VERSO IL 15 OTTOBRE VAL SUSA CHIAMA ITALIA

da www.notav.info

Scriviamo queste righe dalle nostre montagne, sperando che dalle Alpi possano arrivare a tutto lo stivale, da Cortina a Lampedusa. La nostra valle vive un momento di lotta intensa, di resistenza: ogni giorno è qui, ormai, un giorno decisivo. Dai nostri presidi, dalle nostre baite, dai nostri paesi, dalle strade e dai sentieri che li collegano, attorno al fortino militarizzato creato dal governo a difesa del non-cantiere dell’Alta Velocità, stiamo resistendo. Ed è da resistenti che ci rivolgiamo a voi, che ci rivolgiamo all’Italia. La lotta No Tav è una lotta per la difesa della salute e del territorio, ma non solo: è una lotta contro la consegna della ricchezza prodotta collettivamente, in tutto il paese, nelle mani di pochi. È una battaglia contro l’alleanza strategica tra stato e mafia, ma è anche l’idea di un mondo diverso, costruito insieme attraverso nuove pratiche di decisione dal basso. È un movimento in difesa della nostra valle, che amiamo ora come non avevamo mai amato, ma è anzitutto un grido che si leva da un luogo nel mondo, rivolto a tutto il mondo.

Il 15 ottobre, in Europa e non solo, migliaia di persone risponderanno all’appello che giunge dagli indignados spagnoli: da coloro che, a partire dal marzo scorso, hanno deciso di trasformare, a modo loro, la vita politica del loro paese. Persone comuni – non eroi! – proprio come noi e voi, che hanno invaso le piazze delle loro città, parlando alla Spagna della società che vorrebbero costruire, sulle ceneri della classe politica che governa il loro paese. Come la Val Susa non può vincere senza l’Italia – e, lo diciamo con convinzione, un’Italia migliore non può nascere senza la vittoria della Val di Susa – così i ragazzi spagnoli non possono vincere senza l’Europa. Che cosa vogliono? Una politica e un’economia al servizio di tutte e tutti, il rispetto per l’essere umano e per l’ambiente, la morte definitiva dell’accentramento del potere mediatico, dell’abuso sistematico di quello politico, della corruzione, del commissariamento globale da parte della grande finanza. Ogni volta che ripetiamo questi stessi, identici concetti nelle nostre assemblee popolari, ogni volta che li gridiamo lungo le vigne o sotto le reti della militarizzazione, sentiamo di portare avanti una lotta che è la loro stessa; ma è la stessa degli studenti greci e tunisini, dei ragazzi che vengono arrestati sul ponte di Brooklyn e di quelli che cambiano la storia in piazza Tahirir.

Allora che aspettiamo? Il tiranno che ci governa è a Roma! A Roma è il mandante politico dell’invasione militare della Valle, a Roma è il mandante politico del Tav: decrepito, vergognoso e trasversale, proprio come in Spagna, proprio come in Grecia. A Roma sono i palazzi che hanno partorito una manovra di assassinio di due o tre generazioni, e mentre con una mano rapinano gli italiani di 20 miliardi di euro, con l’altra firmano gli accordi con la Francia per regalarne 22 al malaffare, distruggendo con il Tav le nostre vite e la nostra vallata. Mentre già discutono la necessità di una manovra bis per attaccare ancora più a fondo, in nome dei diktat della BCE, la società italiana, spendono 90.000 euro al giorno per gasarci al CS e reprimere in ogni forma il nostro dissenso, per la sola colpa di esserci ribellati al loro decennale strapotere. Questo è ormai la Val di Susa, del resto: un pericoloso esempio per tutte e tutti, da sradicare con la forza. Cosa aspettate? Cosa aspettiamo? Se vogliamo un futuro, un futuro qualsiasi, non abbiamo scelta: dobbiamo sfidare la casta – tutta la casta! – e dobbiamo vincere. A Roma ci saremo per sentire ancora il vostro abbraccio, dopo mesi difficili in cui abbiamo sofferto, ma anche sognato; e tra i nostri sogni ci sarà sempre quello in cui vi vediamo marciare fin sotto i palazzi del potere, e lanciare tutti insieme il grido che arriva, forte e chiaro, dalla Spagna: Que se vayan todos!

Contro il processo repressivo al movimento 15M

Oggi 3 ottobre a partire dalla prima mattinata sono stati eseguiti in diversi momenti 12 arresti in seguito alla protesta del 15 giugno 2011 alle porte del Parco della Cittadella di Barcellona, non si esclude che il numero possa continuare a crescere.

Vogliamo esprimere la nostra solidarietà a tutte le persone che potrebbero vedersi coinvolte in questa storia e il rifuto totale al processo giuridico-politico che ha iniziato il Tribunale Nacionale.

Il consigliere dell’interno del governo distrettuale Felip Puig e il magistratoEloy Velasco stanno promuovendo un’operazione repressiva, con la collaborazione della Fiscalità Generale della Catalogna, contro il movimento sociale di massa che sta rispondendo alle politiche di tagli in finanziaria, in settori fondamentali come la formazione e la sanità, tra gli altri. Invece di focalizzare l’attenzione sul malessere della cittadinanza in tempo di crisi e ai tagli antisociali, i poteri rispondono con la repressione e la criminalizzazione del dissenso. A questo bisogna aggiungere il ruolo fondamentale che un’entità tanto antidemocratica e poco rappresentativa come Mani Pulite ha svolto in questo processo. Sono stati loro a dare vita a questo processo, presentando una denuncia al tribunale contro il 15M. A questo si aggiunge il processo penale che stanno subendo 6 persone a Barcellona per la stessa protesta.

