Un’operazione di polizia ai tempi del burlesque

sexy&cool riot/art from London

Rivedendo le immagini usate dai media come feticcio della rabbia precaria che loro definiscono senza alcun segno politico, come violenza gratuita da sventolare e mostrare come giustificazione del linciaggio mediatico nei confronti di quei giovani e meno giovani che sono stati i protagonisti degli scontri di piazza san Giovanni o delle azioni più o meno efficaci della manifestazione del 15 Ottobre –  al netto della disinformazione di regime ci chiediamo retoricamente ma a ragione quale diritto di informazione possiamo ancora sperare in questa democrazia blindata dai mercati, piegata dal neoliberismo, umiliata dall’abuso di potere recidivo e dalla corruzione diffusa in una continua coazione a ripetere?

Una volta ancora ci dobbiamo chiedere cosa si aspettavano governanti, politici, controllori, editorialisti, ma anche quel popolo di sinistra “indignato” da anni assopito dal berlusconismo o ancor peggio da un certo antiberlusconiano atteggiamento, cosa si aspettavano e cosa credevano? che quelli che vivono in emergenza abitativa e precariamente tra una vertenza e l’altra o tra un contratto intermittente e l’altro, coloro che studiano e lavorano o studiano e lavorano nel “quarto settore dell’economia”, coloro che riempiono i numeri e le statistiche della disoccupazione giovanile – che poi fanno indignare tutti quanti nel crogiuolo del bel paese cattolico dove la condanna delle ingiustizie ha il sapore del senso di colpa universale – sarebbero stati zitti e sorridenti fino alla morte?

O magari pensano che coloro che vivono nella zona grigia dei milioni di inattivi siano veramente inattivi e non già schiavizzati nella voragine del lavoro nero, dove cari governanti, politici ed opinionisti veniteci voi a vedere come si vive con la testa dentro il cesso. Orbene questi sfruttati e disperati, precari e precarizzati un tempo garantiti, vanno compatiti e sono anime buone quando si lamentano della propria condizione e magari lo fanno li in cima ad una torre o sul tetto di un palazzo, salvo poi fottersene alla prima minaccia di spread, quando invece si organizzano per manifestare la propria degna rabbia e delle volte lo fanno in forma non propriamente dialettica e decidono di rappresentare magari quell’inferno che vivono tutti i giorni nella propria solitudine per una volta tanto collettivamente e in pubblica piazza, diventano i mostri neri, il nuovo pericolo pubblico, i marziani del teppismo urbano, i cavalieri del nuovo terrorismo, forse i veri eredi di Mefistofele chissà “hai visto, hanno distrutto e ucciso la madonna!” E magari mangiano pure i bambini. Forse allora i benpensanti vogliono dire che è meglio continuare a guardare impotenti i suicidi che ormai si sommano uno all’altro, dal disoccupato al pensionato, dal cassa-integrato all’artigiano, dal venditore ambulante al piccolo imprenditore? Strano il suicidio dovrebbe essere anch’esso contro la morale cattolica, eppure scandalizzano evidentemente più due banche rotte che i suicidi continui per colpa delle stesse banche.

Forse semplicemente la realtà del 15Ottobre è andata ben oltre la finzione o la testimonianza. Per una volta il programma è cambiato. Ed è stato un accumulo di forze, di coincidenze e di processi sociali incodificabili per voi, cari padroni, governanti, poliziotti e magistrati zelanti. Processi della soggettivazione precaria, un po’ più insorgente di quella che pensavate governare. E questo vale anche per chi nei movimenti pensava di portare l’avanzo riscaldato del banchetto dei politicanti come premio ai più allineati alla governance, quella buona eh! quella della narrazione epica e del lavoro come bene comune, ecco tutti a braccetto con la minestra riscaldata per entrare in Parlamento. Ma il programma è cambiato per tutti, pure per loro.

E  dopo aver già accumulato qualche prima condanna nei mesi immediatamente successivi a questa giornata del 15 Ottobre 2011 – considerata ormai all’indice degli annali neri della Repubblica, sempre quella Repubblica delle banane, delle stragi di Stato senza colpevoli, quella della Diaz e di Bolzaneto, sempre la Repubblica della P2, P3 e P4, insomma quella della mafia, e della mafia dell’antimafia – arriva la chiusura delle indagini, con un baccanale di Antiterrorismo, Digos e Ros – ma non litigavano tra di loro una volta? –

Nel buio dei tempi abbiamo, un piccolo lumicino che una volta tanto, succede, regola i conti all’interno degli apparati, governa la overbalance statuale e decide per un’altra opzione. Nel mandato il GIP respinge l’impianto dell’accusa, ridimensionando le misure cautelari e assumendo a tratti quasi il tono se non assolutorio quanto meno tendente ad attenuare gran parte delle accuse. In Italia tralaltro l’habeas corpus pare che ancora non l’abbiano del tutto abolito.

Addirittura per Acrobax c’è un sostanziale riconoscimento del lavoro politico svolto “al fianco dei poveri, per i diritti della classi meno abbienti a difesa dei più umili”, giusto, tutto vero, siamo quasi lusingati. Nella boria di questi tempi dove per mesi tra “la palestra del terrorismo” e l’isola ribelle della sovversione, tra il capo della Polizia e l’ex ministro degli Interni si sono moltiplicate e sprecate le definizioni del brand della paura appiccicato a noi come ai compagni della Val di Susa. Oggi abbiamo finalmente trovato una cosa veritiera tra tante menzogne e provocazioni.

