La Valle non si vende la Valle si difende, per l’Indipendenza e la libertà!

Sabato 3/3/2012 h 15 Piazzale Tiburtino – Roma – Tutti in piazza

La Valle non si vende la Valle si difende!

Uno scheletro della politica di palazzo come Fassino dice che il movimento NoTav è cambiato e non sa quanto è vero… non immaginano neanche questi signori quanto la lotta possa far crescere la consapevolezza delle proprie ragioni e la determinazione nel continuare ad affermarle anche man mano che il prezzo della resistenza cresce: notav in carcere, notav in ospedale, notav portati via di peso, calpestati e inseguiti fin nelle proprie case. Non immaginano neanche lor signori chiusi nei palazzi quanto la determinazione di quel popolo resistente abbia risvegliato le coscenze e le emozioni di tanti e tante che non possono assistere in silenzio alla miseria del presente, allo scippo di democrazia, all’ingordigia dei potenti nel divorare risorse, territori e umanità per i loro meschini profitti.

Come la battaglia per l’acqua bene comune ha centrato bene nello slogan “si scrive acqua si legge democrazia” così la ventennale lotta no tav ha affermato le sue ragioni e ora naturalmente si spinge oltre per evidenziare e contrastare quel gap di democrazia che ha ormai reso le istituzioni di ogni ordine e grado la mera interfaccia degli interessi privatistici di speculazione sulle risorse pubbliche e i beni comuni come appunto l’acqua o i territori.

 

El pueblo unido funziona sin partido!

Questo è il vero elemento che turba il sonno dei governanti non già la violenza il cui livello e la cui intensità rimane ben al di sotto di quella violenza che si dà nel sociale e nella quotidianità fatta di povertà galoppante, precarietà esistenziale e disgregazione sociale. Abbiamo letto sui giornali frasi del tipo “la drammatica sequenza” con riferimento al video del giovane con la barba rossa che “aggredisce un poliziotto inerme dietro la sua armatura” ma sappiamo bene che chi legge non è stupido anche perchè viviamo sulla nostra pelle la vera violenza: quella degli sfratti per morosità incolpevole, dei licenziamenti immotivati, del lavoro squalificato, svilito e sottopagato, quella dell’arroganza dei potenti che anche e soprattutto nella crisi trovano sempre nuove occasioni di speculazione e sfruttamento.

 

Quella che viene sbattuta in prima pagina come inaccettabile violenza mette il potere tutto di fronte all’irrimediabilità di una crisi della rappresentanza non più reparabile. Lo ammettono ormai gli stessi partiti che addirittura parlano di slittamento delle elezioni amministrative e perchè no anche di quelle politiche, il cui svolgimento sarebbe inutile e vanificato dall’egemonia dei tecnici su ogni velleità della politica rappresentativa.

Da Napolitano in giù tutti si sperticano in appelli alla coesione sociale sapendo bene che nel momento in cui la si invoca è già irrimediabilmente perduta.

Incrinata in maniera profondissima a partire proprio dal primo articolo della Costituzione laddove la coesione sociale fu affidata al lavoro: pensate per un attimo a cos’è il lavoro oggi e forse inizierete a capire perchè di coesione sociale davvero non si può più parlare.

Bisognerà che si comincino ad abituare lor signori: l’era del fair play e del consenso incondizionato al capitalismo e ai suoi dogmi non c’è più, l’era dell’Unione EUropea come panacea di tutti i mali dell’italietta tanto meno.

 

Nel nostro paese il trucchetto di sedare ogni dissenso rispetto alla gestione dell’austerity con l’inconfutabilità della ragione e dei tecnici rischia di infrangersi sulle Alpi della Valle di Susa.

 

Da Chiomonte ad Atene, da Bussoleno a Barcellona, da Giaglione al Cairo…

Resisteremo un giorno più di loro!
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Qualche settimana fa si è svolta un’operazione repressiva con decine di arresti e denunce nei confronti di attivisti/e NO TAV in tutta Italia. Da quel momento la solidarietà continua a esprimersi in molteplici forme, dal Nord al Sud del Paese: nessuna/o è sola/o, non ci sono buone/i e cattive/i. Un corteo di 80 mila persone si è riversato nella valle, da Bussoleno a Susa, per dire che il movimento NO TAV non si arresta e non ha paura. Il giorno dopo parte l’allargamento dei cantieri, attraverso l’esproprio militare delle terre valsusine. La resistenza dei NO TAV è immediata. Un compagno, Luca, per impedire l’avanzamento delle ruspe, si arrampica su un traliccio. Inseguito da un carabiniere rocciatore, cade, rischiando la vita: è tuttora ricoverato in ospedale in gravi condizioni. I giornali e i media screditano e minimizzano l’accaduto, insultando il coraggio e la determinazione di Luca. La risposta della Val di Susa è determinata, con blocchi e barricate che vengono immediatamente ricostruite non appena vengono sgomberate. Ancora una volta in tutta Italia la solidarietà si fa sentire con manifestazioni spontanee, presidi, blocchi stradali e ferroviari.
Queste sono solo le ultime pagine di una lotta che va avanti da 23 anni.
Di fronte all’attacco dello Stato nei confronti del movimento No Tav, di fronte alla repressione di ogni forma di conflitto, al di fuori del “consentito”, tanto il 3 luglio in Val di Susa quanto il 15 Ottobre a Roma, è necessario reagire. La lotta contro il Tav fa paura ai poteri politici, economici e giuridici, perché ne mette in discussione la loro stessa essenza. Si vuole reprimere l’autorganizzazione, il rifiuto della delega, la molteplicità e la radicalità di azioni e pratiche. Si vuole colpire tanto il dissenso e il contrattacco nei confronti dei poteri costituiti, quanto la condivisione di esperienze di vita che generano forme di cospirazione e di complicità sociale.
Anche attraverso Il TAV e la politica delle grandi opere il capitalismo vuole imporre ancora una volta l’idea di un mondo sottomesso alle leggi del profitto e dello sfruttamento affaristico dei beni comuni. La Val di Susa fa paura perché la lotta contro il Tav esprime la possibilità concreta di un cambiamento reale allo stato di cose presenti: determinarne il seguito spetta a tutti e tutte noi!

IL TAV E’ OVUNQUE, LOTTIAMO OVUNQUE CONTRO IL TAV

TUTTI/E LIBERI/E!

Sabato 3 marzo, ore 15:00, corteo NO TAV, partenza da Piazzale Tiburtino

Daje Luca, Sempre no Tav, a sarà düra!

Assemblea No Tav di RomaVisualizza altro

Pizzo del Prete: un fortino nella campagna romana.

Sabato 25 Febbraio. Via di Castel Campanile, campagna incontaminata vicino al litorale a metà strada tra Ladispoli e il lago di Bracciano: sulla collina di Pizzo del Prete, che domina la grande e stupenda vallata che dovrebbe accogliere la nuova Malagrotta romana, è stato piantato in terra il primo palo di un “fortino” che verrà costruito pezzo dopo pezzo da chi intende resistere al progetto del Prefetto Pecoraro che ha individuato proprio in questa valle la destinazione della nuova discarica della capitale.

