San Paolo: sgomberato ex deposito Atac

Roma, 31 ottobre. Questa mattina verso le ore 7 ingenti e arroganti forze del reparto celere della Polizia di Stato hanno circondato l’ex deposito ATAC di San Paolo per sgomberarlo.

Gli e le occupanti sono saliti/e sul tetto per cercare di restare nelle loro case. In questi frangenti mentre gli uomini sono stati portati via al commissariato di zona ci sono state poi alcune aggressioni alle donne con i bambini in braccio, sono tirate per i capelli, insultate e maltrattate.

Nel frattempo occupanti e solidali giunti da tutta Roma hanno provato a partire in un corteo comunicativo che spiegasse cosa stava succedendo al quartiere e perchè Alemanno avesse sgomberato quel posto che tante nuove attività sociali aveva portato nel quartiere durante questi mesi di occupazione.

Questa pacifica manifestazione comunicativa è stata impedita dalla Polizia che si è schierata davanti agli uomini, donne e bambini del corteo con caschi, scudi e manganelli… pronti a colpire.

Non cadiamo in queste trappole, ma lo diciamo fin  da subito che ci riprenderemo il diritto a manifestare nelle strade della nostra città e che questa stretta autoritaria fascistoide di Alemanno ha i minuti contati.

Alemanno se ne deve andare al più presto e questo sarebbe sicuramente un bene comune per la cittadinanza di Roma.

Il deposito ATAC ormai da tempo abbandonato era stato occupato il 20 giugno per sottrarlo alla speculazione dopo che il sindaco Alemanno aveva approvato la delibera 35 per poter vendere ai privati i beni di ATAC per trovare nuovi fondi dopo i disastri combinati dalla sua amministrazione oscenamente implicata nello scandalo parentopoli all’ATAC e nel saccheggio di tutte le altre minucipalizzate del comune di Roma.

Da Onda Rossa solidarietà agli arrestati

Radio Onda Rossa esprime pieno sostegno e solidarietà alle compagne e ai compagni arrestati a seguito della operazione repressiva dello Stato messa in atto il 15 ottobre con l’intento di criminalizzare un movimento, di certo eterogeneo, che aveva dato vita a un corteo di centinaia di migliaia di persone.

Centinaia di migliaia di persone che in quella giornata hanno mostrato, pur tra le differenze di analisi e di metodologia, una consistente volontà di trasformare un modo di produzione che, mai come oggi, ha mostrato le sue marce radici e le terribili prospettive che riserva a gran parte dell’umanità. Una volontà di cambiamento che deve ancora radicarsi nei luoghi di sfruttamento e nei territori, proponendosi nel quotidiano delle nostre vite, oltre i grandi raduni di piazza, affinché anche questi possano nutrirsi di lotte reali e di contenuti più dirompenti.

In piazza San Giovanni i manifestanti hanno risposto come potevano a chi voleva loro impedire di manifestare, riuscendo qualche volta a fermare la furia violenta delle camionette che facevano i caroselli, ma non quella dei giornalisti che li giustificavano.

Giudici, forze dell’ordine, media che incitano alla delazione, puntano ad accentuare il controllo sociale e a determinare la spaccatura di un movimento che li spaventa, tratteggiando un’artificiosa distinzione tra manifestanti buoni e manifestanti cattivi, utile ad indicare un capro espiatorio da punire in modo esemplare, così come sta accadendo per Genova 2001 dove, è utile ricordarlo, una decina di compagni e compagne stanno rischiando di pagare per tutti: attendiamo prima della fine dell’anno le sentenze della Cassazione.

Su questa linea maggioranza e opposizione sono d’accordo: l’applicazione del DASPO anche ai partecipanti dei cortei, l’arresto in flagranza differita, il fermo preventivo sono proposte appoggiate da entrambi gli schieramenti.

Il 15 ottobre resta, aldilà di tutto questo, una giornata che non possiamo lasciarci alle spalle così come non vogliamo che le compagne e i compagni incarcerati, fermati in piazza o nei giorni seguenti, restino da soli ad affrontare la repressione. Dobbiamo sostenere le manifestanti e i manifestanti, i perquisiti, i feriti, i collettivi e le singolarità oggetto di persecuzione giudiziaria e mediatica.

Radio Onda Rossa se ne fa promotrice come nodo di comunicazione antagonista e parte di questo variegato movimento. Vogliamo la libertà immediata di tutte e tutti le/gli arrestate/i. Lanciamo con forza e determinazione una campagna che dia un sostegno tangibile con gesti di solidarietà attiva.

Sottoscriviamo per le spese legali di tutti e tutte gli arrestati e le arrestate: venendo negli studi in Via dei Volsci 56 a Roma, tutti i giorni dalle 8 alle 21; oppure compilando un bollettino di conto corrente postale CCP n. 61804001 intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001, Via dei Volsci 56 – 00185 Roma. Causale: “15 ottobre”. Effettuando un bonifico bancario intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001 Codice IBAN: IT15 D076 0103 2000 0006 1804 001

Causale: “15 ottobre”.

Contro ogni carcere giorno dopo giorno.

Perché di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva.

San Precario vince contro Rinascita…e quando vince festeggia!

Quando San Precario vince, festeggia!

Il Santo sarà presente con una processione all’isola pedonale del Pigneto per un brindisi con le lavoratrici di Rinascita che dopo una lunga e travagliata trattativa sono giunte ad una conciliazione con il datore di lavoro, ottenendo importanti risultati,coadiuvate dal team legale dei punti san precario.

Si vuole rilanciare con un aperitivo in cui verrà raccontata l’esperienza della cospirazione, del potere che ha di ribaltare la percezione della precarietà in un moto di consapevolezza di un rapporto di forza ancora tutto da agire.

Giovedì 10 novembre a partire dalle 19, invitiamo tutt@ a brindare con noi da Tuba a un aperitivo musicale, perchè se nelle nostre vite precarie c’è il motore che muove il mondo è ora che cominciamo a prenderne il comando.

Insieme, la cospirazione precaria prosegue!

Firmata la conciliazione.

Alcuni mesi fà, i Punti san precario di Roma effettuarono un’incursione comunicativa alla presentazione d’un libro nella Libreria Rinascita dove fra i relatori sedeva la segretaria nazionale della CGIL.

Precarie e precari chiesero a Susanna Camusso di prendere parola contro la precarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori delle Librerie Rinascita, già denunciata pubblicamente in precedenza: lavoratrici e lavoratori che erano impiegati al nero, non pagati da mesi, talvolta licenziati senza preavviso.