Si, è vero, ci battiamo per i più poveri, siamo da sempre a fianco dei meno abbienti, dei più umili e un domani noi crediamo, saremo al fianco dei ribelli contro il neoliberismo che saranno meno poveri e più liberi, finalmente affrancati dalla vostra pietas, ipocrita e codarda. Si è vero ci battiamo da dieci anni contro la precarizzazione della vita e del lavoro, contro la precarietà che è sempre più un dispositivo complesso di comando, controllo e  disciplinamento dei nostri corpi, delle nostre vite, esistenze, passioni e desideri. Si è vero, contro la “corruzione” della precarietà, scegliamo la strada della lotta per la libertà.

Una precisazione, Acrobax non è un laboratorio né anarchico, né comunista, né libertario, forse è un pò di tutto questo, ma sicuramente e risolutamente è una piccola, ma insorgente, Repubblica Indipendente

Il passato conoscilo, il presente vivilo, il futuro (senza la lotta) dimenticalo!

Nodo redazionale indipendente

Scrivi a Giorgio, contro la censura, inceppiamo il meccanismo!

Giorgio Rossetto è un Notav, detenuto dal 28 Gennaio nel
carcere di Saluzzo nella sezione Isol.

Le sue lettere da dentro il carcere ci hanno fatto
conoscere la situazione di tutti i detenuti prima ancora della sua situazione
personale, attraverso una corrispondenza epistolare della quale abbiamo dato
sempre massima diffusione.

Da Saluzzo sono arrivate lettere e comunicati collettivi
che più volte hanno denunciato la situazione che la popolazione carceraria vive,
nella fattispecie i reclusii nel braccio Isol, esclusi dalla socialità e dalle
attività del carcere, costretti in celle cubicoli con persino l’aria isolata
dagli altri.

In seguito a queste denunce e alla campagna Freedom4notav,
l’oliato meccanismo del carcere ha iniziato a scricchiolare e per questo la
direzione tenta di ostacolare la campagna dei detenuti prendendo, di accordo con
la Procura, di mira Giorgio infliggendogli la censura
alla posta in entrata ed in uscita per 6 mesi
con l’accusa di
aver tenuto un comportamento di “istigazione alla
ribellione”
di altri detenuti, anche in accordo con soggetti esterni al
carcere
”.

Atto di insubordinazione massima agli occhi di chi vuole
gestire nel silenzio la vita di centinaia di persone costrette alla
detenzione.

Scriviamo a Giorgio, contro la censura, inceppiamo
il meccanismo!

Dobbiamo inceppare il meccanismo collaudato del
carcere e delle sue strutture, rendendo un normale servizio come quello della
corrispondenza, un lavoro “faticoso” per guardie ed addetti.

Possiamo farlo tempestandoli di lettere,
cartoline, riviste, pacchi per Giorgio e gli altri detenuti della sezione,
dimostrando che da fuori, quell’istigazione alla ribellione, è forte da tempo  e
non lascia da solo nessuno.

 

@Invitiamo tutti a scrivere
a:

Giorgio
Rossetto
Casa di reclusione di SALUZZO
Regione Bronda, 19/b
Località
Cascina Felicina
12037 – SALUZZO (CN)

Sul 15 ottobre: le lotte per i diritti non si possono fermare

Roma, 21 aprile. Ieri mattina all’alba un ingente spiegamento di Polizia e Carabinieri (Digos e Ros), ha fatto irruzione nell’occupazione abitativa di via del Casale De Merode a Tormarancia, nell’ambito di un’operazione su scala nazionale relativa agli avvenimenti di piazza del 15 Ottobre scorso.

Ne è seguita la notifica di due ordinanze di misure cautelari, nello specifico obblighi di firma, e perquisizioni in altrettanti alloggi all’interno dell’occupazione che hanno portato, come unico risultato, al sequestro di uno zainetto da bambino.

Nelle stesse ore in diverse città si svolgevano perquisizioni e si notificavano misure cautelari tra arresti domiciliari ed obblighi di firma che hanno raggiunto complessivamente 14 persone in tutta Italia.

Nelle ore seguenti altri tre occupanti ed attivisti del Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa e dei movimenti per i diritti sociali di Roma, vengono segnalati come coinvolti nelle indagini (con nomi e cognomi sbattuti in prima pagina senza che fosse stato notificato nulla di ufficiale), dentro un impianto accusatorio che per tutti appare a dir poco fumoso.

In realtà si colpiscono persone “colpevoli” soltanto di aver scelto di essere presenti in una piazza importante come quella del 15 Ottobre così come ogni giorno si ritrovano nelle tante e necessarie battaglie contro le grandi lobby del mattone o della finanza, per la difesa dei territori, contro la precarietà.

Probabilmente opporsi alle politiche neoliberiste dei governi che hanno guidato e guidano oggi il nostro paese è un reato insopportabile per chi difende le ingiustizie e le ruberie di una classe politica e dirigente che concentra nelle mani di meno del 10% della popolazione la maggior parte delle ricchezze da noi prodotte e che continua, con inaudita testardaggine e determinazione, a difendere i propri privilegi e a distruggere le condizioni di vita della stragrande maggioranza delle persone.