È difficile immaginare un luogo più bello di Pizzo del Prete. Lo spettacolo è suggestivo. Giungendo sul posto, l’immagine è da cartolina in movimento. Una verdissima e morbida collina, segnata da un enorme “NO” di tela che accoglie chi arriva. Tante sagome nere brulicano sul profilo mentre si dirigono verso un trattore pieno di bandiere che se ne sta, immobile, sulla sommità ed ha tutta l’aria di non volersi proprio muovere da lassù. Centinaia e centinaia di persone, poco prima di andarsene, si sono prese per mano e hanno formato un cerchio fino a circondare il “no”. Un aereo sorvola l’area, bassissimo in atterraggio verso Fiumicino. Dall’alto, i passeggeri hanno avuto il privilegio di osservare un grandissimo no-logo umano su sfondo verde. In basso, il trattore viene circondato da un cerchio di gesso, come ulteriore linea di resistenza. Nel cerchio, l’atmosfera è elettrica: c’è la forte sensazione di essere in tanti e di far parte di un momento significativo, quasi un atto fondativo di un percorso che molto probabilmente sarà lungo.

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Nelle vicinanze un borgo medievale, sito archeologico segnalato da cartelli turistici già dall’Aurelia. E sulla collina di fronte, un’azienda agricola, biologica, con gli animali più svariati, compresi i cervi e tutt’intorno a pascolare le pecore che vorrebbero sostituire con la monnezza. Un posto da fiaba, insomma. Lo sarebbe anche oggi se non fosse per le numerose camionette di forze dell’ordine che ne hanno invaso il piazzale. Eppure anche loro non osano avvicinarsi alla collina del no e del trattore, ma lo osservano da qui in lontananza.

Intorno ci sono poche case sparse, alcune isolate sulle colline nei dintorni, altre ammassate in piccole frazioni sulla strada da cui si arriva. Siamo in una delle zone più incontaminate intorno a Roma, forse proprio questo il motivo della scelta del prefetto. Pochi abitanti, poche rogne. Niente di più sbagliato. Non c’è una casa che non abbia uno striscione contro la discarica ed oggi è presente un sacco di gente, segno che anche dai comuni e dalle frazioni più distanti della zona circostante il problema è davvero sentito.

Un presidio partecipato, così come le manifestazioni che si sono svolte nei mesi scorsi contro il piano rifiuti della Regione Lazio, anche detto il piano discariche e inceneritori. Nel tempo la Regione ha annunciato i siti più svariati per sostituire Malagrotta, che sembrava dover chiudere, stavolta sul serio e definitivamente, il 31 dicembre scorso. Da questi paesi minacciati e dai loro dintorni sono scesi in piazza decine di comitati – ovviamente Malagrotta ma anche Corcolle, Riano, Allumiere, Palidoro, Cerveteri, Fiumicino, Ladispoli, Valcanneto – con un messaggio chiarissimo: un’altra discarica non si deve fare, da nessuna parte.

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Le condizioni di Malagrotta del resto non lascerebbero spazio a subbi. Un comitato da anni si batte per la chiusura della discarica, accusata di essere causa di gravi danni alla salute e di inquinamento del territorio circostante: in particolare nelle falde acquifere sarebbero presenti quantità di piombo arsenico e alluminio superiori ai limiti di legge, come evidenziato in un recente studio dell’ISPRA. La Procura inoltre ha aperto un’inchiesta per “omicidio colposo” per quattro morti di tumore tra gli abitanti della zona.

Il sistema dei rifiuti della capitale è Malagrotta-centrico. Questa discarica, dal nome paradossale – il visitatore infatti viene accolto dal cartello “città dell’industria ambientale” – e di proprietà dell’ormai celebre avvocato Manlio Cerroni, il monopolista della mondezza, è l’unica a ricevere i rifiuti di Roma da 30 anni. Ce ne sono altre due molto grandi nei paraggi, a Guidonia e ad Albano, ma ricevono i rifiuti dei comuni circostanti. A Malagrotta invece arrivano ogni giorno 4500 tonnellate di rifiuti dai cassonetti di tutta la città.

In teoria i rifiuti dovrebbero essere conferiti in impianti di trattamento meccanico biologico (TMB), per separare l’organico (quello che può finire direttamente in discarica) da ciò che può essere bruciato negli inceneritori (carta e plastica sostanzialmente). Due impianti di TMB sono di proprietà di Manlio Cerroni e si trovano all’interno dell’area di Malagrotta, altri due sono di proprietà dell’AMA (a Rocca Cencia e sulla Salaria). Questi impianti forniscono la materia prima agli inceneritori, che bruciano rifiuti per produrre energia elettrica. Nel Lazio gli inceneritori sono tre attualmente: uno a San Vittore, uno a Colleferro e quello di Malagrotta di proprietà dell’avvocato.

Il problema è comunque che queste linee riescono a trattare solo una minima parte dei rifiuti, quindi la maggior parte finisce in discarica come “tal quale”, cioè rifiuto indifferenziato, arricchendo Cerroni che viene pagato “tanto al chilo” e guadagna in questo modo tre volte dai rifiuti. La prima per il loro smaltimento in discarica, in monopolio e da 30 anni, la seconda per la vendita dell’energia prodotta dall’inceneritore di Malagrotta e la terza per la produzione di energia da biogas (estratto dai rifiuti interrati in discarica).

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Con il piano rifiuti la Regione Lazio vorrebbe risolvere il problema con la realizzazione di un quarto inceneritore ad Albano, dove esiste già una discarica molto grande che raccoglie i rifiuti dei Castelli, al cui interno alcuni invasi sono stati chiusi per irregolarità dalla magistratura e riaperti d’imperio dalla Polverini. Anche il comitato NoInc di Albano si è mobilitato quindi in solidarietà con gli altri comitati. Una solidarietà che è la prova che non ci troviamo di fronte ad un atteggiamento Nimby (not in my back yard, non nel mio giardino), ma ad una messa in discussione dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti, ponendo l’accento sulla raccolta differenziata come elemento fondamentale di un diverso trattamento dei rifiuti compatibile con la salute e l’ambiente.

Discariche-inceneritori e raccolta differenziata si escludono a vicenda. O si cambia completamente il ciclo dei rifiuti e la filosofia che c’è alla base della gestione attuale, oppure si continua ad investire nel modello discariche e inceneritori.

La politica ha già dato la sua risposta: in nome dell’ennesima emergenza, ha una volta di più delegato un prefetto, Pecoraro, nominato in fretta e furia dal governo i primi di settembre, appena 3 mesi prima della chiusura annunciata di Malagrotta, a trovare un sito definitivo (individuato in Pizzo del Prete). Qui i lavori non dureranno però meno di 36 mesi, e perciò si è resa necessaria l’individuazione di altri due siti di smaltimento provvisorio a Riano Flaminio e Corcolle (Tivoli).

