Puntuali come un orologio svizzero, a soli tre giorni dall’imminente mobilitazione di sabato prossimo a Lione, arriva su tutto il territorio nazionale l’ennesima vile operazione repressivo-mediatica nei confronti di 19 attivisti No Tav.
I fatti contestati nell’operazione scattata all’alba di oggi riguardano l’occupazione simbolica degli uffici della GeoValsusa del 24 agosto 2012, impresa complice della devastazione e militarizzazione del territorio della Val Susa, nonchè i fatti avvenuti il 29 febbraio 2012 durante il blocco autostradale realizzato in quei giorni a Chianocco, quando giornalisti del Corriere della Sera presenti con tanto di furgone attrezzato, non solo per le riprese ma anche per le intercettazioni, sono stati cacciati dagli attivisti che hanno smascherato il ruolo di una informazione embedded inviata come arma di propaganda di massa contro la verità di chi lotta in difesa del proprio territorio.
Per l’ennesima volta, e a dieci mesi dall’ignobile inchiesta firmata dal Procuratore-capo di Torino, Giancarlo Caselli, i poteri forti tentano la carta della criminalizzazione volta a intimidire chi ogni giorno si mobilita contro la becera retorica strumentale di un governo liberista che utilizza il tema della crisi economica per sostenere lo scempio ambientale ed economico del Tav. Per tutelare l’operazione si è ricorsi nuovamente alla pratica dell’occupazione militare: centinaia di uomini hanno letteralmente bloccato l’accesso al centro abitato di Chiomonte, violato e rimosso il presidio dei No Tav, sancendo che l’unico modo di colpire il movimento è l’imposizione di un vero e proprio stato d’eccezione.
A questo si aggiunge l’ignobile tentativo di pochi giorni fa di stigmatizzare i genitori che portano i propri figli alle manifestazioni NoTav, denunciandoli ai servizi sociali.
Come troppo spesso accade, non possiamo che constatare come i poteri dello stato e i suoi esecutori stiano sperimentando e sedimentando pratiche repressive per cui, in questo contesto di crisi gestito a colpi di austerity, la sistematica svolta autoritaria sta diventando prassi quotidiana. Il ministro Cancellieri solo pochi giorni fa ha nuovamente invocato uno strumento di repressione preventiva, una sorta di Daspo, che impedisca agli attivisti di partecipare ai cortei più significativi.
Le cariche selvagge, le identificazioni di massa e gli arresti scattatati il 14 novembre, nuova giornata di sperimentazione di uno sciopero sociale coordinato a livello europeo, si sommano al susseguirsi di misure cautelari per chi il 15 ottobre 2011 ha partecipato ad un corteo esprimendo legittimamente solo una minima parte della rabbia che ci portiamo dentro. Questi sono solo alcuni esempi di come la penalizzazione delle lotte sociali e la riduzione dell’agibilità politica dei movimenti indipendenti non siano nient’altro che dispositivi di controllo volti ad imporre un’analitica, capillare e strutturata prevenzione di ogni dissidenza sociale.
“Tutti insieme facciamo paura”: l’abbiamo gridato in migliaia nelle ultime manifestazioni e lo sanno bene i signori chiusi nei palazzi. Questa consapevolezza pone però la necessità di articolare un discorso politico ampio e comprensibile che rompa l’isolamento della repressione, che sappia trovare meccanismi e dispositivi di cooperazione dentro e fuori i movimenti in grado di mettere la solidarietà al centro delle nostre pratiche per spazzare via la delazione e il giustizialismo diffuso.
Nel governo dell’austerity e della paura, non solo gli/le attivist* ma tutt* dovremo aver ben chiara l’urgenza di guadagnare una piena agibilità, una vera libertà di movimento, oltre le continue limitazioni delle libertà personali e collettive che hanno reso l’Italia un enorme e insostenibile recinto.
Libere/i tutte/i
La nostra libertà non si paga. Si strappa!
Mentre scriviamo veniamo a conoscenza della riconquista del presidio di Gravella a Chiomonte: pensate davvero di poter vincere contro il popolo della montagna?