L’operazione di oggi va ad aggiungersi ai già numerosi arresti e ai procedimenti sommari che negli ultimi mesi hanno portato a condanne spropositate elargendo anni di carcere a ragazzi per lo più giovanissimi, ad uno stillicidio oramai quotidiano di fermi, denunce, negazione del diritto a manifestare. Nell’era Monti, le ricette neoliberiste destinate a portarci al vero default cui vogliono arrivare, quello dei diritti, vanno difese “manu militari” criminalizzando la rabbia e le lotte sociali, chiudendo ogni spazio di espressione del dissenso e di partecipazione, come sta accadendo con il tradimento dei plebisciti referendari che hanno portato 27 milioni di italiani ad esprimersi contro la privatizzazione dell’acqua e dei servizi essenziali.

Non accetteremo mai supinamente, i diktat imposti dai grandi gruppi dell’economia e della finanza globale e con essi il presente ed il futuro che ci vogliono consegnare: fatto di suicidi per motivi economici, sacrifici, precarietà infinita.

Per questo oggi abbiamo il dovere, tutti e tutte, di denunciare ciò che sta accadendo, di mobilitarci contro questo prepotente scippo di democrazia e diritti, di continuare a costruire dal basso processi di opposizione ed alternativa.

Rivendicare libertà di movimento per tutti e tutte significa affrontare con la più grande solidarietà e vicinanza la repressione che colpisce e con la più grande determinazione le tante battaglie di giustizia sociale che vogliamo continuare a sostenere ed alimentare… liberare tutti vuol dire lottare ancora!

Invitiamo tutte le persone interessate e solidali, le realtà sociali della città, gli/le attivisti/e del supporto legale e della comunicazione indipendente a partecipare ad un’assemblea presso il L.O.A. Acrobax Via della Vasca Navale, 6

lunedì 23 aprile ore 18.30

 

Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa

Laboratorio occupato e autogestito Acrobax

La riforma Fornero (da Uninomade)

di GIANNI GIOVANNELLI

Il disegno di legge governativo elaborato, dopo innumerevoli compromessi, dal ministro Fornero sarà esaminato dalla Commissione Lavoro del Senato a partire dal 18 aprile, in sede cosiddetta referente (e non deliberante, ovvero dovrà necessariamente passare al vaglio delle due Camere, con possibili modifiche: segnale questo, non equivoco, di un qualche conflitto, perché ove il tripartito che sostiene Monti fosse stato totalmente d’accordo si poteva procedere all’approvazione già in Commissione). La commissione è di 25 membri; ci sono tre sindacalisti di professione (e di lungo corso: Nerozzi, Troilo e Passoni), per il resto la rappresentanza imprenditoriale domina la scena (anche nel PD: Ichino è un avvocato delle grandi aziende; Rita Ghedini è una funzionaria di vertice delle cooperative emiliane; Adragna e Blazina sono dirigenti). Non potevano mancare in un simile consesso un vecchio industriale come Pininfarina, il consueto Sacconi e la mitica Rosi Mauro. Interessante è sapere chi siano i relatori nominati: Tiziano Treu (consulente datoriale oltre che professore) e Maurizio Castro (abile ed esperto dirigente d’azienda, la controparte storica dei lavoratori nelle trattative cui partecipava prima dell’elezione). I lavoratori italiani non possono certo dormire sonni tranquilli, fra le grinfie di costoro!

 

Oltre alle questioni continuamente dibattute (la cancellazione o meno dell’articolo 18) si celano dentro la riforma Fornero una serie di disposizioni sfacciatamente aggressive e volte a determinare un incremento geometrico del processo di precarizzazione e di controllo sociale dell’intera esistenza della fascia debole.

 

L’articolo 3 del Disegno di Legge (mantenuto nel silenzio) modifica la normativa che regola i contratti a termine e quelli di somministrazione (gli interinali per capirci) lasciando campo libero; in spregio delle regole comunitarie potranno essere arruolati mediante contratti da un giorno fino a sei mesi studenti, immigrati, giovani, donne, disoccupati ed emarginati, senza alcuna motivazione, senza limiti percentuali, senza prospettive e senza tutele, a totale discrezione e piacimento del più forte. La modifica tocca proprio il terreno in cui i precari avevano ottenuto i maggiori risultati (per esempio in Telecom, in DHL, nella logistica e nei servizi) e rade al suolo qualsiasi opposizione; qualche mese di sfruttamento intensivo e qualche lista di proscrizione contro i ribelli ottengono l’effetto di costruire un bacino di manodopera pienamente succube e costretta dalla necessità a piegarsi. Altro che contributo alla crescita e creazione di occupazione (come si legge nella premessa del ministro); questa è una delle modifiche più violentemente reazionarie (non solo ultraliberiste) che siano mai state concepite in danno dei lavoratori. La flessibilità in entrata viene concepita come un metodo che conduca a domare una popolazione giudicata riottosa e indocile; brevi contratti e apprendistato sottopagato (la percentuale fra apprendisti e stabili era di 1 a 1, ovvero al massimo un operaio poteva formarne un altro: con la riforma il rapporto è di 3 a 2, aumentando la quota a bassa retribuzione); riduzione dell’assistenza ai licenziati (a regime la quota massima di 48 mesi di sussidio scende a 18 mesi anche per l’accompagnamento alla pensione). Quanto ai lavoratori a progetto la riforma prevede un forte incremento del costo contributivo, a carico dei lavoratori, fino al 33% della retribuzione quando le modifiche andranno a regime. Ed anche la Cassa Integrazione (antico ammortizzatore sociale italiano fin dal 1944, con il Decreto Luogotenenziale Badoglio) viene drasticamente ridotta. Avevano cominciato sostenendo che la liberalizzazione del licenziamento sarebbe stata affiancata da un incremento della tutela di chi era colpito dalla crisi; mentivano (e, come teorizzava Joseph Goebbels, sapendo di mentire, con il fine di cancellare l’inevitabile dissenso connesso alla verità) e nel disegno di legge viene ridotta un’assistenza ai disoccupati che già era la più miserabile concessa ai lavoratori dell’area industrialmente avanzata (il G8). Al tempo stesso non vengono toccati i santuari del ceto che sostiene il potere (politico, burocratico, finanziario, militare). Non si tocca l’appalto illecito di manodopera, lasciato in gran parte alla criminalità organizzata; e nessuna norma sanziona il lavoro nero cui il capitale finanziario non intende certo rinunziare (e l’assenza di sanzioni incoraggia di fatto la sua diffusione). Le due omissioni rafforzano il disegno di precarizzazione a tappe forzate.