Malagrotta alla fine non ha chiuso neanche stavolta, una nuova proroga ha sfidato ancora le sanzioni dell’Unione Europea verso la Regione Lazio. Ora una calma apparente concede altri 6 brevissimi mesi di tempo per trovare nuove soluzioni che a giudicare dal comportamento delle istituzioni non si ha nessuna voglia di risolvere: Regione, Comune e Prefettura già mettono le mani avanti e accollano ai comitati la responsabilità di non voler risolvere la questione, visto che rifiutano le nuove discariche solo per non farsi avvelenare la terra, l’acqua e l’aria. Il classico rimescolio delle carte, diventato ormai la specialità della politica.

Eppure la chiusura di Malagrotta è stata annunciata da anni. Un periodo in cui nulla è cambiato, nonostante ci sarebbe stato tutto il tempo di trovare l’alternativa. Anzi, di applicarla. Perché l’alternativa esiste, e si chiama raccolta differenziata, oggi ferma al 20% e ad uno sparuto tentativo di porta a porta nel primo municipio. Eppure Roma ha conosciuto la differenziata fino al 1980, sempre per mano di quel Manlio Cerroni oggi Re di Malagrotta, fin quando non si è deciso di aprire una mega discarica, fin quando qualcuno ha deciso di sviluppare ben altri profitti.

Comunque evolva la situazione, ciò che stupisce e sorprende di queste manifestazioni non è tanto il numero di comitati e di paesi coinvolti, ma è proprio la loro unità. Si capisce subito infatti che non siamo di fronte ad un No alla discarica sotto casa propria, ma ad un No a tutte le discariche, a tutti gli inceneritori, No al Piano della Regione e No ad un sistema che da 30 anni gestisce la monnezza a Roma come in molte altre parti d’Italia.

E si va ben oltre il no. É evidente già da quelle poche case intorno a Pizzo del Prete: accanto agli striscioni “no alla discarica”, “no all’inceneritore”, sventola l’immancabile bandiera della campagna Rifiuti Zero (Zero Waste). Qui emerge la proposta alternativa, la forza di un movimento che parla la stessa lingua, porta avanti le stesse parole d’ordine a prescindere da quello che sarà il sito definitivo della discarica. Un movimento che cresce costantemente. La sua forza sembra essere stata proprio questa: mettere da parte le differenze, non accettare nessuna concessione, nessuna compensazione; scegliere fin dall’inizio un nome e un’identità comune, non di partito ma di prospettiva, che toglie i singoli comitati dall’isolamento, offre un senso di appartenenza e permette a chi si avvicina a questo movimento di capirne al volo obiettivi e finalità.

“E’ appena cominciata”, gridavano dal cerchio sulla collina. Sarà dura, verrebbe da aggiungere, ma in ogni caso ne sarà valsa la pena.

Verso Francoforte 19/05/12 – contro la Troika per l’insurrezione del Comune!

Comunicato stampa del gruppo preparatorio della conferenza internazionale contro l’impoverimento della politica troika, Frankfurt am Main, 26 Febbraio 2012

I movimenti stanno pianificando le proteste di massa contro la politica europea la povertà per la Conferenza internazionale d’azione a Francoforte sul Meno.

400 attivisti provenienti da diversi paesi europei hanno concordato
durante il fine settimana in una conferenza internazionale in azione
Francoforte un’agenda comune per le proteste a livello europeo contro
le misure di austerità. Il fulcro delle proteste saranno le giornate
internazionali di azione di 17 a 19 Maggio a Francoforte. Occupazione
programmata degli impianti e delle strutture centrali a Francoforte,
blocchi di massa della BCE e altre banche su 18 Maggio nonché una grande
dimostrazione europeo il 19 Maggio.

La resistenza e l’azione diretta sarà orientata principalmente
contro le strutture che hanno promosso le misure di austerity del governo
federale tedesco, che sono dettate dalla Troika, dalla Banca centrale europea,
dalla Commissione europea e dal Fondo Monetario Internazionale, come in Grecia e in
altri paesi.

La grande affluenza alla Call per l’opposizione al Parlamento europeo e la povertà della politica
sta crescendo in Germania e su scala europea, insieme, le reti transnazionali a maggio a Francoforte tenteranno di imprimere un
segno inequivocabile di solidarietà con l’Europa della crisi, come
ha detto il gruppo preparatorio della Conferenza di azione: “Con
le azioni massicce,  sarà decisiva la protesta concentrata sul quartier
generale della BCE.”

Christopher Little interventista della sinistra: “La mattina del 18 maggio
migliaia di attivisti bloccheranno il quartiere bancario di
Francoforte, nessun dipendente delle banche dovrà andare al
lavoro “.

Alexis Passadakis di Attac: “Il Patto Fiscale e la cosiddetta ESM
sono elementi chiave in soccorso alla trasformazione autoritaria dell’Europa – in altre
parole.  Il governo federale è la forza trainante di questo processo d’impoverimento della politica e dello smantellamento della
democrazia”.

Paola Rudan, un attivista del gruppo Connessioni Precarie (SGP) Bologna:
“I movimenti sociali in Italia, stanno contrastando il potere finanziario, come  qui a Francoforte le nostre lotte contro la precarietà possono
essere effettuate non solo a livello nazionale ma globale. La manifestazione contro la BCE è politicamente importante per
noi perché segna il legame tra la crisi finanziaria e gli attacchi contro
le condizioni di vita e di lavoro in tutta Europa.

Sono poi intervenuti:

Thomas di Occupy Francoforte

Martin Behrsing, Forum sulla disoccupazione in Germania

ed altri…

http://www.european-resistance.org/~~V

Per informazioni e interviste:

* Alexis Passadakis, Attac, Tel. (0170) 268 4445
* Martin Behrsing, disoccupati Forum Germania, tel 0160 – 9927 8357
* Christopher KLein, IL, telefono 0172 – 900 6161
* Thomas, Occupare FFM, thomas.occupy @ yahoo.de
* Paola Rudan, connessioni precarie, Bologna, 0039 328 951 0427

Aggressione di Casapound a Ostia

Stanotte l’ennesima aggressione di Casapound si è consumata ad Ostia. Un gruppo di attivisti che stavano attaccando manifesti sono stati aggrediti. E in questo momento, gli stessi attisti sono trattenuti in questura con l’accusa di rissa aggravata. E’ insopportabile pensare che doversi difendere da un’aggressione comporti anche un’accusa giudiziaria. A maggior ragione se questa è di chiara matrice fascista.La copertura che le istituzioni stanno offrendo al gruppo neofascista di Casapound è veramente ingiustificabile.
Non è bastato un duplice assassinio a Firenze.
Non basta la loro esaltazione del ventennio.
Non basta l’ arroganza del loro razzismo.
La nostra pazienza è agli sgoccioli.Il nostro massimo sostegno al teatro del lido e a tutti/e gli attivisti/e di Ostia.
Saremo al vostro fianco.LOA Acrobax

Sulla riforma del mercato del lavoro in Spagna

Anche se vista dal “loro” punto di vista, pubblichiamo questo interessante contributo sulla riforma del mercato del lavoro attuata dal governo Rajoy in Spagna, utile soprattutto per avere un pò di informazioni e di possibili confronti con la riforma prospettata dal governo Monti.

