A’ l’è Düra, ma non drammatizziamo (Giorgio dal carcere)

da www.infoaut.org

Saluzzo, 30 marzo 2012

Gli articoli sui giornali locali che
hanno riportato il comunicato della sezione “ISOL”, la visita della delegazione,
la conferenza successiva a Saluzzo, infine il partecipato presidio di sabato 4
marzo hanno rotto la normale “routine” del carcere e ulteriormente innervosito
la direzione e il comandante che si arrampicano sugli specchi per difendere il
loro operato. Il presidio è stato sentito in tutta la prigione, i detenuti che
incontro quando vado a messa, appartenenti alla prima e seconda sezione ALTA
SORVEGLIANZA, il barbiere, il bibliotecario e lo spesino riportano che in tutte
le sezioni sono sei in totale, sono contenti e ringraziano per l’attenzione che
c’è intorno al carcere di Saluzzo. Andiamo avanti a piccoli passi.

Vi racconto uno spiacevole episodio successo nella nostra sezione “ISOL”
DOMENICA 18 MARZO. Da metà marzo scendo all’aria dalle 13 alle 15, sono l’unico
quasi sempre, gli altri preferiscono rimanere a giocare a carte o chiacchierare
nel corridoio che scendere ognuno divisi nel suo cortile/box. Quando risalgo
vengo a sapere quello che è accaduto. Appena “aperti” due giovani detenuti hanno
un acceso diverbio per futili motivi dovuti al nervosismo che si è venuto a
creare nel fine settimana quando si sono esaurite le sigarette e il tabacco.
Intervento delle guardie e chiusura in cella per tutti. Un detenuto, lo stesso
che aveva già subito una “ripassata” di botte a metà dicembre si rifiuta ed
insulta gli agenti, quasi tutti graduati, viene portato in ufficio lontano da
sguardi indiscreti e colpito con una nuova scarica di botte e calci.

Pur essendo un ragazzo che fa palestra ed incassa “bene” quando è arrivata
giovedì la delegazione con Vattimo, Artesio e Biolè erano ben visibili i segni
sul volto e sul corpo. Nei giorni precedenti nonostante le proteste il
comandante aveva cercato di minimizzare, spingendosi a dire che il ragazzo si
era picchiato da solo. Dopo la visita della delegazione, il giorno dopo lo hanno
convocato per raccogliere la testimonianza e fatto refertare in infermeria. In
questi casi il detenuto cerca di farsi assistere dall’avvocato, che per ogni
istanza va pagato se no ti trascura o ti consiglia il silenzio che è sempre
meglio per il tuo futuro processuale.

Aldilà di frasi fatte in prigione c’è gente informata dei fatti che
raccontano problemi e speranze. E’ difficile aspettarsi da un detenuto che ha
dieci anni alle spalle scontati e che ne ha 28 da fare, che “spera” di avere il
primo permesso fuori per vedere la moglie ed i due bambini oramai ragazzi, che
si esponga quando un solo rapporto punitivo può precluderti ogni speranza.

L’attacco telematico di alcune settimane orsono di anonymous in cui è stato
attaccato il site del ministero di grazie e giustizia ha comportato a Saluzzo il
blocco della spesa per due settimane della “spesa” per i detenuti (risulta che
abbia colpito tutte le carceri italiane). Pur essendo la “spesa” uno dei momenti
importanti e delicati, non ho sentito un solo detenuto lamentarsi contro
anonymous, ma tutti contro la direzione, che non sistemi manuali vecchia maniera
avrebbe potuto garantire comunque lo stesso il servizio. E’ stato sicuramente un
attacco ben calibrato che ha colpito in profondità il sistema informatico del
ministero.