 

Come noto la tutela contro i licenziamenti, in Italia, riguarda una sostanziale minoranza della popolazione attiva. Sostanzialmente si limita ai dipendenti pubblici (compresi i dirigenti, ma esclusi i precari che sono in costante aumento percentuale) e ai dipendenti privati stabili che lavorano in società con oltre 15 dipendenti (purché non di cooperativa, grazie ad una brillante realizzazione del centrosinistra nel 2001). I giornalisti li hanno definiti privilegiati chiedendo a gran voce di mettere rimedio alla disuguaglianza. La campagna mi ha ricordato la celebre vignetta di Wizard of Id; il popolo chiedeva pane e lavoro ed il re, invocando il principio di mediazione al 50%, concede il lavoro (forzato e con le catene) ma non il pane! Nel nostro caso l’idea di Elsa Fornero (come mediazione, naturalmente) era quella di concedere la parità (tutti licenziabili) negando l’assistenza ai parificati (licenziati). Una soluzione cortese e sadica, secondo la tradizione sabauda piemontese; ma rivelatasi impraticabile a fronte di un necessario equilibrio fra le tre formazioni che appoggiano il governo.

 

Ovviamente la direzione del partito democratico sarebbe stata ben lieta di cancellare la protezione di stabilità; ma rendendo esplicita una simile posizione si sarebbe esposta a rischi seri di sconfitta elettorale, alla concorrenza di SEL e IDV. D’altro canto la guerra ideologica per imporre il controllo del sistema mediante l’abbattimento delle residue tutele è un punto irrinunciabile per l’intero assetto di comando. Lo stratagemma adottato, consueto peraltro nella nostra penisola, è stato quello di organizzare una rappresentazione della trattativa, a toni forti, con la costante minaccia della rottura. Camusso ruba il ruolo a Fiom annunciando lo sciopero generale; Bersani e Raffaele Bonanni si affrettano a mediare; Napolitano invia il fermo monito intimando l’accordo; il consiglio dei ministri approva il compromesso; Confindustria si indigna e chiama alla lotta. Nessuno fa sul serio; il compromesso era la partenza, non l’arrivo.

 

Per il momento non sono toccati dalla riforma i dipendenti pubblici (stabili ovviamente; quelli precari vivono una situazione che non era tecnicamente possibile peggiorare ulteriormente); Cisl e Uil vanno sostenute e quello è il loro bacino di tessere. Inoltre il rapporto fra ceto politico e dirigenza pubblica costituisce una rete clientelare che in questo momento è di grande utilità per l’avvento del pensiero-governo unico. E non si sfiora neppure il massiccio pacchetto che consente le maxiliquidazioni ai grandi dirigenti privati, ai protagonisti della comunicazione (stampata e radiotelevisiva); infatti il consenso alla riforma è plebiscitario, con uso disinvolto della menzogna per argomentarlo. Ci ricorda Bonanni (Il tempo della semina, pagina 142, Milano, 2010): “Non mi nascondo come forze disgregatrici da non sottovalutare siano al lavoro. Né mi sfugge di essere considerati nemici per la nostra volontà di non arrenderci al caos…..per salvare le imprese bisogna mobilitarsi anche per salvare l’Italia”. Questa è l’ideologia del consenso di cui il capitale finanziario ha bisogno; questa è la filosofia politica ed economica che ha portato al varo del Governissimo con il sostegno di destra e sinistra, ala scelta autoritaria di cui questa alleanza è portatrice con la benedizione del presidente della Repubblica e delle grandi banche.

 

Il bersaglio della riforma (oltre ai precari) sono i lavoratori stabili del privato ritenuti a profitto ridotto. Nelle grandi imprese (finanziarie, metalmeccaniche, siderurgiche, chimiche, farmaceutiche, della comunicazione, della logistica e del trasporto) vanno espulsi i cinquantenni ormai logori, troppo costosi e poco disponibili alla cessione del tempo di vita nella sua totalità; vanno sostituiti con giovani precari, ricattati e ricattabili, già espropriati delle loro speranze, senza sogni per il futuro. Ed ancora vanno eliminati, con interventi radicali, tutti i lavoratori che si presentano a capacità lavorativa ridotta per ragioni fisiche, psichiche o psicofisiche; mediante le modifiche si vuole facilitare questo processo che già da tempo era in atto, e non di rado con l’aiuto delle strutture sindacali interne, sempre più corrotte e/o indebolite.