MERCATO DEL LAVORO IN SPAGNA: UNA BUONA RIFORMA

di Luis Garicano21.02.2012

La riforma del mercato del lavoro varata in Spagna, pur non risolvendo tutti i problemi, può contribuire a porre fine alla distruzione dei posti di lavoro e favorire la creazione di nuova occupazione. Perché dà la priorità agli accordi a livello di impresa, permette riduzioni temporanee dell’orario di lavoro e facilita la flessibilità interna. A patto, però, che il parlamento spagnolo intervenga introducendo alcuni cruciali cambiamenti. E che il governo riesca a spiegare ai cittadini i contenuti e i fini della riforma.

La riforma del governo Rajoy sul mercato del lavoro in Spagna, varata con il regio decreto legge (Real Decreto-ley) n. 3 del 10 febbraio 2012, non è una cattiva riforma: con qualche piccolo ma importante cambiamento nel corso dell’iter parlamentare può porre fine alla distruzione dei posti di lavoro e, senza dubbio, faciliterà la creazione di nuova occupazione. (…)

LE OMBRE

È certamente facile enfatizzare gli aspetti negativi o perfettibili delle nuove norme: la dualità rimane la nota dominante, gli impieghi continueranno a essere temporanei, i contratti sono troppi (anzi, ora ce n’è uno in più). Mentre il proliferare di bonus e sussidi è un errore e una perdita di tempo e denaro: se ci sono risorse da investire, che vengano utilizzate per la formazione dei disoccupati. E l’eliminazione del licenziamento rapido, odiato dai sindacati (con il massimo indennizzo ma senza spese di transazione, che sono quelle che danno lavoro ad avvocati, sindacati, confederazioni imprenditoriali, eccetera) aumenterà i costi di transazione e i contenziosi nel nostro inefficiente apparato giudiziario.
Tuttavia, bisogna riconoscere (ed è la mia opinione personale) che questa non è una mini-riforma. E  può migliorare il catastrofico andamento del mercato del lavoro. Per quale ragione?

COSA CAMBIA

Cominciamo dall’inizio. Il problema principale della Spagna è la flessibilità interna. Immaginate di dirigere un’azienda con 250 dipendenti e di avere di fronte un futuro estremamente incerto. Avete degli utili, ma cominciate a rendervi conto che le banche tagliano i prestiti, che la situazione prende una brutta piega e che i risultati del prossimo esercizio saranno cruciali per la sopravvivenza dell’azienda.
Cosa dovete fare? Dovete salvare l’azienda e salvare quanti più posti di lavoro possibili. L’ideale sarebbe ridurre l’orario di lavoro, riorganizzare il tutto, tentare di mantenere tutti i dipendenti cercando di evitare il disastro. Ma l’attuale regolamentazione imposta dalla negoziazione collettiva lo rende impossibile. Con procedure di licenziamento collettivo (Expedientes de regulación de empleo) di 45 giorni, pagando due, tre, quattro anni di lavoro ai dipendenti che vengono licenziati, l’azienda va a fondo. Che fare, dunque? Resistere, confidare nel fatto che le cose cambieranno, e poi, di colpo, chiudere i battenti.
La riforma prosegue sulla linea di quelle precedenti nell’incrementare gli strumenti atti a favorire l’adeguamento interno. Innanzitutto, perché si dà la priorità agli accordi a livello di impresa. Questo facilita enormemente la flessibilità interna, permettendo a imprenditori e dipendenti di confrontarsi con la realtà specifica di ogni luogo di lavoro. Secondo, perché estende anche alle condizioni salariali la procedura (art. 41 dell’Estatuto de los trabajadores) che permette all’imprenditore (con controllo giudiziario ex post) la modifica unilaterale delle condizioni individuali, ove migliorative rispetto all’accordo collettivo. Terzo, mira a permettere interventi di modifica delle condizioni lavorative e salariali stabilite nei contratti collettivi. In questo caso, l’imprenditore non può adottare misure in maniera unilaterale, ma deve negoziare e affrontare un complesso iter in base all’articolo 83.2 dell’Estatuto de los trabajadores con verdetto finale spettante al comitato consultivo nazionale dei contratti collettivi. Quarto, le riduzioni dell’orario di lavoro previste dall’articolo 47 dell’Estatuto de los trabajadores, in precedenza effettuate su autorizzazione amministrativa, sono ora decise dall’azienda, ma sono a carattere temporaneo e devono rientrare in un insieme di motivi predeterminati. Quinto, la riforma elimina la più grande assurdità del sistema dei contratti, ossia la loro proroga automatica indeterminata (la cosiddetta “ultra-attività”).
Altrettanto importante è il tentativo di facilitare la riduzione della durata della giornata lavorativa. Vorrei richiamare l’attenzione sulla quinta disposizione addizionale: “La disoccupazione sarà parziale qualora il dipendente si veda temporaneamente ridotto l’orario di lavoro giornaliero, da un minimo del 10 a un massimo del 70 per cento, sempre che il salario sia anch’esso oggetto di analoga riduzione. A tali condizioni, si intenderà come riduzione della giornata lavorativa quella che venga decisa dal datore di lavoro secondo quanto stabilito nell’articolo 47 dello Statuto dei lavoratori, a esclusione delle riduzioni di orario lavorativo permanenti o di quelle che si estendano a tutto il periodo rimanente di vigenza del contratto di lavoro”.
In poche parole, pare ci sia il tentativo (e il governo deve essere quell’esempio positivo che finora non è stato) di scongiurare la distruzione dei posti di lavoro per il prossimo anno, che si prospetta terribile, e di spingere i lavoratori ad assumere una posizione realista al fine di salvare la propria azienda e in definitiva, l’economia spagnola.
Il rischio, chiaramente, è che gli elementi di flessibilità interna vengano completamente ignorati e che al loro posto si prospettino mesi di tagli indiscriminati dei posti di lavoro a 20 giorni per giustificato motivo oggettivo: esistono forse aziende che non abbiano tre trimestri di crollo degli utili e che non abbiano personale in esubero? Ovvio, senza la possibilità del licenziamento, la flessibilità non verrà sfruttata né accettata, ma d’altro canto, cosa succede se si ricorre al licenziamento anziché alle possibilità di flessibilità interna, pur con qualche forzatura legale? Di qui la convinzione che il messaggio educativo del governo sia cruciale.
Tra l’altro, la riforma presenta molti altri dettagli che mirano a razionalizzare il bizzarro sistema dei rapporti di lavoro in Spagna. Due in particolare: un intervento migliorativo sul contrasto all’assenteismo, finora ridicolo, e (…) la riduzione dei costi di indennizzo per il licenziamento da 45 a 33 giorni, e soprattutto la riduzione del limite massimo da 42 a 24 mensilità. Il provvedimento ci avvicina alla media europea e riduce la condizione di “quasi-funzionario” assunta ormai da molti impieghi. Questo può incentivare la contrattazione fissa, così come lo snellimento delle cause oggettive di licenziamento.
Altrettanto positiva è la rottura del monopolio sindacale sulla formazione. (…) Ora la legge prevede oltre alla “partecipazione delle organizzazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentative” anche quella “dei centri ed enti di formazione debitamente accreditati per la progettazione e pianificazione del sottosistema di formazione professionale per l’impiego”.

