Si scrive innovazione, si legge precarietà

Gli “IN-DIPENDENTI PRECARI PER LA PA” vogliono difendere il loro lavoro, la loro competenza e la loro professionalità e vogliono contrastare l’uso distorto e illegittimo di forme contrattuali lesive di diritti costituzionalmente garantiti

Gli Enti Strumentali della PA e le società a capitale pubblico che dovrebbero combattere la crisi occupazionale, promuovere la coesione sociale e favorire i processi di sviluppo e innovazione sono generatrici di precarietà, instabilità, disoccupazione.

Gli Enti Strumentali della PA e le società a capitale pubblico PERSEVERANO al proprio interno nella disapplicazione di principi di TRASPARENZA, ETICA, MERITOCRAZIA ED EQUITA’

Questo PARADOSSO ISTITUZIONALE è un “costo sociale” che:

  • ricade direttamente sui tanti lavoratori, precari e non, che quotidianamente svolgono con passione, impegno e responsabilità il loro lavoro;
  • determina una gestione inadeguata e distorta del capitale umano e dei fondi pubblici;
  • genera risultati non rispondenti agli obiettivi dichiarati e non commisurati alle risorse impiegate

Il Comitato “IN-DIPENDENTI PRECARI PER LA PA” denuncia e si oppone a questo sistema insostenibile, a tempo indeterminato.

NO all’abuso di flessibilità, NO all’istituzionalizzazione della precarietà.

Sì ai diritti e alla nostra LIBERTA’ di scelta

Una scelta chiara e limpida come l’acqua. Sui Referendum del 12 e 13 Giugno

Noi votiamo SI per la difesa dei beni comuni e contro il nucleare!

Domenica e lunedi si svolgeranno in Italia i referendum. Tra questi, i due quesiti per l’acqua che abbiamo promosso all’interno del comitato promotore. Ma dietro questa singola sigla, e la formalità che ne deriva, ci sono decine di realtà, sparse su tutti i territori d’italia, centinaia di persone, uomini e donne, cittadini e cittadine che si sono attivate per far vivere una battaglia ben più larga per qualità e ben più lunga come tempo.

Per noi è chiaro che sia uno spartiacque, ma non contro o per quel governo. Per noi è chiaro che se i cittadini si esprimeranno per il si vorranno mandare un messaggio chiaro a tutti. Perchè questi quesiti referendari parlano la lingua dei diritti: per tutti e per tutte e non assimilabili a bisogni da dover comperare.
Infatti, un anno fa, quando abbiamo iniziato a raccogliere le firme (e ne sono arrivate tantissime, come mai nella storia della Repubblica italiana) dicevamo che l’acqua è un bene comune, un simbolo della nostra vita costretta alle regole del mercato, dicevamo che in quella battaglia si trovavano le istanze che non sono rappresentate dagli eletti del Parlamento.

In quell’affermazione stava non un accusa o espressione di anti-politica; in quell’affermazione c’era una ripresa della parola. La scelta di decine di persone di prendere in mano la propria espressione, di usare la propria voce, in prima persona.
Noi, quel popolo che va sotto il nome di “popolo dell’acqua”, che va dalle parrocchie ai centri sociali, poniamo oggi un’istanza riguardante l’acqua in una modalità di partecipazione diretta, una presa di responsabilità collettiva perchè vogliamo porre una nuova questione del bene pubblico come bene della collettività che poco ha a che fare con le gestioni stataliste o di spartizione di poltrone.
Poniamo una questione che ha che fare con la gestione delle risorse idriche, ma anche con la partecipazione alla vita politica, alle sue forme di organizzazione e con quella profonda divisione che si è aperta all’interno della società del nostro paese.

Poniamo una questione che ha a che fare con la salute delle generazioni future, con la possibilità di sfruttare risorse energetiche alternative, siamo il paese del sole, del vento, del mare, per questo siamo contro la costruzione delle centrali nucleari.

