Albano, approvato l’inceneritore

Da noinceneritorealbano.it. Apprendiamo con sgomento la sentenza del consiglio di stato che di fatto autorizza la costruzione dell’inceneritore di Albano. Come al solito la volontà popolare viene ignorata , la dignità degli abitanti dei Castelli Romani, che vivono questi territori e che da sei anni portano avanti questa vertenza, viene calpestata in nome di una presunta utilità sociale di questo spaventoso ecomostro. Viene da chiedersi, con l’amaro in bocca, utile a chi? al signor Cerroni, “il re della monnezza” che di discariche e inceneritori ha costruito il suo business (Malagrotta docet), e senza dubbio è utile ai vari politicanti di turno, da Alemanno, alla Polverini e al suo predecessore Marrazzo, che continuano a proporre una gestione dei rifiuti vecchia e obsoleta fatta di discariche e inceneritori in un territorio, come quello dei castelli, già DEVASTATO da una speculazione edilizia che non conosce limiti, dalla presenza di numerose industrie e dalla tristemente nota discarica di amianto.

La storia dei movimenti territoriali in Italia sembra seguire sempre lo stesso copione: la lotta contro l’opera parte, I comitati presentano ricorso al TAR, lo vincono, dopodichè vengono scavalcati al Consiglio di Stato per intercessione del politicante di turno. L’abbiamo visto accadere in Val di Susa, sotto le pressioni del governo centrale del PDL e della regione del PD, l’abbiamo visto accadere ad Aprilia per l’insistenza dell’allora ministro alle attività produttive Bersani, a Vicenza in cui il deus ex machina fu Prodi ed infine a Napoli per l’inceneritore di Acerra, per il quale si spesero nientepopòdimeno che Berlusconi e Napolitano. Ora sembra arrivato il nostro turno, con le minacciose dichiarazioni del ministro Corrado Clini che sembrano voler schiacciare la lotta che portiamo avanti da sei anni.

Dell’incompetenza e del malaffare di pochi dovranno pagare donne, uomini, bambini, animali le cui grida di rabbia e di indignazione si vorrebero mettere a tacere.

NOI NON GLIELO PERMETTEREMO! Non ci faremo schiacciare, la vertenza non muore certo qui ma anzi continuerà con ancora più forza! solo uniti tutti e tutte potremo impedire la devastazione dei nostri territori! non ci faremo scavalcare, l’unico grado di giudizio che conta è quello popolare e si giudica sul terreno della lotta!!

Sul nostro sito web continueremo ad aggiornavi sule prossime iniziative ed assemblee pubbliche per decidere insieme come continuare la mobilitazione. Di seguito potete leggere la notizia così come viene riportata dal giornale “La Repubblica”.

29 Marzo. Sciopero in Spagna: toma la helga! #29M

29 Marzo Sin Miedo…tomando la huelga!

In Spagna, e principalmente in Catalunya, la “huelga general”(sciopero generale)convocata dai sindacati confederali diventa sempre più uno spazio di partecipazione ampio anche per chi “nei e dai” sindacati non si sente rappresentato. Una sperimentazione che comincia il 29 settembre 2010 in occasione di uno sciopero generale convocato contro l’allora governo Zapatero che aveva intrapreso il lungo cammino di obbedienza ai precetti di UE e BCE in tema di libertà di licenziamento, tagli alle pensioni e al pubblico impiego. In quel frangente l’attraversamento dello sciopero sindacale da parte delle reti indipendenti e di movimento rappresentò il volano per rilanciare su un’opzione di autorganizzazione sociale decisamente eccedente il sindacato aprendo la strada ad un movimento di incredibile radicamento e diffusione: il 15M.

Un cammino di lotta, un processo di sperimentazione costante, di riappropriazione dal basso e di presa di parola da parte di chi non solo questa crisi non la vuole pagare, ma si propone, piuttosto, di superare le condizioni di precarizzazione e frammentazione sociale con cui il capitalismo si riproduce.

Un cammino di lotta che procede dando impulso a processi di movimento che valorizzano la genuina e sana esplosione di rabbia precaria che ormai accompagna costantemente la nostra quotidianità di vita.

Un cammino di lotta che agisce nel presente e sul presente per riprendere e vivere un futuro che non faccia dell’incertezza una variabile costante.

Per il prossimo 29 marzo è stato convocato nella vicina, vicinissima Spagna un nuovo sciopero generale per contrastare la riforma del mercato del lavoro portata a compimento dal nuovo governo Rajoy in un paese dove i tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, sono tra i più alti d’Europa.

Anche in questa occasione la “huelga general” diventa irrinunciabile occasione per una sperimentazione ad ampio raggio che parte dalle pratiche e dalle connessioni tra le medesime e che si pone l’obiettivo di consolidare una strumentazione (“hierramentas”) in grado di incidere realmente sui profitti, sui meccanismi di estrazione del valore e del consenso di cui il sistema capitalistico si è abbondantemente dotato.