Aggiungiamo che il tribunale nazionale è un’istituzione erede del “Tribunale pubblico” franchista (TOP), un tribunale speciale utilizzato storicamente in casi di chiara matrice politica.

Le persone che affronteranno questo processo sono accusate di delitti “contro le istituzioni dello stato”, delitti che non sono mai stati applicati alle differenti proteste esplose davanti ai diversi parlamenti autonomi, al Congresso dei Deputati o al Senato. Non era successo nemmeno nel 1984 quando, dobbiamo ricordare, una moltitudine di militanti di Convergenza Democratica della Catalogna, riuniti alla porta del Parlamento, portò avanti una protesta molto più forte di quella del 15 Giugno, in questo caso contro i deputati del Partito Socialista della Catalogna. I dirigenti di Covregenza, in questa occasione, non fecero nessun riferimento all’onorabilità di una delle “massime istituzioni del paese”.

Interpretiamo questa azione non come un attacco solo alle persone specifiche, che in ogni caso sarebbero capri espiatori, ma come un attacco a tutto il movimento del 15M. Un movimento con un consenso sociale altissimo che guida la critica all’attuale sistema di rappresentanza politica, così come alle misure economiche neoliberali di austerity promotori di segregazione e esclusione sociale.

L’appello alla mobilitazione del 15 giugno del 2011 è stato il frutto di un dibattito pubblico, aperto, trasparente e orizzontale che hanno portato avanti le moltitudinarie assemblee di quei giorni. Per questo crediamo che questo processo sia un attacco a tutto il movimento.

Questa protesta è stata strumentalizzata e esagerata dal Consigliere degli Interni Felip Puig e dal governo con immagini abilmente costruite ad hoc, come quella dell’arrivo del presidente del Distretto e altri membri del Governo con l’elicottero che atterra in parlamento. L’obiettivo di Convergenza e Unione (CiU) con tutte queste cortine di fumo è evidente: distrarre l’attenzione pubblica da quello che succedeva dentro il palazzo, dove si discutevano bilanci antisociali assolutamente illegittimi, dato che potevano tradire ogni programma elettorale e non passare per nessun referendum vincolante.

Senza dubbio, domenica 19 giugno una marea umana di più di 200.000 persone ha risposto tanto alla montatura politica come ai gravi tagli alle spese sociali sofferti dalla popolazione catalana negli ultimi mesi, manifestandosi con lo slogan “La strada è nostra, non pagheremo la vostra crisi”.

Riaffermiamo una volta di più il nostro rifiuto alla vendetta giuridica e politica in corso contro il movimento, reiteriamo il nostro appoggio alle persone processate e a chiunque possa essere coinvolto in futuro e annunciamo che non ci spaventeranno e che il movimento 15M continuerà a riempire le strade e a lavorare per affermare chiaramente che “non siamo merce in mano ai politici e alle banche”.

Facciamo appello a mobilitarsi contro il piano repressivo e contro i tagli in Piazza Catalogna, oggi lunedì alle 19.00.

 

Siamo tutt@ 15M

 

# 15mlliure

 

Firme:

Assemblea de Sants, Assemblea de Gràcia, Assemblea del Casc Antic, Assemblea de Poble Nou, Assemblea de Sant Andreu, Assemblea de Clot-Camp de l’Arpa,Assemblea de Drets Socials de l’Eixample, Assemblea de Poble sec, Assemblea de Sarrià-San Gervasi, Assemblea de Sant Antoni, l’Àgora lliure de l’Escala, Ateneu art i cultura de l’Escala.

 Izquierda Anticapitalista, Revolta Global, En Lluita, CAJEI, COS, Endavant, Maulets, Partit Obrer Revolucionari – POR-Catalunya, Confederació General del Treball (CGT) de Catalunya.

 

Link Stampa Estera:

http://www.elperiodico.com/es/noticias/sociedad/medio-govern-llegado-parlament-helicoptero-por-bloqueo-los-indignados-1043246

 

 

I precari di tutta Italia a Bologna per preparare il loro primo sciopero generale

dal fatto quotidiano

Hanno organizzato gli stati generali er parlare delle esperienze e di come muoversi, anche dal punto di vista legale. “Siamo qui per far sentire la nostra voce. Anche a rischio di perdere il lavoro”

Una riunione che doveva essere informale, ma che alla fine si è trasformata in un’assemblea aperta: così si è aperta la due giorni degli Stati Generali, per organizzare il primo sciopero precario, previsto per il 15 ottobre prossimo.  Al Vag61, in via Paolo Fabbri, a Bologna, ragazzi provenienti un po’ da tutta Italia si sono trovati per discutere di precariato, per raccontarsi le proprie esperienze, come sportelli san precario, risorsa per chi un contratto stabile e sicuro non ce l’ha.

Prima dieci, poi una cinquantina di persone si sono sedute in cerchio, come alle assemblee d’istituto  in una scuola, e hanno parlato a turno di ciò che accade nella loro città e di come cambiare le cose a poco a poco in tutto il Paese. Perché essere precari non è solo una condizione lavorativa, ma è anche uno stato esistenziale spesso rifiutato, che coinvolge tutte le fasce d’età e che tende a isolare gli individui, allontanandoli dalla rete sociale.

Un pomeriggio di workshop e di riflessione in preparazione alla giornata di oggi, la Costituente vera e propria, istituita per organizzare il grande sciopero in tutta Italia.