Non siamo orfani di nessun partito e non siamo alla ricerca di Padri o Madri putativi.
Siamo figli e figlie dell’indipendenza e dell’autonomia delle nostre idee e dei nostri percorsi.
Ed è per questo che con migliaia di persone ci siamo riconosciuti e abbiamo condiviso un ragionamento molto avanzato; perchè i cittadini e le cittadine sanno comprendere molto bene qual’è la loro condizione e non sono sprovveduti o immaturi come spesso le dirigenze politiche, tutte, tendono a rappresentarli.
Abbiamo notato, in questi mesi, quali difficoltà, più o meno coscienti, ci siano da parte dei grandi media e da molta parte delle organizzazioni politiche classiche nel saper comprendere chi siamo, a darci uno spazio se non di riflesso. Noi quello spazio ce lo siamo comunque preso per le strade, con centinaia di banchetti ed iniziative, con parole e azioni, con confronti e relazioni. Un tessuto sociale nuovo si è ricomposto e organizzato.

Oggi poniamo una volta di più una domanda di democrazia reale, di libertà dalle necessità del profitto e dalle logiche di clientela.
Ugualmente abbiamo dato delle risposte chiare e limpide come, d’altronde, è l’acqua.

“Nessuno ci rappresenta”. Un contributo dagli Indignados di Barcelona

Introduzione. Nessuno ci rappresenta, la piazza come costruzione dell’utopia possibile!

L’articolo scritto da due attivisti di “acampada bcn” di Barcellona per indipendenti.eu analizza il movimento degli Indignados: la genealogia, l’organizzazione quotidiana, le rivendicazioni e le prospettive future. Il punto di vista soggettivo della narrazione scandisce la potenza della cooperazione sociale. “Toma la calle” diventa la metafora dell’alternativa possibile e della nuova società in costruzione. I protagonisti di questo processo che sta invadendo la società spagnola sono le generazioni precarie che non possono immaginare un futuro, costrette a vivere in un eterno presente tra lavori intermittenti, disoccupazione giovanile e affitti esorbitanti. Gli Indignados sono nati “dentro e contro” la crisi, un movimento che rifiuta la rappresentanza politica istituzionale. La “plaza” è diventata una dichirazione d’indipendenza realizzata da migliaia di soggetti in tutto il paese, “la plaza” si è trasformata nella costruzione del “comune”.

“Ara ens toca a nosaltres, a un nosaltres immens i global” (Ora é il nostro momento, per un nostro momento immenso e globale).

“Nessuno ci rappresenta”.
La plaza” come metafora della nuova società

“Nessuno ci rappresenta”. Uno slogan, un grido di indignazione che risuona in centinaia di piazze spagnole. “Nessuno ci rappresenta” è un abisso che implica l’azione: se nessuno ci rappresenta, dobbiamo prenderci la responsabilitá personale e collettiva di trasformare la società. “Nessuno ci rappresenta” non è, quindi, un’esclamazione nichilista, ma piuttosto è la fine della delega, il crack da cui emerge la capacitá di autorganizzazione. La plaza come forza della cooperazione sociale.

La presa di parola

La plaza si trasforma in un’esplosione. La plaza ha rotto il silenzio facendo esplodere multitudini di parole.

I gruppi di discussione e i comitati con differenti contenuti politici, si dividono in sotto-comitati creando una narrazione permanente. Nelle moltitudinarie assemblee generali. In cucina, nelle code per prendere da mangiare e lavare i piatti. Nelle banche, nelle strade che circondano la plaza sopraffollata, negli incontri casuali con tutti perché tutti sono nella plaza; sotto le tende, le strutture, i punti d’informazione e nei punti di assistenza sanitaria. Sopra le bio-case costruite sugli alberi, nell’orto comunitario, nei discorsi proclamati dal microfono del palco. La parola esplode in piazza, scorre attraverso la città e si riappropria di concetti come democrazia, economia, politica. La parola torna a ripronunciare veritá diluite che ora tornano ad essere reali: solidarietà, assemblea, rivoluzione. Le parole ri-nominano delle pratiche, è il filo che traccia una nuova collettivitá. Senza il fiume di parole che si scambiano di giorno e di notte, senza le parole che rimbombano esponenzialmente tra le migliaia di persone, la plaza non sarebbe mai nata.