Una sperimentazione che al contempo valorizza le reti di relazioni e di attivazione che si sono date sui territori a partire dai bisogni che la precarietà di vita ci nega. Attraverso le Asambleas de barrios si sviluppano le sinergie trasversali ai settori produttivi e ai bisogni che dovrebbero coprire: dalla sanità pubblica, all’educazione, al diritto all’abitare.

Un esempio tra gli altri è quello della plataforma de afectados por la hypoteca (PAH) che ha visto crescere la sua battaglia contro gli sfratti e i mutui sempre più insostenibili a causa della bolla speculativa: proprio il radicamento territoriale delle pratiche dei picchetti e delle occupazioni abitative, l’alto livello di critica alle banche così come alla rendita fondiaria e finanziaria, le massicce campagne di denuncia e boicottaggio hanno costretto molti istituti di credito a rivedere la loro politica di sfratti a favore di una rimodulazione dei mutui (“dacción en pago”).

Allo stesso modo sui territori nascono i coordinamenti per “istruzione e sanità pubbliche e di qualità” contro i tagli, le privatizzazioni e la precarizzazione dei lavoratori del pubblico impiego. Questo variegato universo si organizza in forme classiche e tradizionali ma allo stesso tempo da vita a modalità e sperimentazioni costituenti di innovativi processi sociali che producono la difesa di beni e servizi comuni, si pensi alle occupazioni di scuole ed ospedali che hanno resistito intere settimane in autogestione,. Le iniziative e il movimento si diffondono “en la calle” anche grazie ad un uso e un’attivazione capillare “en la red”.

Da qui, girando per il web iniziano a comparire suggestioni interessanti sulle modalità di partecipazione al prossimo sciopero: Toma la huelga, Huelga Social Universal Revolucionaria, Huelga Sin Miedo, Huelga 29M No trabajes No consumas, Busca tu Huelga… sono solo alcune delle piattaforme e delle parole d’ordine che si vanno diffondendo sulla rete.

http://29msinmiedo.tumblr.com/

Senza paura! Sappiamo bene che molti precari non hanno nessun diritto allo sciopero ma anche per chi formalmente lo potrebbe praticare i meccanismi di ricatto esercitati dai datori di lavoro sono innumerevoli. Questa piattaforma permette di segnalare le pressioni e gli abusi delle imprese (private ovviamente, ma anche pubbliche come le Università) contro la possibilità di scioperare: da quelle che praticano un vero e proprio mobbing, a quelle che perseguitano chi conduce attività sindacali fino a quelle che con la massima cordialità dichiarano di riconoscere il diritto costituzionale allo sciopero ma al contempo invitano a comunicare preventivamente l’adesione dei lavoratori allo sciopero stesso, ovviamente al fine di neutralizzarne la capacità di bloccare la produzione e il servizio.

La piattaforma è arrivata a più di 1700 segnalazioni su tutto il territorio nazionale.

#tomalahuelga:

http://tomalahuelga.net/recursos/

Letteralmente prendi lo sciopero: trasformalo, riempilo di contenuti e rivendicazioni, inventa le pratiche che più ti si addicono come soggettività singola o organizzata, diffondilo.

Sciopero del consumo, sciopero de-genere, sciopero del lavoro domestico e di cura, sciopero “io non pago” che realizzerà forme di riappropriazione diretta sono solo alcune delle sperimentazioni che si lanciano sulla piattaforma della huelga social universal revolucionaria:

http://huelgasur.wordpress.com/2012/03/13/huelga-social-universal-revolucionaria/

Qui si propone anche un manuale scaricabile in pdf per ragionare sullo sciopero nell’era del capitalismo finanziario: se il capitalismo si è trasformato anche lo sciopero si deve trasformare. Allora diventano fondamentali terreni di sperimentazione le occupazioni: dalle case agli ospedali, dalle università alle piazze occupare vuol dire risignificare funzioni e relazioni di conflitto e cooperazione oltre il capitalismo. Dall’Argentina del 2001, alle mobilitazioni francesi contro la riforma delle pensioni passando persino per il recente sciopero dei camionisti in Italia, il manuale spiega come il blocco dei flussi di merci e persone sia nel capitalismo contemporaneo una delle forme più efficaci di sabotaggio dei profitti. La produzione,infatti, risente poco dell’astensione dal lavoro per qualche ora avendo acquisito la capacità di rimodularsi, dislocarsi territorialmente e avvalersi delle scorte presenti nella rete di distribuzione: il blocco di porti o autostrade produce un danno immediato che ovviamente si amplifica esponenzialmente quanto più il blocco si protrae.

