Dichiarazione Comune Maribor – Lubiana Hub Meeting 2013

L’Hub Meeting 2013 Maribor ‐ Lubiana è la continuazione di un processo di incontri dei movimenti europei. Abbiamo condiviso le nostre esperienze attorno a cinque argomenti: governance della città, saperi, migrazione, donne crisi e cura sociale radicale; ed il processo costituente.

Iniziando dalle nostre differenze locali abbiamo discusso dell’apertura di uno spazio comune in cui pensiamo l’Europa non come spazio geografico diviso da confini e definito da strutture egemoniche, ma piuttosto come una regione definita dalla lotta. In ciò consideriamo anche le lotte della Primavera Araba, e le differenze tra sud e nord. Questo è un processo in cui immaginiamo lo spazio comune attraverso il quale le lotte locali risuonano ad un livello transnazionale. Il processo costituente è un orizzonte cruciale da essere riempito con contenuti e pratiche che devono essere basate su un’inchiesta generale in cui i movimenti siano incorporati, rispettando l’eterogeneità della società e le situazioni locali.

C’è un bisogno generale di attaccare il capitale finanziario, la troika, ecc. non solo su un livello simbolico ma anche in modo materiale attraverso pratiche concrete. Non basta parlare ai movimenti già inclusi nel processo, ma vanno generalizzate le lotte. Come movimenti ed attivisti vogliamo considerarci come immersi nella società e non separati da essa. Vogliamo creare lotta sui terreni dove il sistema capitalistico si riproduce: ad esempio nella governance della città, nei saperi, nella migrazione, nella cura sociale ed in un processo costituente Europeo calato dall’alto.

Nel seminario “Governance della Città” abbiamo discusso le lotte e le pratiche nella città e nello spazio urbano e l’organizzazione dei bisogni sul territorio.

Nel seminario “Migrazione” abbiamo discusso le lotte contro qualsiasi confine economico e politico attraverso cui abbiamo scoperto le linee che intersecano le lotte dei rifugiati e le lotte dei lavoratori migranti. Abbiamo riconosciuto i Saperi come un campo di battaglia fondamentale che ci dà gli strumenti per creare nuove lotte.

Nel seminario “Donne, Crisi e Cura Sociale Radicale” abbiamo discusso il collegamento tra il patriarcato, il capitalismo e la crisi. In apertura si è discusso di come inserire prospettive femministe nella lotta comune contro l’austerità. Successivamente si è trattato di meccanismi di cura sociale radicale nella comunità.

E nel seminario “Processo Costituente” abbiamo discusso sul lavorare ad uno “sciopero sociale” con una prospettiva di lungo termine, laddove “Sciopero Sociale” comporta forme di sciopero al di fuori dei sindacati formali, ecc.

Abbiamo inchiestato i meccanismi ed i metodi di come le persone creino da sé e siano coinvolte in tali azioni e diffuse reti di pratiche, adottando il prossimo 15 Maggio come un primo esperimento.

Oltre a questo, riconosciamo che ci sia un’agenda di eventi europei, incluse le giornate di mobilitazione di Blockupy FrankfurtQue Se Lixe A Troika e Plan de Rescate Ciudadanonella prospettiva di ulteriori passi verso l’autunno, e sottolineiamo che questi eventi devono essere strumenti utili per costruire un processo costituente.

Con amore, i partecipanti dell’Hub Meeting 2013

http://hubmeeting20a.wordpress.com/italiano-2/

#19A Roma Mobilitazione nazionale per il reddito

Dall’ingovernabilità al Reddito di garantito

Lo aveva detto chiaramente il risultato elettorale ma oggi quel messaggio si è perso nel vento. Ingovernabilità. Perché troppi sono i conflitti aperti o latenti nel nostro paese come negli altri a capitalismo avanzato. Non c’è più mediazione o riformismi possibili di fronte all’accaparramento progressivo dei beni comuni e del patrimonio pubblico, di fronte ai licenziamenti di massa con o senza articolo 18, di fronte ai miliardi che spariscono nella finanza globale attraverso gli interessi sul debito pubblico e i tagli al welfare con cui si pretende di appianare il deficit. Gli alfieri del buon governo si sbizzarriscono nel proporre nomi e personalità di rilievo con le quali lavare l’onta del malaffare diffuso e restituire un briciolo di credibilità alla politica. Ma la politica è l’arte della mediazione e qui non c’è più mediazione possibile tra chi paga tasse e contributi altissimi a fondo perduto: i nostri figli non trovano posto negli asili comunali, i nostri fratelli e sorelle non arrivano a pagare l’affitto tutti i mesi, i nostri genitori non trovano posto negli ospedali pubblici e a stento riescono a prendere una pensione da fame. Noi alla pensione non abbiamo neanche l’ardire di pensare. Nel giro di pochi anni si è portata avanti una massiccia opera di precarizzazione ed indebitamento delle nostre vite in un processo che, abbiamo visto bene in giro per il mondo, non ha certo il buon senso di fermarsi appena un metro prima del baratro, cliff. In altri paesi non molto lontano da noi i drammatici suicidi di chi si è trovato solo e disperato di fronte ad un potere sordo hanno innescato la miccia di rivolte dalle istanze profonde e radicali. Hanno innescato la liberazione dal senso di colpa su cui si fonda la società del debito. In colpa perché precario, perché studente fuori corso, povera o straniera, anziano o disoccupata. In colpa perché schizzinoso di fronte ai lavoretti che si trovano in giro, perché bisognoso di assistenza, aiuto e solidarietà, in colpa persino perché non voti e così facendo non ti schieri a favore del grande cambiamento. Non siamo in debito e tantomeno ci sentiamo in colpa. Abbiamo scelto di non suicidarci per l’ansia e lo stress che la crisi permanente produce sulle vite. Al contrario vogliamo avanzare nella consapevolezza dei nostri bisogni e dei nostri desideri, nella necessità di partire dal mettere in gioco le nostre vite dentro un processo di trasformazione che necessariamente deve porsi come indipendente e alternativo al modello capitalistico, né desiderabile né sostenibile. Con le occupazioni ci riprendiamo case, teatri, orti urbani, parchi e centri sportivi, sale musica, mense. Con le lotte vogliamo conquistare la dignità di ciò che ci spetta e la libertà di contro gli abusi di chi ci comanda. Per questo abbiamo deciso di partecipare e animare anche a Roma la giornata nazionale del 19 aprile che definisce il reddito esattamente come strumento di ricomposizione e conflitto. REDDITO-CASA-TRASPORTI-RIAPPROPRIAZIONE-DIGNITA’: non voto pretendo. #anzituttoredditopertutti #nondobbiamononpaghiamo