L’INTERVENTO IN PARLAMENTO

Dovremo aspettare settimane prima di sapere come sarà realmente la riforma, ma per il momento direi che la mia valutazione preliminare è positiva.
Anche perché quattro ulteriori misure si possono, anzi si devono, inserire per via parlamentare:
1. diminuire il numero dei contratti riducendo quelli a tempo determinato;
2. prevedere un indennizzo crescente per il licenziamento nei contratti a tempo indeterminato, fino a un massimo di 20/33 giorni;
3. passare al sistema di licenziamento austriaco;
4. individuare una strategia per favorire la riduzione della giornata lavorativa.
Soprattutto, la riforma va illustrata ai cittadini. Se il governo non è capace di spiegare tutto questo, lavoratori e imprenditori non lo capiranno, e ciò che vedremo saranno solo licenziamenti, non flessibilità interna.

(Traduzione di Giulia D’Appollonio)

* Il testo in lingua originale è pubblicato su Nada es Gratis.

I commenti possono essere inviati in lingua originale al sito da cui l’articolo è tratto

25 Febbraio: nuova marcia No Tav in Valle di Susa

APPELLO PER UNA NUOVA MARCIA NO TAV IN VALLE DI SUSA

DA BUSSOLENO A SUSASABATO 25 FEBBRAIO 2012

RITROVO DALLE ORE 13 IN PIAZZA DELLA STAZIONE A BUSSOLENO

Il popolo NO TAV scenderà ancora una volta in strada per ribadire il proprio rifiuto al progetto inutile e devastante della nuova linea ferroviaria Torino-Lione.

La manifestazione è stata organizzata in collaborazione con la Comunità Montana e l’assemblea dei sindaci della val Susa e val Sangone per ribadire l’unità del territorio nel respingere quest’opera.

Sarà un’ occasione per rilanciare la mobilitazione e sancire la legittimità della resistenza in corso da mesi contro il cantiere di Chiomonte, area militarizzata.

Esprimeremo anche in questa giornata la nostra vicinanza e solidarietà nei confronti delle persone arrestate e inquisite per aver lottato al nostro fianco e invitiamo tutte le loro famiglie a partecipare con noi a quella che sarà una grande giornata di testimonianza e gratitudine.

Saranno bene accetti anche questa volta tutti coloro che giungeranno in valle per supportare le istanze del movimento NO TAV che sempre più sta diventando simbolo di riscossa per chi lotta contro i poteri forti e riferimento per le idee di un altro mondo possibile.

Vi aspettiamo numerosi e determinati.

IL MOVIMENTO NOTAV

www.notav.info

15 Ottobre: Pesanti condanne a due manifestanti

Pesante condanna per due dei giovani, incensurati, arrestati nel corso degli scontri avvenuti a Roma, nella zona di piazza San Giovanni, il 15 ottobre scorso. Il giudice dell’udienza preliminare Anna Maria Fattori ha inflitto, all’esito del procedimento in rito abbreviato, 5 anni di reclusione a Giuseppe Ciurleo, e 4 anni a Lorenzo Giuliani. Sia Ciurleo, 21 anni, che Giuliani, 20 anni, sono agli arresti domiciliari. L’accusa contestata è di resistenza aggravata a pubblico ufficiale.
In base all’originario capo d’accusa Ciurleo e Giuliani avrebbero lanciato «pietre ed altri oggetti contundenti ed esplodenti» contro uomini delle forze dell’ordine. Ciurleo e Giuliani, stando sempre all’accusa, avrebbero utilizzato «manici di piccone» come «strumenti atti ad offendere». Nell’informativa della polizia giudiziaria, allegata al capo di imputazione, si scrive inoltre che la contestazione ai due imputati «è suffragata da gravi indizi di colpevolezza». I due «venivano» fermati subito dopo «avere attivamente partecipato ad una manovra aggressiva nei confronti delle forze dell’ordine». I familiari dei due giovani, fuori dall’aula, dopo la sentenza sono rimasti senza parole. «Non hanno fatto niente, non hanno fatto niente», hanno solo aggiunto.
Si tratta di una condanna oggettivamente pesantissima se si pensa che la scelta del rito ha consentito agli imputati, difesi dall’avvocato Maria Luisa D’Addabbo, di beneficiare dello sconto di pena pari a un terzo. Prima di entrare in camera di consiglio per la decisione, il giudice aveva fatto sperare la difesa respingendo le richieste di costituzione di parte civile avanzate da Comune di Roma, Atac e Ama, ritenendo che non vi fosse alcun danno diretto tra quanto lamentato dagli enti e la condotta riconducibile ai due manifestanti. Per gli incidenti di metà ottobre, la decima sezione del tribunale, che pure aveva ammesso Comune, Atac e Ama come parti civili, ha già condannato a 3 anni e 4 mesi Giovanni Caputi e a 2 anni il romeno Robert Scarlat.
Le fasi del fermo furono anche riprese in un video (depositato dalla difesa dei ragazzi) che fece il giro del web in cui, da una finestra, in cui si sentiva la voce di una donna: «Non sono loro che dovete arrestare, loro non c’entrano nulla con gli scontri».
Una sentenza pesante e vergognosa che può far piacere al Procuratore Caselli ed al suo teorema accusatorio contro i movimenti.

La riforma del mercato del lavoro | Workshop

La riforma del mercato del lavoro, dalla promessa della flessibilità alla sicurezza sella precarietà. Workshop di autoformazione con l’avvocato Riccardo Faranda

Entro marzo il governo Monti approverà la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Con l’efficienza che contraddistingue il supergoverno dei tecnici finalmente spariranno dal nostro paese quelle zavorre di sfiga (i precari) e di monotonia (gli indeterminati con il posto fisso) mentre arriveranno finanziamenti a pioggia al sistema delle imprese (tutti cavalieri del lavoro) sotto forma di una riduzione permanente dei salari per chi entra o prova a rientrare nel mercato del lavoro. Sindacati e confindustria siedono comodamente ai tavoli di negoziazione con il governo così come hanno fatto da quando, a partire dagli anni ’90, il paradigma della flessibilità è stato universalmente assunto come taumaturgico rimedio ad ogni stortura. Ma noi cosa sappiamo realmente dei progetti di riforma del mercato del lavoro (Ichino, Damiano, Boeri-Garibaldi) da cui prendono le mosse le “trattative”? Per capire meglio le proposte alla base di questa riforma a costo zero per le imprese e le casse dello Stato, i Punti San Precario di Roma promuovono un momento di approfondimento con l’avvocato del lavoro Riccardo Faranda… “Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.” Gramsci

Obbedienza civile. Consegnati i primi reclami ad Acea

Consegnati i primi 200 reclami della campagna “obbedienza civile” ad Acea (Ato2) pari a circa 2000 famiglie/appartamenti.