In quell’occasione Camusso non intese prendere parola rispetto alle condizioni sottolineate dall’iniziativa, chiudendosi in una risposta (“Non mi interessa niente, con voi non parlo”) che la dice lunga rispetto all’impegno e alla tutela che il sindacato esprime nei confronti dei precari.

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A seguito delI’azione,  il team legale dei punti san precario in collaborazione con alcune precarie della libreria, avviarono una vertenza nei confronti del datore di lavoro. La vertenza riguardava il ricorso a rapporti di lavoro in nero, licenziamenti illeggittimi, mancato pagamento di mensilità arretrate (in alcuni casi due anni di arretrati) e gli altri diritti maturati in corso di rapporto di lavoro quali TFR, tedicesime mensilità e ferie.
Il primo risultato ottenuto dai punti san precario è stato il reintegro immediato di una librai licenziata in modo illeggittimo.
Dopo una lunga e travagliata trattativa il team legale dei punti san precario è giunto ad una conciliazione con il datore di lavoro, ottenendo degli importanti risultati, quali il pagamento delle differenze retributive, le ferie, i riposi, lavoro straordinario, festività, tredicesima e quattordicesima mesilità e i ratei del TFR .

Presto vi comunicheremo il luogo e la data dell’apertivo che festeggierà questa vittoria invitando le reti dei precari a brindare con noi.

Verso lo sciopero precario

ALTRE APPARIZIONI DI SAN PRECARIO:

I Punti San Precario sostengono i giornalisti precari del quotidiano Terra

San Precario nella moltitudine della giornata globale contro l’austerity

San precario sanziona la sede di Equitalia!

Primo risultato del comitato licenziati ItaliaLavoro e Punti San Precario

Sacconi contestato al Cnel da licenziati d’Italia Lavoro e Punti San Precario

PUNTI SAN PRECARIO

Note sul 15 ottobre

di TONI NEGRI

Ero e sono fuori, in queste settimane, in Spagna ed in Portogallo. Non ho seguito direttamente quello che è avvenuto a Roma. Ma sono stato sorpreso, direi sbalordito, nel leggerne cronache e commenti.

1) La divisione tra gli “indignati” e gli altri, i “cattivi”, è stata fatta prima di tutto da La Repubblica, l’organo di quel partito dell’ordine e dell’armonia che ben conosciamo (per non dire degli altri media). Non sembra che il comitato organizzatore della manifestazione si sia indignato molto per ciò. C’era forse un peccato originale alla base di questo oltraggio: chi aveva organizzato la “manifestazione degli indignati” non aveva molto a che fare con le pratiche teoriche e politiche che dalla Spagna si sono estese globalmente, talora in maniera massiccia, altre volte minoritaria: il rifiuto della rappresentanza politica e sindacale, il rigetto delle costituzioni liberali e socialdemocratiche, l’appello al potere costituente. In Italia, invece, un gruppo politico al limite della rappresentanza parlamentare si è appropriato il nome degli Indignados … E ora reclamano: “Lasciateci fare politica”.

2) Ma allora, si dirà, gli indignati “veri” sono i ragazzi che incendiano le macchine e fanno quel gran casino contro la polizia a San Giovanni? Certo che no. Qui nasce tuttavia il grande, se non l’unico problema. Chi possono essere gli unificatori del movimento? Chi costruisce oggi, in Italia, l’unità degli sfruttati, degli indebitati, dei non-rappresentati?

Le risposte a questi interrogativi sono molteplici. Tanti anni fa, Asor Rosa avrebbe detto: quei ragazzi pieni di rabbia appartengono alla “seconda società”, essa è inorganizzabile, essa è la non-politica. Oggi, alcuni rappresentanti del “movimento” diranno: sono estremisti, anarchici e insurrezionalisti, quindi pericolosi, quindi inorganizzabili. È forse vero. La conseguenza sarà allora la medesima che ne trasse Asor trent’anni fa: sono irrappresentabili? Anche qui: forse sì. Ma per questo li escludiamo per principio, prima ancora di aver capito perché erano tanti e di cosa erano l’espressione? Noi non crediamo che il ritornello di Asor Rosa possa valere come pregiudizio. A chi ce lo presentasse come tale, ci rivolgeremmo allora agli Indignados spagnoli ed universali per avere un’altra risposta. Gli Indignados sono un movimento dei poveri – sono anni che andiamo indagando e parlando di precarizzazione lavorativa e esistenziale, di pauperizzazione generalizzata, di esclusione e declassamento, di espropriazione finanziaria, di emarginazione sociale. Tutto questo è prodotto dal Capitale. E a noi sembra che queste lotte debbano essere e siano innanzitutto lotte contro il Capitale.

Dobbiamo ricordarci che laddove, in altri paesi d’Europa che pur conoscono grandi tradizioni di lotta, si è data l’incapacità a mettere insieme tutte le facce della nuova povertà, la sconfitta è stata generale, anche quando i movimenti erano duraturi e forti. La Francia, per esempio, non produce più lotte vincenti da quando il movimento studentesco ha smesso di congiungersi con quello delle banlieues. In Germania, non c’è più lotta da quando i Grünen Realos-pragmatici hanno isolato e liquidato i Fundis – gli occupanti delle case, quelli che lottavano assieme ai migranti, e avevano assunto la dimensione dei quartieri per tentare la costruzione di istituzioni del comune. Dobbiamo tornare a costruire un fronte dei poveri – tutti i poveri, dalla classe media immiserita in giù.

C’è dunque una bella differenza fra stare con i poveri, anche se spaccano tutto, e non starci – considerarli intoccabili, lebbrosi. Loro – quelli che spaccano – hanno diritto a dirci di no, a rifiutarci, a preferire l’isolamento. Ma noi, non per questo li consideriamo estranei alla povertà. Il 14 dicembre, il 15 ottobre, e tante altre volte, li abbiamo visti in azione: alcune periferie della povertà sono scese in piazza. La polizia e i media le hanno immediatamente riconosciute: il potere è spesso bieco ma non è stupido. Perché i movimenti non potrebbero anche loro chiedersi chi sono, e provare a capire prima di giudicare? Forse perché dietro alla puzza al naso degli organizzatori, senti un rigetto di pelle?

3) Il colmo della cecità e della provocazione dei media (e, subito dopo, del Ministero degli Interni) è stato toccato quando hanno scelto di attaccare i movimenti NoTAV e San Precario – vale a dire le due realtà di movimento attualmente più forti. Forse le uniche che non abbiano aperture politiciste e che non siano interessate alla rappresentanza parlamentare, ma che piuttosto sono democraticamente piantate nel reale, nella società civile, e che producono effetti concreti immediati.