Alcune lettere che ricevo (ne approfitto per ringraziare) sono intrise di un
certo vittimismo: “poverino, tieni duro, che brutte cose ti stanno facendo”.
Ebbene questo è un modo sbagliato di porsi. Alessio, Maurizio, Marcelo, Luca e
Juan si trovano in forme diverse nelle mie stesse condizioni. Isolamento e
sovraffollamento, silenzio e rumore creano “stati d’animo” diversi e molto
soggettivi. Sdrammatizzando, ora c’è qualcosa di diverso nella mia vita, poco
avvezza alle novità e al nomadismo, che ha sempre preferito il fresco della
montagna e guardato con sospetto al rito del sole in spiaggia, il mare
considerato come una bacinella d’acqua o poco più. Non per niente da vent’anni
passo in tenda i primi 10 giorni di agosto ai duemila metri della valle
argentera, tra la val di susa e la val chisone. Eppure da quando è entrata in
vigore l’ora solare, dalle 13 alle 14, il sole “batte” in un angolo del cortile
d’aria, faccio la “tintarella” su un tappetino di fogli di giornali e una
bottiglia di plastica come cuscino, l’asciugamano è vietato, il capoposto
afferma che nemmeno il giornale sarebbe consentito all’aria dell’isolamento,
secondo lui, si potrebbe arrotolarli e dargli fuoco. Mah. (c’è solo cemento
dappertutto e una porta di ferro e i segnali di fumo stile apache non sono
capace di farli). La novità di oggi venerdì 30 marzo: un agente seduto su una
sedia posizionata a controllarmi davanti alla mia aria per tutta la durata della
stessa. Ha ricevuto l’ordine dal capoposto.

A differenza di qualcuno che è caduto dal ramo come un fico secco,
l’operazione scattata il 26 gennaio dagli “organi competenti” era prevedibile.
Come comitato di lotta popolare di Bussoleno, da settembre in avanti ci
siamo adoperati a preparare il terreno perché i nostri militanti e gli attivisti
del movimento prendessero in considerazione tale ipotesi con possibilità senza
inutili isterismi e paure, ben sapendo che per come è fatto il movimento NO TAV,
nel suo essere una comunità popolare in lotta variegata e trasversale, nulla era
scontato. Non volevamo cadere nella trappola lotta/repressione/ghetto, che con
il ricatto e la paura indebolisce fino ad ammazzarle le lotte, ma fosse invece
parte integrante, anzi una spinta propulsiva alla lotta, che ne rafforza la
mobilitazione.

Scontato, per noi, soggettività militanti che innocenza e colpevolezza sono
categorie dannose e distorte, che essere in attesa di giudizio o condannati poco
cambia. Dopodiché, da qualche parte che non siano le nostre granitiche certezze
bisogna partire per aprire contraddizioni e costruire consenso ad una battaglia
di libertà contro il carcere. Altrimenti accettiamo il terreno della finzione
dello “scontro totale” che necessita di ben più approfondite analisi e
riflessioni. Ma in quel caso perché fare gli “uccel di bosco” e poi costituirsi
usando l’alibi del gesto personale? Lì non serve più la continuità, ci si
inchina di fronte all’individuo, questa si massima personalizzazione
possibile.

Da quando tirano forti i venti della crisi si sente che qualcosa scricchiola,
c’è fragilità nel meccanismo ben oliato della riproduzione e dell’accumulazione
del comando capitalista sulla società. Quando Caselli a Torino, non a Palermo
ripete in continuazione la cantilena “mi sento solo”; quando i politicanti di
ogni sorta si ubriacano a suon di frasi fatte “siamo in democrazia, difendiamo
il vostro diritto a manifestare” senza disturbare troppo, perché nulla deve
inceppare il “sistema” in cui ingrassano i padroni, speculatori, devastatori,
sindacalisti vari, meschini individui, supposti amici e veri nemici. Quello che
accomuna un nostro ex alleato a Venaus nel 2005 Pecoraro Scanio, in pensione a
48 anni a quegli spaventapasseri bipartisan di Ghiglia ed Esposito.

Uno strano disgusto è quello provato dalla scenetta della maglietta sulla
Fornero con quel trombone di Diliberto che si smarca. Meno normale una Ministra
Fornero che dal suo punto di vista, di classe, dice “non ci hanno chiamato al
governo a distribuire caramelle” e si assume le sue responsabilità. E’ invece
penosa la signora che indossava la maglietta che per due giorni si è rinchiusa
in casa per la vergogna a piagnucolare. In questa storiella sta tutto lo schifo
di un certo modo di fare politica e sindacato a base di tarallucci e vino, pane
e democrazia, compromesso e mediazione, perché siamo tutti sulla stessa barca.
La signora lasci perdere t-shirt, video e foto, rispolveri qualche libro
novecentesco su chi è amico e chi è nemico, chi sta da una parte e chi sta
dall’altra parte della barricata.

Non ci si lasci imbambolare da Napolitano, non è sopra le parti, è parte del
problema. Alla retorica della democrazia come status quo per non cambiare mai
bisogna contrapporre la forza della partecipazione come diversità ed alterità al
quadro dominante. Lavoriamo perché prima o poi, non qualcuno ma pezzi

importanti di una nuova composizione di classe gliene chiedano il conto. Non
mi piace il gioco d’azzardo, però, siamo ambiziosi, aspiriamo nel nostro piccolo
a far saltare il banco.