Molti i temi già discussi. Primo fra tutti la necessità di stabilire una rete solida nel territorio italiano, di creare una sintonia che si traduca in una maggiore efficienza delle iniziative portate avanti. Poi si è parlato di battaglie, di sconfitte e di vittorie, di come la voglia di giustizia di chi è sfruttato si possa trasformare in partecipazione e conflitto, di come, per cambiare le cose, sia necessario denunciare e informare. “Perché l’ignoranza è sempre un’arma che si rivolge contro chi la impugna”.

Il progetto degli Stati Generali è nato nell’ottobre del 2010 e in questi mesi ha subito un’espansione vertiginosa, portando alla nascita di Punti san precario in sempre più città e regioni.

Milano, Roma, Bologna, Genova, Perugia, Caserta, Livorno, Bari. Sono solo alcune delle città rappresentate, solo alcuni dei luoghi dove la rete contro il precariato si è stabilita, fornendo un supporto a tutti coloro che questa condizione la subiscono.

Un supporto legale, pro bono, ma anche politico, una consulenza atta a spiegare al lavoratore quali siano le sue possibilità di rivalsa, quali siano i suoi diritti.

“Spesso” racconta Massimo Laratro, avvocato del punto san precario di Milano, “i giovani sono così abituati all’idea di essere precari, e del lavoro precario in generale, che quando vengono espulsi da una realtà, da un circuito lavorativo, pensano sia normale. Noi spieghiamo loro come muoversi”.

E la popolazione ha risposto a questa iniziativa con grande entusiasmo. Perché la zona grigia che è il precariato esclude spesso da quelle forme di tutela e di supporto che esistono oggi, e a volte c’è un vuoto da riempire che non è solo legale, ma anche politico e sindacale.

“Solo nel 2011, da gennaio a oggi”, racconta l’avvocato Laratro, “abbiamo seguito più di 150 vertenze legali. Ma il lato giuridico è un aspetto marginale di ciò che facciamo. Oggi bisogna dare coraggio ai lavoratori, per uscire dall’isolamento che questa condizione crea. Noi forniamo gli strumenti affinché le persone si organizzino nella loro realtà professionale, ma alla fine sono loro gli attori”.

Ciò che san precario vuole, ciò per cui lotta e scenderà in piazza il 15 ottobre, non è solo la mobilitazione dei precari, ma l’elezione del precariato come tema dominante dello sciopero. Il precariato inteso come male a cui serve una cura, una terapia fatta di un welfare più vicino agli standard europei, del diritto all’insolvibilità in tempo di crisi, di una politica che non sia di austerity, ma di crescita e di una moneta come bene comune, e non riservata alle oligarchie economiche.

“Noi non chiediamo molto”, continua Laratro, “ma senza maggiori risorse i precari continueranno a essere ricattati, e sotto ricatto non potranno rivendicare i loro diritti”.

L’Assemblea Costituente di oggi, a Bologna, sarà aperta a tutti, sindacati, movimenti, associazioni, cittadini. A tutti coloro che vorranno partecipare all’organizzazione dello sciopero precario, che vorranno “promuovere un’ideologia basata sul cambiamento, su una trasformazione che deve avvenire sia dentro sia fuori dalla sfera del lavoro”. Perché, ricordano i ragazzi seduti in riunione, “anche se è difficile per un precario scioperare e far pesare la propria assenza, pur rischiando di perdere il posto, se ci si organizza a rete, se tutti i precari incrociano le braccia, forse qualcosa può cambiare”.

di Annalisa Dall’Oca

Sul sentiero di guerra. Autonomia, indipendenza, territorio

VENERDI’ 7 OTTOBRE 2011 @ LOA Acrobax – via della vasca navale 6

Diretta audio qui

In un mondo che, grazie alla guerra globale permanente e allo Stato d’eccezione fatto norma, si assomiglia sempre di più per gli scenari di conflitto innescati e fomentati ad arte e dall’alto, vogliamo rilanciare un dibattito sulle pratiche comuni di resistenza e autogoverno, ignorando le frontiere che ci hanno imposto.

Vogliamo chiederci se la Val di Susa è poi così distante dalla Selva Lacandona del Chiapas; se il moltiplicarsi dei comitati dei NO risponde a un’esigenza così diversa dall’autorganizzazione indigena contro i mega-progetti imposti dal FMI; se un’assemblea di valligiani o quella di uno spazio occupato hanno una dinamica diversa da quella di un villaggio maya; se le lavoratrici sessuali sui marciapiedi delle metropoli, i migranti sui tetti dei treni o sui barconi e i contadini curvi su campi deserti sono un’altra faccia di una precarizzazione globale.

Vogliamo interrogarci sulle pratiche di liberazione e resistenza in quei territori minacciati qui da un TAV o da una discarica, li’ da una diga o un’autostrada, ma ovunque uniti da un nemico devastante, il capitalismo, e da un’energia comune, la ribellione della gente.

Gli zapatisti ci ricordano che la quarta guerra mondiale è esplosa: il neoliberismo contro l’umanità, quella che custodiamo difendendo i territori, ossia la vita. Emergiamo da tante battaglie che vogliamo mettere a confronto, certi che alcuni sentieri sono gli stessi o sono percorribili a braccietto anche a migliaia di chilometri di distanza.

Il collettivo Nodo Solidale, il LOA Acrobax, con la partecipazione di alcun* compagn* del NOTAV e di Terzigno (o di Acqua Bene Comune) invitano a un dibattito su:

Autonomia, Indipendenza, Territorio: pratiche di lotta e di autogoverno a confronto.

 

A seguire:

 

Presentazione del video “Tessendo Autonomia – progetti in Messico 1.0”

Uno sguardo sul Messico che lotta, raccontato attraverso i progetti della PIRATA. Scorrono le immagini e le parole delle comunità indigene di Oaxaca, dello zapatismo, delle lavoratrici sessuali autorganizzate di Città del Messico. Pezzi di autonomia reale.