Video
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Rassegna stampa:

Affari Italiani – Bollette pazze, Acea da ridere. Zorro e Batman rivogliono i soldi
http://affaritaliani.libero.it/roma/bollette-pazze-acea-da-ridere-zorro-e-batman-rivogliono-i-soldi-14022012.htmlRadio Onda Rossa – L’acqua salvata dai supereroi
http://www.ondarossa.info/newsredazione/lacqua-salvata-dai-supereroiMeridiana Notizie – Roma, dopo referendum acqua 200 reclami presentati ad Acea per cancellare i profitti 
http://www.youtube.com/watch?v=sCUp6sFgIJg

Affari Italiani – Bollette pazze, Acea da ridere. Zorro e Batman rivogliono i soldi
http://affaritaliani.libero.it/roma/bollette-pazze-acea-da-ridere-zorro-e-batman-rivogliono-i-soldi-14022012.html
Nuovo Paese Sera – Acqua, supereroi consegnano ad Acea 200 reclami: “Fuori l’acqua dal mercato”
http://www.paesesera.it/Cronaca/Acqua-supereroi-consegnano-ad-Acea-200-reclami-Fuori-l-acqua-dal-mercato
GreenMe – Acqua pubblica: giù le mani dalle privatizzazioni e dal referendum. Ecco come ridursi la bolletta
http://www.greenme.it/consumare/acqua/6957-acqua-pubblica-privatizzazioni-bolletta
Contropiano – Roma, blitz all’Acea: “fuori l’acqua dal mercato”
http://www.contropiano.org/it/sindacato/item/6786-roma-blitz-all%E2%80%99acea-%E2%80%9Cfuori-l%E2%80%99acqua-dal-mercato%E2%80%9D
Roma Regione . net – ROMA-Acea, ti vogliamo bene… comune! Il San Valentino degli attivisti dell’acqua ad Acea
http://www.romaregione.net/2012/02/15/roma-acea-ti-vogliamo-bene-comune-il-san-valentino-degli-attivisti-dellacqua-ad-acea/
Roma Notizie
http://www.romanotizie.it/acea-ti-vogliamo-bene-comune.html
Il Tempo – Davanti alla sede Acea, vestiti da Zorro, Batman, Uomo Ragno e Robin Hood, hanno distribuito volantini in cui invitano i cittadini, «dopo averlo cancellato con il referendum», a «cancellare il profitto dalla bolletta dell’acqua».Una trentina i rappresentanti dei comitati per l’acqua pubblica che hanno manifestato sotto la sede dell’azienda con bandiere e magliette che recitano «il mio voto va rispettato».
http://www.iltempo.it/roma/
Roma che verrà – “Ad Acea la vogliamo bene comune”
http://www.romacheverra.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=1328:ad-acea-la-vogliamo-bene-comune&Itemid=60&tmpl=component&print=1
TuttoGreen – Acqua: a 7 mesi dal referendum cosa è cambiato?

Acqua: a 7 mesi dal referendum cosa è cambiato?

Russia, l’insurrezione di ceti medi senza futuro

Era l’inizio del 2000 quando il primo presidente della Federazione Russa Boris Yeltsin decise di lasciare la carica e passare tutto il potere a Vladimir Putin. Boris Yeltsin è ricordato per la terapia shock che lui e il suo team di economisti misero in campo all’inizio degli anni ’90. E’ ricordato per le massiccie e ingiuste privatizzazioni, che hanno aiutato molte persone, parte della vecchia burocrazia sovietica, a diventare estremamente ricche e potenti. Sarà anche ricordato come un “democratico” difensore del parlamento quando gli ufficiali filo-sovietici volevano impedire il crollo dell’URSS.
E anche come un dittatore quando Yeltsin diede ordine ai tank di sparare sul parlamento nel 1993. Il parlamento voleva farlo decadere per le misure economiche che lui e altri economisti neoliberisti, noti come “Chicago Boys”(avevano tutti studiato negli USA come allievi di Milton Friedman) avevano messo in campo. Gli anni 90 saranno anche ricordati per l’estrema povertà, l’altissima attività criminale e la recessione economica, specialmente nel settore industriale. Yeltsin è anche responsabile della prima guerra cecena e delle sue vittime. E stato un alcolista, un vizioso e un manipolatore. Ma all’inizio i Russi lo hanno visto come una nuova speranza per un paese democratico e libero nel quale volevano vivere. Ma quando minacciò i suoi sostenitori di far bombardare il parlamento, la società Russa venne sommersa dall’apatia totale. Enormi manifestazioni di migliaia di persone divvennero storia dal 1993.
Ed ora, dopo 18 anni di indifferenza una nuova generazione di persone ha deciso di nuovo di riprendersi le strade. Ma chi sono? che tipo di futuro vogliono? Proviamo a vedere.

La fase dal 2001 al 2008 può essere considerata un periodo di crescita economica. Ma molto è dovuto all’alto prezzo del petrolio più che alle decisioni del governo. Durante questa fase Vladimir Putin ha costruito la sua gerarchia nell’establishment. Alla fine aveva preso i suoi contorni e dei suoi amici, vecchi partner d’affari e colleghi dell’ex KGB. Era un periodo di stabilizzazione nell’elite e nell’economia. Le persone confrontando con i caoitici anni 90 erano soddisfatti con l’era Putin. Ma durante i 2000 non fu fatto un solo passo per ricostituire l’economia e la crisi finanziaria del 2008 ha provato che l’economia russa è completamente dipendente dall’esportazione di materie prime. Ha provato che l’assunzione di un modello capitalistico come lo abbiamo è di tipo periferico come nel caso di alcuni paesi Latinoamericani.

