifiuto
dell’Io e della metropoli: si sciopera contro le fabbriche dei soggetti così come si scioperava contro la
fabbrica di automobili. Gli operai dovevano rifiutare se stessi in quanto forza-lavoro, distruggere la
propria identità di classe operaia, per esprimere un livello di sovversione adeguato alla società
industriale. Così oggi sabotare la soggettività flessibile in ogni sua declinazione – precario, immigrato,
studente, terremotato etc – diviene un formidabile mezzo per attaccare il capitale. La rivolta fa paura
perché mentre essa ha corso il governo non trova più tutti quegli attributi attraverso i quali può
classificarti, frammentarti e ricomporti da qualche altra parte nel continuum metropolitano dello
sfruttamento. Riappropriarsi della potenza coincide con questa diserzione dell’Io. Una politica del nonsoggetto
contro la metropoli.
Dicono che la “rabbia” sia esplosa una volta che la folla ha saputo della fiducia al governo. Ci
permettiamo di dubitare di questa altra versione razionalizzante, tanto comoda alla politica e ai
recuperatori di ogni sponda. E non si tratta solo di temporalità dissonanti. Ciò che è andato fuori
sincrono sono proprio le misure e i tempi con i quali si è da troppo tempo abituati a circoscrivere i
conflitti e a riassobirli nella governamentalità. Qualcosa si è rotto, la separazione è avvenuta.
L’Ingovernabile è schizzato fuori dagli stretti interstizi che corrono tra un’identità politica e l’altra e si è
fatto gesto collettivo. Adesso si tratta di allargare e abitare quegli interstizi e farli divenire delle
Comuni, accoglienti e determinate.
Che un tamburo battesse feroce il tempo dell’insurrezione in Piazza del Popolo è certamente un segno
dei tempi. Che il buon Tano D’Amico abbia riconosciuto in quella potente immagine di rivolta una
fisionomia stranamente simile a quella dei moti parigini del 1848 non fa che darcene, benjaminamente,
un’ulteriore conferma.

Scene dal 14 dicembre

da precaria.org

Roma: 14 dicembre 2010

Scena 1: Dal palazzo

Il Ddl Gelmini, mentre taglia di 1,3 miliardi di euro in tre anni il fondo di finanziamento ordinario per l’Università pubblica, concede incrementi di finanziamento per le Università telematiche private e per il Cepu. Catia Polidori, la proprietaria del Cepu, eletta con Fini e membro di Fli, decide all’ultimo momento, guarda caso, di votare la fiducia al marcescente governo Berlusconi Per onestà di cronaca, non è l’unico caso.  Vi sono anche altre due parlamentari di Fli e pure l’astensione dei Sudtirolesi, abbagliati dalla possibilità che il Parco dello Stelvio possa diventare patrimonio dei bolzanini. Non abbiamo altro aggiungere. Questa è la politica oggi in Italia.

Se vogliamo essere più sofisticati, è l’esito di un decennio (ma forse è un ventennio!) in cui il dibattito politico è l’espressione di un regime, non più totalitario, come ai tempi del ventennio, ma velleitario. La politica oggi è forma di imposizione di logiche di dominio e controllo sociale, dettate dalle esigenze dei poteri economici (leggi modello Fiat-Cisl), sociali (leggi Bossi-Fini e Sacconi-Vaticano) e militari (l’illusione, questa sì nostalgica del ventennio, della coppia La Russa-Maroni).

La politica non è più l’arte della mediazione di democristiana memoria: esigenza di facciata della democrazia borghese, oggi pallido riccordo. Il dibattito politico, che il 14 dicembre 2010 si è farsescamente riprodotto nel parlamento, è tra due logiche di imposizione, di segno diverso, ma di sostanza comune: da un lato l’asse PD-IdV, portatore di una sorta di pseudo legalitarismo di maniera, dall’altro il duo Berlusconi-Bossi, che propina un modello di arbitrii feudali post litteram.

Per noi, precarie e precari, non c’è comunque scampo.

Scena 2: Dalla piazza

Per una volta ciò che è successo può essere raccontato senza troppi ghirigori.

Il circo mediatico, di giornale in telegiornale, ripete con poche differenze gli stessi mantra: la distanza fra strada e palazzo, il ritorno agli anni settanta, i pochi black bloc che possono tutto, la presenza degli infiltrati, il ritorno dei centri sociali, degli autonomi, dei professionisti dello scontro, la divisione fra i buoni ed i cattivi ed infine la generazione precaria a cui è vietato il futuro. Una raffica di parole sparate in ordine sparso, alcune volte senza logica, altre volte con la l’espressa volontà di usare ciò che è successo per conti terzi.

Ma Ieri ciò che è accaduto a Roma è semplice da spiegare: si è coagulata un massa critica di umanità varie che ha rotto l’eccezione italiana di una crisi subita in silenzio riportandoci di fatto fra le genti d’europa. Ieri, infatti, ciò che è successo c’entra poco e nulla con gli anni 70 e genova 2001 , ma geneticamente è molto simile ha ciò che avviene nelle strade di Londra, in quelle di Atene e Parigi.

Ciò che è accaduto ieri è una rivolta di popolo. Una rivolta di quella generazione precaria che ha smarrito speranze e futuro, si badi bene che non è il frutto di una distanza del palazzo dalla strada ma, al contrario,  è il risultato del modo con cui il potere gestisce e amministra  strade, territori, risorse, beni comuni, tempo e corpi; “fonti di guadagno” rispettivamente, militarizzate, cementificati, sfruttate, privatizzati e precarizzate.

In questo fra centro destra e centro sinistra, c’è veramente poca distanza. Ai politici, politologi, politicanti e informatori e disinformatori il compito di blaterare sulla fine della mediazione e della rappresentanza. A noi precari il compito costruire ed affermare le ragioni di un punto di vista diverso fondato sullì’appropriazione del reddito e dei diritti.

continua…

14 dicembre: comunicato Infoaut

da infoaut

É istruttivo ricostruire la giornata del 14 dicembre 2010 attraverso le
convulse e affannate cronache del sito di Repubblica. Fin dal primo mattino,
fiduciosi nella sfiducia all’ormai impresentabile bubbone Berlusconi,
l’attenzione si è concentrata sull’aula parlamentare, sul frenetico
inseguimento delle voci di corridoio, sulle ultime compravendite di voti. Le
manifestazioni di piazza, dopo essere state accarezzate e coccolate per
settimane, sono relegate a metà pagina, eco di contorno di un popolo pronto a
inneggiare alla caduta del tiranno. Si capisce: ora, a un passo dall’auspicata
uscita di scena del malvagio di Arcore, il problema è ricondurre tutto alla
soluzione istituzionale. Ma poco prima dell’ora di pranzo prendono corpo i
fantasmi del colpo fallito: al gruppetto capeggiato da Calearo, ultima perla
lasciata in eredità dal geniale Veltroni, si aggiungono le futuriste Siliquini
e Polidori. Quest’ultima ci restituisce l’immagine simbolo non solo della
giornata, ma di un’era politica: la proprietaria del Cepu ha venduto il proprio
voto per salvare un’impresa in cui da oggi, oltre alle lauree, si possono
comprare anche le fiducie parlamentari. Ecco l’investimento in formazione e
ricerca, ecco l’idea di università che agita i sonni della maggioranza e delle
opposizioni! Non si capisce più chi ha tradito chi, semplicemente perché la
posta in palio non è un progetto politico, ma la sopravvivenza di ceti
politici. Tra cavaliere e cavallo non c’è differenza. Tutto il resto è storia
nota: il badogliano Fini è sconfitto (evviva!), Berlusconi – mischiando Pirro e
Romolo Augusto nell’avanspettacolo – prolunga la propria agonia da animale
braccato e consegna i suoi ultimi mesi nelle mani della Lega, lo spettatore
Bersani contempla la propria impotenza, i mercenari dell’Italia dei Valori
dimostrano di che pasta è fatto il partito giustizialista.

Allora lo scenario cambia rapidamente: bisogna ridare la parola alle piazze.
Dal sito di Repubblica rispuntano ovunque cortei e mobilitazioni, il messaggio
è che il popolo protesta contro la mancata caduta di Berlusconi. Come tutti i
popoli, è anche questo disincarnato, surrettizia unità di individui privi di
voce e soggettività, dunque in attesa di farsi rappresentare. Ecco che, però,
il reale squarcia il reality show. Non c’è più piazza del popolo, perché il
popolo si spacca: studenti e precari si riprendono ciò che è loro, da Londra
all’Italia le fiamme illuminano la strada verso una nuova Europa. Il sito
impallidisce terrorizzato: dov’è finito il popolo educato dell’anti-
berlusconismo, dove sono andati gli immaginari bravi ragazzi che piacciono a XL
e che si difendono con la cultura e i libri? Scomparsi, e al loro posto ecco
calare da chissà dove i black bloc. Il sapere non è più la sacra icona del
pubblico da difendere, ma è una mostruosa arma con cui fare male al nemico. É
l’intelligenza collettiva di organizzarsi nello spazio metropolitano, di
rendersi imprendibili, di farsi sciame e di attaccare nei punti migliori.