A’ l’è Düra.

 

GIORGIO

Assemblea 5/3/2012 h17 sul diritto alla casa, per la nuova occupazione a boccea

A tre giorni dalla riapertura degli spazi di via Boccea 506 continua il presidio permanente.

Venerdì mattina siamo entrati in questi spazi abbandonati da oltre 15 anni dall’amministrazione e dalla proprietà.

In un quartiere come Casalotti dove la carenza di servizi e di luoghi di partecipazione va a braccetto con il costante aumento del prezzo degli affitti e dei mutui, uno spazio come questo viene utilizzato esclusivamente per speculazioni finanziarie.

Le amministrazioni di ogni ordine e grado usano la crisi per giustificare le loro inadempienze: non ci sono i soldi per il prolungamento della metropolitana, per le case popolari e per gli asili nido ma trovano i fondi per regalare appalti e posti di lavoro ad amici e parenti.

In queste giornate i cittadini e le realtà associative del territorio hanno condiviso la nostra iniziativa contribuendo alla pulizia e sistemazione degli spazi e partecipando attivamente alle iniziative. Da parte di tutti l’augurio e’ quello che una risorsa così preziosa non torni nello stato di abbandono in cui lo abbiamo trovato venerdì mattina.

Per questo abbiamo deciso di continuare a presidiare questi spazi e promuovere nella giornata di giovedì 5 aprile un’assemblea pubblica per immaginare e progettare insieme il loro futuro.

Vogliamo dimostrare che e’ possibile soddisfare esigenze collettive e bisogni individuali attraverso un percorso di partecipazione dal basso in cui i cittadini possano determinare il miglioramento della propria qualità della vita con soluzioni alternative alle logiche del profitto e della speculazione .

L’appuntamento per tutti e tutte è giovedì 5 aprile alle 17.00 in via Boccea 506.

 

Casa per tutte e tutti.

Giustizialismo e satrapia sono i due volti del comando, solo l’Indipendenza paga!

E’ in corso nel cuore dell’Europa fino alle sponde del Mediterraneo un nuovo processo costituente, che si dispone dal basso come nuda vita, contro la governance neoliberista, nel pieno di una guerra civile asimmetrica, dove le genti in lotta si confrontano contro i carri armati, dall’Egitto alla Grecia, dalla Tunisia all’Inghilterra. Siamo nella transizione di un paradigma, dalla guerra convenzionale tra Stati, alle odierne e asimmetriche guerre civili non convenzionali. Gli eserciti (del neoliberismo) contro i nuovi poveri
(del neoliberismo).

Nella crisi della misura del valore, nella crisi complessiva del processo di valorizzazione, si rompe anche il piano-sequenza
della politica come mediazione. La crisi della rappresentanza relega la governance al ruolo di una nuova poliziewisenschaft, in un progressivo distacco dalla realtà, dalla sua costituzione materiale, dalle leve concrete della precarizzazione. In Italia il parlamento vive da anni prevalentemente in funzione delle sue strategie mirate alla cooptazione e al controllo sociale.
Nel mentre affina le sue mappe per dare corpo all’accelerazione di un processo neo autoritario le cui origini in Italia sono note a tutti.