In terra spagnola, il movimento sta riuscendo con intelligenza e fervore a trovare canali reali di contropotere suggerendo sperimentazioni, tanto dialettiche quanto pragmatiche, capaci di stimolare un confronto e un conflitto concreto e tangibile contro un sistema che ci vorrebbe sempre più instabili e precari. Il ricatto di questa crisi è prioritariamente nella menzogna costruita ad arte di un possibile “ritorno in carreggiata” con le misure di austerity che dalle riforme del mercato del lavoro all’attacco al welfare e ai beni comuni avanzano in tutta Europa, e non solo, lasciando le istituzioni della democrazia formale e rappresentativa nude di fronte alla loro inutilità.

La potenza dei processi cooperativi è la chiave di lettura su cui scommettere. La cospirazione tra soggetti precarizzati dovrà e potrà costruire anche qui il terreno per uno sciopero precario e sociale che sappia mettere al centro una condizione alla quale non vogliamo più sottostare.

Verso lo sciopero precario… passando per l’hubmeeting 2.0 del 31 marzo e 1° aprile a Milano…

The show must go off. Ciao Matteo

Roma 8 Marzo. Oggi pomeriggio davanti al palalottomatica, moltissim* lavoratori e lavoratrici precarie dello spettacolo hanno manifestato per ricordare Matteo e denunciare le pessime condizioni di lavoro di chi, dovendo sostenere orari massacranti, permette allo show business di andare avanti a ritmi sempre crescenti. Molti dei presenti indossavano le attrezzature di “sicurezza” che sono costretti a comprarsi privatamente.

Oltre il danno la beffa: non bastava aver perso un compagno di lavoro, diversi colleghi di Matteo sono anche stati iscritti nel registro degli indagati.
Diversi striscioni sono stati appesi e volantini distribuiti agli avventori del concerto di stasera, è stato anche richiesto di poter leggere un comunicato dal palco prima dell’inizio del concerto.
Dopo anni di silenzio, anche dietro le quinte, lontano dai riflettori dello spettacolo che deve andare avanti a tutti i costi si stanno alzando delle voci per dire basta. Ad oggi tutti si stanno rifiutando di “sostituire” Matteo nelle mansioni che svolgeva anche per dire che non siamo solo pezzi di ingranaggi in un meccanismo infernale, ma che possiamo essere la sabbia che questi meccanismi li fa inceppare.

A questo link del blog nomortilavoro il testo del volantino distribuito davanti al palalottomatica

http://nomortilavoro.noblogs.org/post/2012/03/07/the-show-must-go-off-ciao-matteo/

#Occupywelfare contro il pacco Fornero

Roma, 8 marzo. Ministero del Lavoro Via Veneto 65.  Poco fa OccupyWelfare ha anticipato le mosse e con un blitz precario è entrato nel Ministero del Lavoro di Via Veneto per poter consegnare personalmente la lettera alla Fornero. Al momento decine di attivisti si trovano al piano della Fornero bloccati da una decina di agenti della Digos.

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Comunicato dopo l’incontro.

Con l’uscita della delegazione delle donne precarie di OccupyWelfare che ha incontrato la Ministra Fornero dopo l’occupazione del terzo piano del Ministero del Lavoro, si è conclusa l’azione di oggi: e quanto narrato dalla delegazione sull’incontro ha chiarito bene i termini e le ragioni immutate dell’iniziativa di OccupyWelfare. Le donne precarie di OccupyWelfare hanno messo sul piatto il reddito di base incondizionato come una forma per uscire dal ricatto e non rischiare un default dei diritti e delle persone. Hanno detto no ai sacrifici subito senza certezza di ammortizzatori sociali e di risposte concrete.Hanno anzi rifiutato l’indegno scambio fra vaghe promesse sul futuro e l’attacco che il “lavoro stabile” subisce invece sull’articolo 18. Servono risposte e scelte legislative che estendano e universalizzino le garanzie, non che le abbattano. La risposta della Fornero ricalca i luoghi comuni, le banalità e gli insulti delle ultime settimane (lavoro fisso monotono, precari perchè non preparati e così via): se vi diamo reddito voi non fate nulla per il paese, vi sedete e magiate pasta e pomodoro. Il tutto giustificato con la solita priorità di “salvare l’ Italia”. Anche OccupyWelfare lavora per il bene dell’Italia, a partire dalla sua realtà, quella della vita precaria. E perciò dà appuntamento a tutte e tutti per domani, 9 marzo, dalle ore 14, davanti al ministero in Via Veneto 56: per una vera Occupy, l’istituzione dello spazio pubblico di presa di parola e d’iniziativa comune delle precarie e dei precari, insieme alle precarizzate e ai precarizzati. #OccupyWelfare – Roma, via Veneto 56.

