“Odio e sovrastruttura, ma non lenisce il sale, che dio vi maledica, eroi della carriera,
limone asfalto sputo, mai più io sarò saggio … il mondo si è fermato, mò ce lo riprendiamo”
Partiamo da qui.
Mentre scriviamo Napolitano si affretta a capire egli stesso come finirà il suo neo-nato governo(?), guidato dai dieci “celeberrimi” saggi, che si annuncia in partenza in crisi, debole e lacerato da contraddizioni che probabilmente verranno acuite anche dall’azione dei grillini in parlamento.
Il governo del presidente è la denominazione scelta dai mass media per indicare la creazione da parte di Napolitano di un consiglio di dieci saggi, da cui dovranno uscire le nuove riforme di austerity imposte dall’Europa insieme a qualche altro provvedimento di facciata, ma da far passare ovviamente sotto la maschera dell’interesse prima nazionale e negli ultimi anni europeo,ovvero l’interesse di quelli che sono i ceti dominanti.
Tutto ciò in un quadro politico sempre più delegittimato con una crisi della rappresentanza sempre più acuita. Se poi entriamo nel dettaglio delle nomine va a cadere anche ogni velleità, per chi volesse farlo, di aggrapparsi alla parola saggi. Infatti risulta evidente come l’inserimento di Violante e Quagliarello sia il chiaro tentativo di far produrre a questi ultimi le riforme di austerity volute dalla governance europea, in modo tale da garantire a questi provvedimenti una maggioranza PD-PDL che i media definirebbero trasversale e che invece rappresenta solo l’espressione del ceto dominante. Insomma a parte che dare il senso del prestigio formale delle istituzioni volendo citare Onida, i saggi non servono a nulla, e se lo dice lui,che è uno di loro ci sarà da crederci.
L’aggravarsi della crisi ha accelerato negli anni i processi di aziendalizzazione dell’università, e la sua crescente dequalificazione non è per noi oggi un argomento nuovo, in quanto rientra nei progetti dei governi susseguitisi nel corso degli ultimi anni, da centro – destra a centro – sinistra, prospettandoci univocamente quel passaggio strategico di mutamento e trasformazione del mondo della formazione adesso materializzatosi, dall’università d’élite all’università di massa, dall’università di massa all’università del merito; Con tutto ciò che questo comporta: aumento progressivo delle tasse, tagli violenti alle borse di studio ,meccanismi di esclusione differenziale con facoltà universalmente a numero chiuso (con test d’ingresso ovviamente a pagamento), accelerazione dei tempi universitari, produttori da una parte dell’affanno per il presente per una sorta di debito morale nei confronti della famiglia che mantiene gli studi, dall’altra parte dall’affanno per il futuro, per il fantasma del fuoricorso accompagnato dall’incubo fittizio della decadenza degli studenti; l’incubo dello status di fuori corso si costituisce così quasi come una “strategia della tensione” dentro le facoltà, in quanto strumento che impone dall’alto ritmi serrati e irriducibili di produttività, stress, scarsa socialità, vita frenetica e volta alla competizione, quasi fosse una guerra tra poveri per accaparrarsi … non si sa cosa, tra l’altro.
I serrati ritmi di studio frenetici e volti alla produttività obbligano lo studente a vivere le facoltà per intere giornate, con il carico di spese che questo comporta, dai trasporti ai pasti fuori casa (dato che anche la mensa sta per diventare un ristorante escludente e volto alla ricca clientela), dal caro libri alla possibilità di usufruire di mezzi di formazione, che facenti però parte di un mondo basato proprio sulla mercificazione della cultura e del sapere, offre un panorama di inaccessibilità, come ad esempio cinema, teatri, librerie, corsi di lingua, mostre, viaggi, erasmus, e tutti dispositivi simili; d’altra parte assistiamo a tentativi di “individualizzazione” della carriera accademica e della formazione degli studenti, educati sin dall’ingresso ad una prospettiva di precarietà, incertezza e subordinazione già durante il percorso formativo, con la conseguente speranza (imposta) dell’acquisizione di Skill individuali: diplomi, tirocini, svariate lauree, master, dottorati, corsi di lingue, corsi di formazione, attestati vari, salassi per gli studenti e meccanismi di indebitamento per il presente e per il futuro.