I buoni e i cattivi, storia nota si potrebbe pensare. E invece, qua c’è una
grande novità. A prendere parola, collettivamente e in modo giustamente
furioso, è una generazione di studenti, precari e operai che ha una percezione
assolutamente corretta della propria condizione: mobilità sociale bloccata,
indebitamento per il welfare, assenza di reddito e garanzie, declassamento come
orizzonte permanente. L’assenza di futuro è, innanzitutto, insopportabilità del
presente. Sono passati due anni dall’Onda, dall’illusione che mettendo in
galera i corrotti si risolvesse la propria condizione di precarietà. La crisi
ha scavato a fondo. Le lotte hanno determinato la crisi, la crisi ha lavorato
per le lotte: nelle assemblee di scuole e università i discorsi sulla
meritocrazia si indeboliscono, non si sentono quasi più quelli sulla legalità o
la giustizia. La linea discriminante non corre più tra violenza e non-violenza,
ma tra violenza dei governi, della polizia e delle banche, e forza costituente.
Studenti medi e appena entrati all’università, i veri soggetti nuovi del
movimento, sono radicali nei comportamenti e nell’espressione di piazza perché
hanno afferrato la radice della questione: o si trasforma tutto, o la crisi la
pagheremo noi. Insomma, a bruciare sulle barricate dei palazzi assediati è la
fiducia non solo in questo o quel governo ma nella speranza, che – come
Monicelli ci ha insegnato – è una trappola dei padroni.

É questo il motivo per cui i cortei studenteschi incontrano questa diffusa
solidarietà, perfino quando bloccano gli snodi centrali della comunicazione e
del traffico metropolitano nelle ore di punta. Non perché sono i giovani bravi
ed educati che sogna Repubblica, ma perché a partire dalla loro parzialità
parlano il linguaggio della generalizzazione contro l’interesse generale –
quello del paese e dunque dei Montezemolo e dei Marchionne. Perché parlano il
linguaggio della lotta alla precarietà permanente, della riappropriazione della
ricchezza comune, dell’autonomia e della libertà – quella senza popolo e contro
l’imposizione del futuro. Perché parlano un linguaggio di classe. Chi pensa di
poter ricondurre i conflitti e questo processo di soggettivazione nei codici
della compatibilità rappresentativa o alla difesa dell’università pubblica, chi
pensa che finita la battaglia si ritorni allo status quo ante ha sbagliato i
propri conti, né più né meno delle odierne maggioranze e opposizioni. Lo
avevamo detto: il Ddl Gelmini è un casus belli, la guerra vera inizia ora. Dove
qualcuno tifava per un 25 luglio, si è aperta la strada di un 25 aprile. In
serata, allora, il quadro istituzionale si ricompone unanime intorno alla
condanna degli studenti e dei precari. Vuol dire che hanno paura. Era ora.

—-

Londra chiama, Roma risponde: va in onda la rivolta degli studenti

La giornata di oggi ci consegna alcune indicazioni di fondo rispetto alla
forza del movimento degli studenti e la sua capacità di rispondere alla crisi
che ci avvolge. Oggi, davvero, “noi la crisi non la paghiamo” si fa programma
tradotto in atto.
Ancora una volta, bisogna fare qualche fermo immagine per raccontare la
giornata di lotta di questo ben-venuto 14 dicembre romano.
Da un lato le rissette in aula dei parlamentari, un po’ papponi, un po’
venduti al soldo infame; dall’altro una piazza che ben conosce la distanza tra
la rappresentazione di Tg e quotidiani e la nuda realtà.
Da un lato chi dice che la crisi ce la stiamo lasciando alle spalle e che può
continuare a governare perché ha dietro un “governo saldissimo”; dall’altro chi
vede di fronte a sé un futuro nero senza prospettive e i primi effetti di tagli
che atterreranno ogni possibilità di futura mobilità sociale.
La sfiducia a Berlusconi non c’è stata nei palazzi del potere ma la si è
conquistata nelle strade e nelle piazze di Roma. Il governo “saldo e fermo”
dovrà fare i conti – da domani – con queste soggettività e le loro insorgenze a
venire.
Londra chiama, Roma risponde!
Neanche una settimana fa era l’auto dei reali a incrociare – per sbaglio, come
un errore di sistema – uno dei tanti sciami che attraversavano le strade della
capitale inglese. Oggi qualche auto blu in uscita da Montecitorio ha faticato
ha portare a casa il politico di turno.
E così, col passare delle ore, le diatribe auto-referenziali dei parlamentari
hanno lasciato spazio alla materialità di un reale che oggi ha fatto la sua
irruzione sulla scena politico-mediatica, con tutta le sue asprezze e le
salutari paure per chi sta lassù in alto.

14 dicembre: agenzie stampa

15 dicembre

SCONTRI, ALZETTA: «PIAZZA NON PIÙ DISPOSTA A SUBIRE ABUSI DEMOCRAZIA»
OMR0000 4 POL TXT Omniroma-SCONTRI, ALZETTA: «PIAZZA NON PIÙ DISPOSTA A SUBIRE ABUSI DEMOCRAZIA» (OMNIROMA) Roma, 15 dic – «È assolutamente inutile pensare di raccontare quello che è successo ieri a Roma, come l’effetto dell’azione di pochi facinorosi che avrebbero preso in scacco una piazza altrimenti pacifica. La realtà è un’altra e il fatto che i media e la classe politica cerchi in tutti i modi di nasconderla o mistificarla non fa altro che dimostrare la spaccatura che vive il sistema della rappresentanza in questo paese. Tutta la piazza ieri ha voluto dimostrare non solo che c’è un’intera generazione che non ha più né futuro né rappresentanza politica, ma che non è più disposta a subire passivamente gli abusi di una democrazia truccata. Che piaccia o no, è questo il fatto nuovo, la vera notizia della giornata. La fiducia in parlamento ottenuta con la compravendita dei deputati, al pari delle parentopoli ad uso e consumo delle cricche, non sono solo uno spettacolo che offende la dignità di tutti, ma è anche il segno di una classe politica che non ha più scrupoli né timidezza nel mostrarsi per quello che è. E allora perché la rabbia e l’indignazione non dovrebbero anche loro mostrarsi per quello che sono? Chi era in piazza ieri è più consapevole di quello che i giornali o i politici credono, sa perfettamente che con la fiducia il governo procederà in modo ancora più aggressivo e incurante nei suoi progetti di dismissione del welfare e nell’attacco ai diritti sociali, dalla riforma universitaria fino all’applicazione delle misure dell’austerità economica. Sa perfettamente che non c’è mediazione possibile. La giornata di ieri tuttavia non è sufficiente a costruire un’alternativa al berlusconismo, ma è stata una svolta necessaria a renderla possibile. Ha aperto uno spazio che ora si tratta di estendere. È il momento ora di sviluppare il ragionamento politico in un nuovo progetto che metta in collegamento quei pezzi di società che non ci stanno ad accettare la dura legge del ricatto, che non sono e non vogliono essere oggetto di nessuna compravendita. Per questo il meeting lanciato da Uniti contro la Crisi per il prossimo 22 e 23 gennaio diventa fondamentale in un percorso che vede nel 14 dicembre l’apertura di una nuova fase». Lo dichiara, in una nota, Andrea Alzetta, capogruppo capitolino Roma in Action. red 151325 dic 10

GOVERNO: SCONTRI ROMA, CHIESTA CONVALIDA FERMI MA NO PROCESSO DIRETTISSIMA

GOVERNO: SCONTRI ROMA, CHIESTA CONVALIDA FERMI MA NO PROCESSO DIRETTISSIMA = Roma, 15 dic. (Adnkronos) – Nessun processo per direttissima, per il momento, a carico delle persone arrestate ieri durante gli incidenti a Roma, ma una richiesta di convalida dell’arresto per 26 persone, richiesta che la Procura invierà al più presto al gip. L’ufficio del pubblico ministero ha già disposto la scarcerazione per una giovane che era tra i fermati di ieri e a carico della quale non sono emerse responsabilità. Sono queste le prime mosse disposte dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti nell’ambito dell’inchiesta scaturita dagli scontri di piazza avvenuti ieri. I manifestanti, che hanno tra i 18 e i 37 anni età, provengono da Roma, Sardegna, Liguria e Toscana. In giornata saranno trasferiti dalle camere di sicurezza dove hanno trascorso la scorsa notte in carcere, in attesa della convalida da parte del gip. La Procura chiederà o la detenzione in carcere o gli arresti a domicilio ovvero l’obbligo di firma. (segue) (Saz/Col/Adnkronos) 15-DIC-10 13:42 NNN

GOVERNO: ALEMANNO, A SCONTRI DI IERI PROFESSIONISTI GUERRIGLIA AD ALTISSIMO LIVELLO

GOVERNO: ALEMANNO, A SCONTRI DI IERI PROFESSIONISTI GUERRIGLIA AD ALTISSIMO LIVELLO = Roma, 15 dic. (Adnkronos/Labitalia) – «Quello che posso dire è che chi si è mosso ieri tra piazza del Popolo e dintorni è un professionista della guerriglia ad altissimo livello, con tecniche e modi di agire che sono veramente degni, purtroppo, di istituzioni come quelle di Genova e dei più violenti scontri verificatisi in europa in tempi recenti». Così il sindaco di Roma, a margine della X Conferenza nazionale di Statistica è intervenuto sugli scontri di ieri. Alemanno ha quindi sottolineato che «la questura sta facendo verifiche su tutte le aree di provenienza per vedere se ci sono presenze europee». (Lab /Opr/Adnkronos) 15-DIC-10 13:19 NNN