Presentazione del libretto “L’Altra Campagna e la lotta di classe delle lavoratrici sessuali in Messico”

L’analisi di fase e le prospettive rivoluzionarie di un collettivo di promotrici di salute e di lavoratrici sessuali, la Brigata di Strada, che si considerano come parte attiva della classe operaia messicana. Un approfondimento politico sulle influenze dello zapatismo nella metropoli e sul superamento della dicotomia “legalizzare o abolire” la prostituzione, a favore dell’autodeterminazione delle lavoratrici sessuali. Tradotto e curato dalla PIRATA

*La PIRATA è la Piattaforma Internazionalista per la Resistenza e l’Autogestione Tessendo Autonomia. E’ una rete di solidarietà dal basso, antifascista, autogestita e non sovvenzionata da istituzioni governative o dai partiti. E’ una cooperazione politica internazionalista creatasi con tre gruppi libertari che, fra altre attività, sono parte attiva nei processi di liberazione in Messico: il collettivo Nodo Solidale, il Collettivo Zapatista di Lugano “Marisol”, il gruppo Nomads dell’Xm24.

Que se vayan todos! *15 Ottobre giornata globale contro l’austerity: Dal diritto all’insolvenza allo sciopero precario

Siamo giunti al 15 ottobre con un importante lancio, a carattere europeo, della mobilitazione contro l’austerity e le politiche neoliberiste, assunte come strategiche dalla Commissione europea e dalla BCE peraltro responsabili dell’ultimo pesante ciclo della crisi globale e finanziaria che le banche e le grandi lobby hanno scatenato contro la cittadinanza tutta.

Dal 15 al 18 Settembre abbiamo attraversato l’hub meeting di Barcellona con le reti e le soggettività che hanno scelto in questa fase storica di riconoscersi in uno spazio politico comune che un po’ ovunque è andato costituendosi tra le rivolte che hanno segnato gran parte dell’ area mediterrane e europea, fino ad arrivare a scalfire la nostra Italietta. Dalla fiammata vista nello scorso autunno studentesco culminato nel tumulto del 14 Dicembre fino alla più solida resistenza Notav, radicata e sedimentata sul territorio dentro uno scontro politico condotto con grande intelligenza e radicalità.

Nel procedere sul nuovo terreno di un vero protagonismo sociale contro le politiche di austerity vorremmo per il prossimo 15 Ottobre indicare un percorso, uno spazio di relazione e di movimento, un area di corteo larga e ampia che determini una rottura del quadro di compatibilità e di pacificazione sociale imposto dalla governance, anche oltre il governo Berlusconi: per la conquista di un piano costituente che rivendichi con orgoglio l’autonomia e l’indipendenza delle forme di vita comuni, nel lavoro e  con il reddito oltre il lavoro, nelle scelte sociali e sessuali, che praticano liberazione da un intero sistema di potere in crisi.

Dovremo costruire questo percorso verso e oltre il 15 per affermare in quella giornata, e nelle giornate precedenti,  nelle pratiche e nella comunicazione il punto di vista precario.
Il lavoro non è un bene comune perché ce lo hanno reso maledetto azzerandone i diritti e negandoci ogni libertà di scelta. Per questo è necessario conquistare un reddito di base incondizionato, non pagare il debito, riappropriarsi dei beni comuni e dei saperi, affermare la dimensione transnazionale di questa lotta anche a partire dalle lotte dei migranti per la rottura del legame tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno.

Siamo sempre più consapevoli che la reale alternativa alla crisi vive nei processi di indipendenza e cooperazione che sapremo creare nelle lotte.

“Non ci rappresenta nessuno” è il  motiv centrale della nuova sinfonia corale che si alza dalla sintesi dei ragionamenti, delle strategie e delle pratiche condivise tra tanta umanità riunitasi a Barcellona, come oggi a Bologna.
Lo spazio costituente che si vuole definire oggi  è quello che guarda, in una prospettiva di medio lungo periodo, alla costruzione, l’affinamento e la diffusione delle lotte contro la precarietà imposta dall’attuale modello di governo del capitale contro le nostre vite.
Una tappa fondamentale di questo percorso è la costruzione della giornata del 15 ottobre.
Ecco perché proponiamo di caratterizzare quella giornata e la nostra presenza alle mobilitazioni costruendo uno spazio sociale e di movimento che reclami il diritto all’insolvenza, al reddito e alla libertà di movimento per tutti i soggetti che stanno pagando la crisi.

Partendo da questi contenuti, il 15 ottobre faremo valere il protagonismo dei precari e delle precarie e rilanceremo oltre il 15, guardando alla scommessa dello sciopero precario.
Per questo a dicembre sperimenteremo esperienze di sciopero dentro e contro la precarietà, un processo che sappia mettere in campo una comunicazione e una cooperazione tra i precarie e le precarie a partire dalla crisi della rappresentanza politica e sindacale, uno sciopero che arrivi a colpire laddove fa più male, dove si fanno i profitti, dove si produce e riproduce il capitale.

Verso lo sciopero precario, il 15 ottobre vogliamo costruire uno spazio di attraversamento per tutte le generazioni precarie che trasformi l’indignazione in conflitto.
Una rete che realizzi iniziative comuni di avvicinamento dal 7 al 14 ottobre come promosso dall’Hub-meeting  di Barcellona, all’interno della settimana di mobilitazione europea contro l’austerity.
Questa messa in rete è la modalità che scegliamo per l’interconnessione delle nostre esperienze: capace di includere i singoli come i collettivi, di intrecciarsi con altre reti e percorsi, di ridurre le distanze e la frammentazione, di far viaggiare i contenuti e le pratiche riproducibili dentro e fuori i confini dello stato –nazione, dentro e oltre quella giornata.