Comunicato Ribellule

Altri video e articoli

Blog San Precario sul Fatto Quotidiano

Repubblica Roma

Corriere Roma

Paese Sera

L’unità

Il Manifesto

Video Sole 24 ore

Video TMNews

Video Corriere della Sera

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Dalle ore 14 tutti/e sotto il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, via veneto n 56

Siamo alle fasi conclusive del progetto di riforma del mercato del lavoro che andrà in approvazione entro il mese di marzo. Il pacco Monti-Fornero è il punto di arrivo delle politiche di flessibilizzazione imposte negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi/Boeri – un esempio di “ingegneria normativa” improntata esclusivamente all’attacco di diritti acquisiti. Una prima dimostrazione viene dall’accanimento sull’art.18, che, pur tutelando ad oggi solo una parte dei lavoratori, rappresenta un deterrente importantissimo nei confronti dello strapotere delle imprese. Non a caso, i tavoli di “negoziazione” tra governo e sindacati non considerano la condizione di milioni di soggetti precarizzati dall’attuale crisi del capitale. Siamo noi lavoratori flessibili e generazioni precarie gli unici che andranno veramente in “default” se continueranno ad essere applicate le politiche di austerità imposte da Fondo Monterio e BCE, volute dai responsabili stessi della crisi, le banche. Il mercato del lavoro in Italia è ormai imperniato sulla tendenziale generalizzazione della precarietà. Il pacco Monti-Fornero non fa che normalizzare questa tendenza sotto la sferza e il ricatto della crisi. Invece, dal nostro punto di vista, ovvero di chi produce ricchezza ogni giorno nel nostro paese, c’è la necessità e c’è la volontà di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità. Non vogliamo più divisione e contrapposizione tra “garantiti” e precari, giovani e meno giovani, nord e sud, lavoro e non lavoro, nativi e migranti. Rifiutiamo la competizione al ribasso tra tutele differenziate e non siamo disposte e disposti ad accettare un livellamento verso il basso del salario come dei diritti. Pretendiamo una redistribuzione generale della ricchezza attraverso strumenti che non possono essere scambiati con i diritti che tutelano il lavoro subordinato. Vogliamo ammortizzatori sociali adeguati a questa necessità: l’indennità di disoccupazione copre solo il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – è erogata solo per una parte dei lavori ed è usata per creare sperequazione e clientelismo. Vogliamo rompere il silenzio sulla realtà di un sistema di welfare sempre più privatizzato e fatto gravare sulle spalle delle donne, che con il lavoro di cura gratuito permettono allo Stato di risparmiare circa 26 miliardi di euro. E’ questa una vera leva della precarizzazione, che fa perno sulle donne come primo soggetto di sperimentazione, accanto alla condizione migrante. Senza intervenire su questa realtà di fondo, non c’è lotta alle dimissioni “in bianco” o promessa sul diritto alla maternità che tenga. Vogliamo garanzie. Vogliamo che siano garantite tutele universali nel lavoro. Rivendichiamo libertà di scelta del lavoro. Difendiamo il lavoro esistente, dall’inizio della contrattualizzazione fino alla garanzie nella risoluzione del rapporto. Pretendiamo un limite al tempo di lavoro e il salario minimo orario; rigettiamo la privatizzazione dei controlli sulla sicurezza, quando giorno dopo giorno si allunga la lista insopportabile di vittime dello sfruttamento. Vogliamo la razionalizzazione delle forme contrattuali e l’estensione delle tutele nei contratti atipici e nel lavoro indipendente. Vogliamo un reddito di base e incondizionato, vero architrave di un welfare effettivamente universale che renda sostenibile un sistema pensionistico finora puntato solo ad una futura miseria. Sappiamo dove trovare le risorse: con un piano legislativo nazionale che le prenda dove ci sono, dai profitti, dalle transazioni finanziarie, dalla rendita, dalle speculazioni, dal pozzo senza fondo di spese militari inspiegabili come quelle per gli F35 e di grandi opere rifiutate dalle popolazioni come quella del TAV. Per questo nella giornata del 9 marzo, in concomitanza con la manifestazione nazionale e lo sciopero della Fiom, pensiamo sia necessario che le reti indipendenti di precari/e e precarizzati/e prendano parola, a partire dalla loro comune condizione di espropriati dei diritti di garanzie e di libertà. Invitiamo tutte/i ad animare #occupywelfare davanti al ministero del lavoro dalle ore 14 per riprendere parola, dare protagonismo e visibilità ai nostri desideri alle nostre rivendicazioni. Occupywelfare vuole costruire un processo indipendente, autoconvocato ed autorganizzato di mobilitazioni durante tutto il mese di marzo, contro il “pacchetto” Fornero.