Dobbiamo stringerci attorno ai compagni che subiscono queste provocazioni – cosi come attorno agli incarcerati, di cui chiediamo la liberazione senza se e senza ma. Cos’altro fanno gli Indignados di Barcellona per gli arrestati dopo la tentata occupazione della Camera regionale catalana? Hanno riconosciuto che si trattava di un errore politico evidente, ma li difendono comunque in nome dell’unità del movimento. Vogliamo continuare a caricaturare i comportamenti pacifici degli Indignados spagnoli alla maniera di pecore gentili?

4) Oggi solo un progetto costituente può unificare tutti nel movimento. Non un “programma minimo” – un programma che non dia obbiettivi concreti ma solo linee di alleanza sindacale e parlamentare. Perché stupirsi che molti sentano questo programma minimo come un “opportunismo massimo”?

Centrale è invece oggi un progetto costituente che unifichi politicamente, e quindi sappia anche reagire alle eventuali componenti distruttive del movimento. In Spagna, l’elemento qualificante di questa unificazione è stato senz’altro l’acampada. Il vivere insieme nelle piazze. Poi si sono sviluppati comitati di quartiere su cui si sono assommate le funzioni dell’emancipazione concreta del proletariato moltitudinario. Si tratta di camere del lavoro metropolitano e di centri di occupazione e di autogestione delle istituzioni del Welfare ormai disertate dallo Stato.

Ma c’è ben altro. La chiave del modello costituente nella vita condivisa sta nella distruzione della “paura” che troppi ancora sentono, non appena si tratta di stare insieme. Una distruzione praticata con esperienze pacifiche, collettive, di massa – quando questo è possibile -, ma senza mai cedere alla facilità di abbandonare i poverissimi della società, i senza tetto, gli ipotecados, gli indebitati, i nuovi poveri, e tutte le altre vittime del saccheggio capitalistico odierno.

Non aver paura è resistere al potere ed esprimere potenza d’invenzione, di produzione sociale e politica. I ragazzi – quelli che hanno fatto casino – esprimono, con la loro rabbia, non la capacità ma l’incapacità di rispingere la paura del potere. Si può tuttavia probabilmente vincere gli eventuali caratteri distruttivi di alcuni settori del movimento dei poveri – a condizione che si abbia un programma positivo, maggioritario, materialmente definito. Oggi quel programma del comune si è già ampiamente manifestato nei referendum e nelle elezioni municipali, contro le macchine partitiche. Si tratta di procedere su questo terreno.

Svolgere il tema del comune costituente nella lotta rappresenta dunque oggi forza maggioritaria. A Reggio Emilia nel 1960, e a Genova nel 2001, dei compagni sono stati uccisi – ma il movimento non aveva paura, era unito, vinse perché non escludeva nessuno a priori, mise polizia e governi davanti all’evidenza di un irresistibile ostacolo. Oggi, volendo presentarsi con un programma minimo, cercando alleanze in una parte del ceto politico screditata e corrotta quanto lo è il ceto politico di destra, si è finito per rafforzare Berlusconi. Tutti dunque sembrano consapevoli che siamo giunti ad una impasse. Un’impasse di programma prima che di metodo. Ma come metterlo nella testa di coloro che vedono un insorto in ogni povero che non ha più paura?

5) Siamo infine anche di fronte ad un’impasse di metodo. Non erano stati dati obbiettivi al corteo di Roma. Di contro, a Madrid, sono stati i palazzi del potere e le banche ad essere assediate da mezzo milione di Indignados. Gli stessi che, immediatamente dopo, hanno ripreso le loro attività di quartiere, uniti da un’unica organizzazione orizzontale, usando reti, socialnetworks e twitts in modo astuto, chiamando tutti dove c’era bisogno, su uno sfratto come nelle scuole occupate, o negli ospedali autoamministrati.

A Barcellona, duecentomila persone si sono ritrovate: poi si sono formati tre cortei, l’uno ha occupato un ospedale, l’altro l’università ed un terzo un enorme magazzino per farne un centro sociale. A Piazza San Giovanni bisognava invece arrivare per ascoltare i politici di prima, seconda e terza generazione? Vi stupisce che nasca il bordello che c’è stato? Qual è stato il metodo, qual è stata la gestione politica del comune in quel caso?

Attorno al metodo – è bene sottolinearlo – i movimenti italiani conoscono un limite di fondo: mai sono stati capaci di cogliere nell’orizzontalità, nella massificazione del movimento, la singolarità della decisione – la decisione voluta da tutti, e che nasce solo quando se ne parla prima, quando se ne discute a lungo, quando se ne dibatte senza la paura di esser ascoltati, senza aver voglia di esser subito intervistati. Speriamo che quanto è avvenuto non rappresenti l’ultima avventura dei movimenti nati negli anni novanta, che riconobbero nella forma-manifestazione l’evento decisivo. C’è un nuovo movimento oggi, che considera il comune costituente come il suo orizzonte e la discussione senza paura e senza autorità come il suo metodo. Si tratta di lasciargli spazio e voce.

 “Lasciateci fare politica”, dicono alcuni. Certo. Intanto, noi proviamo a costruire il movimento degli Indignados.

 18 ottobre 2011

http://uninomade.org/note-sul-15-ottobre/

 

Roma, 15 Ottobre 2011

Il 15 ottobre è stata una giornata fatta vivere da centinaia di migliaia di persone che si sono mobilitate contro la crisi e l’austerity. In questa partecipazione emerge la volontà determinata di cambiare, di trovare strade alternative alle ricette della banca europea e un tentativo di prendere parola in prima persona.

San Precario

La parte di corteo sotto le “insegne” di San Precario e Santa Insolvenza è stata costruita in assemblee pubbliche con centinaia di persone, con delegazioni di 15 città, dal nord al sud dell’italia, con migliaia di precarie/e, migranti e studenti. Immaginata e realizzata all’interno della rete degli Stati Generali della Precarietà che sta puntando alla realizzazione dello sciopero precario, di cui l’Hub Meeting di Barcellona è stato un momento fondamentale (leggi la dichiarazione finale del meeting); rete che ha anche preso posizione dopo il 15 ottobre in solidarietà con il movimento italiano.

Leggi: Que se vayan todos! *15 Ottobre giornata globale contro l’austerity: Dal diritto all’insolvenza allo sciopero precario Il punto di vista precario e la Global Revolution* Il 15 Ottobre tutti a Roma!

San Precario, a cui molte realtà si sono unite direttamente in piazza della Repubblica, ha dato vita ad alcune iniziative di comunicazione, da quella all’albergo Exedra-Boscolo fino all’occupazione del Foro Romano, ma di certo non ha avuto nessuna regia di una presunta escalation del livello di scontro raggiunto dalla manifestazione.