Oltre al danno la beffa: non solo la disillusione totale di un futuro nel mondo del lavoro tanto decantato, ma anche lo sfruttamento durante il percorso di studi, palesato e giustificato da non si sa quale legge superpartes; mettendo solo per un attimo da parte le migliaia di studenti che sono obbligati a cercare un lavoro precario, in nero e per paghe misere per mantenersi gli studi, ci riferiamo a tutti gli studenti e le studentesse (nessuno escluso, in quanto previsto dal proprio piano di studi) a praticare stage e tirocini per mesi, quello che si configura come Free Labor, lavoro assolutamente gratuito e di sfruttamento.
Ecco perché i dati elaborati dal CUN, seppur fornitori di un dato importante, quello del calo del 17% delle immatricolazioni negli ultimi dieci anni, non ha scandalizzato lo studente universitario: lo svuotamento progressivo delle facoltà e l’eliminazione strategica di spazi e tempi di socialità all’interno degli atenei sono dati con cui facciamo i conti da almeno due anni; si aggiunge la diminuizione del 5% del FFO (Fondo Finanziario Ordinario), taglio di personale docente del 22%, soppressione totale del tanto decantato welfare universitario e l’ennesima applicazione della riforma Gelmini, ovvero sistemi chimerici di proporzioni per occludere ancor di più non solo la didattica già dequalificata e il sapere tecnico e specifico, ma anche l’accentramento di potere, bypassando il vecchio sistema delle facoltà per i nuovi Deus Dipartimentis.
Per tutte queste ragioni ci è sembrato fondamentale affrontare un’inchiesta tra gli studenti e le studentesse universitarie, per capirne un po’ di più sulle condizioni di vita di uno studente, che sia o no uno studente fuorisede, che sia idoneo, vincitore o magari anche per chi il fantasma delle borse di studio e dell’idoneità è ormai lontano, che sia semplicemente uno studente la cui famiglia vive pragmaticamente i costi della crisi e non sa più come affrontare spese giornaliere per caro libri, mezzi di trasporto e mensa inesistente o non garantita.
Tra centinaia di studenti e studentesse intervistati, risulta che il 75% fa ancora riferimento al welfare familistico, vivendo spesso ancora in casa con i propri genitori, lamentando un’insufficienza (o un’inesistenza) di servizi e di aiuti da parte dell’istituzione universitaria, sia per ciò che concerne borse di studio o diminuizione delle tasse (nei casi di fasce di reddito basse), o per ciò che concerne libri, posti letto e accesso a percorsi formativi (sopra menzionati); quasi il 90% è concorde nell’affermare come debba essere la stessa istituzione universitaria a dover provvedere a situazioni di questo tipo ormai tanto diffuse, e nel caso in cui ciò non avvenga viene rituenuta legittima l’occupazione di posti abbandonati (presenti in grande quantità nel territorio siciliano) per garantire posti letto gratuiti e la conseguente creazione di welfare.
Collegando tutto alla fase politica del Bel Paese il quadro si fa interessante: si, perché tra i migliaia di licenziati per fallimento, tra le famiglie che devono scegliere se a fine mese fare la spesa o pagare le bollette, altrimenti Serit ed Equitalia attendono già dietro la porta con la falce in mano, tra le fabbriche che chiudono, o peggio, restano l’unica possibilità di sopravvivenza a cui aggrapparsi seppur dispositivi che pongono i lavoratori davanti al dilemma se scegliere di morire di fame o scegliere di morire di malattie per inquinamento (come l’Ilva di Taranto insegna); tra la cassa integrazione, che raggiunge i massimi storici, ammortizzatore sociale utilizzato tra l’altro come mezzo di controllo, discriminatorio e soprattutto disgregativo e atomizzante all’interno degli stabilimenti (vedi Fincantieri), e\o comunque destinato a breve vita in quanto ridotto al midollo e garantito sempre a breve scadenza per tentare di livellare il conflitto sociale(vedi Gesip);tra tutte queste situazioni si inserisce il grande dato della disoccupazione giovanile, questo 37% (che al sud raggiunge il 40%) di esercito di riserva, che si illude ancora che, seppur l’università abbia smesso da tempo di far da ascensore sociale, esista ancora qualche possibilità di futuro, magari all’estero (dato che l’Italia è il paese che spende meno nel mondo della formazione),o magari per chi si trova nelle fasce alte di reddito.