GOVERNO: SCONTRI ROMA, CHIESTA CONVALIDA FERMI MA NO PROCESSO DIRETTISSIMA
GOVERNO: SCONTRI ROMA, CHIESTA CONVALIDA FERMI MA NO PROCESSO DIRETTISSIMA = Roma, 15 dic. (Adnkronos) – Nessun processo per direttissima, per il momento, a carico delle persone arrestate ieri durante gli incidenti a Roma, ma una richiesta di convalida dell’arresto per 26 persone, richiesta che la Procura invierà al più presto al gip. L’ufficio del pubblico ministero ha già disposto la scarcerazione per una giovane che era tra i fermati di ieri e a carico della quale non sono emerse responsabilità. Sono queste le prime mosse disposte dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti nell’ambito dell’inchiesta scaturita dagli scontri di piazza avvenuti ieri. I manifestanti, che hanno tra i 18 e i 37 anni età, provengono da Roma, Sardegna, Liguria e Toscana. In giornata saranno trasferiti dalle camere di sicurezza dove hanno trascorso la scorsa notte in carcere, in attesa della convalida da parte del gip. La Procura chiederà o la detenzione in carcere o gli arresti a domicilio ovvero l’obbligo di firma. (segue) (Saz/Col/Adnkronos) 15-DIC-10 13:42 NNN

ANSA-FOCUS/ SCONTRI ROMA: COME GLI ANNÌ 70, ROMA RIVIVE L’INCUBO
CRO S43 QBXL >ANSA-FOCUS/ SCONTRI ROMA: COME GLI ANNÌ70,ROMA RIVIVE L’INCUBO TANO D’AMICO,MAI VISTA PIAZZA DEL POPOLO FRA I ROGHI,RABBIA PURA (di Rosanna Pugliese) (ANSA) – ROMA, 14 DIC – Le fiamme che ardono in Piazza del Popolo, e due colonne alte di fumo nero, accanto alle due chiese, dove si scontrano la polizia e i ragazzi. C’è «una immagine nuova», oggi, anche negli occhi di uno come Tano D’Amico, l’autore di celeberrimi scatti durante gli scontri degli anni Settanta. «Piazza del Popolo, così, con quei roghi, io non l’avevo mai vista», dice il fotografo. Dov’è stato stamattina? «Dappertutto». Cosa ha visto? «La rabbia pura che esplode. Nel ’77, nel ’68 c’era invece la speranza. Io andrei a due secoli fa, per fare un confronto, alle sommosse di Parigi e al ’48». Rientra nella cronaca dei fatti, in ogni caso, oggi, l’impressione che la storia di 30-40 anni fa si ripeta. Roma ha rivissuto l’incubo del passato. E lo dimostrano alcune foto storiche. Il fiume di studenti nel cuore di Roma, oggi; come quello immortalato il 19 febbraio 1977, in bianco e nero: la foto s’intitolava ’50 mila studenti per le vie della capitalè. Le scarpe a terra, su via del Corso: le hanno perse durante gli scontri, oggi. Come quelle brandite in aria dalle donne, ancora nel ’77, ‘Siamo tutte a piede liberò. Le sciarpe usate per nascondere i volti, oggi. Come lo scatto che inaugura la galleria de ‘Gli anni ribellì di D’Amico: ‘Ragazza e carabinierì, dove la fila al centro fra i capelli, e la sciarpa tirata sopra al naso incorniciano gli occhi puntati sui militari. Un ragazzo si sente male, su uno dei ponti del Tevere, e tre compagni lo trasportano, correndo, mentre scappano dalla ‘caricà, oggi. Accadeva anche il 21 aprile del 1977: tre agenti trasportavano a braccia il collega ferito, in una foto. Chi oggi è stato alla manifestazione contro il Governo non ha potuto non ricordare gli anni ’70. «Ci ho pensato anche io – risponde D’Amico -. Ma allora era molto diverso», dice anche. «All’epoca protestava una minoranza. Oggi in piazza scende la maggioranza degli studenti». Non solo. «Nel ’68 c’era un grandissimo movimento, animato da grandi speranze per il futuro. Nel ’77 c’era una incredibile autonomia di pensiero, con la novità delle donne in piazza, per esempio. Oggi io ho visto la rabbia pura dei figli contro i padri, intesi in senso lato. L’esplosione della paura del futuro. A costo di prenderle, a costo di farsi male. Ma non erano armati». La sensazione che l’incubo si ripeta, che sia ancora possibile una morte come quella di Giorgiana Masi, che a 19 anni finì vittima degli scontri a Ponte Garibaldi, il 12 maggio del 77, prende in ogni angolo del cuore della città. Quando di gruppi anarchici assediano le camionette delle forze dell’ordine. E più banalmente anche davanti alle aste degli striscioni, impugnate come ‘pseudo-armì, in metropolitana. Davanti all’onda che percorre Piazza del Popolo, quando esulta e applaude, perchè le camionette della Guardia di finanza arretrano, di fronte a petardi, bottiglie, sampietrini. O alle Mercedes in fiamme sul Lungotevere davanti a una folla di giovani che aspettano e temono: «Attenti che esplode!», e si fa il vuoto davanti. Il fiume umano che si cala da un muro di oltre due metri, coi maschi che sostengono le femmine nel salto, per deviare il percorso, avendo timore della possibile esplosione. Le fughe in avanti e gli scatti indietro. Le corse, quando il panico investe la folla. L’attesa sui ponti, alle spalle del focolaio degli scontri, dove gruppi di giovanissimi si rifugiano, finendo con l’essere comunque raggiunti dalla folla che scappa al grido ‘caricano!’. (ANSA). PGL 14-DIC-10 20:45 NNN

>ANSA-FOCUS/ SCONTRI ROMA: ULTRÀ E BORGATARI, I NUOVI BLACK BLOCK
CRO S43 QBXL >ANSA-FOCUS/ SCONTRI ROMA: ULTRÀ E BORGATARI,I NUOVI BLACK BLOC RABBIA URBANA E NIENTE POLITICA,HANNO SCATENATO L’INFERNO A ROMA (di Lorenzo Attianese) (ANSA) – ROMA, 14 DIC – Da giorni si esaltavano con l’unico obiettivo di scatenare oggi «l’apocalisse a Roma» perchè «quando monta la rabbia sociale nessuno ti può fermare». La maggior parte di loro ha dai 18 ai 25 anni, con alle spalle qualche anno di esperienza per scontri allo stadio o risse nei quartieri di borgata di Roma e Napoli. E fanno nuovi adepti tra i ‘figli di papa«: conta poco, perchè coperti con passamontagna, sciarpe nere, occhiali scuri o caschi sono tutti uguali. È la nuova generazione di black bloc ‘made in Italy’, che oggi ha sconvolto Roma con atti di vandalismo nella centro della città e scontri con le forze dell’ordine. Poca politica, nessun eroe se non la squadra del cuore, zero ideologia e moltissima rabbia urbana. Non esperti di guerriglia ma avvezzi agli scontri e all’odio »per le guardie«. Esperti di curve e disordini da stadio, e oggi infatti erano armati soprattutto con le »bombe di Maradona«, i grossi petardi usati proprio dagli ultrà. La politica per questi ragazzi c’entra poco, gli unici ideali sono »l’onore di chi ha il coraggio di rompere il c… agli sbirri« o la fede ultras. »Se ci tolgono il futuro devono pagare, tutti«, dice uno di loro arrivato da Napoli in treno con alcuni amici. A coordinarli ci sono alcuni ultras romani delle frange più giovani e violente. E nel mix di teppisti sono finiti anche alcuni anarchici romani e di Pisa. L’unico collante è il disagio sociale. Che va espresso con la »rivolta a 360 gradi – dicono – perchè siamo stanchi del mangia mangia dei potenti«. Anche oggi gli obiettivi principali dei black bloc sono state le forze dell’ordine e le banche. »Loro sono dei servi – dicono parlando degli agenti – noi invece difendiamo il popolo«, le banche, invece, rappresentano »il potere dei soldi che noi non abbiamo«. Appunto, più la disperazione che l’ideologia. Un potere quello dei soldi al quale, però, molti di loro aspirano. Quando girano ogni giorno per strada hanno vestiti alla moda e guardano con ammirazione ai bulli che sfrecciano con le auto potenti. »Siamo precari, ci arrangiamo lavorando in nero o con contratti a termine come operai, baristi o artigiani. Ma i veri soldi li fanno quelli seduti sulle poltrone, che ‘mangianò sulle nostre spalle«, dice qualcuno di loro mentre rolla una canna o distribuisce qualche pezzo di marijuana. Vestiti di nero e in gruppo, con spranghe, mazze, estintori, picconi, pietre o qualsiasi oggetto racimolato per strada si sentono un massa pronta a combattere una guerra studiando strategie urbane della tensione. E per qualche giovanissimo sono i nuovi eroi da imitare. Oggi alcuni liceali si coprivano il volto cercando di imitarli anche nei gesti, rovesciando i cassonetti e contando i danni per arricchire il loro nuovo curriculum. La riforma della scuola, il governo Berlusconi o i massimi sistemi. Niente di tutto questo. Conta la rabbia. È quanto basta per sentirsi i ‘giustì nella nuova sfida lanciata al potere. (ANSA). Y4J-TZ 14-DIC-10 20:58 NNN