Volantino distribuito oggi presso Eataly #nondobbiamononpaghiamo

Questa crisi, più duratura persino di quella del ’29, la stiamo pagando tutti ogni giorno a caro prezzo. Capire di chi è la colpa non è semplice: probabilmente i primi responsabili sono i meccanismi del capitalismo finanziario globale che fanno il bello e il cattivo tempo con i tassi d’interesse sui debiti sovrani costringendoci attraverso le indiscutibili leggi della Troika a pesantissime misure di tagli ad un sistema di welfare già iniquo e martoriato e a nuove tasse in un paese come il nostro che contemporaneamente ha la più alta evasione e la più alta imposizione fiscale sui redditi da lavoro. Più facile, ma non scontato, è invece dire che noi non siamo in colpa né tantomeno in debito. Non vogliamo più sentirci in colpa per una crisi che non abbiamo creato, in colpa perché “choosy”, schizzinosi, se rifiutiamo un lavoro o un lavoretto di merda, magari al nero, in colpa perché “mammoni” che rimangono a casa di mamma e papà fino a 30 anni e oltre, in colpa perché figli di non italiani e quindi senza diritti, in colpa perché insolventi o protestati. L’unico welfare che abbiamo conosciuto è stato quello familiare ma ora i nostri genitori sono esodati, cassaintegrati, pensionati al minimo, inquilini morosi sotto sfratto, migranti che perdono il lavoro e con esso il permesso di soggiorno. E’ il momento per imporre la necessità di un reddito garantito per tutti e tutte: perché dobbiamo arrivare alla fine del mese, perché dobbiamo poter rifiutare i ricatti economici sul lavoro e nella vita, perché lavoriamo anche solo quando cerchiamo lavoro, quando studiamo, quando navighiamo su internet divenendo utenti da profilare, quando ci muoviamo per ore nel traffico di una città impazzita… persino quando facciamo la spesa! Noi precari, ultima ruota del perverso ingranaggio non siamo più disposti ad ingoiare menzogne e frustrazione: i soldi ci stanno ma non ce li danno. Siamo nati precari e precarie ma non ci vogliamo morire… Non pagare, lotta per rivendicare ciò che ti spetta! #nondobbiamonopaghiamo… istruzioni per l’uso: 1) Fai la tua spesa 2) Mettiti in fila alle casse 3) Mostra il volantino e chiedi lo sconto per te e per tutt@ Per oggi il 50% può bastare!

Lettera aperta al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, alla giunta e a tutti i neoeletti consiglieri regionali.

 

Dopo la scandalosa / fallimentare / drammatica esperienza dell’amministrazione Polverini, anche noi confidiamo che il rinnovato consiglio restituisca dignità a questa regione e renda giustizia a chi ne ha subito i torti più grandi.

Ci indirizziamo prioritariamente a Lei, Presidente Zingaretti, e alla sua squadra in quanto, nel ricco programma di governo emerge fin dai primi capitoli la volontà di un cambiamento radicale nel modo di lavorare della regione. Con un paragrafo dedicato all’utilizzo efficiente delle risorse, una indicazione chiara per la riorganizzazione  del sistema degli enti strumentali e un particolare riferimento al ruolo strategico di Sviluppo Lazio.

Siamo ex lavoratrici e lavoratori precari di questa agenzia, rimasti senza lavoro a causa di scelte incomprensibili e ingiustificabili di una amministrazione incapace e incompetente, che ha continuato a gonfiare le rendite parassitarie dei super-consulenti inutili e ha incassato come unico risultato lo spreco delle ingenti risorse dei fondi europei.

Siamo persone serie e qualificate che dopo aver lavorato per anni dentro Sviluppo Lazio, offrendo tutta la nostra competenza e disponibilità, malgrado rapporti di lavoro precari e illegittimi, definiti dalle forme contrattuali più odiose (lavoro dipendente mascherato da finte partite IVA, contratti a progetto, lavoro interinale e quant’altro) sono state lasciate a casa senza un futuro e senza dignità.