Durante questa fase solo una volta le autorità si sono sentite minacciate.
Nel 2005 prese piede la “monetarizzazione dei benefit”. Molti pensionati e militari erano economicamente devastati da queste riforme. Migliaia di persone, per lo più quei pensionati prendevano parte a manifestazioni in tutto il paese. Ma di nuovo la protesta si depotenziò fino a finire. Questo è accaduto perchè le pensioni vennero aumentate in proporzione ai benefici persi dalle persone. Le autorità lo fecero per prevenire la crescita della protesta. Ea la prima volta che il governo Putin fu veramente spaventato dalla sua stessa gente. Dopo ci sono state alcuni tentativi di produrre battaglie politiche. Cittadini extraparlamentari, movimenti di destra e di sinistra non hanno mai portato più di un migliaio di persone in strada per protesta. Solo la cosiddetta “Marcia Russa”-una specie di manifestazione che viene annualmente messa in piedi dall’estrema destra e dai neonazisti dal 2005, porta un paio di mila persone. Ma non hanno nessuna proposta sociale. Solo populismo, xenofobia, intolleranza. Tutto questo fino alla fine del 2011. Poi ci sono state le elezioni del 4 dicembre…
Molta gente che potremmo chiamare cittadinanza attiva, così come differenti tipi di attivisti di ONG sapevano dei vari brogli che sarebbero avvenuti alle elezioni. Molti di loro si sono proposti come osservatori nei distretti elettorali per controllare il voto. E’ andata a finire con un paio di video su Youtube, dove si vede varia gente mettere schede con il segno sul partito di governo “Russia Unita” nell’urna. E sono accadute anche varie storie divertenti nella sera dello stesso giorno. Una è andata in onda alla televisione nazionale. Durante il telegiornale l’annunciatore dichiarava che secondo conteggi preliminari Russia unità arrivava al 58,99%, il Partito Comunista al 32,96%, i liberl-democratici al 23,74%, “Russia giusta” al 19,41%, Jabloko (Mela in russo, partito democratico russo) 9,32%, i patrioti Russi 1,46%, “La giusta causa” 0,59%. E’ solo matematica, ma la somma arriva a 146%…in analogia con lo slogan “siamo il 99%”, i dimostranti russi ora usano “Siamo il 146%”.
Circa 300 persone si sono raccolte in una delle piazze centrali di Mosca per protesta con le elezioni la sera stessa. Molti di loro erano noti attivisti politici. La manifestazione è stata brutalmente dispersa dalla polizia. Non molta gente è scesa in strada il 4 dicembre perchè il risultato ufficiale sarebbe stato annunciato il giorno dopo.
Il 5 dicembre, liberali indipendenti e altri gruppi politici hanno organizzato un appuntamento che sarebbe stato cruciale in quel momento. Le autorità autorizzarono solo 300 persone a partecipare ed effettivamente era il numero di persone che gli organizzatori si aspettavano. Ma arrivarono circa 8 mila persone. La zona era affolatissima. Ci fu un piccolo scontro con la polizia quando la manifestazione arrivò al termine. La gente voleva marciare senza autorizzazione fino alla commissione elettorale centrale ma non ci riuscirono. Sembra che pochi gruppi di persone fossero pronti a scontrarsi quella notte. la maggior parte della gente, compresi molti giovani che erano alla loro prima manifestazione politica, erano riluttanti o semplicemente impauriti dal prendere parte all’azione. circa 300 persone vennero arrestate dalla polizia. Alcuni di loro sono stati detenuti per 15 giorni.

La sera del 6 dicembre circa 1000 persone si sono raccolte in piazza Triumfalnaya. due giorni prima le elezioni gli attivisti pro-Putin erano stati portati a Mosca da tutto il paese e si erano stabiliti a Mosca dal 2 dicembre.
Tutti loro erano a piazza Triumfalnaya il 6 dicembre. circa 500 membri del cosiddetto movimento “Nashi” (“i nostri) cercavano di mostrare alla società russa che c’erano ancora dei giovani che supportavano i progetti di Putin. Ma alla fine a tutti loro erano stati dati dei soldi per partecipare alla protesta. Questo è risaputo rispetto le organizzazioni giovanili a favore del cremlino. Il sito naziwatch (naziwatch.noblogs.org) mostra come anche tifosi di estrema destra fossero presenti tra i Nashi, aggressivi e pronti a difendere il “lato oscuro”. Alcuni di loro sono stati pagati 80 euro a sera. Sono avvenuti un paio di fronteggiamenti durante la protesta. La gente sputava in faccia agli attivisti procremlino, alcuni membri della “Putin-Jugend” sono stati anche picchiati. Sono state bruciate bandiere pro-kremlino e ci sono stati scontri con la polizia.

Il 10 dicembre ha avuto luogo una manifestazione storica, con circa 80.000 persone.E’ stata la prima volta dai primi anni 90 che un così alto numero di persone si radunava. La polizia  non ha reagito a cose che avrebbero immediatamente creato attenzione, come striscioni provocatori ecc. Il raduno è andato avanti in maniera pacifica e tranquilla. Niente di speciale è stato però detto dai comizi.

Il raduno successivo ha avuto luogo il 24 dicembre. Circa 100.000 persone si sono radunate sul viale Sakharov. E’tutto andato seguendo lo stesso schema, ma con due differenze. Primo-quasi tutti i politici e un paio di star del “glamour” che volevano giocare il “gioco della Rivoluzione” sono state fischiate dal pubblico. Ksenya Sobchak, una sorta di Parsi Hilton russa era tra loro. E’ la figlia del defunto Anatoly Sobchak, in passato sindaco di San Pietroburgo. E in quel periodo Vladimir Putin fece parte del suo staff. Sobchak è noto per la sua corruzione. Si dice che un gran numero di inchieste per reati siano state aperte nei confronti di Putin e Sobchak. circa 10-12 casi, ma naturalmente nessuno, dopo che Putin è divenuto presidente, ha più sentito parlare di queste. Così, si potevano vedere in piazza, il 24 dicembre, anche gente come Ksenya Sobchak, che prendeva parola per raccontare come anche le loro vite fossero sconvolte dal sistema di corruzione. Molto divertente…Si avrebbe avuto un secondo problema dopo che i nazionalisti hanno tentato di salire sul palco. Ma alla fine non ci sono riusciti.

Dopo questo raduno, il presidente Medvedev ha iniziato a parlare di riforme. Putin ha dichiarato che le proteste erano il frutto della sua politica era pienamente soddisfatto di ciò. La retorica è cambiata molto. Il primo giorno le autorità volevano usare la forza. Dicevano che la minoranza delle persone protestava veramente e che la maggior parte voleva solo divertirsi e infrangere la legge. Ma quando migliaia di persone si sono raccolte la polizia ha dovuto lasciarli fare, rinunciando a riprendere il controllo delle manifestazioni o interromperle. C’è un detto popolare sulla polizia al momento: se ci sono 300 attivisti, li sfondiamo, se ce ne sono 10.000, guardiamo, se sono 500.000, siamo dalla loro parte.

Queste proteste sono state completamente organizzate via Internet, ma il problema ora è che alcuni liberali che hanno fatto parte del sistema negli anni ’90 e che successivamente hanno perso le loro posizioni ora vogliono guidare le proteste nonostante la maggior parte delle persone che partecipano non si fidi di loro. Le persone si sono riunite contro le elezioni e il regime di Putin ma sono anche molto scettici rispetto alla cosiddetta opposizione extraparlamentare i cui membri sono particolarmente filo-occidentali con frequentazioni continue dell’ambasciata statunitense.