San Giovanni

Da parte delle forze dell’ordine c’è stata una gestione intenzionalmente mirata a dividere definitivamente il corteo, con cariche generalizzate da via Labicana dove il nostro spezzone è stato caricato alle spalle, fino a piazza San Giovanni, con l’accanimento su manifestanti inermi e caroselli dei blindati lanciati addosso alla gente. A questo migliaia di persone hanno risposto opponendo una tenace resistenza esprimendo una parte sostanziale di quella rabbia che vediamo ogni giorno crescere di fronte ad una insopportabile precarietà della vita intera.

Le reazioni

Nei mezzi di comunicazione, nei giorni successivi, è partita una superficiale lettura di questa giornata a cui, purtroppo, molti esponenti politici danno conferma costruendo sulle spalle di alcuni un capro espiatorio. Una gran confusione che crea un mostro mediatico da sbattere in prima pagina. Un clima che ancora oggi permette che gli arrestati restino in carcere preventivo per reato di “legittima resistenza” (vai alla petizione “15 ottobre: liber* tutt*“)

Repubblica: “I nuovi brigatisti”Su Maroni che riferisce alla cameraRepubblica su AcrobaxAcrobax rettifica Repubblica.it Catarci presidente XI municipio

Comunicati e prese di parola nel movimento

Il nostro 15 ottobre: un punto di vista precarioLaboratorio Acrobax – Intervista di Acrobax al Manifesto Sono un acrobata… –  Coordinamento cittadino di lotta per la casaTimeOut Bologna  – San PrecarioOfficina 99 e antagonisti campani Attivisti indipendenti di BariMilitant Centri sociali di MilanoL38 SquatAll Reds RugbyRetelettere RomaTre Collettivo Fuorilegge RomaTre  –  Generazione PrecarianEXt EmersonReality Shock Connessioni PrecarieHub Meeting, comunicato al movimento italianoRadio Onda RossaKnowledge Liberation FrontSofiaRoney laboratorio filosofico

Altri interventi e dibattiti

Roma, il racconto di un autonomo: “Niente comizi, la piazza si conquista”

Una generazione nata precaria, mentre scompare la mediazione

Intervento di Valentino Parlato

Dietro il passamontagna del 15 ottobre, di L. Caminiti

La forma corteo è finita, ce ne vuole un’altra di Girolamo de Michele | il Manifesto

Distruggere la paura, affermare il comune (di Uninomade)

Note sul 15 ottobre, di Toni Negri

Dibattito su Giap! di wumingfoundation

 

Hub Meeting: comunicato di solidarietà con il movimento italiano

Di fronte alle minacce di arresti preventivi e indiscriminati e alla forte ondata repressiva a cui é sottoposto parte del movimento italiano, vogliamo esprimere, mediante questo comunicato, la nostra massima vicinanza e solidarietá.

“Organizzatori di guerriglia urbana, provocatori professionisti”, ecc… sono alcune delle definizioni qualificative che i media main stream, i partiti politici e i corpi di polizia stanno utilizzando per criminalizzare quelle forze antagoniste che hanno partecipato attivamente alla costruzione collettiva del 15 Ottobre a livello internazionale.

Dimostrazione di tutto questo é la partecipazione all’Hub Meeting del 15 Settembre a Barcellona degli Stati Generali della Precarietá, rete italiana che include diversi collettivi e centri sociali come San Precario e Acrobax.

In questo incontro internazionale, il dibattito fra le molteplici reti, movimenti e realtá sociali é stato fondamentale per la costruzione di un moltitudianria ed eterogenea giornata di mobilitazione globale contro la poltica di tagli e austerity che incide sui pilastri delle diverse forme di welfare e sui diritti sociali dei paesi europei.

La rete degli Stati Generali della Precarietá ha contribuito attivamente alla costruzione pubblica e collettiva di un ambito di dibattito comune e condiviso per molte e molti dove denunciare la crisi del potere e iniziare la costruzione di concrete alternative contro la precarietá delle condizioni materiali di vita.

É per tutto questo che rifiutiamo qualsiasi attribuzione di responsabilitá e di una organizzazione preventiva rispetto ad un’esplosiva situazione che si é verificata durante la manifastazione, cosí come rifiutiamo il linciaggio mediatico e repressivo in atto contro attivisti e movimenti per la ricerca di capri espiatori da parte del governo italiano.

Ribadiamo la nostra vicinanza e solidarietá alle reti sociali che sono ingiustamente criminalizzate e chiediamo la scarcerazione immediata degli attivisti arrestati.

Rete internazionale del Hub Meeting

http://bcnhubmeeting.wordpress.com/

 

 

COMUNICATO DI SOLIDARIETÁ CON IL MOVIMENTO ITALIANO

Di fronte alle minacce di arresti preventivi e indiscriminati e alla forte ondata repressiva a cui é sottoposto parte del movimento italiano, vogliamo esprimere, mediante questo comunicato, la nostra massima vicinanza e solidarietá.

Organizzatori di guerriglia urbana, provocatori professionisti”, ecc… sono alcune delle definizioni qualificative che i media main stream, i partiti politici e i corpi di polizia stanno utilizzando per criminalizzare quelle forze antagoniste che hanno partecipato attivamente alla costruzione collettiva del 15 Ottobre a livello internazionale.

Dimostrazione di tutto questo é la partecipazione all’Hub Meeting del 15 Settembre a Barcellona degli Stati Generali della Precarietá, rete italiana che include diversi collettivi e centri sociali come San Precario e Acrobax.

In questo incontro internazionale, il dibattito fra le molteplici reti, movimenti e realtá sociali é stato fondamentale per la costruzione di un moltitudianria ed eterogenea giornata di mobilitazione globale contro la poltica di tagli e austerity che incide sui pilastri delle diverse forme di welfare e sui diritti sociali dei paesi europei.

La rete degli Stati Generali della Precarietá ha contribuito attivamente alla costruzione pubblica e collettiva di un ambito di dibattito comune e condiviso per molte e molti dove denunciare la crisi del potere e iniziare la costruzione di concrete alternative contro la precarietá delle condizioni materiali di vita.

É per tutto questo che rifiutiamo qualsiasi attribuzione di responsabilitá e di una organizzazione preventiva rispetto ad un’esplosiva situazione che si é verificata durante la manifastazione, cosí come rifiutiamo il linciaggio mediatico e repressivo in atto contro attivisti e movimenti per la ricerca di capri espiatori da parte del governo italiano.