 

Con le nuove norme sparisce (salvo che per i licenziamenti cosiddetti discriminatori) la certezza della reintegrazione, anche in caso di accertata illegittimità del licenziamento. Sarà il Giudice, di volta in volta, a decidere se reintegrare (ma con il limite di dodici mesi quanto al danno) o assegnare il solo risarcimento, cancellando il rapporto di lavoro (da 12 a 24 mesi); e lo potrà fare solo se il lavoratore dimostri (con prova a suo carico) che il licenziamento non solo sia illegittimo, ma che lo sia in modo davvero clamoroso (il disegno di legge recita: manifesta insussistenza). In buona sostanza si prepara il terreno (fertile) per rendere la reintegrazione una ipotesi soltanto residuale.

 

Mentre nei paesi industriali la prova della inesistenza della discriminazione è a carico delle imprese (il lavoratore deve solo affermarla), l’Italia è l’unico paese che impone alle vittime di provare di essere discriminate; e mentre in USA non esiste limite al risarcimento in caso di accertata discriminazione qui da noi si riduce in tutte le maniere il costo per le imprese. Anche i tempi della giustizia sono posti a carico del lavoratore; se lo Stato ci mette dieci anni ad accertare che ti hanno fatto un torto, se ne rifonde uno solo (due ma se perdi anche il posto, e devi anche provare di avercela messa tutta a trovarne un altro)!

 

Da ultimo. Il processo del lavoro dovrebbe durare circa sessanta giorni; sono vietati i rinvii che non abbiano un motivo. E’ un processo rapido, sulla carta. Ma, per esempio, a Matera una causa di licenziamento iniziata nel 2001 (esatto: 2001) non è ancora terminata in primo grado. Non ci sono sanzioni; al massimo è possibile (ma grazie all’Unione europea) ottenere un (modestissimo) risarcimento per denegata giustizia. La riforma Fornero (sempre senza sanzioni) introduce un rito processuale veloce che tutti gli addetti ai lavori non esitano a definire pazzesco, ingestibile, destinato ad una rapida abrogazione (come già era accaduto a suo tempo per il rito societario). Ma in questo caso siamo nell’ambito dell’incapacità e della follia; non sono solo governanti reazionari e autoritari, sono anche (come i generali fascisti della seconda guerra mondiale) inguaribili pasticcioni.

http://uninomade.org/la-riforma-fornero/

Albano contro l’inceneritore: cariche e arresti

Sabato 14 Aprile è stata una grande giornata di partecipazione, di  mobilitazione e di lotta. Le strade di Albano si sono riempite di cittadini,  comitati di quartiere,  rappresentanti dei Comuni dei castelli romani, collettivi studenteschi e reti sociali che si battono su tutto il territorio laziale contro un piano regionale dei rifiuti basato su discariche e inceneritori. È stata la risposta migliore a chi da giorni dava definitivamente persa una battaglia che nonostante la sentenza del Consiglio di Stato ha dimostrato tutta la sua vitalità e determinazione a continuare il percorso fin qui intrapreso. Per tutto il corteo molti sono stati gli interventi e le testimonianze di chi vive intorno a Roncigliano: lo scempio del settimo invaso, l’allargamento della discarica, l’inquinamento delle falde acquifere. La volontà popolare lo ha ribadito ancora una volta: basta con discariche e inceneritori, né qui né altrove, differenziata subito e netta contrarietà al  piano regionale dei rifiuti proprio in questi giorni al centro del dibattito  con l’intervento dello stesso ministro Clini. Lo stesso che aveva anticipato la sentenza del Consiglio di Stato che sbloccava l’inceneritore di Albano.
Purtroppo prima che l’assemblea conclusiva del corteo iniziasse, le migliaia  di persone che man mano arrivavano a Piazza Mazzini, hanno trovato un ingiustificabile schieramento di forze dell’ordine, come sin dalla prima mattinata per tutte le strade di Albano. In prossimità di Villa Doria, quando il corteo continuava il suo percorso, è partita una  carica delle forze dell’ordine, tra l’altro creando panico e paura. Una  signora, a cui va tutta la nostra totale solidarietà, ha avuto una frattura alla caviglia. Oltre a numerosi contusi.
Come se non bastasse, l’ingiustificato nervosismo delle forze dell’ordine si è  manifestato anche a conclusione del corteo. Mentre quattro studenti, di cui due  minorenni, stavano tornando a casa, sono stati fermati e aggrediti dalla Digos  di Roma, con la giustificazione di un normale controllo. In realtà la reale intenzione era mettere in stato d’arresto uno dei due studenti minorenni, a loro  dire responsabile di aver lanciato pietre contro le forze dell’ordine e responsabile del ferimento di un agente.
Il tutto si è consumato sotto gli occhi increduli di tanti cittadini di  Albano. Un presidio spontaneo sotto il commissariato di Albano per richiedere  l’immediato rilascio dello studente, dopo pochi minuti si è trasformato in una nuova caccia ai manifestanti. Quasi trenta membri del nostro coordinamento sono stati accerchiati da blindati di Polizia e Carabinieri per poi essere identificati. Anche alcuni giornalisti presenti, hanno ricevuto lo stesso trattamento e alla fine la Polizia ha confermato l’arresto per uno dei due ragazzi minorenni fermati, in attesa del processo che dovrebbe tenersi mercoledì.
Inoltre è da sottolineare come la stampa, nella giornata di Domenica, abbia diffuso in modo uniforme le stesse notizie, prese direttamente dalle veline della Questura, riportando anche gli stessi errori.
Nessuno di noi ha mai pensato di fare una marcia di almeno 5 kilometri verso “la Nettunense”.
Solo chi non consoce il nostro territorio può scrivere queste cose! La risposta è chiara. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato il segnale è  quello di creare intimidazione e paura. Si cerca così di criminalizzare chi si batte a difesa del proprio territorio, dipingendolo come chissà quale pericoloso sovversivo. Oggi l’unica colpa che abbiamo avuto è stata quella di aver
manifestato ancora una volta con determinazione contro la devastazione  ambientale, a difesa della salute e dell’ambiente di tutti noi.
Continueremo a lavorare e ad informare la cittadinanza come sempre, attraverso ricorsi legali, assemblee, sit-in, per bloccare la folle costruzione dell’inceneritore di Albano.
LIBERI TUTTI!!