Dal 15 Maggio a la plaza

Il 15 Maggio 2011 in decine di cittá della Spagna, migliaia sotto lo slogan di “Democracia Real Ya” (“Democrazia reale subito”) si sono riappropriate delle strade al grido di: “No somos mercadería en manos de políticos y banqueros“ (“Non siamo merci di scambio in mano di politici e banchieri”). Questi slogan, e le relative forme di comunicazione asssociate, sono stati i primi in grado di catalizzare il malessere sociale determinato dall’esplosione della crisi strutturale del sistema capitalista. Tale mobilitazione non deve, peró, essere intesa come una manifestazione esclusivamente di attivisti, ma piuttosto come “espressione creativa dell’anonimato”. La prima espressione di una comunitá spontanea, effimera, non omologabile, somma di individuali ed infinite indignazioni.

A questo punto ci poniamo delle domande: è stata sufficiente la mobilitazione del 15Maggio a soddisfare il vento di rabbia delle “vite senza orizzonte e futuro”? Era possibile trovare dei canali condivisi per continuare il processo innescato?

A quanto pare la storia é stata scritta. L‘unico ritorno possibile era quello appena iniziato: partire dal comune. A partir da questi concetti inizia la prima notte di accampamento a Madrid; il giorno seguente a Barcellona 59 persone- incredule, insicure e titubanti- si concetrano a Plaza Catalunya. Inizia cosí l’imprevedibile percorso che trasforma la plaza in un soggetto politico indomabile.

La prima notte

Alle 20.30 del 16 Maggio, gli operatori della nettezza urbana irrigano e rinfrescano la plaza, mentre la polizia municipale sbadiglia. Ai lati della grande piazza ci sono gruppi di persone dubbiose ed impazienti. Occhiate che si interrogano a vicenda, risate di nervosismo. Aspettative. Alla fine qualcuno accenna un passo verso il centro della plaza, ci sediamo in cerchio. Oggi non abbiamo portato niente, dobbiamo andare a cercare cartoni nei negozi circostanti. Domani, si ribadisce, arriveremo piú preparati, con sacchi a pelo, materiale per fare striscioni, bombolette spray, vernice. Domani inizieremo a condividere. Che ognuno faccia il suo stricione, il suo cartello rivendicativo. Qui, ognuno deve rappresentare se stesso e se stesso deve rappresentare il comune. Inizia l’assemblea. Si propone che i pompieri in lotta, gli studenti universitari, i lavoratori e le lavoratrici in lotta della sanitá e dell’educazione convergano a plaza Catalunya e che la stessa plaza diventi l’epicentro delle mobilitazioni contro i tagli sociali del governo. Si insiste e si ribadisce che a Madrid in un solo giorno sono passati da centinaia a migliaia. Scoppiano applausi. L’importante é “twitterare” e condividere informazioni attraverso i social network, si devono avvisare le persone: é la prima notte ed é necessario che tutto questo si mantenga vivo. Bisogna scattare foto, spammarle nel web, diffonderle. Le/i compagni di tele.cat sono giá con noi, loro rimangono quando le altre televisioni- quelle ufficiali- se ne vanno. Esce la proposta di dividerci in comissioni: comitato comunicazione e comitato striscioni. Esce la proposta di scrivere un comunicato, qualcuno risponde che: il comunicato é che siamo qui!

Chi puó venire all’ “accampata”? Tutti quelli che vogliono, peró a titolo individuale. E i sindacati? I sindicati no, peró lavoratori sindacalizzati si. Proposta del nome? Si accetta #acampadabcn. Si scrive su uno striscione di cartone: “Lo más oscuro de la noche es antes del amanecer” (“La parte più oscura della notta è prima dell’alba”). Turni durante la notte, qualcuno inizia a portare acqua, pane, biscotti e frutta. Gli operatori della nettezza urbana vorrebero pulire la plaza un’altra volta. I cartoni si accumulano e a mezzanotte siamo giá un centinaio. Un altro striscione dice: “Plaza Catalunya = Plaza Tahrir Aixó acaba de començar” (Plaza Catalogna = Plaza Tahrir tutto questo é appena cominciato).