Ribadiamo la nostra vicinanza e solidarietá alle reti sociali che sono ingiustamente criminalizzate e chiediamo la scarcerazione immediata degli attivisti arrestati.

Rete internazionale del Hub Meeting

EX Emerson di Firenze sul 15O chi fa la spia non è figl* di maria

Chi fa la spia non e’ figli* di maria
(se fai la spia la madonna piange)

Comunicato nEXt Emerson di Firenze. Il 15 Ottobre per le strade di Roma si è mosso un animale imbizzarrito.Un po’ goffo,contradditorio, confuso, viscerale. Un corteo di 300 mila persone, completamente autorganizzato, sintomo di un malessere diffuso e particolarmente sentito. Un corteo di pancia e poco di testa. Dal quale un po tutti sembrano rimasti disorientati. D’altronde quando le azioni sono mosse da sentimenti profondi i risultati sono spesso confusi ed ambigui. Solo una cosa svetta nitida al di sopra delle nebbie della soleggiata giornata romana: la profondità della crisi che ci circonda. Il 15 Ottobre è stato la deflagrazione di una rabbia che sembra oggi più che mai patrimonio dei giovanissimi, generazione disillusa e consapevole della propria mancanza di futuro. Persone che non possono esprimersi altrimenti semplicemente perché non hanno più nulla da dire, private quotidianamente della dignità della parola, divenuta abusata, vuota e, di conseguenza, inutile.
Non crediamo che una rabbia del genere sia romanticamente piacevole, non di meno e’ quello che abbiamo sotto gli occhi. Evidentemente era il destino di questa data, quello di far giungere al pettine alcuni nodi della società attuale, o almeno di una parte di essa. Durante il corteo e per tutta questa settimana abbiamo assistito ad uno spettacolo osceno, angosciante, grottesco al limite del ridicolo, messo in scena da attori dilettanti e professionisti: quello della delazione. Giornali e televisioni hanno orchestrato una sorta di “tiro al piattello al violento”, degno dei peggiori sogni di regime, un gioco a metà tra il reale ed il virtuale, una caccia alle streghe vissuta come la materializzazione di un videogame.
Quotidianamente ci viene gettata addosso una carica di violenza spaventosa, fino a quando diventa la nostra normalita’. Normali e inevitabili i morti sul lavoro, le guerre, i cie, le carceri, la devastazione dell’ambiente, dei rapporti sociali, normale scambiare la vita con i soldi, le cose con le persone e alla vista di un vetro infranto impazzire. Si puo’ discutere l’opportunita’ politica, la scelta strategica delle azioni di piazza. Ma questa sagra della delazione e’ l’immagine di una societa’ senza senso che quando si accorge di aver perso la strada invoca la legalita’ come se fosse un dio, come se un serial killer che miete ogni giorno milioni di morti, si appellasse all’autorita’ della maestra, perche’ il proprio vicino di banco attacca le caccole sotto la sedia.Meno male che in questo legalissimo paesone di provincia in cui viviamo siamo riusciti a costringere un ragazzo di ventidue anni a consegnarsi alle forze dell’ordine portando con sè i propri jeans a vita bassa. Se non avessimo catturato il pericolosissimo er pelliccia questo mondo sarebbe stato proprio brutto, possiamo tutti tirare un sospiro di sollievo. Subiamo da questo sistema una quantita’ di violenza che er pelliccia,ci scusi per l’abuso del suo soprannome, non saprebbe infliggerci neppure in mille anni. E quando qualcuno esasperato esplode la propria rabbia, infieriamo su di lui, come se non evidenziasse un problema, ma lo incarnasse. Siamo un paese dalle reazioni scomposte e insensate, fiero del tritacarne in cui vive e pronto a scagliare la prima pietra purchè sia contro un bersaglio legato mani e piedi.

Chissà se grazie alle sue qualità ultrapsichiche la madonna frantumata, icona delle violenze romane, e’ in grado di mettersi in contatto con gli operai caduti da impalcature irregolari o con i migranti diventati cibo per i pesci nel Mediterraneo.

Probabilmente non avrebbe molto da dirgli. Probabilmente arrossirebbe di vergogna.

La nostra solidarieta’ ad acrobax, alle realta’ autogestite/autorganizzate presenti in piazza il 15 ottobre, a tutt* gli/le arrestat* , e perquisit*.

Generazione Precaria sul 15 ottobre

sul 15 ottobre – ex cineteatro preneste occupato – G.P.R.V

Un anno fa un gruppo di precari e precarie ha liberato uno spazio abbandonato dal 1983, l’ex cinema-teatro preneste.

In questo anno, si sono moltiplicate in quello spazio iniziative sociali, culturali, politiche – fino a farlo divenenire un punto quotidiano di incontro e confronto.

Fra le tante iniziative, ha avuto un significato particolare ospitare una parte dell’assenmblea nazionale verso lo sciopero precario ed essere luogo di riunione di diversi incontri del relativo laboratorio metropolitano, al quale del resto molti di noi hanno partecipato per mesi.

Un percorso, quello dello sciopero precario, pubblico – partecipato – inclusivo – alla luce del sole, che ha visto confrontarsi precari, associazioni, pezzi di società, sindacati di base e persino confederali su cosa voglia dire praticare lo sciopero, ovvero l’attacco al profitto come forma di rivendicazione, ai tempi della precarietà.

Un percorso molto diverso da quello che è stato raccontato da alcuni giornali (in particolare, sole24ore e repubblica), che nella necessità spasmodica ed esorcizzante di spiegazioni semplicistiche sulla giornata del 15 ottobre hanno coinvolto anche questo percorso.

La giornata del 15 Ottobre è stata complessa e contraddittoria, se ne deve parlare – nelle sedi di movimento, nelle scuole, nei bar, nei luoghi di aggregazione dal basso come quello che animiamo da un anno, nelle facoltà, sui muretti – con la franchezza e l’umiltà necessaria, sfuggendo ad ogni semplificazione.

Resistere ad una carica della polizia è diverso dal bruciare una macchina che è diverso ancora dal voler manifestare oltre alle prescrizioni della questura. Non sta a noi, in queste righe, valutare o giudicare nessuno di questi comportamenti – ma certo non si può ridurre tutto ad una dicotomia forzata del tutto funzionale al tentativo spregiudicato del governo di colpire la possibilità di manifestare ed organizzarsi dal basso.