Coordinamento contro l’inceneritore di Albano

Breve video di una delle cariche

http://www.youtube.com/watch?v=-QBm7Epqj2g

LA UNICA LUCHA QHE SI PIERDE ES LA QUE SE ABANDONA!

Lo sgombero della neonata Fazenda Occupata dimostra per l’ennesima volta con quanto zelo le forze del disordine intervengano per stoppare i processi di autorganizzazione dal basso che spuntano come fiori di rara bellezza nei meandri della metropoli.
Mai abbiamo visto tanta potenza dispiegata contro chi devasta i territori, mai abbiamo visto una tale solerzia nel requisire i tanti mostri di abusivismo o i troppi edifici abbandonati e fatiscenti pubblici come privati. In questa città di palazzinari, di welfare precario, di case sfitte e gente senza case, di periferie nate e cresciute nel nulla, ancora una volta polizia e amministrazione a braccetto accorrono per interrompere un’esperienza di riappropriazione che allontana il degrado, ricompone le generazioni, rimette al centro il territorio e i bi-sogni.
Oggi con la scusa della crisi si preparano grandi affari a poco prezzo: quanto potrà guadagnare il solo Caltagirone dalla privatizzazione di Acea (che Alemanno continua a riproporre nonostante la vittoria referendaria) o dalla svendita del patrimonio pubblico?
Contro gli immensi profitti di pochi continuiamo a rivendicare il diritto a riappropriarci di un reddito per tutti/e… e poiché la libertà non cade dal cielo continueremo a strapparla metro dopo metro.
La lotta di tanti e tante contro la precarietà delle nostre vite e per la libertà di autodeterminare il nostro presente fuori dalla “nonlogica” dei profitti non si ferma davanti ai vostri blindati.
Con la stessa rabbia e lo stesso amore di sempre affianco agli occupanti e le occupanti della Fazenda
Laboratorio occupato e autogestito Acrobax

No vendita Acea: DilloadAlemanno.it

E’ online www.dilloadalemanno.it, un sito da cui è possibile far sentire la propria voce e inviare con estrema semplicità una mail al Sindaco di Roma, all’Assessore al bilancio e all’Assessore ai lavori pubblici per chiedere l’immediato stop al piano di privatizzazione.
Invitiamo tutte e tutti ad aderire, a scrivere ad Alemanno e a diffondere quanto più possibile questo sito, in modo da inondare il Campidoglio di lettere di protesta.
Nelle prossime settimane sono previste numerose iniziative contro la svendita di Acea e dei servizi pubblici essenziali, a partire dall’assemblea cittadina di sabato 14 aprile, alle ore 10 al Cine Teatro Colosseo (Roma – Via Capo d’Africa 29/a).
Una vasta coalizione sociale fatta di movimenti e realtà associative, sociali, partiti e sindacati, ha avviato un percorso di mobilitazione per fermare il piano di vendita dei servizi pubblici essenziali e più in generale per bloccare l’approvazione del bilancio del Comune di Roma.

Video | Invito alla discussione, per la libertà di movimento!

Foto della Comune di Parigi 1871

Con alcune fondate ragioni riteniamo che il convegno sulla Libertà di movimento tenutosi il 7 Marzo scorso all’università Roma3 sia andato bene, oltre le aspettative e diciamo subito il perché. A volte parlare di repressione significa parlare delle sfighe, di quanto ci si sente attaccati, controllati ed intimiditi. Molto spesso la si mette su un piano della denuncia o delle volte della commiserazione collettiva. Bene, l’incontro sulla Libertà di movimento ha decisamente preso un’altra strada.