____ La nostra storia ____

Sviluppo Lazio svolge un ruolo strategico per lo sviluppo e l’attrazione degli investimenti, è il principale strumento regionale per l’attuazione delle politiche comunitarie, per la gestione dei fondi europei destinati all’innovazione, all’ambiente, alla cultura, alla coesione sociale, è interamente a capitale pubblico e riceve affidamenti in-house esclusivamente dalla Regione Lazio, che esercita sull’agenzia un controllo funzionale “analogo” a quello esercitato sui propri servizi.

Negli ultimi 2/3 anni, nel nome di una non meglio definita razionalizzazione delle risorse, decine di collaboratori precari di questa agenzia hanno perso il loro posto di lavoro entrando nel tunnel della disoccupazione, delle lunghe vertenze legali, della perdita di dignità e sicurezza.  Il lavoro precario si è trasformato in una vita precaria.

Con grande disinvoltura si è scelto di non rinnovare i contratti di collaborazione, che pure permettevano l’attuazione dei programmi finanziati con i fondi europei, mentre si è continuato impunemente ad affidare consulenze d’oro a pensionati e ad ex dirigenti fallimentari e a sperperare risorse in inutili eventi autocelebrativi e altrettanto inutili consigli di amministrazione.

I programmi di sostegno alle piccole e medie imprese, agli Enti locali, alle scuole, agli ospedali, per la cultura, per la ricerca e l’innovazione, per lo sviluppo sostenibile restavano al palo mentre l’azienda navigava a vista, senza un organigramma, senza una visione, senza strategie, e mandava in fumo milioni di euro dei fondi strutturali europei.

Sviluppo Lazio adesso è una società dove il numero delle figure apicali (dirigenti e quadri di 3°/4° livello) è superiore a quello dei dipendenti, con un consiglio di amministrazione eccessivamente numeroso e retribuito e con risultati di spesa sulla programmazione europea 2007-2013 tra i peggiori d’Italia e d’Europa.

La classe dirigente di Sviluppo Lazio e della passata amministrazione regionale, ha preferito dover affrontare decine e decine di cause e vertenze legali, con costi imprevedibili, piuttosto che razionalizzare realmente l’azienda e affrontare seriamente i propri compiti e i propri obiettivi.

____ Le nostre istanze ____

Alla nuova classe politica chiamata a governare la Regione Lazio

chiediamo che sia ristabilita giustizia ed equità:

–        attraverso il reintegro immediato di tutti i lavoratori e le lavoratrici espulsi senza motivo, ponendo fine a tutte le vertenze legali in corso;

–        attraverso l’individuazione delle gravi responsabilità del ‘servizio acquisti e risorse umane’ e dei vertici della società nella gestione del personale, nell’uso improprio di contratti di lavoro autonomo per attività di routine e negli inutili sprechi di risorse per consulenze altamente remunerate non giustificabili per lo svolgimento delle attività aziendali.

Proponiamo inoltre l’attuazione di una reale razionalizzazione delle risorse che comprenda:

–  una attenta e puntuale valutazione delle responsabilità dirigenziali nella mancata attuazione dei programmi europei e nella perdita di gran parte dei contributi relativi alla programmazione 2007-2013;

–  l’accorpamento di tutta la rete delle agenzie strumentali partecipate da Sviluppo Lazio (BIC, FILAS, Unionfidi ecc.) e lo spostamento in un’unica sede di proprietà regionale;

–  la riduzione del numero di consiglieri di amministrazione di Sviluppo Lazio e la soppressione dei compensi e del gettone presenza come previsto dalla normativa vigente (L 122/2010 art.6 co.2)

–  la pubblicazione on-line delle retribuzioni annuali e di tutte le informazioni previste dalla L.69/2009 art.21, di tutti i dirigenti, in quanto società interamente a capitale pubblico;

–  l’imposizione di un tetto massimo al reddito dei dirigenti, nonché un tetto massimo per la variabile “ad-personam” dei  quadri direttivi.

Il merito al futuro passa per l’idoneità alla lotta. L’università verso il #19A


“Odio e sovrastruttura, ma non lenisce il sale, che dio vi maledica, eroi della carriera,
limone asfalto sputo, mai più io sarò saggio … il mondo si è fermato, mò ce lo riprendiamo”

Partiamo da qui.

Mentre scriviamo Napolitano si affretta a capire egli stesso come finirà il suo neo-nato governo(?), guidato dai dieci “celeberrimi” saggi, che si annuncia in partenza in crisi, debole e lacerato da contraddizioni che probabilmente verranno acuite anche dall’azione dei grillini in parlamento.

 

Il governo del presidente è la denominazione scelta dai mass media per indicare la creazione da parte di Napolitano di un consiglio di dieci saggi, da cui dovranno uscire le nuove riforme di austerity imposte dall’Europa insieme a qualche altro provvedimento di facciata, ma da far passare ovviamente sotto la maschera dell’interesse prima nazionale e negli ultimi anni europeo,ovvero l’interesse di quelli che sono i ceti dominanti.

Tutto ciò in un quadro politico sempre più delegittimato con una crisi della rappresentanza sempre più acuita. Se poi entriamo nel dettaglio delle nomine va a cadere anche ogni velleità, per chi volesse farlo, di aggrapparsi alla parola saggi. Infatti risulta evidente come l’inserimento di Violante e Quagliarello sia il chiaro tentativo di far produrre a questi ultimi le riforme di austerity volute dalla governance europea, in modo tale da garantire a questi provvedimenti una maggioranza PD-PDL che i media definirebbero trasversale e che invece rappresenta solo l’espressione del ceto dominante. Insomma a parte che dare il senso del prestigio formale delle istituzioni volendo citare Onida, i saggi non servono a nulla, e se lo dice lui,che è uno di loro ci sarà da crederci.