(ANSA) – ROMA, 15 DIC – Cambio di strategia della procura di Roma per la maggior parte degli arrestati per gli scontri avvenuti ieri nel centro storico. La procura ha deciso di farli giudicare per direttissima e domani mattina compariranno dinanzi al giudice. Tutti i fermati sono accusati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Il primo atto sarà, comunque, l’esame della legittimità dei fermi. Al termine dell’udienza, per gli indagati, tutti incensurati, potrebbe prospettarsi, a seconda delle singole posizioni, la custodia in carcere, gli arresti presso il domicilio, l’obbligo di firma, la rimessione in libertà. Il procuratore aggiunto Pietro Saviotti ha spiegato i motivi del cambio di rotta della procura: «Inizialmente avevamo deciso di non procedere in modo sommario con la direttissima del giorno dopo – ha dichiarato – optando per l’acquisizione di informative e dei verbali di arresto e chiedendo approfondimenti agli investigatori». «Successivamente la procura – ha aggiunto – valutate l’incensuratezza di tutti gli arrestati e la loro età, ha proceduto a circoscrivere le condotte di cui ciascuno deve rispondere. La mancanza dell’esigenza di ulteriori approfondimenti, salvo nuove risultanze, ha indotto la Procura a chiedere il giudizio direttissimo per la maggior parte degli arrestati. Nei prossimi giorni si valuteranno eventuali ulteriori fatti che dovessero emergere dagli approfondimenti investigativi».(ANSA). TB 15-DIC-10 15:30 NNN

A proposito del 14 dicembre (Cobas)

A proposito del 14 dicembre

I COBAS, così come tutte le altre forze significative del sindacalismo di base e conflittuale, non ritenevano che dallo scontro interno al ceto politico-parlamentare di centrodestra, messo in scena in Parlamento martedi 14, nella totale afasia di contenuti alternativi al berlusconismo da parte della “sinistra” politico-istituzionale, potesse uscire alcunchè di positivo per il conflitto e per una prospettiva di significativo mutamento delle politiche economiche e sociali dominanti e condivise tra centrodestra e centrosinistra.

Pensiamo infatti che se i “poteri forti” vogliono sostituire Berlusconi non è certo per spostare a “sinistra” la situazione sociale italiana: ma perché, in vista di un ancor più massiccio attacco ai salariati, ai beni comuni, all’istruzione, ai servizi sociali e ai settori popolari (e in particolare, in vista delle probabili pressioni della Commissione Europea nei confronti dell’Italia per ulteriori tagli e sacrifici popolari) vorrebbero un governo quanto più possibile “trasversale” che garantisca al massimo il consenso, ivi compreso quello di tutti i sindacati concertativi, per avere mano libera ed evitare il più possibile significativi conflitti.

E ci sembra che quanto è accaduto nell’Aula parlamentare martedi confermi questo nostro giudizio.

Malgrado questa nostra opinione, però, abbiamo rispettato e compreso la decisione di vari settori studenteschi di usare quella giornata per proseguire e potenziare la lotta contro la disastrosa politica scolastica gelminiana: e in alcune città abbiamo svolto iniziative comuni con gli studenti.

Tra le manifestazioni indette per martedi, la più rilevante per visibilità e collocazione non poteva che essere quella a carattere nazionale promossa a Roma dal “cartello” politico-sindacale di “Uniti contro la crisi”, area di cui sono co-protagonisti fondamentali la Fiom e la “sinistra” Cgil, che a parole richiedono uno sciopero generale nazionale, nonostante la Fiom non abbia convocato in questi mesi neanche un solo sciopero nazionale metalmeccanico o almeno del gruppo Fiat, malgrado si sia di fronte al più vasto attacco di sempre a questi settori.
Questa sovrapposizione di un’operazione politico-sindacale della “sinistra” Cgil e dei suoi alleati ad una mobilitazione studentesca di massa è stata clamorosamente messa in crisi dalla rivolta spontanea di migliaia di giovani presenti in piazza che, alla notizia della vittoria in Aula di Berlusconi, hanno fatto saltare tutti i programmi e le compatibilità degli organizzatori del corteo ed hanno espresso con tutti i mezzi “di fortuna” che hanno trovato per strada la loro rabbia contro la distruzione della scuola pubblica e dell’università, un destino di precarietà permanente e un sistema politico ciecamente dipendente dai potentati economici e incurante della sofferenza giovanile e popolare.

Cosicchè ora le aree studentesche legate al PD, il centrosinistra e la Cgil, compresa la Fiom, vaneggiano di “provocatori”, “infiltrati”, “strategia della tensione” e idiozie simili, dovendo fare i conti con un movimento di massa che non controllano e che li ha scavalcati in piazza. Non parteciperemo a questo ipocrita e sciocco gioco di distinzione tra “buoni” e “cattivi”. La rivolta e l’uso della forza, anche in forme discutibili, da parte di migliaia di giovani non hanno nulla a che fare con “provocazioni”, “black bloc” o altri espedienti cartacei per nascondere la realtà: sono il frutto della sordità di un sistema che nulla ha risposto a centinaia di mobilitazioni totalmente pacifiche svoltesi in Italia contro la crisi nell’ultimo biennio, nonché del ricorso alle “zone rosse” da parte del governo e di Maroni e dell’aggressione delle forze del “disordine” a studenti e ricercatori che speravano di far cadere, con il governo Berlusconi, la “riforma” Gelmini.

Tale rivolta deve trovare il massimo ascolto e alleati decisivi tra i lavoratori/trici che finora hanno risposto alla crisi in maniera scoordinata, frammentaria e comunque insufficiente. Va ora avviata la preparazione di quello sciopero generale che ancora martedi tanti studenti e giovani hanno invocato. I COBAS, insieme alle forze principali del sindacalismo di base e alternativo, intendono farsene portatori in tempi sufficientemente rapidi, provando a ricostruire quel grande fronte anti-crisi con le realtà del conflitto sociale, territoriale e ambientale, e ovviamente con gli studenti medi e universitari, che riuscimmo a fare esprimere in piazza e nello sciopero generale del 17 ottobre 2008, con la gigantesca manifestazione che espresse con lo slogan “Noi la crisi non la paghiamo” la più vasta volontà popolare. Nel frattempo denunciamo l’ulteriore escalation della repressione poliziesca e governativa, espressasi negli ultimi mesi con sempre maggiore violenza, che ha portato martedi a Roma a pestaggi e rastrellamenti di massa e all’arresto di 23 giovani di cui chiediamo l’immediato proscioglimento da qualsiasi accusa e che comunque ci impegniamo a difendere anche sul piano strettamente giuridico.

E mercoledi 22 i COBAS saranno in piazza a Roma con gli studenti contro il provocatorio diktat del governo che vuol fare approvare al Senato, e definitivamente, la distruttiva “riforma” Gelmini per l’Università.

Confederazione COBAS
www.cobas.it

14 dicembre. Liberi tutti, no alla criminalizzazione

LIBERI TUTTI
NO ALLA CRIMINALIZZAZIONE
DEL MOVIMENTO STUDENTESCO

Come lavoratrici e lavoratori, pur appartenenti a differenti percorsi politici e sindacali, abbiamo partecipato alla mobilitazione del 14 dicembre e abbiamo condiviso le rivendicazioni che la piazza ha espresso a gran voce in un coro formato da studenti e precari, insegnanti e ricercatori, lavoratori del pubblico e del privato, immigrati e disoccupati. La piazza del 14 dicembre ha dimostrato che le mille vertenze contro i licenziamenti e le chiusure aziendali, per la difesa del salario e per un accesso al reddito si possono e si devono saldare con le lotte per la sopravvivenza della Scuola Pubblica e dell’università, per lo sviluppo di Scienza e Ricerca autonomamente dalle logiche aziendalistiche, per la salvaguardia dei territori dalle devastazioni ambientali, per il diritto a una casa per tutti. Voci differenti che, per una volta, si sono sentite unite nella lotta per il nostro futuro e dignità che ora Governo e Confindustria ci vogliono negare. Un’opposizione corale contro le politiche basate sulla prevalenza della logica del profitto per pochi a scapito dell’interesse di molti. Non pensiamo che con queste manifestazioni siano risolti i problemi dei rapporti di forza che in questo paese sono da anni sfavorevoli ai settori sociali subalterni, così come non pensiamo che si sia ancora battuta l’egemonia reazionaria che fa leva sulle paure della crisi che fomenta continuamente una guerra tra poveri contro i più deboli. Però un segnale di vera opposizione sociale alla crisi e alle politiche di austerity è stato dato e lo dobbiamo rivendicare fino in fondo. Per questi motivi in questo momento dobbiamo condannare fermamente la repressione indiscriminata e ogni tentativo di criminalizzazione che sta colpendo decine di giovani e giovanissimi che insieme a decine di migliaia di persone hanno cinto d’assedio quei palazzi di un potere corrotto e irresponsabile, delegittimato al di là degli inciuci e degli scambi di
poltrone e totalmente incapace di programmare un futuro dignitoso per la stragrande maggioranza dei lavoratori, dei giovani precari e delle donne senza futuro. Per gli stessi motivi esprimiamo tutta la nostra vicinanza ai giovani arrestati e portati in Tribunali che si dimostrano celeri nel “giudicare” sommariamente questi ragazzi, mentre sono sempre lenti e permissivi verso i rappresentanti del parlamento indagati e verso gli omicidi sul lavoro come quello alla Thyssen-Krupp.