 

9 Marzo 2012 #Occupywelfare, fermiamo il pacco Fornero

Dalle ore 14 tutti/e sotto il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, via veneto n 56

Siamo alle fasi conclusive del progetto di riforma del mercato del lavoro che andrà in approvazione entro il mese di marzo. Il pacco Monti-Fornero è il punto di arrivo delle politiche di flessibilizzazione imposte negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi/Boeri – un esempio di “ingegneria normativa” improntata esclusivamente all’attacco di diritti acquisiti. Una prima dimostrazione viene dall’accanimento sull’art.18, che, pur tutelando ad oggi solo una parte dei lavoratori, rappresenta un deterrente importantissimo nei confronti dello strapotere delle imprese. Non a caso, i tavoli di “negoziazione” tra governo e sindacati non considerano la condizione di milioni di soggetti precarizzati dall’attuale crisi del capitale. Siamo noi lavoratori flessibili e generazioni precarie gli unici che andranno veramente in “default” se continueranno ad essere applicate le politiche di austerità imposte da Fondo Monterio e BCE, volute dai responsabili stessi della crisi, le banche. Il mercato del lavoro in Italia è ormai imperniato sulla tendenziale generalizzazione della precarietà. Il pacco Monti-Fornero non fa che normalizzare questa tendenza sotto la sferza e il ricatto della crisi. Invece, dal nostro punto di vista, ovvero di chi produce ricchezza ogni giorno nel nostro paese, c’è la necessità e c’è la volontà di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità. Non vogliamo più divisione e contrapposizione tra “garantiti” e precari, giovani e meno giovani, nord e sud, lavoro e non lavoro, nativi e migranti. Rifiutiamo la competizione al ribasso tra tutele differenziate e non siamo disposte e disposti ad accettare un livellamento verso il basso del salario come dei diritti. Pretendiamo una redistribuzione generale della ricchezza attraverso strumenti che non possono essere scambiati con i diritti che tutelano il lavoro subordinato. Vogliamo ammortizzatori sociali adeguati a questa necessità: l’indennità di disoccupazione copre solo il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – è erogata solo per una parte dei lavori ed è usata per creare sperequazione e clientelismo. Vogliamo rompere il silenzio sulla realtà di un sistema di welfare sempre più privatizzato e fatto gravare sulle spalle delle donne, che con il lavoro di cura gratuito permettono allo Stato di risparmiare circa 26 miliardi di euro. E’ questa una vera leva della precarizzazione, che fa perno sulle donne come primo soggetto di sperimentazione, accanto alla condizione migrante. Senza intervenire su questa realtà di fondo, non c’è lotta alle dimissioni “in bianco” o promessa sul diritto alla maternità che tenga. Vogliamo garanzie. Vogliamo che siano garantite tutele universali nel lavoro. Rivendichiamo libertà di scelta del lavoro. Difendiamo il lavoro esistente, dall’inizio della contrattualizzazione fino alla garanzie nella risoluzione del rapporto. Pretendiamo un limite al tempo di lavoro e il salario minimo orario; rigettiamo la privatizzazione dei controlli sulla sicurezza, quando giorno dopo giorno si allunga la lista insopportabile di vittime dello sfruttamento. Vogliamo la razionalizzazione delle forme contrattuali e l’estensione delle tutele nei contratti atipici e nel lavoro indipendente. Vogliamo un reddito di base e incondizionato, vero architrave di un welfare effettivamente universale che renda sostenibile un sistema pensionistico finora puntato solo ad una futura miseria. Sappiamo dove trovare le risorse: con un piano legislativo nazionale che le prenda dove ci sono, dai profitti, dalle transazioni finanziarie, dalla rendita, dalle speculazioni, dal pozzo senza fondo di spese militari inspiegabili come quelle per gli F35 e di grandi opere rifiutate dalle popolazioni come quella del TAV. Per questo nella giornata del 9 marzo, in concomitanza con la manifestazione nazionale e lo sciopero della Fiom, pensiamo sia necessario che le reti indipendenti di precari/e e precarizzati/e prendano parola, a partire dalla loro comune condizione di espropriati dei diritti di garanzie e di libertà. Invitiamo tutte/i ad animare #occupywelfare davanti al ministero del lavoro dalle ore 14 per riprendere parola, dare protagonismo e visibilità ai nostri desideri alle nostre rivendicazioni. Occupywelfare vuole costruire un processo indipendente, autoconvocato ed autorganizzato di mobilitazioni durante tutto il mese di marzo, contro il “pacchetto” Fornero.

Ciao Matteo, un altro morto per il divertimento del capitale

E’ rimasto schiacciato sotto i tubi del palco che stava costruendo per il concerto di Laura Pausini a Reggio Calabria. Matteo Armelini, 32 anni, romano, era un compagno che lavorava per una delle società di supporto tecnico agli spettacoli di diversi artisti in giro per l’Italia. Stamane a Radiondarossa il saluto dei suoi compagni e la denuncia che non è stato il crollo del palco ma c’è stato il cedimento strutturale del palazzetto stesso quindi una superficialità di chi firma carte e poi non sa realmente quanto la struttura può portare di peso.