Territorio comune per l’autogestione

Contro la zonizzazione capitalista dello spazio pubblico, sovvertendo l’uso commerciale, immobiliario, finanziario e turistico del centro metropolitano, la plaza emerge come uno straordinario dispositivo territoriale, fisico, corporale di potenziamento della cooperazione sociale. La plaza come spazio fisico di autorganizzazione.

La cucina autorganizzata, raccogliendo i viveri che arrivano in solidarietá da tutta la cittá, alimenta quotidianamente migliaia di indignad@s. La cucina diventa un nodo di raccolta delle donazioni dei produttori di agricultura biológica: é necessario mangiare bene per sostenere la lotta.

Le decine di bagni pubblici, non forniti dal comune di Barcellona, verrano comprati grazie alla solidarietá e all’ incipiente economia collettiva della plaza.

Plaza Catalunya viene risignificata anche linguisticamente, divisa in differenti aree con i seguenti nomi Tahrir, Islanda, Palestina: nomi suggestivi per le zone dove si articola il dibattito politico. Con il passare delle giornate le commissioni diventano sempre di piu e acquistiamo una maggiore capacità organizzativa.

Commissione sanitá, formata per le/gli indignid@s del medesimo settore pubblico (dottori/esse, infermieri/e, personale amministrativo), si prende cura del nostro benestare fisico e psicologico.

Commissione infrastruttura approvvigiona e immagazina gli strumenti necessari per vivere la plaza, per delimitare spazi, per proteggerci dal sole e dalla pioggia, per fornire le assemblee della necessaria amplificazione..

Commissione comunicazione-sonora, audiovisuale, networks sociali- per trasmettere piu in lá della plaza quello che succede nella plaza: la plaza global.

Biblioteca popolare.

Commissione ecologia scrupolosamente applicati al caso: raccolta differenziata e riciclaggio dei rifiuti, pedagogia ecologica e creazione di un orto comunitario.

Commissione Internazionale: 150 traduttori nonché linguaggio dei muti durante le assemblee generali.

Commissione legale.

Autogestione delle necessitá contingenti ed immediate, preludio della voluta autogestione della vita. Se il capitale ha espropriato la cooperazione sociale convertendola in pura merce, nella plaza il processo si inverte. Abbiamo capito che dalla capacitá produttiva delle persone possiamo collettivizzare la richezza sociale.

Autorganizzazione e assemblea: la partecipazione politica

En plena campaña electoral, hem fet una acampada general” (“In piena campaña elettorale, abbiamo fatto una accampata generale”). La cosí chiamata “Transició a la democràcia” (Transizione verso la democrazia) dello stato spagnolo, creó un’architettura istituzionale in cui il potere politico dei movimenti popolari contro il franchismo venne praticamente annientato. Come uno specchio rovesciato della realtà sociale, i partiti politici si autoproclamarono come unici detentori dell’azione poltica. Nel corso del tempo, lo schiacciamento della trasformazione- stato-democrazia, democrazia-rappresentativa, democrazia dei partiti- soffocó la ricchezza dell’autorganizzazione popolare gettando le basi per quella politica che oggi giorno è deformata, corrotta e rivolta solo a privilegiare il ceto politico a cui è stato delegato tutto il potere.

Oggi, nelle “accampate” si dichiara: “Apostem per una transformació profunda de la societat, i sobretot apostem perquè sigui la pròpia societat la protagonista d’aquest canvi” (“Ci impegnamo per una trasformazione profonda della societá e soprattutto ci impegnamo perché sia la stessa societá la protagonista di questo cambiamento”).

Abbiamo imparato dal Cairo, dall’Islanda, da Madrid. Abbiamo imparato dalle rivolte árabe del Nord Africa, le quali, oltrepassando il mediterraneo, hanno stimolato, promosso e fatto sentire la forza necessaria per rompere la dinamica dell’impotenza. Stiamo perdendo la paura. Ci siamo ripresi le strade e stiamo facendo di un sogno, la realtá. Il malessere individuale che per molti anni abbiamo sentito chiusi nella solitudine é uscito per trovare complicitá e per trovare una comune cospirazione. Non esiste democrazia reale senza giustizia sociale. La plaza non é solo un esercizio di disobbedienza tattica che sovverte le leggi di uno spazio pubblico normalizzato, ma é disobbedienza strategica, perche attraverso la piazza stiamo diffondendo un’alternativa, un ‘utopia possibile. Un’altra forma di partecipazione política disobbedendo ai restrittivi accordi che hanno escluso la società a partir dell’epoca della menzionata transizione. Autorganizzazione e assemblea. “Ara ens toca a nosaltres, a un nosaltres immens i global” (Ora é il nostro momento, per un nostro momento immenso e globale).