Ora sono stati quasi tutti rilasciati tranne uno. Tutti però subiranno a brevissimo un processo con accuse gravissime. Non abbasseremo quindi il livello di attenzione e chiediamo sin da subito il pieno proscioglimento. RIBELLARSI E’ GIUSTO! Oggi non è una frase fatta, ma un qualcosa che rende il senso preciso della situazione. L’opposizione parlamentare è paralizzata e se non lo facciamo noi non lo farà nessuno al posto nostro: che se ne vada Berlusconi e tutte le cricche parlamentari che vogliono sostenere le politiche confindustriali di tagli, licenziamenti e zero diritti. Noi siamo con la ribellione di questa generazione, al di là di incidenti che possono essere evitati solo dalla fine delle zone rosse e da una politica alternativa a quella attuale.

Giù le mani dai diritti
Riprendiamoci il nostro futuro
No alla criminalizzazione del conflitto sociale
No allo nuovo patto sociale
Per uno sciopero generale vero e unitario

LIBERI TUTTI!

METTIAMOCI LA FACCIA – METTIAMOCI LA FIRMA

NOME – COGNOME – LAVORO E SINDACATO – CITTA’

Franco Cavallo, Cobas Inpdap (Roma); Luca Climati, RSU USB Inpdap (Roma); Cristiano Baglioni, RSU Filcams Cgil Cimac (Roma); Enrico Brunori, FP-Cgil Inpdap (Roma); Luigi Paolini, USB Inpdap (Roma); Concetta Morelli, USB Inpdap (Roma); Luciano Picerni, delegato Fiom CGIL Potenza; Lidia Undiemi, Associazione Nazionale Lavoratori Esternalizzati (Palermo); Massimo Sanna, FP-Cgil Inpdap (Roma); Alessandra Landini, USB Agenzia Entrate (Roma) Andrea Fioretti, RSA Flmu-CUB Appalti Sirti (Roma); Nando Simeone, RSA Filcams CGIL Farmacap (Roma); Massimiliano Murgo, Flmu-CUB Marcegaglia Buildtech (Milano); Riccardo De Angelis, RSU Flmu-CUB Telecom Italia (Roma); Daniela Cortese, RSU Snater Telecom Italia Sparkle; Alessandro Perrone, cassaintegrato FIOM Cgil Eaton Monfalcone (GO); Riccardo Filesi, Cassintegrato Alitalia Cub Trasporti; Eugenio Trebbi, RSU HP Filcams CGIL; Fabrizio Cottini, FIOM-CGIL Sielte (Roma); Sante Marini, FIOM-CGIL Alcatel Alenia; Maurizio Bacchini, FIOM-CGIL Baxter S.p.A (Roma); Marina Citti, CGIL Menarini S.p.A. – Pomezia (RM); Maria Vittoria Molinari, presid. Coop. Sociale (Roma); Federica Mecchi, USB Inpdap (Roma); Paolo Ventrella, RSU Fiom CGIL Ferrari Modena; Mikaela Petrocchi, RSA Cub Trasporti Alitalia; Nunzia Arcodia, RSU Flaica-CUB Metro Cash&Carry; Ettore Pasetto, RSU FIOM Cgil ElsagDatamat; Raffaele Argenta, operaio FIOM Cgil Fiat Mirafiori; Gualtiero Alunni, comitato “NO CORRIDOIO Roma-Latina”; Giuseppe Martelli, Segretario Intercategoriale Usi-Ait Federazione di Roma; Roberto Martelli, Rsa-Rls Usi-Ait Soc. Coop. Sociale Aspic (Roma); Serenetta Monti, RSU Usi-Ait
Zetema Progetto Cultura (Roma); Gianmaria Venturi, Rsa/Rls Usi-Ait Coop. Sociale 29 Giugno (Roma); Vincenzo Salvitti, Rsa/Rls Usi-Ait Azienda Speciale Comunale Farmacap (Roma); Mauro D’Addetta, studente Ancona; Marco Trasciani, USB Cai-Alitalia; Monja Marconi, insegnante precaria (Roma); Riccardo Arena, RSU Flmu CUB Engineering Ingegneria Inf.; Donato Romito, RSU Unicobas Scuola Pesaro; Liliana Conicella, Flaica CUB Vivenda; Alessandro Leoni, FP-Cgil dipendente “Regione Toscana” (Firenze); Fulvia Benozzi, USB Agenzia Entrate (Venezia); Mario Pittella, operaio Edicart Rho (MI); Danilo Ruggieri, libraio (Roma); Renato Caputo, docente (Roma); Elena Fossati, lavoratrice autonoma Villasanta (MB); Cecco Sabuzi, operaio Alitalia (Roma); Flavia Fornari, RSU Cgil Cinema Moderno “The Space” (Roma); Federico Rossetti, RSU SLC Cgil Telecom Italia; Federico Giusti, RSU Cobas Comune di Pisa; Maurizio Timitilli, RSU Flaica CUB Widex Italia S.p.A. Pomezia (RM); Antonello De Berardinis, Cai-Alitalia (Roma); Cesare Albanese, Cassintegrato Alitalia; Laura Giovagnoli, Cai-Alitalia; Vania Pacifici, Cassintegrato Alitalia Cub Trasporti; Laura Bergamini, RSU USB Comune di Parma;Matteo Orlando, cameriere Cerveteri (Roma); Roberto Villani, Cobas Scuola (Roma); Patrizia Angiari, USB cassintegrata Alitalia; Fabio Opimo, RSU SLC Cgil Telecom Italia; Roberta Carducci, USB Cassintegrata Alitalia; Gabriella Petrarulo, Cassintegrata Alitalia; Barbara Ricci, Cai-Alitalia; Beniamino Caputo, Ricercatore Precario; Alessandro Fico, RSU FIOM Cgil Irinox spa Conegliano (TV); Ilario Germinario, ASIA USB Grosseto; Andrea Martocchia, consulente tecnico-scientifico Bologna; Serena Marchionni, bibliotecaria Università di Bologna; Paola Liberto, FP-Cgil Arci Solidarietà; Grazia Francini, infermiera Grosseto; Andrea Germinario, operaio Grosseto; Maria Germinario, studentessa Grosseto; Ferdinando Francini, pensionato Grosseto; Ilona Ferretti, pensionata Grosseto; Maria Letizia Maggio, Cassintegrata Alitalia; Rossella Gluidotti, USB cassintegrata Alitalia; Federico Sciarpelletti, RSU SLC Cgil Vodafone; Francesca Roncacci, RSU SLC Cgil Vodafone; Yuri Apostolou, RSU FIOM Cgil SPX (Parma); Licia Pera, USB Sanità (Roma); Giorgio Ellero, operaio subappalto Fincantieri (Trieste); Felice Dileo, RSU Natuzzi (Bari); Walter Aiello, ferroviere dirett. prov.le FILT-CGIL Parma e vice-presid. Dirett. Reg.le FILT-CGIL Bologna; Sandro Giacomelli, Cobas Lavoro Privato di Pisa; Osvaldo Celano, RSU FIOM Cgil Marcegaglia Buildtech (Milano); Stefano Fedele, lavoratore Agile ex-Eutelia Roma; Francesco Cori, Coordinamento Precari Scuola (Roma); Francesco Caputo, Coordinamento Precari Scuola (Roma); Paolo Agrestini, operaio edile Cerveteri; Augusto Agrestini, operaio Cerveteri; Moreno Idili, ferroviere Or.SA. Gallese (Viterbo); Stefano Micheli, RLS CGIL Lazioservice Spa Rocca Sinibalda (RI); Pasquale Ambrogio, Rsu/Rls FIOM Cgil Frigostamp spa Bruino (TO); Giorgio Severi, RSU Unicobas Scuola S. Orso (Fano); Mario Viola, Cgil Medici; Francesco Fumarola, Flmu CUB Atesia Almaviva (Roma); Vincenzo Abbatantuono, Ultrasblog Torino; Antonello Tiddia, operaio RSU CGIL Carbosulcis Sant’Antioco (CI); Teresa Falsetti disoccupata (Cosenza); Maria Carmela Salvo, docente precaria GILDA Fanna (PN); Maria Leonarda Notarangelo, insegnante Coordinamento Precari Scuola (Roma); Massimo Di Pietro, Cobas Telecom Italia; Sebastiano Salis, operaio Unione Sindacale di Base Anagni (FR); Pierluca Parodi, impiegato (Milano); Lia Didero, FP-Cgil Fano; Emanuele Buono, operaio cassaintegrato Slai Cobas FIAT Pomigliano (NA); Virginio Pilò, CUB Università di Bologna; Carmela Zincone, RSU SLC Cgil Napoli; Francesco Furnari, RSU FIOM Cgil Numonyx Catania; Riccardo Tranquilli RSA Fisac CGIL Fonspa Roma; Manuela Ausilio, collettivo politico Resistenza Universitaria (Roma); Grazia Barbera, RSU Slai Cobas IBM; Marco Beccari, ricercatore precario (Trieste); Stefano G. Azzarà, ricercatore di Storia della filosofia Università di Urbino; Gino Caraffi, delegato RSU FIOM Cgil Reggio Emilia; Marco Elia, dottorando Università La Sapienza Roma; Fabrizio Rappini, giornalista professionista Forlì; Massimo Taggi, consulente fiscale; Giuseppe Di Lorenzo, Fisac CGIL Fonspa Roma; Francesca Centurione, Fisac CGIL Fonspa Roma; Elena Cipriani Fisac CGIL Fonspa Roma; Christian Raniolo, RSU SLC Cgil Comdata S.P.A. (Asti); Carlo Belli, tecnico Cgil Lazio; Teresa Strambelli, RLS SLC Cgil Telepost (Bari); Claudio Simbolotti, ferroviere (Roma); Nicola Iozzo, insegnante precario Luino (VA).