Guarda i video degli interventi del convegno

Con una certa gioia e necessaria porzione di umiltà abbiamo affermato alcune semplici questioni: prima di tutto e ne siamo orgogliosi, con desiderio e determinazione abbiamo rivendicato il nostro elementare compito, riportare le forme del conflitto sociale su di un piano pubblico mettendone in luce non la sola legittimità quanto la più ampia e utile dinamica costituente propria di quell’eccedenza sociale, di quella partecipazione popolare, che si dispone contemporaneamente come dispositivo di rottura ed elemento costituente, per la libertà di movimento e per la stessa indipendenza politica delle lotte. Crediamo fermamente che il conflitto sociale sia il motore della costituzione materiale, vero unico prerequisito reale per lo sviluppo costituzionale – che in alternativa diverrebbe semplice feticcio esterno alla realtà stessa, come spesso la politica e le istituzioni strumentalmente la intendono e lì nel feticcio costituzionale poi si concepiscono e si riproducono. Non ci sentiremo mai dei perseguitati perché abbiamo deciso e autodeterminato un percorso che ci vede in conflitto con loro, scelta lucida e politica che noi per primi dispieghiamo e rivendichiamo alla luce del sole, contro la precarizzazione e i precarizzatori, contro le lobby e le mafie, anche quelle targate antimafia.

 

Fondamentalmente l’assunto di fondo che ha promosso e sviluppato le tracce del ragionamento è partito dalla consistente convinzione materiale che noi siamo risolutamente in conflitto con loro, conflitto per e con il diritto di resistenza. Per resistere alla prepotenza dello Stato, alla boria delle truppe di occupazione nelle montagne della Val Susa lo scorso 3 luglio, così come alle cariche della polizia della recente Piazza San Giovanni di Roma del 15 Ottobre, prendendo poi queste giornate solo come ultimi due esempi del recente conflitto sociale, esempi che vedono peraltro nel loro epilogo giudiziario ancora vergognosamente carcerati alcuni compagni e alle misure cautelari altre ed altri, di cui il convegno ovviamente ha chiesto, già dalla sua introduzione, la loro immediata ed incondizionata liberazione.

 

E nel corso di queste settimane rileviamo una prima importante sentenza che rappresenta un esito non scontato dell’epilogo giudiziario di uno dei processi ai movimenti, sul tema del caro vita, quando il 6 Novembre del 2004 vennero prima indagati 105 attivisti poi rinviati a giudizio in 39, poi giunti a sentenza in 15, con l’accusa di concorso in rapina pluriaggravata, differenziando per alcuni anche il ruolo di organizzatori, come se il mondo fosse volontà e rappresentazione delle loro gerarchie e dispositivi di potere. Bene, dopo 8 anni di maxiprocesso il giudice ha stabilito non solo l’assoluzione per tutti e tutte ma anche perimetrato uno spazio giuridico ancora più importante, il fatto non sussiste, non è stata una rapina. E a questo punto, lo diciamo noi, è stata solo una minacciosa montatura, per la quale peraltro sono state già scontate settimane e mesi tra misure cautelari di arresti domiciliari e obblighi di firma – applicati per di più a distanza di mesi dal fatto contestato. Una minaccia a mezzo giudiziario che ha limitato molto l’iniziativa delle lotte, interdetto per alcuni anni lo spazio politico delle legittime pratiche di riappropriazione, inibendo e reprimendo per via preventiva, eventuali e possibili nuove iniziative.

 

E ora non bastano i commiati e i pietismi anche di coloro che dentro e oltre i movimenti si dolgono il petto, dopo aver fino a poco tempo fa intessuto relazioni con il Partito cosi detto Democratico che, mentre con una mano offre scorciatoie politicamente opportunistiche, con l’altra bastona e chiude i cancelli lasciando dietro le sbarre i nostri compagni e le nostre compagne Notav, con la pretesa cortese del mandante, Presidente Napolitano e dell’esecutore e repressore, Procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli.

E allora servono le alleanza ma serve chiarezza e intelligenza politica, serve cuore e passione, ma è fondamentale il cervello, collettivo e sovversivo, per l’utopia concreta, per affermare il comune tra di noi, di ciò che in comune coltiviamo per noi, per la libertà nell’indipendenza.

A presto nelle strade per rovesciare il potere.

 

Nodo redazionale Indipendente

 

Video | L’acqua, paradigma dei beni comuni – Convegno alla Fondazione Basso

Lunedì 26 marzo alle ore 16:30
c/o la Fondazione Lelio e Lisli Basso  – Issoco – Via della Dogana Vecchia 5 – 00186 Roma
L’acqua, paradigma dei beni comuni
Quando il ragionamento collettivo costruisce il superamento tra pubblico e privato e afferma il comune

Video degli interventi del convegno:

 

Leggi il testo dell’appello:

Oggi, in Italia, c’è un gran parlare dei beni comuni. E’ un tema che, chiaramente, si sta ponendo in altre parti del mondo e che, qui da noi, offre tanto uno strumento nelle mani di chi contesta un modello neoliberista tanto di chi di quel modello vuole essere alfiere.
Il bene comune così si allarga e allunga divenendo, alla fine, una coperta troppo corta.

Eppure in tutta Italia, nei territori dove l’attivazione è massima, si costruiscono percorsi e ragionamenti sperimentando direttamente una pratica e costruendo suggestioni.
Per noi questo è stato rappresentato dal movimento dell’acqua.