Pratiche della nuova politica

Nei giorni successivi arriviamo a decine di migliaia. La plaza si afferma sempre piú come spazio comune di complicitá: intessiamo progetti comuni per la trasformazione sociale. Intelligenza collettiva. Intelligenza precaria. Intelligenza organizzativa, rispettando al massimo le differenti opinioni. Come? In che modo? Nessuno lo sa, o in fondo tutti lo sanno. Le ore passano tranquille. Ognuno ha il suo ruolo, un suo posto. Ognuno é attivo protagonista della trasformazione sociale. Ognuno condivide il suo sapere, la sua capacitá operativa per fare della resistenza specifica una forza collettiva. Le commissioni: comunicazione, azione, diffusione, contenuti politici.

I contenuti politici: punti di rivendicazione, economía, lavoro, migranti, vivienda, democrazia diretta e autorganizzazione, diritti civili e politici, teoria e concetti politici, legge elettorale, ecologismo, femministes indignades, scienza e tecnologia, medios de comunicación libres, cultura, educazione, alimentazione e consumo critico.

Le commisssioni si riuniscono quotidianamente approfondendo le tematiche poltiche. Dibattiti con centinaia di persone.

La casserolada giornaliera delle 21.00. Manifestazione di una forza che non cerca unificazione, ma che é unitaria nella sua molteplicitá. La casserolada è la catarsi, la forza di un momento epico. É un richiamo al momento costituente dell’assemblea generale delle 21.30 dove la potenza multitudinaria scoppia con una efficacia dirompente.

Simboli gestuali per esprimere accordo, disaccordo e discussione accompagnano la lotta. Votazioni con le mani verso l’alto, massima attenzione nell’osservare e contare il possibile elemento di disaccordo. Migliaia di persone che dal basso organizzano, discutono, decidono. Migliaia di persone che stanno imparando a costruire qualcosa di nuovo.

Il tempo del contrapoder

Vamos lentos porqué vamos lejos” (Andiamo piano perchè andiamo lontano). Risuonano sensibiltá e specificitá Zapatiste contro la fretta e la pressione a cui ci sottopone il sistema. Dovremmo offrire urgentemente alternative sociali quando il sistema non é stato capace di farlo in 30 anni? La plaza è un’interruzione del tempo egemonico, politico ed economico. En La plaza, stabiliamo il tempo adeguato ai processi di democrazia diretta. Pazienza, perseveranza, determinazione: stiamo imparando ad organizzarci. Nel nostro tempo nascono proposte interessanti: alcune volte a mitigare l’attuale malessere sociale, altre volte a gettare le basi di una nuova realtà sociale. Le idee sorgono a partire dagli spazi che noi stessi costruiamo, una combianzione di reti sociali e assemblee. Comunichiamo in rete. Decidiamo in assemblea.

Attualmente, il concetto di plaza é la valida soluzione. La plaza liberada dal basso é l’alternativa reale perché é un attacco diretto alle poltiche istituite dall’eteronomia.

É l’inizio di un proceso costituente. É la produzione di una nuova metodologia, é il programma. É lei stessa una metastasi. Inizia l’estensione delle assemblee nei quartieri. Si ipotizza la creazione di un movimento di assemblee popolari che realizzeranno la nuova architettura della politica sociale. La creazione di una rete coordinata di contropotere. Processo di metamorfosi costante in continua evoluzione, ricombinante delle molteplici soggettività e delle complesse composizioni sociali- generazionali, politiche, materiali- nate dalla implosione della ristrutturazione capitalistica. Una forza di resistenza, di creatività, che si esprime nelle multitudinarie assemblee generali, ma anche un reticolare processo costituente negli infiniti spazi della vita sociale. Una valanga che avanza a partire da strategia e obiettivi comuni, da un calendario di lotta comune, da un plan de lucha.