L’altra questione è che viviamo in un’era post-ideologica. La maggior parte delle persone hanno paura anche di parlare di politica, di discutere differenti punti di vista. Vogliono solo vivere come in Occidente o in Nord Europa. Non capiscono che le persone sono anche escluse dai processi decisionali. Non vogliono la rivoluzione, non vogliono la violenza, non vogliono altro che stare in una piazza per un paio di ore, gridare slogan e comportarsi come Gandhi o Luther King. Si ispirano a loro, ma ciò potrebbe avere conseguenze disastrose poichè gente come Putin non cederanno mai il potere come ha fatto, ad esempio Pinochet (anche se questo fu grazie alle pressioni americane). Putin sa che molto probabilmente potrebbe avere lo stesso destino di Slobodan Milosevic. Non ha dove ritirarsi, a parte, forse, gli Emirati Arabi Uniti.

La terza questione è che anche i nazionalisti vogliono una “fetta della torta”. Neonazisti, razzisti, forze conservatrici, nazionalisti radicali-tutto loro ora provano a mascherarsi da “nazionalismo civile”. Sono ispirati in questo dall’esempio di alcuni paesi europei dove partiti di estrema destra si definiscono nazional-democratici e la questione della migrazione sembra essere la sola importante per loro. Ma sembra che vengano anche considerati come una forza residuale dalla maggior parte dei partecipanti alle manifestazioni politiche.

La spiegazione è molto semplice. La maggior parte dei dimostranti rappresenta la nuova classe media che è emersa durante il potere di Putin. Sono anche chiamati classe innovativa o creativa. Molte di queste persone hanno stipendi ragguardevoli. Possono comprare una macchina, possono viaggiare all’estero almeno due volte l’anno, hanno l’iPhone e denaro da spendere. Non sono colpiti da povertà, ma sentono che qualcosa sta avenenedo nel paese. Oggi sono imprenditori con un buon profitto, domani i loro guadagni potrebbero essere presi da funzionari corrotti. Potrebbero schiantarsi durante uno dei loro viaggi a bordo di aerei fatiscenti.

Potrebbero anche morire in un attacco terroristico nella metro di Mosca o in un aeroporto. Sono stanchi di pagare tangenti ai funzionari ad ogni occasione- quando vengono fermati sull’autostrada o se vogliono mandare i propri figli all’asilo. Sono anche irritati dagli immigrati perchè sono esclusi dalla società. Le tensioni interetniche stanno crescendo e cresce l’aggressività verso la classe media delle persone che vengono dal Caucaso del Nord, o che condividono principi islamici fondamentalisti. Così la nostra classe media è unita da due questioni: corruzione e xenofobia. Alcuni politici scaltri come Alexey Navalny, blogger famoso e conosciuto per le battaglie contro la corruzione hanno iniziato a strumentalizzare questa tendenza della gente. si definisce un nazional-democratico preoccupato per le politiche migratorie e non ha risposte per i problemi sociali. Uno dei suoi slogan è “Basta sfamare il Caucaso”. Intende le donazioni in denaro che arrivano dalla capitale federale a regioni che non producono nulla e sono completamente dipendenti dagli stanziamenti del Cremlino.

I compagni hanno preso parte alle proteste? che ruolo hanno avuto?
Bene, alcuni hanno criticato seriamente le manifestazioni. C’è anche un’opinione diffusa come “Questa rivoluzione è sbagliata e non vogliamo prendere parte”. In qualche maniera questa gente esclude se stessa dal processo storico e preferisce stare a casa a scrivere documenti polemici che nessuno leggerà mai. Alcuni gruppi neo-marxisti che ricordano le piccole sette hanno iniziato ad agire differentemente. Molti di loro provano a prendere parte alle proteste e diffondere la loro propaganda ma hanno sbagliato nel diventare parte dei Comitati che si sono autorganizzati subito dopo le proteste. Molti degli attivisti non vogliono sedere con liberali o nazionalisti di destra perchè effettivamente è solo il sentimento anti-putin a unire le forze politiche coinvolte. Gli anarchici provano anche loro a diffondere contenuti durante le proteste, ma sono i più disorganizzati.

Dall’altra parte dobbiamo ammettere che i compagni al momento non hanno nulla da offrire alla gente che è scesa in strada. Libere elezioni, le dimissioni di Putin e meno corruzione-questi sono i punti principali promossi dai comizi ed è effettivamente quello che la gente vuole. Il discorso di un compagno che chiede un sistema educativo gratuito, cure mediche gratuite, tassazione progressiva o proponendo altre questioni sociali confliggerebbe con i discorsi dei liberali. I liberali non vogliono agire su queste questioni perchè all’occorrenza proporranno la stessa agenda di questo governo. Ed ora nessuno sa come i liberali andranno a risolvere la questione della corruzione. Così in questa circostanza la cosa migliore da fare è stare da una parte, accumulare forza, partecipare alle manifestazioni ma attendere il momento di esplosione. Non è il caso di costituire partiti di estrema sinistra perchè non è proprio il momento. E questo obiettivo-unire i militanti di sinistra in una struttura operativa- è già fallita in passato dopo numerosi sforzi. Forse, allora è meglio aspettare il momento in cui inizieranno i cambiamenti veri. E allora, se la tensione salirà in un processo rivoluzionario, si costituirà un soggetto rivoluzionario, un partito o un movimento che saprà raccogliere membri e numeri. Sono posizioni che possiamo trovare in Lenin o Che Guevara.
Crediamo fortemente che dopo febbraio arriva ottobre. Il nostro tempo non è arrivato. e questo è un corso naturale della storia.

Le future elezioni presidenziali ci saranno il 4 marzo e saranno seguite da imponenti proteste. E’ sicuro. Sembra certo che Putin vincerà al secondo turno le elezioni presidenziali. E’ il primo a preoccuparsi di elezioni “regolari”. Ha ordinato webcam da piazzare in tutti i seggi elettorali. Ma è anche certo che il voto verrà falsato e qualsiasi voto a favore di Putin aumenterà l’attenzione e incoraggerà la protesta. Allora, la cosa più sicura da fare da parte sua sarà di simulare un’elezione democratica, non vincendo al primo turno, facendo credere alle persone che la democrazia in Russia esiste, con una competizione corretta. E’ovvio che a competere con Putin sarà il leader del “Partito Comunista”, che non ha nulla di sinistra e comunista. Il leader del partito Genady Zuganov ha già vinto le elezioni nel 1996, ma ebbe paura del potere e ha ceduto la sua posizione al primo presidente della Russia-Boris Yeltsin. Da allora ha svolto una grottesca opposizione. Lui e il suo partito vengono usati per screditare la sinistra e i movimenti. Così anche se Zuganov vincesse le elezioni grazie al voto di protesta (quando la gente vota per chiunque non sia Putin) sarebbe il primo a cedere dietro le quinte il passo a Putin e congratularsi con lui sulla televisione nazionale.

In ogni caso tutti aspettiamo le elezioni di marzo. Anche i liberali più pacifici lanciano richiami alle barricate, perchè sarà l’ultima occasione per chiunque per abbattere Putin e cambiare il corso della storia. Altrimenti, ci aspettano altri 6 anni di regime autoritario.

Vladimir Petrov