L’aggravarsi della crisi ha accelerato negli anni i processi di aziendalizzazione dell’università, e la sua crescente dequalificazione non è per noi oggi un argomento nuovo, in quanto rientra nei progetti dei governi susseguitisi nel corso degli ultimi anni, da centro – destra a centro – sinistra, prospettandoci univocamente quel passaggio strategico di mutamento e trasformazione del mondo della formazione adesso materializzatosi, dall’università d’élite all’università di massa, dall’università di massa all’università del merito; Con tutto ciò che questo comporta: aumento progressivo delle tasse, tagli violenti alle borse di studio ,meccanismi di esclusione differenziale con facoltà universalmente a numero chiuso (con test d’ingresso ovviamente a pagamento), accelerazione dei tempi universitari, produttori da una parte dell’affanno per il presente per una sorta di debito morale nei confronti della famiglia che mantiene gli studi, dall’altra parte dall’affanno per il futuro, per il fantasma del fuoricorso accompagnato dall’incubo fittizio della decadenza degli studenti; l’incubo dello status di fuori corso si costituisce così quasi come una “strategia della tensione” dentro le facoltà, in quanto strumento che impone dall’alto ritmi serrati e irriducibili di produttività, stress, scarsa socialità, vita frenetica e volta alla competizione, quasi fosse una guerra tra poveri per accaparrarsi … non si sa cosa, tra l’altro.

I serrati ritmi di studio frenetici e volti alla produttività obbligano lo studente a vivere le facoltà per intere giornate, con il carico di spese che questo comporta, dai trasporti ai pasti fuori casa (dato che anche la mensa sta per diventare un ristorante escludente e volto alla ricca clientela), dal caro libri alla possibilità di usufruire di mezzi di formazione, che facenti però parte di un mondo basato proprio sulla mercificazione della cultura e del sapere, offre un panorama di inaccessibilità, come ad esempio cinema, teatri, librerie, corsi di lingua, mostre, viaggi, erasmus, e tutti dispositivi simili; d’altra parte assistiamo a tentativi di “individualizzazione” della carriera accademica e della formazione degli studenti, educati sin dall’ingresso ad una prospettiva di precarietà, incertezza e subordinazione già durante il percorso formativo, con la conseguente speranza (imposta) dell’acquisizione di Skill individuali: diplomi, tirocini, svariate lauree, master, dottorati, corsi di lingue, corsi di formazione, attestati vari, salassi per gli studenti e meccanismi di indebitamento per il presente e per il futuro.

Oltre al danno la beffa: non solo la disillusione totale di un futuro nel mondo del lavoro tanto decantato, ma anche lo sfruttamento durante il percorso di studi, palesato e giustificato da non si sa quale legge superpartes; mettendo solo per un attimo da parte le migliaia di studenti che sono obbligati a cercare un lavoro precario, in nero e per paghe misere per mantenersi gli studi, ci riferiamo a tutti gli studenti e le studentesse (nessuno escluso, in quanto previsto dal proprio piano di studi) a praticare stage e tirocini per mesi, quello che si configura come Free Labor, lavoro assolutamente gratuito e di sfruttamento.

Ecco perché i dati elaborati dal CUN, seppur fornitori di un dato importante, quello del calo del 17% delle immatricolazioni negli ultimi dieci anni, non ha scandalizzato lo studente universitario: lo svuotamento progressivo delle facoltà e l’eliminazione strategica di spazi e tempi di socialità all’interno degli atenei sono dati con cui facciamo i conti da almeno due anni; si aggiunge la diminuizione del 5% del FFO (Fondo Finanziario Ordinario), taglio di personale docente del 22%, soppressione totale del tanto decantato welfare universitario e l’ennesima applicazione della riforma Gelmini, ovvero sistemi chimerici di proporzioni per occludere ancor di più non solo la didattica già dequalificata e il sapere tecnico e specifico, ma anche l’accentramento di potere, bypassando il vecchio sistema delle facoltà per i nuovi Deus Dipartimentis.

Per tutte queste ragioni ci è sembrato fondamentale affrontare un’inchiesta tra gli studenti e le studentesse universitarie, per capirne un po’ di più sulle condizioni di vita di uno studente, che sia o no uno studente fuorisede, che sia idoneo, vincitore o magari anche per chi il fantasma delle borse di studio e dell’idoneità è ormai lontano, che sia semplicemente uno studente la cui famiglia vive pragmaticamente i costi della crisi e non sa più come affrontare spese giornaliere per caro libri, mezzi di trasporto e mensa inesistente o non garantita.

Tra centinaia di studenti e studentesse intervistati, risulta che il 75% fa ancora riferimento al welfare familistico, vivendo spesso ancora in casa con i propri genitori, lamentando un’insufficienza (o un’inesistenza) di servizi e di aiuti da parte dell’istituzione universitaria, sia per ciò che concerne borse di studio o diminuizione delle tasse (nei casi di fasce di reddito basse), o per ciò che concerne libri, posti letto e accesso a percorsi formativi (sopra menzionati); quasi il 90% è concorde nell’affermare come debba essere la stessa istituzione universitaria a dover provvedere a situazioni di questo tipo ormai tanto diffuse, e nel caso in cui ciò non avvenga viene rituenuta legittima l’occupazione di posti abbandonati (presenti in grande quantità nel territorio siciliano) per garantire posti letto gratuiti e la conseguente creazione di welfare.