Stati generali della precarietà
www.scioperoprecario.org

Dispositivi per l’Indipendenza!

Con l’incontro del prossimo 28 Settembre vogliamo aprire un nuovo spazio di lavoro politico per l’indipendenza all’interno del percorso che ci porterà a costruire il 15 Ottobre con una grande manifestazione contro l’austerity. Proponiamo un momento di confronto e di approfondimento con un workshop di riflessione teorica sulla crisi del neoliberismo e sul debito sovrano, con un duplice intento, quello di misurare per un verso le soggettività e le reti sociali indipendenti, le intelligenze di movimento, intorno alla riflessione teorica sulla crisi finanziaria, sul biopotere dei mercati, sul debito e il possibile default e dall’altro lato individuare da subito il moover politico e sociale della trasformazione, sul piano immediato e diretto – immanente si potrebbe dire – dell’iniziativa di movimento e quindi anche delle proposte che ne scaturiscono come appunto quella al diritto all’insolvenza. Poter quindi legare allo sforzo teorico, sempre e di pari passo, un dibattito vero e aperto sulle pratiche e i conflitti. Ma, per rendere questo processo un fiume in piena e non una fusione a freddo, dobbiamo oggi più che mai sul crinale della storia segnata dalla crisi sistemica del capitalismo, immaginare e costruire un nuovo processo costituente per un’alternativa vera, dinamica e radicale. Vorremmo insieme poter cogliere il valore di questa specifica iniziativa nella prospettiva di costruire e sedimentare indipendenza e autonomia anche attraverso ulteriori momenti di dibattito e di confronto. Individuare le giuste traiettorie per costruire un laboratorio politico denso di nuovi legami. Relazioni, amicizie politiche, nuove intese nella condivisione non solo degli strumenti e dell’elaborazione teorica ma anche e soprattutto dentro un collettivo orientarsi nella produzione di movimento, alterità, forme di vita indipendenti. Sarà nostra cura nelle prossime settimane e nei prossimi mesi lavorare per costruire una grande manifestazione contro l’austerity il prossimo 15 Ottobre insieme a tutti coloro che vorranno cimentarsi con il conflitto sociale e praticare le nuove forme dello sciopero dentro e contro la precarietà, consapevoli che buona parte delle cose sono ancora tutte da costruire. Lo vogliamo fare insieme alle nostre compagne e compagni, fratelli e sorelle che si sentono parte di una comunità libera, aperta, ribelle e indipendente.

Mercoledì 28 h 18 Laboratorio Acrobax

Relatore Andrea Fumagalli – Prof. di economia politica all’Università di Pavia

Sono invitati ad intervenire: Collettivo Militant, Redazione Utopia, Comitato romano x l’acqua pubblica, Bin-Italia.

*si potrà seguire in streaming su www.indipendenti.eu

Da piazza pulita a Que se vayan todos!

Il punto di vista precario interviene nella trasmissione piazza pulita La 7.

Restiamo umani blocchiamo questo paese!

15 ottobre contro l’austerity prima tappa verso lo sciopero precario!

Costruiamo la prima dichiarazione d’indipendenza dei precari.

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Breve storiella del debito pubblico