Sul sito di Reggio a Cenestro la denuncia delle condizioni pessime di quel palazzetto: “Lo sapevano tutti”. Infatti il 9 febbraio scorso apparve un buco nel pavimento.

da http://nomortilavoro.noblogs.org

No Tav. Occupata sede nazionale del PD

Un gruppo di ragazzi e ragazze stanno occupando la sede nazionale del PD in via sant’andrea delle fratte (piazza di spagna) a sostegno del movimento NO TAV che da giorni subisce una dura repressione.

La situazione attuale è un ingente presenza delle forze dell’ordine e la chiusura della strada d’accesso.

Ieri il movimento No Tav ha lanciato l’indicazione a occupare oggi in tutt’italia, per questo già molte città hanno lanciato iniziative pubbliche e azioni spontanee.

La Val Di Susa è ovunque, la lotta No Tav è la lotta di tutte e tutti!

Articolo da repubblica.

Lettera aperta al governo sul mercato del lavoro

Caro Mario Monti e Ministri Tutti,

A marzo regalerete la riforma del mercato del lavoro mentre avete rimandato al 2013 il riordino del sistema iniquo e arretrato degli ammortizzatori sociali. Il pacco Monti-Fornero  è un passaggio fondamentale nelle politiche di flessibilizzazione realizzate negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi alias Boeri – e sono un esempio di “ingegneria normativa” che porterà a 47 il numero di tipologie contrattuali utilizzate nella giungla della precarietà. Tutto cambia perché niente cambi, soprattutto per i precari.

Attualmente l’indennità di disoccupazione copre il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – crea sperequazione, clientelismo e riguarda solo una parte dei lavori. L’articolo 18 tutela (per modo di dire) solo il 60% della forza lavoro e sommando finte partite iva e parasubordinazioni la percentuale scende. E’ la concezione stessa dei diritti e delle tutele ad essere parziale e minoritaria, quindi perdente. Serve invece un’idea ampia e convincente per unificare generazioni e lavori. I tavoli di negoziazione tra governo e sindacati non prendono affatto in considerazione la condizione di milioni di precari e precarie che quotidianamente producono ricchezza. Nelle mani precarie c’è invece la possibilità di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità: non più garantiti contro precari, giovani contro meno giovani, nord contro sud, lavoro contro non lavoro, italiani contro migranti. Non già profitti garantiti alle grandi lobby ma accesso al reddito di base incondizionato, ai servizi fondamentali e ai beni comuni.

Gli  Stati Generali della Precarietà vogliono rovesciare il triste destino di questo marzo per trasformarlo nel mese dell’attivazione e della cospirazione precaria. Dal Primo Marzo giorno dello sciopero migrante fino al 10 marzo gli Stati Generali della Precarietà apriranno in diverse città spazi di connessione, presa di parola e attivazione tra chi non si rassegna alla vita precaria, ma invece rivendica reddito di base incondizionato contro il ricatto della precarietà.

Nelle ultime settimane il Vostro governo ha portato avanti un’incredibile offensiva mediatica a colpi di insulti e mortificanti luoghi comuni (sfigato se sei precario monotono se hai il posto fisso) per giustificare una riforma che, come già avvenuto per quella previdenziale, asseconda le direttive dell’ortodossia monetarista di un’ Unione Europea che ha tradito chi la sognava come modello di coesione e solidarietà sociale, di diritti e libertà. E’ l’ennesima riforma che non parte dalle esigenze di chi nel mercato del lavoro si muove o di chi ne rimane fuori, tanto è vero che sulla mancanza di fondi per i cosiddetti ammortizzatori sociali Voi, e ancor di più i sindacati, avete messo una pietra tombale. Gli Stati Generali della Precarietà, non possono che portare il punto di vista precario di chi non è rappresentato nei tavoli di consultazione, tra una politica che li mortifica e un sindacato che non li conosce. Precari e precarie non hanno scelto la loro condizione, ma sono il motore dell’economia e le prime vittime della sua crisi.