Collegando tutto alla fase politica del Bel Paese il quadro si fa interessante: si, perché tra i migliaia di licenziati per fallimento, tra le famiglie che devono scegliere se a fine mese fare la spesa o pagare le bollette, altrimenti Serit ed Equitalia attendono già dietro la porta con la falce in mano, tra le fabbriche che chiudono, o peggio, restano l’unica possibilità di sopravvivenza a cui aggrapparsi seppur dispositivi che pongono i lavoratori davanti al dilemma se scegliere di morire di fame o scegliere di morire di malattie per inquinamento (come l’Ilva di Taranto insegna); tra la cassa integrazione, che raggiunge i massimi storici, ammortizzatore sociale utilizzato tra l’altro come mezzo di controllo, discriminatorio e soprattutto disgregativo e atomizzante all’interno degli stabilimenti (vedi Fincantieri), e\o comunque destinato a breve vita in quanto ridotto al midollo e garantito sempre a breve scadenza per tentare di livellare il conflitto sociale(vedi Gesip);tra tutte queste situazioni si inserisce il grande dato della disoccupazione giovanile, questo 37% (che al sud raggiunge il 40%) di esercito di riserva, che si illude ancora che, seppur l’università abbia smesso da tempo di far da ascensore sociale, esista ancora qualche possibilità di futuro, magari all’estero (dato che l’Italia è il paese che spende meno nel mondo della formazione),o magari per chi si trova nelle fasce alte di reddito.

La soppressione di welfare studentesco e servizi universitari è sentito ormai da chiunque viva l’università: particolarmente da chi ha ricevuto l’idoneità ma non la borsa di studio, dunque nessuna retribuzione economica; da chi non è rientrato nelle striminzite graduatorie per i posti letto nel pensionato ed è costretto a pagare un affitto mensile pari a 200 euro e spesso costretto ad essere uno studente lavoratore; La “caccia al reddito” ci spinge a lavori sottopagati e precari che sottraggono tempo ed energia al nostro studio e alla nostra vita. Assistiamo di anno in anno alla continua chiusura di mense e studentati mentre i sindacati studenteschi restano aggrappati a battaglie(?) resistenziali soprattutto per quanto riguarda la rappresentanza studentesca, triste strumento per accumulazione di tessere e finanziamenti.

Se il modello che ci viene imposto è questo, se davvero la formazione deve essere una corsa all’acquisto di competenze allora reclamiamo parità di diritti, in questo caso economici;

Nell’ultima fase della sua vita, Foucault porta la sua analisi del linguaggio da un ordine del discorso alla necessità di una costruzione di un linguaggio antagonista, che si inserisce nella vita” volta a dire il vero, la vita altra, quella della militanza rivoluzionaria”; ci siamo spesso ritrovati a discutere della mistificazione del linguaggio dalla controparte e della necessità di ribaltamento, attraversamento e ri – costruzione autonoma di questo, che deve proporsi come linguaggio diffuso e generalizzabile. A ciò si legano immediatamente i nostri strumenti nella lotta dei saperi, un’autoformazione che producendo saperi autonomi sempre al di là della barricata deve porsi come produttore di posizionamenti e resistenze popolari, ricomposizioni, ricombinazioni del lavoro vivo, e una conricerca che nel suo ruolo essenziale di rottura epistemologica deve volgersi a creare da una parte una visione materialistica dentro la composizione, dall’altra, consequenzialmente, a sviluppare forme di tendenza di rottura e forme di organizzazione politica delle lotte.

In campagna elettorale abbiamo sentito accennare dal movimento 5 stelle al ritorno sul campo di parole come “reddito di base”, “reddito garantito”, o “reddito di dignità”, nelle sue varianti; il passaggio dal ritorno in campo delle parole, all’azione politica nel campo dei territori sta a noi!

Lotta per il reddito si, ma come pratica di intervento sui territori e prospettiva di avanzamento e massificazione delle lotte e dei conflitti generalizzabili, attorno alla battaglia che abbiamo definito “per un welfare degli usi e delle riappropriazioni,cioè un movimento dei bisogni reali di parte” , per un soddisfacimento dei bisogni per contrattaccare nei territori dai movimenti.

Ecco dove c’entra il ribaltamento del linguaggio che citavamo poc’anzi; I discorsi della controparte, le norme, le retoriche e le logiche atte al nostro asservimento vanno ribaltate e usate per rilanciare percorsi di lotta e riappropriazione. La battaglia si gioca sulla loro scacchiera, siamo noi a schierare i pezzi e a dover fare l’ultima mossa.

Ecco perché riteniamo sia opportuno rilanciare rivendicazioni,riappropriazioni e riconquiste che si configurano così , dopo questa attenta analisi essenziali per la nostra vita , il nostro diritto alla felicità, ovvero alla liberazione dal giogo del debito e della precarietà che può e deve passare attraverso il rilancio di esperienze di autogestione, riappropriazione di welfare diretto e indiretto e la conquista di spazi in cui organizzare le lotte e i saperi di studenti e precari che attraverso il lavoro finanziano la produzione di un sapere merce che genera profitti per pochi a discapito di molti; siamo consapevoli che gli strumenti del welfare, fin dall’epoca keynesiana, hanno sancito l’accordo tra capitale e lavoro, e che hanno come caratteristiche intrinseche un ruolo di disciplinamento e una falsa promessa di emancipazione; è altrettanto vero che il reddito, come si è detto “è un tema che ritorna”, che va inchiestato, e continuamente, perché segue le mutazioni dei rapporti di produzione e i mutamenti degli scenari della crisi, quelli che a noi sta attraversare.