In questa prospettiva, esprimiamo la nostra solidarietà politica ed il nostro abbraccio umano alla comunità resistente del LOA acrobax con la quale molto di noi hanno condiviso – in accordo ed in disaccordo – tanti percorsi politici e che sta subendo una grave campagna di criminalizzazione, a tutti i feriti del 15 0ttobre ed in particolare ai due liceali (uno colpito con una manganellata a terra, mentre era inerme, in viso e l’altro investito da una camionetta nel corso dei vergognosi caroselli) ed a tutti gli arrestati che stanno svolgendo il ruolo di facili “capri espriatori” con imputazioni e teoremi che si profilano come forzature sulle stesse norme penali.

EX CINETEATRO OCCUPATO PRENESTE

“Generazione P. Rendez-Vous”

(pigneto, roma)

Distruggere la paura, affermare il comune

 di COLLETTIVO UNINOMADE

0. Nella sera romana illuminata dai fuochi di Piazza San Giovanni, abbiamo cominciato a interrogarci sulla giornata del 15 ottobre, su ciò che ha rivelato nelle molteplici scale geografiche che si sono incrociate a produrne la dimensione globale, sulla forza e sulle potenzialità che ha fatto emergere, sui problemi che consegna alla nostra riflessione e alle nostre pratiche. Lo abbiamo fatto e continuiamo a farlo da materialisti, convinti – per citare uno che la sapeva lunga – che le azioni umane non vadano derise, compiante o detestate, ma prima di tutto comprese. Proviamo a farlo con queste note, segnalando alcuni dei punti che ci sembrano più rilevanti.

1. Partita da un appello degli indignados spagnoli, la mobilitazione del 15 ottobre si è diffusa in centinaia di città ai quattro angoli del pianeta, a riprova dell’efficacia di uno stile di azione e di un linguaggio politico (quello degli indignados, appunto) che meglio di altri paiono adattarsi alle modalità asimmetriche con cui la crisi colpisce società e popolazioni in diversi contesti geografici. La profondità della rottura dello sviluppo capitalistico si è riflessa nello specchio globale del 15 ottobre, offrendo un quadro ancora parziale ma tuttavia rivelatore dell’intensità delle lotte e delle ipotesi costituenti che ovunque cominciano a presentarsi. Straordinarie sono state le mobilitazioni di Madrid e Barcellona, concluse con assedi ai palazzi del potere, con occupazioni di scuole, palazzi e ospedali. Ma molto importanti sono state anche le manifestazioni negli Stati Uniti, che hanno portato un osservatore attento come Immanuel Wallerstein a parlare del più rilevante movimento sociale in quel Paese dal ’68. Anche qui l’occupazione fisica di uno spazio centrale a New York e l’indignazione di fronte al potere della finanza sono stati i tratti fondamentali di una radicalità che si è diffusa, in particolare dopo l’occupazione del ponte di Brooklyn, in altre città statunitensi. Attorno a questi punti alti della dinamica di indignazione si sono disposte le altre iniziative, più o meno consistenti dal punto di vista della partecipazione ma comunque essenziali nel dare un respiro globale alla giornata.

2. La manifestazione di Roma si è collocata all’interno di questo quadro con evidenti elementi distonici, che erano apparsi chiaramente già nelle modalità della convocazione e nel percorso della sua preparazione. Politicismo e provincialismo hanno pesato in Italia come in nessun altro contesto, e troppi sono stati i tentativi di sovrapporre il classico format della “manifestazione nazionale” a una convocazione che, proprio in quanto proveniente “dall’esterno”, garantiva una mobilitazione che nessuna forza organizzata è oggi in grado di determinare. Le logiche della rappresentanza (politico-istituzionale e/o di movimento) hanno così fin da principio introdotto elementi di “corruzione” all’interno della costruzione italiana del 15 ottobre. E non è certo un caso che realtà di lotta forti e radicate ma estranee alla logica della rappresentanza, come il movimento NoTav e gli “stati generali della precarietà” siano stati immediatamente indicati dai media come “responsabili” degli incidenti. La ricerca del precario gentile e del militante ragionevole, meglio ancora se ravveduto da un passato di sregolatezza, è stata una costante nei giorni successivi al corteo romano, essenziale alla costruzione della favoletta di un movimento “buono” (cioè compatibile con le logiche della rappresentanza) e una minoranza di “cattivi” e guastatori. Repubblica è stata particolarmente zelante in questa ricerca, a cui ha fatto da contraltare una patetica attività “investigativa” per individuare le realtà politiche da colpire. Ma come spesso accade, il “partito dell’ordine” ha unito in un unanime coro forcaiolo improbabili alleati – da Di Pietro a Maroni, da Repubblica al TG1.

3. La manifestazione, in ogni caso, è stata prima di tutto gigantesca, percorsa al proprio interno da una profonda eterogeneità sociale e culturale, prima ancora che politica. L’antiberlusconismo è stato senz’altro ben presente nei toni e nei sentimenti di molti e molte partecipanti. E abbiamo visto nella delazione di massa cominciata già in piazza, e poi rilanciata dai media (in primo luogo ancora da Repubblica), la faccia più inquietante dell’apologia della legalità che ha attraversato negli ultimi anni gli stessi movimenti. Su tutt’altro versante, è emersa la presenza di un’area che ha caratterizzato la prima parte del corteo con azioni dirette, a volte contro obiettivi chiaramente individuati (ad esempio le banche) a volte con cieca furia distruttiva. Tra queste due aree, il corteo romano era fin troppo affollato di gruppi, gruppetti e gruppazzi, ciascuno con le sue ipotesi su come rappresentare l’unità del movimento che manifestava a Roma. Nessuno è stato in grado di farlo, tutte quelle ipotesi si sono dimostrate non all’altezza del problema che politicamente la giornata del 15 poneva, quando non velleitarie. Questa “densità” di strutture politiche che in forme diverse fanno riferimento al “movimento” è una peculiarità italiana che ha finito per agire da freno rispetto al dispiegarsi di dinamiche di unificazione della protesta che altrove, ad esempio nei due casi citati in precedenza (in Spagna e negli Stati Uniti), si sono dispiegate in modo originale e autonomo. Nel vuoto politico che si è aperto a Roma sabato (ma che già si era palesato nelle settimane precedenti) lo spaesamento si è unito alla rabbia, fino all’esplosione di rivolta sociale in Piazza San Giovanni, con ore di resistenza e attacco di fronte alla violenza della polizia, a cui hanno partecipato migliaia di giovani e meno giovani. Qui, con ogni evidenza, comportamenti, pratiche, modi di stare in piazza (tra cui vanno ricordati quelli delle migliaia di altri manifestanti che semplicemente hanno rifiutato di andarsene) hanno dato allo scontro un segno totalmente diverso rispetto a quanto si era visto nelle ore precedenti.