Garantire un reddito di base incondizionato, in grado di sostituire gli attuali distorti ammortizzatori sociali, non necessita di cifre iperboliche ma è del tutto possibile, come si dimostra nel n. 1 dei Quaderni di San Precario http://quaderni.sanprecario.info/media/San_Precario_Quaderno_1.pdf. Un reddito di base incondizionato che venisse finanziato dalla fiscalità generale – ovvero dalla tassazione delle ricchezze – permetterebbe di diminuire quella parte del costo del lavoro rappresentata dai contributi sociali migliorando le retribuzioni (tra le più basse d’Europa), le opportunità e l’accesso al lavoro stesso liberando la precarietà dal ricatto come nessuna delle proposte sul tavolo governo-parti sociali. Il problema non è di sostenibilità economica bensì di volontà politica. Prendere le risorse necessarie dalla fiscalità generale rimette al centro la questione delle scelte politiche. Pochi esempi: dall’introduzione di una tassa patrimoniale sui patrimoni superiori ai 500.000 euro e dalla tassazione delle rendite finanziarie si possono stimare incassi pari a 10,5 miliardi di Euro, il giusto ripristino della progressività delle imposte in un paese dove la forbice tra ricchi e poveri si va allargando a dismisura porterebbe a reperire ulteriori 1,2 miliardi. Una razionalizzazione della spesa pubblica, solo nel campo della spesa militare (vedi i 15 miliardi per gli F35) e delle grandi opere del trasporto (vedi la Torino-Lione), potrebbe consentire un risparmio di quasi 6 miliardi.

E per finire lanciamo un marzo di cospirazione precaria a cominciare dal Primo marzo all’insegna dello sciopero migrante, perché i migranti molti ormai di seconda generazione sono quasi un decimo della popolazione italiana e rappresentano una percentuale ancora maggiore della popolazione attiva. La loro condizione di cittadini a tempo determinato sotto ricatto perenne per il permesso di soggiorno, oltre che essere umanamente bestiale e indegna, si ripercuote su tutto l’insieme dei lavoratori creando un dumping salariale pazzesco. Bisogna abolire la Bossi-Fini, che di fatto è una legge sul lavoro; la Turco-Napolitano e il reato di clandestinità. E’ tempo di garantire ai migranti cittadinanza e pieni diritti. Per continuare dal 2 al 10  con la settimana di attivazione contro la giungla della precarietà per il reddito di base incondizionato.

Si arriva poi al 17 e 18 a Napoli per nostro quarto appuntamento degli Stati Generali della Precarietà. Spazio di connessione e cooperazione tra reti che intervengono nella precarietà, nei luoghi di lavoro, nei territori, nei dibattiti, nelle assemblee, al di là di sindacati e partiti e sviluppando proprio per questo un forte punto di vista precario che non nasce dall’analisi della condizione precaria, ma dall’azione e dal protagonismo dentro il meccanismo della precarizzazione e che porterà, tra le altre, alla costruzione dello sciopero precario.

La ricchezza che il mondo precario esprime è un tesoro da difendere dalle grinfie di un futuro di fallimento e da un immediato presente di austerity, da un lavoro sempre più squalificato, sottopagato, demansionato e inaccessibile. Il miglior antidoto alla tecno-burocrazia del Vostro governo senza cuore e senza anima sono le intelligenze indipendenti che si liberano nella cospirazione precaria.

Voi potete continuare a far finta che non esistiamo e Vi assumerete questa responsabilità. Gli Stati Generali della Precarietà si assumono quella di riprendersi il futuro.

Cordialmente

Stati Generali della Precarietà

Ufficio Stampa: Paola Gasparoli 333 5446280  –  infoweb  www.sciperoprecario.org

Pizzo del Prete: un fortino nella campagna romana.

Sabato 25 Febbraio. Via di Castel Campanile, campagna incontaminata vicino al litorale a metà strada tra Ladispoli e il lago di Bracciano: sulla collina di Pizzo del Prete, che domina la grande e stupenda vallata che dovrebbe accogliere la nuova Malagrotta romana, è stato piantato in terra il primo palo di un “fortino” che verrà costruito pezzo dopo pezzo da chi intende resistere al progetto del Prefetto Pecoraro che ha individuato proprio in questa valle la destinazione della nuova discarica della capitale.

È difficile immaginare un luogo più bello di Pizzo del Prete. Lo spettacolo è suggestivo. Giungendo sul posto, l’immagine è da cartolina in movimento. Una verdissima e morbida collina, segnata da un enorme “NO” di tela che accoglie chi arriva. Tante sagome nere brulicano sul profilo mentre si dirigono verso un trattore pieno di bandiere che se ne sta, immobile, sulla sommità ed ha tutta l’aria di non volersi proprio muovere da lassù. Centinaia e centinaia di persone, poco prima di andarsene, si sono prese per mano e hanno formato un cerchio fino a circondare il “no”. Un aereo sorvola l’area, bassissimo in atterraggio verso Fiumicino. Dall’alto, i passeggeri hanno avuto il privilegio di osservare un grandissimo no-logo umano su sfondo verde. In basso, il trattore viene circondato da un cerchio di gesso, come ulteriore linea di resistenza. Nel cerchio, l’atmosfera è elettrica: c’è la forte sensazione di essere in tanti e di far parte di un momento significativo, quasi un atto fondativo di un percorso che molto probabilmente sarà lungo.