Riteniamo sia dunque indispensabile la realizzazione di pratiche tese alla riappropriazione di rendita finanziaria. Il nodo del reddito, della riappropriazione dal basso sono quelli attorno a cui costruire lotte, progettualità politica , organizzazione e massificazione del conflitto. A partire,perché no, da un 19 Aprile di lotta, che si prospetta un varco, un’occasione, uno scenario interessante, un momento di conquista.

Se è vero che “Grande è la confusione sotto il cielo…

Collettivo Universitario Autonomo – Palermo

 

http://www.infoaut.org/index.php/blog/saperi/item/7453-il-merito-al-futuro-passaper-lidoneit%C3%A0-alla-lotta-luniversit%C3%A0-verso-il-#19a

COLAZIONE RESISTENTE PART.2 @DEGAGE

Questo sabato siamo entrati in uno stabile vuoto della provincia mentre centinaia di famiglie, studenti e migranti facevano lo stesso in altri 11 edifici abbandonati sparsi nella città. In una città stuprata dal cemento dove si costruisce per costruire, vogliamo rimarcare ancora una volta come l’unica soluzione all’emergenza abitativa sia la riappropriazione diretta.  Il comune dichiara 260.000 case sfitte, la casa è un miraggio per decine di migliaia di persone costrette ad arrancare a presso alle rate del mutuo o all’affitto; è la città “reale” della gente che ci vive, ci lavora o ci studia che si scontra con la città degli amministratori e speculatori, sono i nostri bisogni che confliggono con le leggi dell’accumulazione e della rendita.

La storia dello stabile che abbiamo occupato è esemplare perché, attraverso la cessione di patrimonio pubblico e l’erogazione di lauti appalti, l’amministrazione di turno la provincia regala milioni di euro al palazzinaro di turno la famiglia Parnasi, con un metodo riproposto talmente tanto spesso da sembrare un modello.   vicenda è anche grottesca perché a coprire questa operazione speculativa non è un progetto di riqualificazione di un quartiere di periferia, la costruzione di infrastrutture per il trasporto pubblico o misure di contrasto all’emergenza abitativa ma bensì l’edificazione di una monumentale sede per la provincia un ente che non esisterà più, non provano neanche più a convincerci che le loro speculazioni possano avere una ricaduta positiva sulla città.

Abbiamo occupato perché siamo stanchi di pagare 500€ per una stanza singola, del ricatto del lavoro in nero, di una vita frenetica e precaria; vogliamo dare un’indicazione, un esempio di come, organizzandoci insieme, possiamo migliorare materialmente le nostre condizioni. Pensiamo che sia legittimo riappropriarsi di tutto quello che non abbiamo e non ci stiamo a rispettare i canoni del sentire comune che impongono di essere silenziosi ed obbedienti.

Se non lo facciamo noi nessuno lo farà per noi, infatti, le risposte che l’istituzione universitaria offre ai suoi iscritti sono a dir poco insufficienti, anzi non fanno altro che aggravare la situazione! A fronte dell’ aumento delle tasse universitarie, gli alloggi, lontani e troppi pochi per una città che accoglie più di 200000 studenti, e le borse di studio sono elargiti dall’università in base al merito, un merito “all’italiana” che esclude automaticamente chi non ha alle spalle una famiglia che può sostenerlo e gli studenti-lavoratori che, non solo non hanno nessun tipo di agevolazione ma, se fuoricorso, come spesso accade a chi lavora e studia, si vedono le tasse raddoppiate. La gestione mafiosa del nostro ateneo, come confermano le inchieste sul magnifico rettore Frati, è stata volta più al mantenimento del proprio potere e dei propri interessi che alle necessità degli studenti!

Sentiamo urgente il bisogno di una risposta concreta ed efficace all’ attacco che subiamo ogni giorno sulla nostra pelle, vogliamo sognare e iniziare a costruirci un’ipotesi di vita che vada oltre il termine del contratto precario e sappiamo che le uniche strade percorribili sono quelle della riappropriazione e della lotta.  Di studentati come il nostro ne nascano altri cento!

E’ NATO UN NUOVO STUDENTATO!!

CASA PER TUTTI, TUTTI A CASA!

Cosa c’è di meglio di un cornetto e un buon caffè per iniziare insieme una lunga giornata di lotta?!

Siamo entrati a via musa ieri mentre centinaia di famiglie facevano lo stesso in altri 11 edifici abbandonati sparsi nella città. Una marea di persone: famiglie, single, migranti, italiani, precari, disoccupati, studenti che hanno deciso di smettere di attendere, di riprendersi un diritto elementare come quello ad avere un tetto sopra la testa senza mediare i loro bisogni con i conti in banca dei palazzinari. In una città stuprata dal cemento dove si costruisce per costruire, in cui il comune dichiara la presenza di oltre 260.000 case sfitte, la casa è un miraggio per decine di migliaia di persone costrette ad arrancare a presso alle rate del mutuo o all’affitto.