Però la particolarità del momento che sta attraversando il nostro bel paese, caso politico unico nel laboratorio della crisi e della decadenza globale, vive un passaggio delicato che si apre su un vero campo di forze, su una tensione polare che de facto produce uno scenario di guerra civile, politica e culturale. Lo abbiamo già letto e scritto nel dibattito di questa rivista. Si chiude una fase politica insieme all’apertura ad un nuovo ciclo economico, che ora s’incardina nella grande crisi, in quel
precipuo processo di transizione, dalla centralità dell’industria all’economia della conoscenza. Ma ovviamente l’unicità non sta in sé nella fine di una stagione politica che potremmo definire, berlusconiana. Anzi, per chiudere
questa fase si sta disponendo una preoccupante filosofia dell’emergenza autoritaria, della critica allo stato di eccezione rovesciata di segno e si fa sempre più strada l’ipotesi del paradosso dei paradossi, che sarebbe quello del ripristino dell’equilibrio istituzionale attraverso fondamentalmente un golpe eversivo. Interno ed esterno agli apparati dello Stato. Non è l’idea del defunto ministro K, ma quella di autorevoli esponenti dell’intellighenzia italiana. Il vuoto supposto della forza sociale di un processo costituente
viene riempito con la richiesta dell’ordine per il ripristino dell’ordine, formalmente democratico. I “grandi progetti” di far fuori il Cavaliere con i riti propiziatori di palazzo o con i dispositivi giudiziari a tratti alterni a
quelli morali, sono andati ben oltre le ipotesi più fantasiose che potevamo immaginare. In definitiva per la terza volta la Repubblica Italiana fa ricorso, per supplire alla mediocrità della politica, alla via giudiziaria. Prima, con
lo stato di emergenza e le leggi speciali evocate ed applicate per annichilire la spinta rivoluzionaria nel decennio caldo che è seguito in Italia al maggio francese, poi per disarcionare una classe politica corrotta nello scandalo tangentopoli, ora per reprimere l’asse di potere del Cavaliere divenuto un imbarazzante Nerone che con la sua lira sta lì a cantare le storielle mentre
ormai Roma brucia da anni, dopo averlo peraltro tutelato e protetto per anni nel suo conflitto di interessi. In ogni caso, per scelta, l’opposizione preferisce portare l’acqua con le orecchie agli apparati piuttosto che organizzare non dico la rivolta ma almeno un’opposizione sociale credibile. Quindi si apre un’enorme prateria che nemmeno il sindacato più grande d’Europa pensa di poter
condurre al cambiamento politico. In Italia e nella UE la crisi economica è soprattutto politica e culturale, e non riguarda l’intero sistema globale, riguarda invece precisamente il blocco occidentale e il patto atlantico che lega dalla fine della seconda guerra mondiale, gli interessi degli USA a quelli della Comunità europea (e sì, perché vista da una certa angolatura del pianeta, il sistema capitalistico non è in crisi ovunque. In Cina o in Brasile la cosi detta crescita è infatti a due cifre). Non è la fine del mondo, ma di una parte
del mondo in cui l’Italia è integrata. Le guerre civili e le catastrofi ambientali divengono però le somme del neoliberismo, quello sì globale. Le immagini delle rivolte assumono un contorno sfumato nei confini delle geografie politiche, culturali, finanche antropologiche della nuova modernità. Il vento del sud è un vento di libertà, certo, contro la tirannide della classe politica
corrotta e venduta al mercato. Ma le differenze dei diversi orizzonti dei conflitti oggi non ci permettono riduzioni semplicistiche e banali. Dalle rivolte nel cuore dell’Europa e del mediterraneo si aprono sicuramente nuove prospettive. Ma le rivolte al centro del sistema di accumulazione finanziaria come quelle di Londra, Roma, Parigi, Atene, segnalano la novità nel cuore dell’innovazione e del decantato benessere (Do you remember welfare state?).

L’irrompere di un nuovo protagonismo sociale dei movimenti contro l’austerity, contro il piano capitalista dell’exit strategy dalla crisi, ovvero da quella stessa crisi che il piano capitalista ha provocato, è il nodo politico centrale che spaventa i potenti e che comincia a far paura. E lì nel punto più avanzato della contraddizione, nei suoi perimetri formali, che si accumula forza per il cambiamento dopo due decenni di egemonia del pensiero neoliberista. Ormai in massa territori si ribellano contro le grandi opere del comitato di affari delle speculazioni finanziarie e delle devastazioni ambientali. Da una punta all’altra della penisola riemerge con più forza ancora,
l’oscenità del conflitto sociale, fino a quella piazza del popolo e al fascino della sua lotta. E’ necessario quindi organizzarci. Immaginare una rivolta costituente nel nostro paese. Cominciare a dare seguito e spazio costruttivo alla rabbia della generazione precaria, bloccare ad oltranza questo paese, dare spazio ad uno sciopero, sociale, civile, ad uno sciopero precario! E insieme costruire la
piattaforma del possibile e non quella del presente, del desiderio e non quella della legge. Riprendiamoci la parola Libertà e lasciamo ad altri le regole.
Dobbiamo reinventare l’intelaiatura e lo schema delle così dette istituzioni, dobbiamo rifondarle. Abbiamo bisogno delle istituzioni del comune, per la nuova “regolazione” dal basso che parta dall’attacco ai profitti per generare e
riconoscere quella ricchezza socialmente prodotta dalla moltitudine precaria, permanentemente al lavoro, tra produzione formale ed informale, materiale ed immateriale, senza reddito adeguato e diritti riconosciuti.