“C’è una campagna fatta dal basso, strada per strada, ci sono spazi di comunicazione guadagnati metro per metro, ci sono ragionamenti lunghi anni che conquistano e si diffondono veloci; l’acqua diviene un paradigma nella società italiana. Non solo tra cittadini ma anche nel dibattito pubblico. I beni comuni sfondano e divengono elemento semiotico riconosciuto, una linea. Forse una barricata.
Le persone dicono infatti con il loro voto che non sono più disposte a sacrificare tutto sull’altare del mercato; la religione neoliberista vacilla anche da noi.
I privatizzatori bipartisan, si trovano improvvisamente sconfitti e, con loro, anni di beni pubblici saccheggiati a man bassa, ricette in cui le persone sono divenute risorse umane, in cui il mercato del lavoro doveva essere flessibile fino a divenire precario, l’innovazione e la garanzia passava per le formule innovative del profitto privato.
Ma ancor di più accade: si forma un ragionamento collettivo sul superamento tra pubblico e privato e che afferma il comune.”

Questo lo scrivevamo in occasione dell’adesione alla campagna di Obbedienza civile lanciata dal movimento dell’acqua a novembre, quando era ancora in fase di ragionamento, oggi, invece, è partita e ha coinvolto già migliaia di persone.
Questo vuol dire che la convinzione che la battaglia sarebbe finita con il referendum è errata. Sia per chi sperava che quella fosse una vittoria definitiva, sia per chi sperava di poter aggirare la volontà popolare.

E’ in questa fase che noi vorremmo continuare quel ragionamento. Una fase in cui la crisi continua a scavare solchi profondi tra i mercati con i suoi sacerdoti e la precarietà dilagante di milioni di persone. La Grecia è li come esempio.
Ma, in generale , è evidente che la portata di questo discorso ha carattere internazionali. Questo è dimostrato anche dall’incontro dei movimenti dell’acqua a Marsiglia, in occasione del controvertice del FAME, dove nascerà la rete europea per l’acqua bene comune.

Ad ogni modo, dal nostro punto di vista, è giusto assumere che, in questo momento, i movimenti sono in una fase di osservazione, provando a comprendere dove si può concludere l’inadeguatezza rispetto allo scontro con i poteri forti e dove inizia, invece, una nuova alterità possibile. Un’alternativa fatta di trasformazione dell’esistente, di nuovi strumenti e modelli, di una nuova democrazia diretta, di autonomia ed indipendenza.

Siamo convinti, quindi, che sia una fase di confronto e laboratorio, in cui le ricette precotte sono deisamente intutili . Per questo partiamo dai movimenti che pongono la priorità di questo tema.
Ma anche ponendoci domandae, per noi,  sostanziali: esiste un limite dei beni comuni?
E al bordo di questo confine che cosa inizia?
Per ultimo, qual’è dunque il terreno su cui i movimenti si incontrano trasformando le proposte di ragionamento in pratica costituente?

Siamo infatti convinti che esista una questione del comune, come superamento del pubblico e del privato, che ci interroga per la sua gestione ed autogestione, per la dinamica che può produrre nei territori e nel superamento della rappresentanza in drammatica crisi (Chi decide su cosa?).

Invitiamo, dunque, tutti/e a partecipare ala discussione sperando che sia solo la prima di un percorso più lungo. Proviamo a cimentarci nell’intento di fornire gli strumenti utili da mettere nella cassetta degli attrezzi da poter  utilizzare nella quotidianità in cui la resistenza diventi una definitiva riappropriazione collettiva del futuro.

– Introduce Valerio Balzametti (Laboratorio Acrobax)

– Marco Bersani (ATTAC/forum italiano movimenti acqua )

– Corrado Oddi (FP-CGIL/forum italiano movimenti acqua )

– Stefano Rodota’ (Prof. Emerito di Diritto Civile, Universita’ di Roma La Sapienza)

– Giacomo Marramao (Prof. Ordinario di Filosofia Politica, Universita’ Roma Tre)

– Gigi Roggero (Uninomade)

– Giulia Bucalossi (Punto San Precario Roma)

– Paolo Berdini (Urbanista)

– Don Sardelli

– Nicoletta Dosio (Comitato No Tav)

promuove
Loa Acrobax
Punti SanPrecario_Roma
www.indipendenti.eu

www.scioperoprecario.org

Video. Debito sovrano e diritto all’insolvenza (Fumagalli)

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Il governo precedente come l’attuale governo tecnico, pressati dalla sfiducia dei mercati e dalla speculazione finanziaria, hanno varato una manovra lacrime e sangue dopo l’altra in nome dell’emergenza. Ma i sacrifici che pretendono sono davvero così ineluttabili? Da dove viene questa crisi? Una panoramica sui sitemi di accumulazione finanziaria, per capire meglio chi sono, in realtà, questi fantomatici “mercati”.

Un momento di approfondimento con Andrea Fumagalli sulla crisi del neoliberismo e sul debito sovrano, con un duplice intento, quello di misurare per un verso le soggettività e le reti sociali indipendenti, le intelligenze di movimento, intorno alla riflessione teorica sulla crisi finanziaria, sul biopotere dei mercati, sul debito e il possibile default per poter individuare il moover politico e sociale della trasformazione, sul piano immediato e diretto dell’iniziativa di movimento e quindi anche delle proposte che ne scaturiscono come appunto quella al diritto all’insolvenza.

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00:00 Introduzione sul diritto all’insolvenza

24:24 Perché tanta attenzione sull’Italia?