È la città “reale” della gente che ci vive, ci lavora o ci studia che si scontra con la città degli amministratori, sono i nostri bisogni che confliggono con le leggi dell’accumulazione e della rendita.

La storia dello stabile che abbiamo occupato è allo stesso tempo esemplare e grottesca: esemplare perché attraverso la cessione di patrimonio pubblico, l’erogazione di lauti appalti e la costituzione di un fondo bancario ad hoc l’amministrazione di turno (in questo caso la provincia) regala milioni di euro al palazzinaro di turno (in questo caso Parnasi) con un metodo riproposto talmente tanto spesso da sembrare un modello. Grottesca perché a coprire questa operazione speculativa non è un progetto di riqualificazione di un quartiere di periferia, la costruzione di infrastrutture per il trasporto pubblico o misure di contrasto all’emergenza abitativa ma bensì l’edificazione di una monumentale sede per un ente che non esiste più, non provano neanche più a convincerci che le loro speculazioni possano avere una ricaduta positiva sulla città. Si saranno stancati anche loro di ascoltare bugie tanto spudorate.

Alle sei del pomeriggio sono arrivati blindati e polizia, hanno chiuso via musa e ci hanno intimato di lasciare lo stabile: volevano che uscissimo senza sapere cosa ne sarà di questa palazzina bellissima, senza conoscere i nomi degli ex consiglieri provinciali che tuttora gestiscono il fondo paribas incaricato di vendere lo stabile, senza che nessuno si prendesse la briga di spiegare il senso della chiusura di due studentati al centro di Roma in una città che ospita 200000 studenti universitari. La determinazione di chi era dentro lo stabile e di chi immediatamente è arrivato ad esprimerci solidarietà ha evitato che ciò fosse possibile. domani mattina vorrebbero chiudere questa esperienza sperando che nessuno metta più il naso nei loro affari. Noi saremo svegli ad aspettarli, chiunque voglia farci compagnia troverà caffè e cornetto, ci vediamo alle 7.00

Uno stabile che puzza di voti – Degage, nuovo spazio liberato a Roma

Eccoci qui! Ci siamo ripresi uno stabile pubblico al centro di Roma e questo è solo l’inizio! Non è una minaccia, non è una promessa è un AVVISO PUBBLICO: siamo decisi e determinati a riprenderci quello che ci viene rubato direttamente dalle nostre tasche .

Lo stabile, grazie al quale le nostre vite riprenderanno a respirare, è un edificio di proprietà della provincia di Roma attualmente in svendita al migliore offerente. Ma quale miglior offerente se non noi? Abbiamo intenzione di trasformare queste mura in alloggi per 30 studenti e studentesse che sono stufe di elemosinare un alloggio all’università o di pagare cifre salate ai proprietari della città. Questi mattoni, che prenderanno nuova vita e daranno nuove possibilità a chi vive nella precarietà, a chi non dovrà essere più sfruttato in lavori a costo bassissimo a chi potrà continuare gli studi senza sacrifici, nascondono i già noti affari del mattone che speriamo di intralciare con tutte le nostre forze per dire a tutti e a tutte riprendetevi ciò che è vostro! Lo stabile in via Antonio Musa 10, fa parte degli 11 stabili inseriti nel fondo Upside della Bnp Parsap, che una volta venduti potranno essere usati per costruire il palazzone unico della Provincia che sorgerà nella zona di Torrino-Castellaccio. L’ultima creazione della giunta Zingaretti, con il bene placido dell’opposizione, è stata quella di creare un fondo speciale nel quale accumulare i soldi pervenuti dalla vendita di questi 11 immobili, già di proprietà della Provincia stessa, al pro di concentrare gli uffici amministrativi in un unico stabile.  per migliorarne l’efficenza dei servizi e per risparmiare su tutti quegli stabili che sono attualmente in affitto. Il fondo Upside è necessario perchè le banche, che hanno vinto l’opportunità di finanziare la costruzione del nuovo stabile provinciale, hanno già anticipato 260 milioni di euro che verranno recuperati dalla vendita degli immobili tra cui quello di via Antonio Musa n°10. Stiamo parlando di banche “fortunate” come la Bnp e la Finemiro e di aziende come la  “fortunatissima” Parsitalia, di proprietà dei Parnasi, che hanno vinto l’appalto della costruzione! Quegli stessi costruttori che hanno avuto sempre la solita fortuna di gestire altri appalti nella zona Eur, Tor Marancia, Castellaccio e che concorrono alla costruzione dell’ambitissimo stadio della Roma a Tor di Valle. Ma perchè costruire un palazzo della provincia quando la provincia non esiste più? E perchè concentrare in un unico palazzo gli uffici di un ente, che in quanto provinciale, dovrebbe essere distribuito sul territorio? Le direttive della Spending Review sono state colte come nuova opportunità per distribuire ai poteri forti della città altri soldi in cambio di voti. Infatti, dietro la propaganda della razionalizzazione e delle campagne antispreco ci sono loschi affari, ci sono altri sprechi e ci sono i politici, i partiti e i palazzinari che giocano a carte sulle nostre teste. E che si può fare, denunciare la corruzione o peggio eleggere nuovi rappresentanti del mattone? Abbiamo capito da tempo che, nel paese della partitocrazia, andare al voto significa cambiare la faccia di una stessa medaglia e rimanere a guardare vuol dire pagare i costi della crisi. I partiti sono il pilastro del regime democratico e questi modi di agire dietro le quinte non sono nuovi a nessuno. La nostra denuncia non è uno scandalo da prima pagina di giornale, non ci interessa buttare fango su una parte per favorire l’altra.  Siamo in uno stato di completa ingovernabilità e noi vogliamo creare e soprattutto praticare una rottura con chi crea e approfitta della crisi. Non vogliamo portare avanti una rottura di testimonianza contro la corruzione vogliamo essere noi la testimonianza che una strada si può percorrere ed è quella dell’ autorganizzazione autonoma in difesa dei nostri territori, per la riappropriazione delle case, per la lotta contro lo sfruttamento sul lavoro e del lavoro. Oggi studenti, famiglie, migranti, disoccupati o semplicemente uomini e donne che non credono più nelle favole dello stato che ridistribuisce, nello stato del welfare, hanno occupato decine di stabili per ottenere qui e ora una vita migliore. Il mattone che ci siamo ripresi puzza di soldi marci e dato che noi soldi non ne abbiamo e quelli che ci chiedono tramite le tasse se li rubano ce li riprendiamo.