La plaza non solo propaga esponenzialmente la potenza sociale indignata, ma organizza la suddetta indignazione. Un processo di maturazione in grado di affrontare molteplici intenti di sgombero- violenti, impotenti, ridicoli e ricchi di gratuito sadismo- con i quali si pretende annichilire l’emergente spazio costituente.

Come si diceva in Argentina nel 2001, “l’autonomia è autorganizar, è autopensar è la capacità di sviluppare tutte le complessità riproducendo in maniera fedele la propria potenza.” La plaza non vuole rinunciare a niente perché nella plaza vogliamo tutto.

Flavia Ruggieri – Ivan Miró

#acampadabcn

Barcelona, maig-juny del 2011

Bella, disarmante, semplice. L’utopia concreta del Reddito Garantito

Roma 9 e 10 giugno il meeting per il reddito garantito

Il Meeting che il Bin Italia si appresta a costruire per la primavera 2011 vuole affrontare e proporre il Reddito garantito come uno strumento concreto, concretamente realizzabile, e soprattutto, con delle conseguenze concrete. Le istituzioni negli ultimi due anni stanno compiendo passi in avanti estremamente significativi: con 24 VISTO, 33 CONSIDERANDO e 58 punti, il Parlamento UE ha votato il 20 ottobre scorso una risoluzione nella quale si chiede l’introduzione di un reddito minimo a livello comunitario. Al riguardo, gli eurodeputati esortano la Commissione Europea a presentare in tempi rapidi una legge quadro.
Questo genere di iniziative sancisce un punto di non ritorno per il quale dovremo essere attivi, vigili e propositivi, ma ci dà anche la possibilità di riprendere alcuni dei temi portanti che sono alla base di una rivendicazione che oltre diritto è alternativa possibile.
L’elemento che accomuna tra loro tutte le proposte di introdurre all’interno dei sistemi sociali un Reddito garantito è l’idea che ogni sistema debba farsi carico di garantire a tutti, indipendentemente dalla loro esperienza lavorativa, la possibilità di acquisire un reddito col quale realizzare il proprio progetto di vita. Se il Reddito deve garantire ciò che il welfare sinora ha negato, ovvero l’aspirazione alla distintività ed all’autonomia dei soggetti, non basta un semplice allargamento dell’attuale welfare. In altri termini, il perseguimento dello sviluppo dell’uomo nel senso di A. Sen, può essere assicurato solo con la realizzazione di un’uguale distribuzione delle risorse personali ex post ed un’uguale distribuzione di quelle impersonali ex ante, perché in presenza di una distribuzione del prodotto sociale così realizzata i soggetti possano perseguire i propri obiettivi sulla base delle proprie scelte e delle proprie valutazioni. Allo stato attuale, il reddito garantito rappresenta lo strumento efficace per parificare ex ante la disponibilità delle risorse impersonali.
Da qui prende avvio lo spazio del possibile, di tutto ciò che potrebbe essere se quell’idea bella, come bella è la possibilità che tutti abbiano di che vivere; se quell’idea disarmante come l’affermazione che tutti, proprio tutti devono essere presi in carico dalla società; se quell’idea semplice come l’evidenza della sconfitta del suo contrario, fossero un fatto.
E perché questo avvenga abbiamo bisogno anche di dare aria all’elaborazione teorica non solo di prototipi economico-finanziari, ma anche di una società più desiderabile.
Il Meeting quindi terrà l’attenzione a queste due direttrici, quella dei passaggi che ancora dobbiamo fare perché l’Europa e con lei l’Italia abbiano davvero una misura di garanzia come questa e quella dello spazio politico, del pensiero che supera l’emergenza e guarda alla costruzione di alternative più cooperanti e meno energivore.

L’esigenza di un Meeting con queste caratteristiche ci ha portato a costruire alcuni appuntamenti nei mesi precedenti (tra marzo e maggio 2011), iniziative di approfondimento tematico.