Dobbiamo insorgere per un diritto comune, una nuova “magna charta” a partire dalla forma
materiale della costituzione, per la sovranità e l’autogoverno, oltre il nuovo
welfare, possiamo e dobbiamo necessariamente costruire e cooperare per un nuovo
modello di società!

In gioco c’è qualcosa in più di una riforma.

Dobbiamo riscrivere la nostra costituzione, cioè ridare forma alla forma, per diffondere e sostenere l’utopia necessaria.

Rafael Di Maio

*articolo uscito per Loop n° 13 Aprile/Maggio 2011

 

 

 

La riappropriazione non è reato. Reddito e diritti per tutti!

ll 6 novembre 2004 dopo mesi di mobilitazioni e riunioni in tutta Italia veniva organizzata a Roma una grande manifestazione per la richiesta di un reddito garantito per tutti e tutte.

Gli stessi movimenti che organizzarono quella manifestazione realizzarono anche delle azioni simboliche sul carovita e sull’accesso a beni e servizi per una vera redistribuzione della ricchezza. L’iniziativa effetuata al supermercato Panorama nella zona di Pietralata fu trasformata immediatamente dall’allora Governo Berlusconi, dal Ministero dell’Interno, dal centro-sinistra e dai media in nuovo episodio di “esproprio proletario”, per l’ennesima volta veniva riesumata la cartina di tornasole degli anni ’70 e il terrorismo e la risposta a quella giornata fu un’ accusa di concorso in rapina pluriaggravata per 105 persone.

Mercoledì 28 Marzo 2012, una sentenza del Tribunale di Roma assolve tutti gli imputati di quel processo perchè il fatto non sussiste. Non esiste la rapina perchè quell’azione era una dichiarazione della crisi che sarebbe venuta, dell’aumento della povertà della società italiana e della progressiva sottrazione di diritti e garanzie. Era un’azione politica per affermarel’impoverimento di tutti noi, precari, disoccupati, migranti, cittadini e cittadine, lavoratori a tempo indeterminato, donne e uomini di questo paese. Non certo un’iniziativa di una banda di criminali.

Allora entavamo in quel supermercato parlando di shopsurfing, del nostro paniere precario e della necessità di avere nuovi diritti di cittadinanza, nuove garanzie sociali. Oggi, purtroppo, la precarietà è generalizzata grazie ai governi di centrodestra e centro sinistra, ha travalicato  i muri dei posti di lavoro – anche quelli cosiddetti garantiti – e ha travolto le vite di milioni diitaliani di tutte le età, diventando un vero e proprio sistema di controllo disciplinare.

La crisi sta trascinando via gli ultimi residui di diritti e la nuova riforma del mercato del lavoro è un lampante esempio di come la stessa ricetta venga riproposta con ancora più vigore. Ma quest’assoluzione dimostra, di fronte alla fine di ogni mediazione sociale, l’unica capacità rimasta ai poteri forti: quella di reagire con criminalizzazione e ordine pubblico cercando di isolare e additare i movimenti sociali,  i precari che i organizzano o chi si batte per la difesa deibeni comuni come portatori di violenza e sopraffazione.
La verità è che in Italia come nel resto dell’Europa che conosciamo da troppi anni c’è un’indicazione conservatrice e fortemente ideologica che propaganda la soluzione del mercato come unica possibile soluzione e via d’uscita, che sacrifica la vita di tutti/e noi per l’esclusiva produzione di profitti.

Oggi diciamo che è ora di trasformare questo paese rimettendo al centro le pratiche di conflitto contro le politiche di austerity. Le lotte contro i processi di precarizzazione si caratterizzano ancora una volta come lotte per la libertà. Per questo non ci fermeremo ma anzi rilanciamo nuove mobilitazioni contro il caro-vita, le politiche di austerity e la riforma del mercato del lavoro. La chiusura di questo processo afferma il carattere persecutorio nei confronti delle opposizioni sociali, così come sta avvenendo attualmente nei confronti del movimento no-tav, che vede rinchiusi nelle carceri i compagni e le compagne a cui vengono applicate restrizioni da carcere speciale come il 41 bis. A loro va il nostro pensiero e la richiesta immediata ed incondizionata della loro liberazione.

Oggi splende anche il sorriso di Antonio, nostro fratello imputato di quel processo e morto nel mentre per la precarietà del lavoro, che afferma beffardamente: “il Re è nudo”.