Eccoci qui noi choosy! Noi ci riserviamo una vita migliore. E voi?

 

 

DegageCasaxtutti                                                                                         http://degage.altervista.org

 

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CASA PER TUTTI, TUTTI A CASA!

Oggi, il progetto Degage! ha deciso di occupare uno stabile pubblico abbandonato, che sta per essere svenduto ai privati, per adibirlo a studentato. Nella giornata in cui i movimenti di lotta per la casa hanno occupato contemporaneamente decine di stabili vuoti, vogliamo rimarcare ancora una volta come l’unica soluzione all’emergenza abitativa sia la riappropriazione diretta. Le risposte fornite dalle amministrazioni comunali non sono mai state sufficienti né tantomeno -e volutamente- risolutive; facendo da sempre l’occhiolino ai palazzinari hanno permesso, al ritmo delle colate di cemento, uno smisurato ingrandimento della città e, allo stesso tempo, una speculazione sul costo degli affitti che oramai possono arrivare fino a 500€ per una stanza singola. Nella sola città di Roma, a fronte di un’emergenza abitativa che coinvolge 50.000 famiglie, gli stabili vuoti sono ben 260.000!

Un’ occupazione di studenti non vuole essere corporativa ma dare un’indicazione, un esempio di come, organizzandoci insieme, possiamo migliorare materialmente le nostre condizioni. La riappropriazione diretta, come mezzo e non fine ultimo, è infatti una pratica conflittuale facilmente realizzabile e, soprattutto, riproducibile. Ci auguriamo che di studentati come il nostro ne nascano altri cento! Pensiamo che sia legittimo riappropriarsi di tutto quello che non abbiamo, non ci stiamo a rispettare i canoni del sentire comune che impongono a un giovane di desiderare “ma non troppo”, di non essere “schizzinoso”, facendo così della retorica dei “sacrifici giusti” le catene della nostra generazione. Siamo convinti che solo insieme possiamo liberarci da queste catene!

Se non lo facciamo noi nessuno lo farà per noi, infatti, le risposte che l’istituzione universitaria offre ai suoi iscritti sono a dir poco insufficienti, anzi non fanno altro che aggravare la situazione! A fronte dell’ aumento delle tasse universitarie, gli alloggi e le borse di studio sono elargiti dall’università in base al merito, un merito “all’italiana” che esclude automaticamente chi non ha alle spalle una famiglia che può sostenerlo e gli studenti-lavoratori che, non solo non hanno nessun tipo di agevolazione ma, se fuoricorso, come spesso accade a chi lavora e studia, si vedono le tasse raddoppiate. La gestione mafiosa del nostro ateneo, come confermano le inchieste sul magnifico rettore Frati, è stata volta più al mantenimento del proprio potere e dei propri interessi che alle necessità degli studenti!

Abbiamo imparato che divenire autonomi, costruire la nostra vita e il nostro futuro, significa iniziare a lottare: riprendersi le strade, occupare uno stabile abbandonato o scioperare al lavoro. Sentiamo urgente il bisogno di una risposta concreta ed efficace all’ attacco che subiamo ogni giorno sulla nostra pelle e crediamo che solo riappropriandoci di tempo e reddito, possiamo conquistarci una vita dignitosa.

Mentre noi, sottoposti a ritmi frenetici, cerchiamo ogni giorno di cavarcela in qualche modo, ai piani alti del nostro paese si cerca, con fantasiosi stratagemmi, di uscire dall’empasse dell’impossibilità di costituire un governo, di questa ingovernabilità del paese. Roma, nel suo piccolo non è da meno, con il teatrino delle primarie e le future elezioni. Alla luce di ciò ripetiamo che non saranno il nuovo politico di turno né un rimpasto dell’attuale classe dirigente né tanto meno dieci “saggi” a risolvere la situazione. Vogliamo che se ne vadano tutti a casa, a tutti questi politicanti e ai loro lacchè urliamo Degage!, lo slogan che ha accompagnato la cacciata di Ben Ali in Tunisia. Vogliamo liberarci da questa schiavitù, vogliamo sognare e siamo qui e ora pronti per costruirci un’ipotesi di vita che vada oltre il termine del contratto precario e sappiamo che le uniche strade percorribili sono quelle della riappropriazione e della lotta.

 

ASSEMBLEA PUBBLICA h 17

a seguire aperitivo+djset

Via Antonio Musa, 10 (Piazza Galeno)

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