dal blog della militant…

Come sappiamo già da mesi, alcuni paesi europei sono stati privati del loro potere politico di indirizzo economico, e sostituiti da strutture europee economico-finanziarie quali la Banca Centrale Europea, il famigerato Fondo Salva Stati (variante europea del Fondo Monetario Internazionale), nonché dalla stessa Unione Europea e dalla Banca Centrale Tedesca. Di fatto, parlare di commissariamento è fin troppo poco: quello che stanno vivendo i paesi più indebitati dell’eurozona ricalca alla perfezione ciò che hanno vissuto, nel corso dell’ottocento e del novecento, decine di paesi del secondo e terzo mondo, con l’FMI al posto del Fondo Salva Stati, la Banca mondiale al posto di quella europea e il governo statunitense al posto dell’Unione Europea. Tutti paesi che, di fronte ad un debito pubblico sempre più grande e col rischio dell’insolvenza, si affidavano a strutture finanziarie sovranazionali che ne determinavano le riforme, ne garantivano la solvibilità e ne indirizzavano le politiche economico-sociali. La storiella del debito, dunque, è abbastanza vecchia da poter essere presa a modello per capire cosa accadrà in Italia, ricordando anche cosa successe a qualche paese invaso dalle stesse cure che toccheranno a noi. Prima di tutto, è stato preparato a dovere il terreno culturale su cui poi andare a intervenire. Si sono create le condizioni psicologiche che hanno portato la gente ad avere una fottuta paura del debito pubblico, così da vedere il ridimensionamento dello stesso come condizione imprescindibile per andare avanti. La storia è più o meno questa: i mercati, che sono formati dalla massa di cittadini-risparmiatori che investono i propri risparmi nelle banche comprando obbligazioni o azioni delle società quotate in borsa, stanno portando un attacco speculativo verso i paesi indebitati vendendo le azioni o le obbligazioni di questi paesi, intimoriti dalla possibile insolvenza di questi paesi. Questi mercati, dunque, non sono altro che una sorta di opinione pubblica mondiale sui fatti economici, per cui se decidono di vendere determinate azioni o obbligazioni è perché non si fidano più della stabilità (=solvibilità) di ciò che hanno in portafoglio. Questa opinione pubblica è spaventata dall’enorme massa di debito di alcuni grandi paesi europei, dunque questo crollo di fiducia determina una fuga di capitali dai paesi indebitati. Quindi il vero motivo di questa sfiducia collettiva è, in fin dei conti, il debito pubblico. Cosa avrebbe prodotto questo debito pubblico? Il debito pubblico sarebbe il risultato di anni di gestione scellerata e spendacciona di questi stati, che nel corso del tempo avrebbero accumulato un debito nel confronti dei loro cittadini in virtù delle proprie politiche di sperpero di denaro pubblico, di salari troppo elevati, di pensioni troppo alte, di servizi pubblici garantiti e così via. Insomma, la soluzione dovrebbe essere quella di rientrare di questo debito riformando l’economia, abbattendo pezzi di stato sociale ormai non più proponibili perché sarebbe finito il tempo delle “vacche grasse”, in cui un po’ tutti abbiamo vissuto “al di sopra delle nostre possibilità”, mentre sarebbe giunta l’ora di “tirare la cinghia”. E’ ora di liberare l’economia dai lacci e laccioli che la imbrigliano, diminuendo la spesa statale, abbassando le tasse e così via, per far risalire finalmente la fiducia degli investitori internazionali nei nostri confronti così da generare di nuovo profitti e crescita economica. Torna, vero? Questa, in linea di massima, la visione politica odierna di ciò che sta succedendo in Italia e nei paesi maggiormente indebitati. Bene, tutto questo è falso. Anzitutto, i mercati. Nei mercati finanziari non investono i cittadini, i risparmiatori, i contribuenti o come sono stati definiti nel corso di questi anni coloro che detengono azioni in borsa. Nei mercati finanziari agiscono le società di intermediazione mobiliare, le istituzioni finanziarie e monetarie, i fondi pensione e i fondi d’investimento, le banche, le assicurazioni. Ciò non vuol dire che sia vietato ai cittadini di poter investire in borsa, e sicuramente ci saranno molti “privati” che decidono di impegnare il gruzzoletto risparmiato in azioni. Però gli attori dei mercati borsistici sono altri, sono coloro che possiedono i capitali, quelli veri, e che muovono stock di azioni che niente hanno a che vedere con quelle che potrebbe spostare il singolo risparmiatore. Dunque, nei mercati non è riflessa alcuna opinione pubblica mondiale, o europea. Questi stessi attori protagonisti nelle borse sono gli stessi che nel corso degli anni hanno prodotto la gran parte del debito pubblico italiano. Riflettiamoci un istante con un semplice esempio: poniamo che un ipotetico fondo pensione statunitense possieda, mettiamo, 50 milioni di euro in azioni a Piazza Affari, e realizzando una manovra speculativa decida di venderli. Questa vendita (sommata ad altre vendite) produrrà un abbassamento del valore della borsa italiana di un qualche punto percentuale, che si rifletterà in campo economico in una perdita di fiducia delle istituzioni finanziarie verso la nostra struttura finanziaria, andando così ad aumentare le percentuali di rischio di solvibilità del nostro paese, che quindi andranno ad aumentare il tasso d’interesse che servirà a comprare i nostri titoli del tesoro. Un aumento del tasso d’interesse significa che per acquistare i nostri titoli dovremmo offrire più soldi, per trovare mercato, e così facendo saremmo costretti ad indebitarci di più. Ecco come, in questo semplice quanto evidente esempio, il nostro debito pubblico sarebbe aumentato senza che sia avvenuto alcun tipo di movimento nell’economia reale, nessun aumento di spesa pubblica, nessun abbassamento delle tasse o aumento delle pensioni. Questo è esattamente ciò che sta accadendo all’economia finanziaria italiana per quanto riguarda il debito pubblico, che ricorda vagamente ciò che è accaduto nel corso della storia per le economie dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa che hanno assaggiato la cura dell’FMI. Enormi manovre speculative ai danni delle economie dei paesi emergenti, che aumentava a dismisura il loro debito pubblico – detenuto dagli investitori esteri – e che