Adesioni collettive:

Laboratorio Politico Resistenza Universitaria; Assemblea Movimenti Attivi; Ferrovieri Bologna

Per adesioni: tutti.liberi@yahoo.it

Da Chiaiano: “felici e complici”

Felici e complici

Dal Presidio permanente contro la discarica di Chiaiano

17 / 12 / 2010

Quando abbiamo cominciato i nostri percorsi di lotta sui territori, non immaginavamo di trovarci, qualche tempo dopo,  all’interno di una delle più grandi manifestazioni autorganizzate della storia del paese. Una manifestazione, quella del 14 dicembre, che ha scosso il paese con una ventata di radicalità necessaria e quanto mai sperata.

Abbiamo partecipato alla manifestazione del 14 dicembre, aderendo, insieme ai comitati di Terzigno, all’appello di Uniti contro la crisi, perché uno dei disastri maggiori costruiti da questo governo è quello che è avvenuto nella nostra città, Napoli, e nella nostra regione. Siamo arrivati a Roma con la consapevolezza di chi, sebbene pensionato, casalinga, impiegato, paramedico, insegnante, sa di dover vivere una giornata speciale.

La nostra giornata speciale è cominciata però molto prima da quando abbiamo compreso che il sentimento di rabbia nel paese si sta generalizzando in maniera importante. Le immagini delle manifestazioni degli studenti, della voglia di assaltare i palazzi del potere per buttare giù un governo che non ha la fiducia del paese, c’hanno trasmesso ulteriore gioia e determinazione.
Ma la nostra presenza il 14 dicembre è stata alimentata dai nostri sentimenti più profondi e siamo certi che questo processo abbia accompagnato anche la presenza dei cittadini aquilani.

Quando vedi la tua città mortificata sotto un mare di monnezza, quando vedi che negli ospedali i bambini nascono malformi, quando il tuo vicino di casa, il tuo parente, il tuo amico muore di tumore per i veleni che stanno intorno casa tua, negli sversamenti opera delle ecomafie, quando vedi in che modo palese il premier ed i suoi amici camorristi stanno gestendo il dramma rifiuti solo per difendere i propri interessi speculativi….bhè quando vedi tutto questo…la determinazione diventa odio!

Abbiamo lanciato noi i sacchetti di rifiuti oltre le barriere della polizia nei pressi di Palazzo Grazioli, perché al premier siamo venuti a riportarne qualcuna sotto casa sua.

Siamo stati allo stesso modo felici di partecipare al sanzionamento dal basso della sede della Protezione Civile, così come rivendichiamo come patrimonio collettivo di tutti i movimenti in piazza il 14 dicembre, ognuna delle azioni che ci sono state.

Lo facciamo perché nessuno potrà mai dipingere i comitati civici come dei pericolosissimi “black block”, perché noi siamo pensionati, impiegati, insegnanti, talvolta anche in là con gli anni, soprattutto cittadini incazzatissimi che non vogliono più questo governo.
I tantissimi giovani che hanno preso parte a tutti i tentativi di arrivare sotto i palazzi governativi sono i fiori di una generazione a cui hanno rubato il futuro e precarizzato il presente. Ragazzi e ragazze che vedono oggi la loro vita come un processo di continua sottrazione. La rabbia di quei ragazzi in nessun modo può essere ascritta a processi a minoranze marginali. In Piazza del Popolo, mentre la polizia caricava l’intera piazza, decine e decine di migliaia di persone salutavano, e noi con loro, con gioia e sostegno la risposta dei manifestanti alle cariche della polizia. Questo segnale ci racconta del malessere sociale diffuso nel paese. Un corteo di oltre 100 mila persone che ha deciso di assediare i palazzi del potere per cacciare via il governo, lo ha fatto scientemente e nessuno di coloro che ci sono stati, il giorno dopo può sognarsi di dire che quelle espressioni di radicalità siano frutto di minoranze.

Eravamo a Roma il 14 dicembre, uniti contro la crisi, perché questo governo si può e si deve ancora mandare a casa. Lo ribadiremo nei percorsi di lotta da cui proveniamo, con una determinazione ed una consapevolezza nuova.
Perché la costruzione di alternativa è possibile e necessaria.

Presidio permanente contro la discarica di Chiaiano
Assemblea generale, 16 dicembre 2010

14 dicembre: il dibattito mainstream

Vendola:

ROMA – “Ho cercato di evitare di parlare degli scontri di Roma. Mi addolora. Perché vedo i miei cinque nipoti, i tanti ragazzi, la domanda sparpagliata, carsica, di dignità della vita e di cambiamento. C’è una carica di disperazione…”.

Nichi Vendola, questo dà ragioni alla guerriglia di Roma? Ha scritto Roberto Saviano, in una lettera ai ragazzi del Movimento, che la violenza è una trappola, un favore al Potere, ai vecchi signori che hanno fallito con le loro strategie violente. Lei, leader della sinistra vicina ai Movimenti, è d’accordo?

“La violenza è sicuramente una trappola; è entrare in un vicolo cieco; è il contrario della radicalità. Violenza è una forma di autodegradazione. Significa lasciare che la brutalità dei mezzi diventi il cannibale che si mangia la bontà dei fini. Saviano propone un dialogo con un movimento nascente e adolescenziale che è una immensa speranza in un paese in cui gli adulti hanno adulterato anche la speranza. Ma è tutto il vecchio continente – l’incendio nelle banlieue parigine, la ciclica esplosione di sommovimenti giovanili in diverse metropoli europee – a ignorare una generazione che non ha nulla da perdere”.

Giustifica in parte questa violenza, quindi?

“Non intendo giustificare, voglio capire. C’è un dato inedito nella condizione giovanile ed è la spoliazione del futuro. In Italia i giovani sono la “generazione

del lavoro mai”, come per i condannati all’ergastolo, per sempre precari. Ragazzi che vivono in scuole e università sempre più dequalificate; assuefatti a immagini di morte, dalla macchia di petrolio del golfo del Messico al plastico del garage di Avetrana in uno studio tv”.

Ma lei da che parte sta, da quella degli studenti?

“Assolutamente sì. Sto con questa generazione. Sempre contro la violenza, sempre con i giovani che si ribellano. Questa è una generazione che ha una repulsione spontanea verso il Potere che ha prodotto l’esecuzione sommaria di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi. Come se i giovani fossero vuoti a perdere. Ecco, la politica deve dare risposte a questo passaggio d’epoca; riconnettere la domanda di vita e di libertà. Un lavoratore deve arrampicarsi su una gru per fare vedere la sua disperazione e le sue ragioni. C’è una società alla deriva, il nuovo nome della questione sociale è molto antico ed è povertà”.

Per i partiti, per i politici c’è indifferenza se non disgusto?

“La fanghiglia e il teppismo che abbiamo visto nelle aule parlamentari durante il voto sulla fiducia a Berlusconi, impediscono alla politica di fare prediche. Questa generazione ha trovato forme d’identificazione nell’appartenenza alle curve dello stadio, nel tifo identitario. Anche lo stadio è un surrogato di ciò che è venuto meno: la scuola la famiglia, la politica, i partiti, tutto è venuto meno. Restano la tv e lo stadio”.

I poliziotti hanno manganellato, la sinistra denuncia la repressione. Ma se lei, che si candiderà alla leadership del centrosinistra, fosse stato al governo, cosa avrebbe fatto?

“Questo governo non ha ascoltato nessuno, ha spezzato le gambe alla speranza della scuola e dell’università. Berlusconi aveva promesso le tre “i” (inglese, impresa, informatica) e ha realizzato le tre “p” (paura, povertà, precarietà). Potrei mettere una quarta “p” ma in Italia si preferisce dire escort”.

Il Pd ha parlato di infiltrati, è stato un errore?

“Questa volta a me pare che tutti hanno cercato di capire di più. Lasciamo perdere servizi segreti, poliziotti, infiltrati black bloc, è accaduta una cosa che non cancella il fatto che la stragrande maggioranza dei giovani che protestano sono più studiosi di come è stata la Gelmini e sono pacifici. C’è un humus di violenza che attraversa questa fase della storia italiana e della storia europea, che si determina quando il mondo adulto non sa aprire le finestre e impedisce ai ragazzi di guardare il futuro. È questa la bomba di orologeria in sé”.