4. Là dove si è manifestata in forme politicamente significative, la dinamica dell’indignazione presenta caratteri di radicale rottura, indipendentemente dal fatto che si esprima in forme diverse dallo scontro di piazza. E’ evidente in Spagna la rottura con la rappresentanza politica, a partire dalla banale circostanza che il movimento si è formato contro un governo di “sinistra” in cui molti avevano visto l’astro nascente di un nuovo riformismo socialista e non può certo avere nel Partito popolare il suo interlocutore. Ma l’occupazione degli spazi urbani, il dilagare nei quartieri, le occupazioni e le esperienze di autogestione dei servizi alludono a una dimensione pienamente costituente. Negli Stati Uniti d’altro canto, in un contesto completamente diverso dal punto di vista delle tradizioni e delle dinamiche politiche, è stata in primo luogo l’occupazione degli spazi urbani, al prezzo di centinaia di arresti, a esprimere la radicalità e consolidare la forza del movimento. Diffusa ovunque è poi la parola d’ordine della lotta contro il debito, che allude a un essenziale terreno di campagna comune. Crediamo che questi aspetti di radicalità e rottura segnino un punto di non ritorno per lo sviluppo delle lotte e dei movimenti dentro la crisi. Si tratterà di “tradurli” nei diversi contesti, senza pensare che esistano modelli “universali” (o “globali”). Ma indietro non si torna! A fronte dei processi di precarizzazione lavorativa ed esistenziale, di pauperizzazione generalizzata, di esclusione e declassamento, di espropriazione finanziaria, di emarginazione sociale, che nella crisi mostrano la loro faccia più feroce, la radicalità delle pratiche deve impiantarsi su una composizione sociale che sempre più trova nella povertà la propria cifra d’insieme. Tutto questo è prodotto dal Capitale. E a noi sembra che le lotte dentro la crisi debbano essere e siano innanzitutto lotte contro il Capitale e contro la povertà che esso ci impone.

5. Se questo è lo scenario che si prefigura per i prossimi mesi, si tratta di comprendere che la povertà viene vissuta da posizioni soggettive assai diversificate, profondamente eterogenee. Questa eterogeneità è un elemento costitutivo della composizione del lavoro vivo contemporaneo. Non lasciamoci ingannare dalla retorica, certo utile per costruire mobilitazione ma non priva di insidie, del 99% della popolazione contrapposto alle oligarchie finanziarie: suggerisce un’immagine di compattezza e di omogeneità dei referenti “sociali” del movimento che ovviamente non trova riscontro nella realtà. Comportamenti distruttivi, se non auto-distruttivi, sono connaturati ad alcune di queste posizioni soggettive. Quando alcune periferie della povertà, come era accaduto a Roma il 14 dicembre ed è tornato ad accadere il 15 ottobre, scendono in piazza, non è il caso di attendersi da loro proposte di riforma costituzionale. Lo si era visto del resto con la rivolta delle banlieues francesi nel 2005 e lo si è visto di nuovo quest’estate in Inghilterra. Non si tratta di fare un’apologia “estetizzante” dei comportamenti che hanno caratterizzato queste insorgenze. Si tratta di scegliere prima di tutto da che parte stare. E c’è una bella differenza tra stare con i poveri, anche se spaccano tutto, e non starci – considerali intoccabili, lebbrosi. Media, polizia e sistema politico non hanno dubbi su quale sia la parte giusta da cui stare. Noi neppure.

6. Solo un programma positivo, maggioritario, materialmente definito può probabilmente vincere gli eventuali caratteri distruttivi di alcuni settori del movimento dei poveri. Per dirla nei termini più semplici possibili: il problema di come far stare insieme in un corteo romano l’artista del Teatro Valle condannato alla precarietà e l’adolescente di Tor Bella Monaca che tendenzialmente a teatro non andrà mai è il problema che poniamo quando parliamo di programma. Il fatto che anche la semplice allusione a questo programma sia mancata nella preparazione del corteo romano del 15 ottobre è ampiamente riconosciuto nel dibattito che attraversa il movimento in questi giorni. Al più si è avvertita la presenza da parte di alcune componenti di un “programma minimo” costruito interamente attorno a linee di alleanza sindacale e politico-istituzionale (e non può stupire che a molti quel programma minimo sia apparso come un “opportunismo massimo”). A ciò si aggiunge la mancanza di obiettivi caratterizzati a un tempo da radicalità, immediata leggibilità e potenziale condivisione da parte della grande maggioranza dei manifestanti. C’era qui, soprattutto considerando i numeri imponenti del corteo, un limite di fondo che ha avuto un ruolo di primo piano nel determinare la dinamica romana di sabato scorso. Davvero grottesco, in particolare, ci è sembrato il tentativo di riesumare per l’occasione del 15 ottobre il modello del “social forum”. Ci è sembrato grottesco perché non teneva in nessun conto i cambiamenti profondi che si sono prodotti rispetto a una stagione di lotte e mobilitazioni certo importantissima, ma che aveva tra l’altro conosciuto il proprio scacco in una dinamica di rappresentazione sul terreno dell’opinione pubblica e della società civile di cui proprio il modello del “social forum” era stato espressione. La sconfitta della straordinaria mobilitazione globale contro la guerra in Iraq il 15 febbraio del 2003, quando milioni di donne e uomini scesero in piazza in tutto il mondo inducendo il New York Times (e l’ineffabile Repubblica di rimbalzo) a parlare della “seconda potenza mondiale”, è ancora viva nella memoria dei movimenti. Immaginiamo che qualcuno, il 15 ottobre, abbia ricordato con nostalgia l’oceanica manifestazione romana di quel giorno di febbraio. Molti di noi hanno invece ripensato al senso di impotenza provato in quell’occasione di fronte a una guerra che stava per cominciare e che non eravamo riusciti a fermare. E hanno semmai avvertito una certa somiglianza tra quel senso di impotenza e lo spaesamento di molti manifestanti romani il 15 ottobre. Né nelle piazze spagnole né a Zuccotti Park a New York si respirano senso di impotenza e spaesamento.