costringeva, con l’acqua alla gola, queste economie all’abbraccio mortale delle istituzioni finanziarie internazionali guidate da Washington. Perché tutto questo sta avvenendo in Italia in questi anni e non è avvenuto prima? Perché fino all’inizio degli anni novanta il debito pubblico italiano era detenuto da strutture finanziarie italiane (banche e assicurazioni), era un debito interno, detenuto quasi esclusivamente da attori italiani che non avevano alcun interesse a far crollare la fiducia di un mercato nel quale detenevano la stragrande maggioranza di azioni e in cui avevano il loro territorio economico d’appartenenza. Con la crescente finanziarizzazione dei mercati, con il progressivo abbattimento di ogni frontiera per lo spostamento dei capitali, per la cavalcata trionfale della deregulation finanziaria, i mercati azionari italiani si sono sempre più fusi con quelli internazionali. Oggi la quota di debito pubblico detenuta da investitori internazionali è del 52,4%, a fronte del 5,59% del 1991 (dati Bankitalia). Questi investitori internazionali hanno, al contrario di quelli nazionali, tutto l’interesse alle manovre speculative nei confronti di un qualsiasi stato. Non solo perché non rischiano nulla, potendo spostare i propri capitali da una parte all’altra del mondo nel giro di un click col mouse, ma soprattutto perché un aumento del rischio d’insolvenza fa salire i tassi d’interesse per collocare i nostri titoli pubblici sul mercato. Si stabilisce un circolo vizioso per cui più uno stato è a rischio fallimento e più genera profitti per gli investitori internazionali, generando ulteriore debito e dunque aumentando il rischio fallimento. Chi detiene dunque il nostro debito pubblico? Secondo i vari organi di propaganda neoliberista, il debito pubblico dovrebbe essere la quota che ognuno di noi rischia di perdere se lo stato fallisse, i soldi che lo stato ci dovrebbe dare e che non è in grado di onerare (sempre perché è vissuto al di sopra delle sue possibilità e altre mega bufale del genere). Al momento in cui scriviamo, ogni italiano dovrebbe avere una quota di 33.000 euro sul proprio groppone. Anche questo è falso. Il debito pubblico italiano è detenuto per il 52% da quelle istituzioni finanziarie estere di cui sopra (fondi speculativi, banche, assicurazioni, società di intermediazione e così via); per il 32% da banche e istituzioni finanziarie italiane; dal 4% dalla Banca d’Italia e solo per l’11% dalle famiglie e da altre società non finanziarie. Insomma, circa l’85% del nostro debito pubblico è detenuto dalle banche, italiane o estere. Se noi dovessimo finalmente fallire, chi perderà i propri “risparmi” saranno proprio quelle istituzioni finanziarie che hanno contribuito ad esacerbare questa crisi, che ci stanno speculando sopra anche oggi, e che stanno costringendo, tramite la longa manus delle tecnostrutture europee, alle riforme economiche che invece andranno ad incidere, queste si in maniera indelebile, sulla vita delle famiglie italiane. Ovviamente, delle famiglie più povere, visto il carattere squisitamente di classe della manovra economica appena approvata e dettata da Bruxelles. Capito perché non possiamo fallire? Perché fallirebbero le banche e i fondi europei che nel frattempo stanno giocando in borsa col nostro debito pubblico, sicure del fatto che, al momento del bisogno, sarà l’economia reale dei lavoratori in carne ed ossa a ripagare i debiti che vengono prodotti ad ogni movimento speculativo. Questo giochetto, e cioè utilizzare il grimaldello del debito pubblico, gonfiato ad arte dalla finanza internazionale, per poter riformare in senso neoliberista l’economia degli stati, è stato usato nel corso degli anni, come abbiamo detto, proprio nei confronti di quei paesi che avevano bisogno di un “aggiustatina” economica, o che risiedevano su territori appetibili economicamente, o possedevano una vasta mano d’opera a basso costo desiderosa di farsi sfruttare. E non solo in Argentina o in Cile, in Corea del Sud o in Messico come in Brasile o in Bolivia, ma anche in quei paesi del “primo” mondo che avevano bisogno di una svolta liberista, come l’Inghilterra della Thatcher o gli Stati Uniti di Reagan. Questi episodi storici di introduzione forzata di misure neoliberiste sono partiti tutti dall’assunto di un debito pubblico troppo elevato, di una riforma dell’economia per ridimensionarlo e dell’impossibilità di andare avanti in questo modo. Proprio grazie a questo, e alla battaglia culturale (stravinta) sulla necessità di avere un debito in ordine per marciare verso il progresso e il benessere, è stato possibile la vittoria schiacciante del neoliberismo in molti stati. Oggi è il turno dell’Italia, della Grecia, della Spagna, del Portogallo e dell’Irlanda. Sebbene paesi capitalisti e liberisti, hanno ancora uno strato socio-economico basato sulla presenza dello Stato nell’economia, hanno ancora un potenziale non indifferente di profitto per la finanza speculativa mondiale. E’ per questo che o usciamo dalla logica del debito, decidendo di non pagare i nostri debiti agli speculatori internazionali, oppure saremo costretti nell’abbraccio mortale di una nuova spinta neoliberista che devasterà ulteriormente il nostro paese. E’ una riflessione un po’ retorica, ovviamente, visto che sappiamo bene di che pasta sono fatte le nostre “sinistre” e quali sono le loro visioni del mondo per quanto riguarda l’economia e il rapporto con l’Europa. Ma sono riflessioni che dovremmo fare nostre in vista del 15 Ottobre, quando l’opposizione a questa crisi creata dal capitale manifesterà per le strade di tutta Europa. Ci vediamo nella lotta. Riferimenti interattivi e bibliografici: – Girolamo De Michele su debito, manovra finanziaria e speculazione internazionale http://www.carmillaonline.com/archives/2011/08/003994.html#003994 – Andrea Fumagalli su Uninomade http://uninomade.org/la-farsa-dellemergenza-economica-parte-ii/ – Chi ha in mano il nostro debito? http://www.linkiesta.it/chi-detiene-debito-pubblico-italiano- – Rapporto della Banca D’Italia dove, se si ha la pazienza di andarselo a spulciare, si scoprirebbero cose interessanti http://www.bancaditalia.it/statistiche/finpub/pimefp – “Breve storia del neoliberismo”, di David Harvey, 2005, edizioni Il Saggiatore