Laboratorio Acrobax

Appello, No vendita Acea e città di Roma

da www.acquabenecomune.org

Lunedì 2 aprile – ore 16.00 – Piazza del Campidoglio Roma

Lancio percorso di mobilitazione contro la scure del bilancio Alemanno in difesa della città, dell’acqua e dei beni comuni, dei servizi pubblici e della democrazia

Lunedì 2 aprile, ore 16.00 in Piazza del Campidoglio, parallelamente al Consiglio Comunale, inizierà il percorso per la costruzione di una grande rete cittadina contro la svendita dei servizi pubblici locali di Roma, a partire dalla vendita di ACEA, in difesa dei beni comuni e della democrazia.

Una vasta coalizione sociale fatta di movimenti e realtà associative, partiti e sindacati, incontrerà la stampa per illustrare il percorso di mobilitazione coordinata che verrà portata avanti nella città di Roma nelle prossime settimane per fermare il piano di vendita dei servizi pubblici essenziali e più in generale per bloccare l’approvazione del bilancio del Comune di Roma.

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Appello per la costruzione di una grande mobilitazione contro la vendita di ACEA e della città di Roma, in difesa dei beni comuni e della democrazia

Solo pochi mesi fa, una grande mobilitazione ha portato alla vittoria referendaria contro la privatizzazione dell’acqua e per la sua gestione pubblica e partecipativa. Con quel voto, 27 milioni di persone hanno inteso sottrarre alla gestione privata anche tutti i servizi pubblici locali, a partire dal trasporto pubblico e dalla gestione dei rifiuti.

La volontà popolare ha chiaramente indicato che i servizi pubblici locali non sono una merce, ma un diritto.

Oggi il Comune di Roma, in linea con le normative approvate dopo il voto referendario dal governo Berlusconi e dall’attuale governo Monti, si appresta a passare come un carro armato sulla volontà popolare.

Vuole infatti mettere in vendita un ulteriore 21% della propria quota in Acea SpA e si prepara a rendere effettivo un piano di privatizzazione e dismissione dei servizi pubblici della città di Roma.

Acqua, gestione dei rifiuti, trasporti, energia, cultura, servizi sociali: le basi per una cittadinanza effettiva, diritti inalienabili da garantire in modo universale, strumenti fondamentali per la riduzione delle diseguaglianze, saranno assoggettate alla pura logica del profitto e della rendita finanziaria.

Ci troviamo di fronte ad un attacco pesantissimo nei confronti della possibilità di costruire un modello di città equa, in cui anche le fasce a basso reddito abbiano accesso ad una buona qualità della vita.

Il piano di saccheggio predisposto da Alemanno è l’estremo tentativo di mettere le mani sulla città, rendendo ancor più drammatiche le condizioni sociali determinate dalla crisi economica. Se a questo si aggiungono il drastico taglio dei finanziamenti alle politiche sociali, contenuto nel prossimo bilancio, e lo svuotamento delle prerogative dei municipi, il quadro è ancora più chiaro: si tratta di una vera e propria aggressione ai diritti collettivi.

In nome di un debito di cui nessuno conosce entità e natura e la cui gestione commissariale è completamente sottratta al controllo democratico, si vuole “fare cassa”, attaccando la vocazione inclusiva e solidale della città.

Per questo occorre prendere parola e mobilitarci per fermare il piano di vendita dei servizi pubblici essenziali e rivendicare una gestione trasparente e partecipativa – attraverso l’ audit ˗ del debito pubblico del Comune di Roma.

La gestione pubblica dei servizi essenziali non va soltanto difesa, ma trasformata in senso democratico e partecipativo: sono i beni comuni la vera base democratica di una città e ai cittadini spetta il diritto e il compito di difenderli e partecipare alla loro gestione. Questo percorso deve iniziare con la ripubblicizzazione del Servizio Idrico di ACEA. La Cassa Depositi e Prestiti deve finanziare questo processo e non, come invece vuole il Governo, far confluire i risparmi dei cittadini nel processo di mercificazione dei loro stessi diritti attraverso l’ulteriore privatizzazione di ACEA e degli altri servizi pubblici. Sottrarre diritti ai cittadini utilizzando i loro stessi risparmi non può che essere definita una truffa di stato!

Non è possibile star fermi a guardare mentre viene calpestata senza alcun ritegno la volontà popolare: per questo chiamiamo tutta le persone e le realtà che hanno sostenuto la battaglia referendaria ad una urgente, forte e determinata mobilitazione cittadina.