Programma

Tavoli (partecipazione dei Punti San Precario)


Tra le montagne della Repubblica libera e indipendente della Maddalena

Siamo alla Maddalena a monte della Val di Susa verso la cantena montuosa alpina che ci divide dalla Francia. Sono diversi giorni che cooperiamo con il presidio permanente a distanza di poco più di una settimana dal tentativo da parte delle forze di polizia e carabinieri di penetrare l’area prescelta per l’apertura del cantiere del TAV.

Tentativo peraltro fallito, respinto da una pioggia di sassi volati nella più legittima resistenza diffusa e organizzata della valle ribelle, siamo ora ancora qui, più forti e liberi di prima. Nella valle che prende il nome di Libera Repubblica della Maddalena, la mobilitazione popolare rappresenta un insieme di nessi incrociati, dal protagonismo delle genti in lotta per la difesa del proprio territorio, alla visione complessiva per il bene comune, ovvero di quello spazio di partecipazione e decisione politica che parte dalla dimensione comune – da ciò che tra di noi abbiamo in comune – per la difesa dell’ambiente e per la qualità della vita, del suo equilibrio naturale. Una lotta locale di popolo, entusiasta e radicale, gentile ma determinata, che ha prodotto una motivazione collettiva che ha travalicato i confini regionali e che sta attirando la partecipazione e la cooperazione solidale di realtà geograficamente lontane, ma politicamente sempre più vicine e solidali. C’è molto in gioco in tanta umanità. C’è il simbolo di una lotta che da anni ha saputo far parlare di se, lontano dalla rappresentazione politica e mediatica che non a caso accomuna i poteri forti legati ai due partiti principali tanto quello del Cavaliere quanto quello dei democrat* nel chiedere ormai a voci unificate d’imporre i loro scellerati patti per la speculazione e la spartizione della torta di finanza pubblica chiamata TAV, con gli eserciti polizieschi in una permanente occupazione militare del territorio.

Le montagne e la lotta assomigliano alla resistenza partigiana, non a caso delegati dell’ANPI sono saliti qui su a fare questo ragionamento, istruendoci anche sui sentieri amici dei ribelli che, tra le valli e le montagne, trovano la loro ragione per nascondersi e prepararsi alla difesa e all’attacco. Qui centinaia di persone in questa settimana di attesa elettorale hanno giorno e notte picchettato, bloccato e barricato veramente, oltre il simbolico, le strade di accesso alla valle, dall’autostrada e dalle strade secondarie: cooperazione nella lotta, pratiche condivise e radicali. Questo nella piena consapevolezza degli obiettivi che si celano dietro a questo grande NO che le popolazioni della valle stampano in faccia alla Commissione europea e al governo decadente della nostra italietta.

Saranno i pochi km di confine con la Francia, ma questa mobilitazione ha un sapore intrinseco delle tante lotte contro la globalizzazione neoliberista e che in discussione non c’è solo il Tav in quanto tale, c’è la volontà dichiarata di mettere in discussione la leva di comando, il modello produttivo, la considerazione della volontà e della sovranità popolare.

Dai nostri territori è progressivamente cresciuto negli ultimi anni l’elemento della ribellione in nome della sovranità e della decisionalità dal basso. La potenza di fermare una decisione stabilita dai grandi tavoli e consessi del potere locale e transnazionale, è una delle forme del potere costituente di cui abbiamo tutti bisogno. Una potenza che determina non solo nuova partecipazione ma che irradia, con una logica rovesciata e sovversiva della sovranità, la decisione nello spazio politico. Chi decide su cosa? E’ un quesito che rappresenta la prima forma d’indipendenza di queste comunità locali dalle nuove oligarchie e dai nuovi centri del potere. E’ la forma di vita che costruisce potere. E’ l’alterità che sul territorio sedimenta indipendenza, che si fa potenza, nuova res-pubblica. In primo luogo indipendenza dal sovrano. E immediatamente dopo anche dal sistema trasversale delle lobby. E quindi ripartiamo anche da qui, ripartiamo dalle lotte per la difesa dei beni comuni per riconquistare i diritti e la dignità, c’è tanto da imparare da questa sapienza popolare e c’è ancora tanto da costruire. Nel varco della crisi di sistema dei poteri forti e della loro rappresentanza, una comunità umile e non domata ci indica la strada della rivolta tra le montagne della Libera Repubblica della Maddalena.

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