La soppressione di welfare studentesco e servizi universitari è sentito ormai da chiunque viva l’università: particolarmente da chi ha ricevuto l’idoneità ma non la borsa di studio, dunque nessuna retribuzione economica; da chi non è rientrato nelle striminzite graduatorie per i posti letto nel pensionato ed è costretto a pagare un affitto mensile pari a 200 euro e spesso costretto ad essere uno studente lavoratore; La “caccia al reddito” ci spinge a lavori sottopagati e precari che sottraggono tempo ed energia al nostro studio e alla nostra vita. Assistiamo di anno in anno alla continua chiusura di mense e studentati mentre i sindacati studenteschi restano aggrappati a battaglie(?) resistenziali soprattutto per quanto riguarda la rappresentanza studentesca, triste strumento per accumulazione di tessere e finanziamenti.
Se il modello che ci viene imposto è questo, se davvero la formazione deve essere una corsa all’acquisto di competenze allora reclamiamo parità di diritti, in questo caso economici;
Nell’ultima fase della sua vita, Foucault porta la sua analisi del linguaggio da un ordine del discorso alla necessità di una costruzione di un linguaggio antagonista, che si inserisce nella vita” volta a dire il vero, la vita altra, quella della militanza rivoluzionaria”; ci siamo spesso ritrovati a discutere della mistificazione del linguaggio dalla controparte e della necessità di ribaltamento, attraversamento e ri – costruzione autonoma di questo, che deve proporsi come linguaggio diffuso e generalizzabile. A ciò si legano immediatamente i nostri strumenti nella lotta dei saperi, un’autoformazione che producendo saperi autonomi sempre al di là della barricata deve porsi come produttore di posizionamenti e resistenze popolari, ricomposizioni, ricombinazioni del lavoro vivo, e una conricerca che nel suo ruolo essenziale di rottura epistemologica deve volgersi a creare da una parte una visione materialistica dentro la composizione, dall’altra, consequenzialmente, a sviluppare forme di tendenza di rottura e forme di organizzazione politica delle lotte.
In campagna elettorale abbiamo sentito accennare dal movimento 5 stelle al ritorno sul campo di parole come “reddito di base”, “reddito garantito”, o “reddito di dignità”, nelle sue varianti; il passaggio dal ritorno in campo delle parole, all’azione politica nel campo dei territori sta a noi!
Lotta per il reddito si, ma come pratica di intervento sui territori e prospettiva di avanzamento e massificazione delle lotte e dei conflitti generalizzabili, attorno alla battaglia che abbiamo definito “per un welfare degli usi e delle riappropriazioni,cioè un movimento dei bisogni reali di parte” , per un soddisfacimento dei bisogni per contrattaccare nei territori dai movimenti.
Ecco dove c’entra il ribaltamento del linguaggio che citavamo poc’anzi; I discorsi della controparte, le norme, le retoriche e le logiche atte al nostro asservimento vanno ribaltate e usate per rilanciare percorsi di lotta e riappropriazione. La battaglia si gioca sulla loro scacchiera, siamo noi a schierare i pezzi e a dover fare l’ultima mossa.
Ecco perché riteniamo sia opportuno rilanciare rivendicazioni,riappropriazioni e riconquiste che si configurano così , dopo questa attenta analisi essenziali per la nostra vita , il nostro diritto alla felicità, ovvero alla liberazione dal giogo del debito e della precarietà che può e deve passare attraverso il rilancio di esperienze di autogestione, riappropriazione di welfare diretto e indiretto e la conquista di spazi in cui organizzare le lotte e i saperi di studenti e precari che attraverso il lavoro finanziano la produzione di un sapere merce che genera profitti per pochi a discapito di molti; siamo consapevoli che gli strumenti del welfare, fin dall’epoca keynesiana, hanno sancito l’accordo tra capitale e lavoro, e che hanno come caratteristiche intrinseche un ruolo di disciplinamento e una falsa promessa di emancipazione; è altrettanto vero che il reddito, come si è detto “è un tema che ritorna”, che va inchiestato, e continuamente, perché segue le mutazioni dei rapporti di produzione e i mutamenti degli scenari della crisi, quelli che a noi sta attraversare.
Riteniamo sia dunque indispensabile la realizzazione di pratiche tese alla riappropriazione di rendita finanziaria. Il nodo del reddito, della riappropriazione dal basso sono quelli attorno a cui costruire lotte, progettualità politica , organizzazione e massificazione del conflitto. A partire,perché no, da un 19 Aprile di lotta, che si prospetta un varco, un’occasione, uno scenario interessante, un momento di conquista.
Se è vero che “Grande è la confusione sotto il cielo…
Collettivo Universitario Autonomo – Palermo
http://www.infoaut.org/index.php/blog/saperi/item/7453-il-merito-al-futuro-passaper-lidoneit%C3%A0-alla-lotta-luniversit%C3%A0-verso-il-#19a