Mantovano:

Roma, 17 dic. – (Adnkronos) – «Estendere» il daspo alle manifestazioni pubbliche «con tutti gli adattamenti del caso». È la proposta del sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, dopo gli scontri di martedì a Roma durante la manifestazione degli studenti. «Al di là dei doverosi accertamenti disposti dal ministro della Giustizia – spiega Mantovano – sulla puntale applicazione delle norme in vigore, le decisioni dell’autorità giudiziaria sugli scontri di martedì inducono a una riflessione di sistema. I giudici di Roma hanno convalidato gli arresti, e con ciò hanno riconosciuto la correttezza dell’operato delle forze di polizia e, allo stato, la responsabilità degli arrestati per i reati loro contestati. Dunque, non è in discussione che, salvi gli accertamenti successivi, a carico dei 23 fermati esistono i gravi indizi di colpevolezza». «Rimettendoli in libertà, i giudici hanno negato l’esistenza delle esigenze cautelari – aggiunge – e su questo si è incentrato il dibattito. È noto che le esigenze cautelari rispondono a un duplice criterio di prevenzione: nel processo, per la parte che chiama in causa il rischio di inquinamento della prova e il pericolo di fuga; fuori dal processo, per la parte riguardante il rischio di reiterazione dei reati. Per quest’ultimo aspetto, l’immediata liberazione degli arrestati crea un deficit di prevenzione». «Dire questo – prosegue Mantovano – non significa invadere le autonome valutazioni della magistratura; significa porsi il problema di come evitare che gli scarcerati tornino a usare violenza alla prossima manifestazione, e, più in generale, che altri, prendendo spunto dal tratto giudiziario permissivo, siano indotti a fare altrettanto. Una parte della magistratura è responsabile di questo deficit e viene avallata  politicamente dall’Anm: ma il problema in sè resta in piedi, ed è grosso come una casa».«Una ipotesi di lavoro per colmare questa obiettiva lacuna – sottolinea il sottosegretario all’Interno – è quella di estendere alle manifestazioni pubbliche, con tutti gli adattamenti del caso, un istituto che sta dando ottima prova di sè per le manifestazioni sportive: il cosiddetto daspo. La sua applicazione nel corso degli anni ha permesso di ridurre fortemente l’ingresso negli stadi di centinaia di violenti, e quindi di circoscrivere, come attestano i dati, gli incidenti in occasione delle gare». «L’estensione del daspo alle manifestazioni di piazza – aggiunge Mantovano – permette da un lato di contare su uno strumento in più sul piano della prevenzione quando il processo si è risolto in una presa in giro; quindi di avere un di più sul piano della repressione, allorchè si accerti il daspo è stato violato; in generale, permette di conoscere preventivamente, e non sulla base di mere informative, i soggetti da tenere distanti dalla piazza, nell’interesse stesso dei manifestanti con intenzioni pacifiche». «Alla ripresa dell’attività parlamentare – conclude Mantovano – si discuterà il nuovo disegno di legge sulla sicurezza, approvato dal Consiglio dei ministri a novembre contestualmente al decreto legge che il Parlamento ha appena convertito: potrebbe essere la sede più adeguata per una riflessione ampia e, mi auguro, equilibrata, su questo possibile strumento».

Alemanno a ANM:

Alemanno: «Sono costretto a protestare a nome della città di Roma contro le decisioni assunte dalle sezioni II e V del Tribunale di Roma di rimettere in libertà in attesa di giudizio quasi tutti gli imputati degli incidenti di martedì scorso. C’è una profonda sensazione di ingiustizia di fronte a queste decisioni perché i danni provocati alla città e la gravità degli scontri richiedono ben altra fermezza nel giudizio della magistratura sui presunti responsabili di questi reati. Non è minimizzando la gravità di questi fatti che si dà il giusto segnale per contrastare il diffondersi della violenza politica nella nostra città mentre è evidente che queste persone hanno dimostrato, soprattutto in un momento di grande tensione sociale quale quello che stiamo vivendo, di essere soggetti pericolosi per la collettività. C’è veramente da augurarsi di non vedere queste persone di nuovo all’opera quando qualcuno, nei prossimi giorni, cercherà di contrastare le decisioni del Parlamento sulla riforma universitaria».

«C’è una responsabilità politica che deve essere assunta fino in fondo perché non dobbiamo tornare agli anni 70 – aveva detto questa mattina Alemanno – Mi preoccupa molto la sicurezza del centro storico e nei prossimi giorni farò un incontro con il prefetto e il questore per verificare cosa bisogna fare per difendere il nostro centro da queste aggressioni vandaliche». Per il sindaco «c’è un problema politico: bisogna isolare veramente i violenti perché non basta condannarli quando accade qualcosa o subito dopo. È necessario che ci sia da parte delle forze politiche di opposizione e dei movimenti di protesta una scelta prioritaria e anticipata di isolare i violenti e preferire forme di protesta che non creino occasioni per scatenare gesti di violenza».

L’Anm: «Non possiamo che ribadire che è legittima la critica ai provvedimenti dei magistrati, ma non lo sono gli insulti nei confronti dei giudici e dell’istituzione nel suo complesso», dice Luca Palamara, replicando ad Alemanno.

«Alemanno faccia il sindaco come si aspettano da lui i cittadini, anzichè commentare decisioni della magistratura – dice Roberto Giachetti del Partito Democratico – I romani si aspettano che passino gli autobus, che le strade vengano riparate dalle buche, che la città non si allaghi a causa di una normalissima pioggia e che per spostarsi non si debba stare in fila per ore imbottigliati nel traffico impazzito. Questa è solo una piccolissima parte dei problemi della capitale su cui la giunta Alemanno sta a guardare. La città di Roma non sa che farsene delle sue prese di posizione su decisioni che spettano esclusivamente agli organi inquirenti. Alemanno faccia il sindaco e lasci stare le chiacchiere».

Ora la precarietà vi si rivolta contro

Si fa presto a dire «black bloc». Salvo poi scoprire i volti dei propri figli dietro le sciarpe o un sasso. Abbiamo ascoltato attentamente le ragioni di chi martedì ha scelto di forzare la «zona rossa» intorno al Palazzo. Per scoprirne la cultura politica e sondarne la ricchezza umana. Seguiteci.
Tutti vi cercano, ma nessuno si interroga troppo. Com’è andata martedì?

La giornata ha messo in evidenza soggetti e movimenti con cui si devono ora fare i conti. Sta avvenendo in tutta Europa. Il paragone con gli anni ’70 è una narrazione del potere, per farne una semplice ripetizione ciclica, una banalità. C’è stata una saldatura importante tra tessuti sociali sulla proposta concreta. Si è unificata la prospettiva, ci si è dati una parola comune. E ha generalizzato il tema della condizione precaria, che viene sempre ridotta all’attesa di un posto fisso che non arriverà mai; mentre accomuna ai senza casa, ai cassintegrati, ecc.

Qual è stata la parola unificante?

Martedì era la rivolta, la ricerca della rottura. Come singole realtà sociali, facciamo molto altro. Per esempio, siamo impegnati in battaglie locali – a volte insieme ai sindacati di base o altre realtà – in conflitti di intensità inferiore. Chi vive la crisi, di fronte alla fine della mediazione politica, comincia a «soggettivizzarsi» non solo nell’autorganizzazione, ma costruendo «pezzettini» di rivolta quotidiana. Alla fine emerge la crisi globale di un sistema bloccato. Siamo di fronte alla crisi del processo di valorizzazione: di per sé è una «crisi sistemica». Non c’è molta ideologia da aggiungere. E c’è pure una «crisi nella crisi», quella della rappresentanza politica.

Coincidenza forse non casuale.

No. Ma è anche una scelta necessitata. Se – come potere – dico che «a causa della crisi» non sono in grado di dare risposta ai bisogni sociali, è ovvio che «la mediazione» non la posso trovare. Io politico sono esautorato dal processo economico. Ma ogni scelta economica è politica. Ora ci troviamo in una nuova stagione, che rimette in discussione anche tattiche, progetti, apparati organizzativi.

È cambiato «l’ambiente» per tutti. Trovare l’accordo intorno a un tavolo richiede anni, una giornata così, invece…

Non c’è dubbio, perché alla fine si tratta anche di riconquistare un po’ di forza sociale e politica. Se vogliamo la trasformazione radicale dell’esistente dobbiamo rimettere al centro i processi di conflitto. È politicismo parlare oggi di «quale rappresentanza per i movimenti», oppure «quale dialogo con il sindacato democratico». È discutere di politica prima di accumulare forza e presenza. I processi di ristrutturazione e riorganizzazione del capitale hanno frammentato il tessuto sociale. Ricostruire è arduo. Servono molte strutture reali, per supportare la socializzazione. L’opzione sindacale in molte situazioni non è sufficiente, visto anche l’alto livello di ricattabilità sui posti di lavoro, specie nel settore privato. In Italia la metà del lavoro è al nero. Ci sono 14 milioni certificati di inattivi…

Un po’ troppi, per esser tutti veri…

Tra questi sicuramente si pesca molto lavoro nero o sommerso, ed anche la criminalità. Nelle nostre periferie ci sono centri urbani di spaccio a cielo aperto, lì c’è il vero «quarto settore». Ma il problema della rappresentanza andrebbe posto come rappresentanza sociale, capacità di essere recettivi e intellegibili ai tanti che sono soli e non sanno come esprimere la propria rabbia. Ora sanno che c’è qualcuno disponibile. Fino a ieri pensavano che eravamo tutti «normalizzati», che con un paio di fondi pubblici ai centri sociali e una candidatura si sistemava tutto.