7. Attorno al metodo – è bene sottolinearlo – i movimenti italiani conoscono un limite di fondo: mai sono stati capaci di cogliere nell’orizzontalità, nella massificazione del movimento, la singolarità della decisione, ovvero la decisione voluta da tutti, e che nasce solo quando se ne parla prima, quando se ne discute a lungo, quando se ne dibatte senza la paura di esser ascoltati, senza aver voglia di esser subito intervistati. Speriamo che quanto è avvenuto non rappresenti l’ultima avventura dei movimenti nati negli anni Novanta, che riconobbero nella forma-manifestazione l’evento decisivo. C’è un nuovo movimento oggi, che considera il comune costituente come il suo orizzonte e la discussione senza paura e senza autorità come il suo metodo. In Italia, questo movimento si è espresso attorno alle elezioni amministrative e nei referendum della scorsa primavera, nelle lotte contro la TAV in Val di Susa, vive nelle mille esperienze di auto-organizzazione e di lotta di precari e migranti. Si tratta di lasciargli spazio e voce, nella consapevolezza che solo un progetto costituente può unificare tutti nel movimento. In Spagna, l’elemento qualificante di questa unificazione è stato senz’altro l’acampada. Il vivere insieme nelle piazze. Poi si sono sviluppati comitati di quartiere su cui si sono assommate le funzioni dell’emancipazione concreta del proletariato moltitudinario. Si tratta di camere del lavoro metropolitano e di centri di occupazione e di autogestione delle istituzioni del Welfare ormai disertate dallo Stato. Ma c’è ben altro. La chiave del modello costituente nella vita condivisa sta nella distruzione della “paura” che troppi ancora sentono, non appena si tratta di stare insieme. Una distruzione praticata con esperienze pacifiche, collettive, di massa – quando questo è possibile –, ma senza mai cedere alla facilità di abbandonare i poverissimi della società, i senza tetto, gli ipotecados, gli indebitati, i nuovi poveri, e tutte le altre vittime del saccheggio capitalistico odierno. Non aver paura è resistere al potere ed esprimere potenza d’invenzione, di produzione sociale e politica. Attorno alle lotte contro il debito, le privatizzazioni, contro la speculazione sulle “grandi opere”, per l’organizzazione comune dei servizi di Welfare e per la riappropriazione della rendita finanziaria alcuni elementi di programma stanno cominciando materialmente a definirsi. Non è certo all’interno dei confini degli Stati nazionali che questi elementi possono comporsi e saldarsi efficacemente! La conquista dello spazio europeo, lacerato dalla crisi e trasformato nelle sue stesse geografie tanto dalla crisi stessa quanto dai movimenti di rivolta nel Maghreb, torna qui a proporsi come compito immediato e straordinariamente urgente per le lotte e per i movimenti.

Ps: mentre scriviamo molte ragazze e ragazzi sono ancora in galera. Chiederne l’immediata scarcerazione, senza se e senza ma, è il dovere comune di tutte e tutti. Pensiamo che nessuno possa avere dubbi su questo.

www.uninomade.org

 

Collettivo Fuorilegge sul 15 ottobre

IL DISSENSO NON SI ARRESTA

Giunge oggi la notizia della convalida del carcere per 9 dei 12 compagni fermati dalle forze dell’ordine durante i fatti verificatisi a Roma lo scorso 15 ottobre. Molto è stato detto in merito a questi fatti, a partire dai quali, a livello mediatico, politico e giurisdizionale, si è innescata una deprecabile gara allo sdegno ed alla delazione, che ha travolto tutte e tuttiTutte le motivazioni di un percorso complesso e partecipato da migliaia, che ha portato ad affrontare in modo critico ed alternativo i temi della crisi economica e politica che stiamo attraversando, noi italiani come molti altri in Europa e nel Mediterraneo. Tutti i soggetti che in questo percorso sono confluiti, per arricchirlo con le proprie idee ed il proprio impegno politico, e che lottano ogni giorno sul territorio per portare avanti un ideale di militanza politica in cui credono, senza averne in cambio nulla se non la soddisfazione di esser parte di quel piccolo cambiamento che giorno dopo giorno potrà portarci a costruire quella società più giusta a cui tutto il movimento tende.
Se questi temi sono stati offuscati la colpa è da ricercarsi anche nei mezzi di stampa, che non hanno certo perso l’occasione di lanciarsi nel sensazionalismo, fantasticando sull’esistenza di registi occulti e nuovi brigatisti. Hanno scordato invece di rilevare quanto gremita fosse piazza San Giovanni: non 50, né 500, bensì almeno 5000 erano i compagni che, di qualsiasi foggia vestiti, hanno resistito alle vili cariche dei blindati; ed evitando di rilevare che tutta la folla che in quella piazza era presente, seppur con pratiche diverse, ha cercato di difenderla con le proprie forze, tutti e tutte opponendosi al comportamento delle forze dell’ordine, manovrate a tavolino per esasperare la situazione e distogliere l’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica dalle ragioni della protesta. Inoltre vergognoso è stato puntare il dito contro il centro sociale Acrobax, definito gestore e manipolatore delle vicende di piazza, per il semplice fatto di aver espresso alla luce del sole la propria contrarietà alla scelta di piazza san giovanni come meta del corteo, critica non solo condivisa da parte nostra, ma legittimamente espressa nell’ottica di discussione e confronto orizzontale all’interno del movimento. Delegittimare a mezzo stampa ed in sedute parlamentari una struttura considerata “scomoda” perché attiva nei percorsi più critici di questi tempi di crisi causati dalle politiche governative neoliberiste miranti alla distruzione dello stato sociale, con il chiaro intento di fare terra bruciata intorno a ciò che è considerato un ostacolo per le forze partitiche di qualsiasi schieramento, costituisce una pratica a cui troppo spesso abbiamo assistito e che continueremo a condannare con fermezza. Nessuno nega che vi siano stati errori nel corso del corteo, che saranno oggetto di autocritica all’interno del movimento, ma questi non possono costituire l’unico elemento di analisi sulla giornata del 15, offuscando di conseguenza, non ci stancheremo mai di ripeterlo, le ragioni della protesta; né tanto meno possono essere capo di imputazione nei confronti di precise realtà sociali all’interno del corteo, che con i singoli episodi nulla hanno a che vedere.

Quello che abbiamo visto sabato non è stata un’azione premeditata, con un mandante ed un fine sovversivo. Ciò che noi abbiamo visto, invece, è stata in gran parte l’espressione frustrata e rabbiosa del disagio di quella parte del nostro Paese che è umiliata ogni giorno da una politica strafottente, incapace di dare risposte concrete alle richieste di cambiamento che il progresso ci impone. Molti politici e giornalisti non sono in grado di comprendere le istanze, così come i sentimenti, di un “ceto” al quale essi sono totalmente estranei e con il quale, a forza di occuparsi delle concubine del Presidente del Consiglio, hanno perso qualsiasi contatto.
Davanti al procedere combinato della macchina repressiva dello Stato e della macchina del fango mediatica, sale la nostra autentica indignazione, e non si placa la nostra rabbia.
Né buoni, né cattivi.
Libertà per tutte e tutti.
Collettivo Fuorilegge