http://www.militant-blog.org/?p=5498#more-5498

Dichiarazione dell’Hub Meeting15S di Barcellona, verso il 15Ottobre a Roma

Dichiarazione del Hub Meeting partecipanti 15S

Noi, reti e persone che hanno partecipato al Meeting 15SHub, riunione svoltasi a Barcellona tra il 15 e il 18 settembre, dichiariamo che

– Rifiutiamo il concetto di austerità per affrontare l’attuale crisi e risolverla, in quanto tale approccio presuppone una gestione autoritaria
 e antidemocratica dei beni comuni.

– Denunciamo le politiche di austerità che si traducono in un aumento della diseguaglianza e in un attacco frontale ai fondamenti del welfare e dei diritti conquistati in anni di dure lotte sociali dei movimenti.

– Sottolineamo come, allo stesso tempo, queste politiche di austerità favoriscano interessi economico-finanziari privati, quegli stessi interessi che sono alla base del modello di sviluppo e che ci hanno condotto all’attuale crisi.

Quella che stiamo osservando non è solo una crisi economica, ma  anche e soprattutto una crisi politica. E’ l’apice del processo di disgregazione del patto sociale europeo e rivela impietosamente l’assoluta incapacità
dell’attuale sistema politico di gestire decentemente il bene comune.

A fronte della condizione di precarietà materiale ed esistenziale sempre più diffusa, reclamiamo un processo di democratizzazione radicale della gestione economica e politica in Europa, che consenta la costruzione di un nuovo modello di welfare che poggi su due pilastri:
l’introduzione di un reddito di esistenza, incondizionato, e l’accesso effettivo e libero ai diritti e ai beni comuni
(sanità, istruzione, casa, ambiente, conoscenza).

Per conseguire questi obiettivi, è essenziale un nuovo modello di politica fiscale europea e un nuovo approccio alla questione del debito. Condizione necessaria ma non sufficiente perché ciò possa realizzarsi è l’introduzione di un nuovo insieme di diritti sociali, tra i quali è prioritario il diritto al fallimento per gli individui.

Salviamo le persone, non le banche.
Consideriamo inoltre necessario garantire l’accesso libero alle reti di comunicazione e la neutralità di queste stesse reti, alla conoscenza e all’istruzione e ci opponiamo a qualsiasi processo di privatizzazione e mercificazione del sapere.

In un quadro in cui precarizzazione e disoccupazione continuano a crescere incontrollate, la condizione migrante è l’esempio più eclatante della distruzione dei diritti del lavoratore e dello svilimento delle condizioni di lavoro.
Consideriamo ciò che sta accadendo nel campo lavoro migrante uno scellerato laboratorio di quel che si intende applicare a tutta la classe lavoratrice in un futuro prossimo. Rivendichiamo con forza e urgenza la necessità di svincolare la fruizione da parte dei migranti dei diritti sociali, politici e di cittadinanza dal contratto di lavoro. Al tempo stesso, riteniamo che l’accesso a tali diritti debba essere garantito anche i familiari dei migranti che lavorano in
Europa. Siamo tutti migranti, nessun essere umano può essere illegale!

Dobbiamo trasformare gli attuali modelli di democrazia e riappropriarci della politica, con la partecipazione diretta a tutti gli aspetti della vita sociale, politica ed economica. L’attuale modello di democrazia rappresentativa è evidentemente superato. Non c’è nessuno che ci rappresenti!

Per tutti questi motivi, convochiamo la cittadinanza per il prossimo 15 Ottobre affinché possa esprimere con forza il rifiuto di questa strategia di uscita dalla crisi e rivendicare una democrazia che sia reale.

Non abbiamo più nulla da perdere ma tutto da guadagnare!

15SHM Statement

18 Sep

Declaración de los participantes del 15S Hub Meeting

Nostras, las redes y personas participantes en el encuentro 15SHub Meeting que tuvo lugar en Barcelona entre los días 15 y 18 de septiembre

Rechazamos el concepto de austeridad para explicar la actual situación de crisis y afrontar su solución ya que supone una gestión autoritaria y antidemocrática de la riqueza común.         

Denunciamos que las políticas de  austeridad producen  un incremento de  las desigualdades y un ataque  frontal contra los pilares del Estado del Bienestar europeos y los derechos sociales que éste ha garantizado como resultado de las múltiples luchas sociales.

Al mismo tiempo, estas políticas de austeridad favorecen los intereses económico-financieros   privados responsables del modelo de desarrollo económico que ha provocado la actual crisis.

Ésta no es tan sólo una crisis económica sino sobre todo una crisis política. Es la culminación de la ruptura del pacto social europeo. Además pone en evidencia el agotamiento del sistema de partidos políticos en la gestión del bien común.

Ante la precariedad material y existencial, reclamamos la democratización de la economía  y de la gobernanza europea que permita la construcción de un nuevo modelo de bienestar social fundado en dos aspectos: la provisión de una renta básica incondicional y el acceso efectivo y libre a los derechos sociales y los bienes comunes (sanidad, educación, vivienda, medioambiente, conocimiento ..)

Para la consecución de este modelo se hace necesaria una política fiscal, presupuestaria y social europea así como la auditoría de la deuda. Condición necesaria pero no suficiente para ello es el reconocimiento de un nuevo catálogo de derechos sociales, entre los cuales se revela prioritario el derecho a la quiebra de las personas: rescatemos a las personas no a los bancos.

También consideramos necesario garantizar la neutralidad y el libre acceso  a la red, al conocimiento y la educación contra las dinámicas privatizadoras y mercantilizadoras del saber.

En una situación de precariedad y desempleo creciente, la condición migrante es el más claro ejemplo de la privación de los derechos laborales y de la desvalorización de la actividad productiva. La condición del trabajo migrante es el modelo que pretende ser impuesto al conjunto de la población trabajadora. Reivindicamos la desvinculación de los derechos sociales, políticos y de ciudadanía del contrato de trabajo. Así mismo reivindicamos la concesión de los mismos al conjunto de los migrantes residentes en los países europeos. Todos somos migrantes y nadie es ilegal.

Debemos  transformar los modelos de democracia y reapropiarnos de la política a  partir de la participación directa en todos los ámbitos de la vida  social, política y económica.  El actual modelo de democracia representativa está agotado: nadie nos representa.

Por estos motivos convocamos a la ciudadanía el próximo 15 de Octubre para que exprese su rechazo a las políticas de salida de la crisis y reivindique de una verdadera democracia.

 

Nada que perder, todo por ganar

http://bcnhubmeeting.wordpress.com/