Tutto qui?

Che da qui a «costruire un mondo nuovo» sia sufficiente bruciare due macchine, ovviamente no… Ma qual è la priorità oggi? Riportare i processi di conflitto al centro, accumulare forze per il cambiamento… Anche facendo le barricate costruiamo un mondo nuovo, perché mentre le fai scopri «con chi» puoi fare un altro mondo. Tutto questo riporta al vecchio tema: «senz’acqua, la papera non galleggia».

Martedì si vedeva chiaro: «solo tutti insieme facciamo paura».

E la piazza ha «tenuto» oltre ogni attesa. Ora c’è da capire quali prospettive si dà questo movimento. Ma martedì tanti «pischelletti» hanno capito che c’è una cooperazione nella lotta, e la ricomposizione è possibile. Il movimento non è «nostro», è libero di scegliere.

Una ricomposizione concettuale, dopo 20 anni di «impotenza percepita»…

È stata davvero una giornata importante, per questo. Ora bisogna lasciare spazio affinché si esprima su altri obiettivi. Nei mesi scorsi è stata importante la mobilitazione degli studenti medi. E si è visto. Lo spezzone universitario ci stava dentro con una consapevolezza maggiore, ma con articolazioni meno sociali, più «equilibrismi». Ma è nella frammentazione sociale che c’è più necessità di un passaggio politico. Bisogna dare parola e rappresentanza sociale, quindi anche politica, a un precariato diffuso che oggi non ha altri spazi se non il proprio stesso «agire». C’è necessità di «candidarsi nella società» – non alle elezioni – essere credibili per le cose che fai e che dici tutti i giorni, al di là della sparata di martedì. Si tratta di costruire «complicità» nelle relazioni. Un piccolo obiettivo contro l’isolamento e la frammentarietà, ma anche contro la crisi della politica. Ci sono partiti di massa che, per fare un volantinaggio, faticano a mettere insieme 15 persone. E ci sono invece collettivi di base, movimenti autorganizzati, che hanno una capacità di militanza e adesione che va manifestata.

Come la spiegate questa differenza?

Anzitutto con l’accumulazione di forza e la consapevolezza delle parole d’ordine radicali che stiamo mettendo in campo. Se c’è una crisi sistemica, è sistemica. È inutile cercare il modo di cogestirla. L’idea di «governare la crisi» si scontrerà con gli equilibri della globalizzazione. Cosa farà Vendola domani, quando vorrà introdurre una riforma sociale radicale? Potrà sforare il patto di stabilità? Sarà disposto a farlo?

Da gennaio la politica di bilancio sarà fatta a Bruxelles.

Crediamo che la scelta sarà quella di «dichiarar guerra» ai poveracci. E’ ovvio che chi detiene il potere ha dei privilegi e li vuol preservare. Non ha più strumenti di mediazione, il welfare state, e dichiara guerra. Ma a questo punto è finita anche un’altra ipotesi: quella della «simulazione del conflitto». Oggi chi «simula» scherza col fuoco. Se è finita la mediazione politica, è finita anche la simulazione. L’«elemento simbolico» ha un peso forse ancora più forte. Il blindato che va a fuoco è un simbolo, non è che sparisce la guardia di finanza. Ma va a fuoco sul serio.

La repressione. Cosa vi aspettate?

Staremo a vedere. Per oggi si tratta di avere la capacità di dare una risposta unitaria. È comprensibile, conseguente, che ci sia una reazione dura. Chi ha i privilegi – ricchi, padroni, governanti – o chi voleva solo scalzare Berlusconi, presentandoci poi il conto dei sacrifici, del «governo di transizione neutrale», della gestione europea e di Marchionne… «non ci ama». Contro questa prospettiva abbiamo detto «que se vayan todos», andate tutti a casa. Perché non ci sono alternative, in questo «palazzo» immobilizzato tra lobby di interessi trasversali e governance della globalizzazione. Può darsi che finora siamo stati una generazione poco coraggiosa…

Ma è stata la vostra Valle Giulia…

È l’apertura di una nuova stagione. Tutta la cordata che arriva fino a Vendola dovrà prendere prima o poi delle decisioni. Abbiamo visto un silenzio imbarazzato davanti a questa giornata. E pensiamo sia sbagliato, perché bisogna essere conseguenti con le cose che si dicono. Si parla di sofferenza, precarietà, rabbia… Ma qualsiasi governo verrà dopo, o mette in crisi il sistema di accumulazione e la governance, oppure avrà le mani legate. E quindi l’unica cosa che rimane ai democratici è l’opinione. Ma, almeno quella, falla!

Qualcosa di molto distante dall’immagine di «quelli che vogliono solo sfasciare tutto»…

Si può anche non negare questa cosa: sì, volevamo sfasciare tutto. Ma eravamo tanti e volevamo prendere parola. Quando lo fai, non sei «simpatico».

Era un corteo di gente che finalmente parlava: «mafiosi», «venduti»…

Senza fischietti e palloncini… È il frutto di pratiche di organizzazione sociale, fuori dai campi già conosciuti, dalla «politica» dei partiti, in parte anche dai sindacati. Per esempio, lo spazio di attivazione dentro un laboratorio sociale, o la riaggregazione della precarietà in un determinato territorio, rimettendo al centro la «complicità» tra persone. Li aggreghi costruendo una tua «narrazione», che dice «siamo indipendenti, aspiriamo a dare parola a chi non ce l’ha».

Anche attraverso una birra scambiata, una squadra di calcio, o la «cospirazione» tra precari che si rivolgono a un avvocato per far causa all’azienda e sfilarle almeno un po’ di soldi.

Tanto, da precario, non hai il posto…

Alcuni dicono cash and crash. Un modo nuovo di «assumersi» in pianta stabile come precari e sopravvivere. Mostrano la corda tutte le forme di «crisi pilotata». La Cgil ha reso noto che le ore di cig concessa ha superato il miliardo. Ci sono oggi nuove frontiere oltre lo sfruttamento diretto della forza lavoro. Anche se, secondo noi, rimane sempre questo il centro della contraddizione.

Nonostante la delocalizzazione vada riducendo la base produttiva…

Ci sono anche le nuove forme del lavoro cognitivo, o del lavorare nel tempo di «non lavoro». Ma il tema è sempre quello della produzione, della vendita della forzalavoro; non è che si scappa. Rimaniamo sempre lì, tra valore d’uso e valore di scambio… Si tratta di costruire un’azione politica realmente alternativa, a cominciare da: cosa si produce, per chi, come lo si fa, in quale equilibrio e sostenibilità. Bisogna ripartire dai bisogni. In base a quelli sai anche calibrare una nuova filiera produttiva, cosa effettivamente è utile produrre. Magari scopriremo che non serve fare tante automobili, ma nemmeno ci dobbiamo tutti mettere a lavorare nel fotovoltaico. Ma torniamo al discorso di prima: o accetti la governance o la rompi. Per fare questo ti devi attrezzare, organizzare gente, accumulare forza; che è oggi il problema numero uno.

Il manifesto – 17 dicembre 2010

Akaroma

akaroma@inventati.org

Che cos’è AKAROMA?

 

Un’opera nomade di ricerca e inchiesta sulla città, un viaggio a tappe tra le forme e i processi di trasformazione dei territori, una mappatura delle relazioni sociali che li attraversano, dei conflitti che ne derivano e delle contraddizioni su cui si fondano.

“Roma, una città più volte morta e più volte rinata, il posto ideale per assistere alla fine del mondo, per vedere se tutto finisce oppure no..”[da“Roma“, Fellini,1970]

(continua…)

# Zero | L’altra Ostia

L’altra Ostia from akaroma on Vimeo.

Ostia, frazione di roma sul mare, un territorio vissuto da 80 mila persone, una città-satellite pianificata solo in parte: un lungomare di oltre venti kilometri con villini e palazzine di epoca fascista, e verso l’interno borgate e complessi-dormitorio, tessuti insediativi spesso discontinui e frammentari. volevamo capirci di più! se roma sembra poi così vicina o è così lontana. volevamo sapere come si vive in questa città-nella-città. tre storie in una. tre diversi luoghi. tre voci per raccontare la sua complessità. l’altra ostia.

# Uno | La Minga – Storie di autorecupero

La Minga – Storie di Autorecupero from akaroma on Vimeo.

La “Minga” è una parola di origine peruviana, il cui significato è traducibile come “lavoro collettivo”. Tale forma di lavoro, nata ai tempi dell’impero Inca ed ancora praticata dalle comunità latinoamericane, si caratterizza per i suoi fini di utilità sociale quali la costruzione di infrastrutture ed edifici pubblici.

(continua…)