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Nelle vicinanze un borgo medievale, sito archeologico segnalato da cartelli turistici già dall’Aurelia. E sulla collina di fronte, un’azienda agricola, biologica, con gli animali più svariati, compresi i cervi e tutt’intorno a pascolare le pecore che vorrebbero sostituire con la monnezza. Un posto da fiaba, insomma. Lo sarebbe anche oggi se non fosse per le numerose camionette di forze dell’ordine che ne hanno invaso il piazzale. Eppure anche loro non osano avvicinarsi alla collina del no e del trattore, ma lo osservano da qui in lontananza.

Intorno ci sono poche case sparse, alcune isolate sulle colline nei dintorni, altre ammassate in piccole frazioni sulla strada da cui si arriva. Siamo in una delle zone più incontaminate intorno a Roma, forse proprio questo il motivo della scelta del prefetto. Pochi abitanti, poche rogne. Niente di più sbagliato. Non c’è una casa che non abbia uno striscione contro la discarica ed oggi è presente un sacco di gente, segno che anche dai comuni e dalle frazioni più distanti della zona circostante il problema è davvero sentito.

Un presidio partecipato, così come le manifestazioni che si sono svolte nei mesi scorsi contro il piano rifiuti della Regione Lazio, anche detto il piano discariche e inceneritori. Nel tempo la Regione ha annunciato i siti più svariati per sostituire Malagrotta, che sembrava dover chiudere, stavolta sul serio e definitivamente, il 31 dicembre scorso. Da questi paesi minacciati e dai loro dintorni sono scesi in piazza decine di comitati – ovviamente Malagrotta ma anche Corcolle, Riano, Allumiere, Palidoro, Cerveteri, Fiumicino, Ladispoli, Valcanneto – con un messaggio chiarissimo: un’altra discarica non si deve fare, da nessuna parte.

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Le condizioni di Malagrotta del resto non lascerebbero spazio a subbi. Un comitato da anni si batte per la chiusura della discarica, accusata di essere causa di gravi danni alla salute e di inquinamento del territorio circostante: in particolare nelle falde acquifere sarebbero presenti quantità di piombo arsenico e alluminio superiori ai limiti di legge, come evidenziato in un recente studio dell’ISPRA. La Procura inoltre ha aperto un’inchiesta per “omicidio colposo” per quattro morti di tumore tra gli abitanti della zona.

Il sistema dei rifiuti della capitale è Malagrotta-centrico. Questa discarica, dal nome paradossale – il visitatore infatti viene accolto dal cartello “città dell’industria ambientale” – e di proprietà dell’ormai celebre avvocato Manlio Cerroni, il monopolista della mondezza, è l’unica a ricevere i rifiuti di Roma da 30 anni. Ce ne sono altre due molto grandi nei paraggi, a Guidonia e ad Albano, ma ricevono i rifiuti dei comuni circostanti. A Malagrotta invece arrivano ogni giorno 4500 tonnellate di rifiuti dai cassonetti di tutta la città.

In teoria i rifiuti dovrebbero essere conferiti in impianti di trattamento meccanico biologico (TMB), per separare l’organico (quello che può finire direttamente in discarica) da ciò che può essere bruciato negli inceneritori (carta e plastica sostanzialmente). Due impianti di TMB sono di proprietà di Manlio Cerroni e si trovano all’interno dell’area di Malagrotta, altri due sono di proprietà dell’AMA (a Rocca Cencia e sulla Salaria). Questi impianti forniscono la materia prima agli inceneritori, che bruciano rifiuti per produrre energia elettrica. Nel Lazio gli inceneritori sono tre attualmente: uno a San Vittore, uno a Colleferro e quello di Malagrotta di proprietà dell’avvocato.

Il problema è comunque che queste linee riescono a trattare solo una minima parte dei rifiuti, quindi la maggior parte finisce in discarica come “tal quale”, cioè rifiuto indifferenziato, arricchendo Cerroni che viene pagato “tanto al chilo” e guadagna in questo modo tre volte dai rifiuti. La prima per il loro smaltimento in discarica, in monopolio e da 30 anni, la seconda per la vendita dell’energia prodotta dall’inceneritore di Malagrotta e la terza per la produzione di energia da biogas (estratto dai rifiuti interrati in discarica).

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Con il piano rifiuti la Regione Lazio vorrebbe risolvere il problema con la realizzazione di un quarto inceneritore ad Albano, dove esiste già una discarica molto grande che raccoglie i rifiuti dei Castelli, al cui interno alcuni invasi sono stati chiusi per irregolarità dalla magistratura e riaperti d’imperio dalla Polverini. Anche il comitato NoInc di Albano si è mobilitato quindi in solidarietà con gli altri comitati. Una solidarietà che è la prova che non ci troviamo di fronte ad un atteggiamento Nimby (not in my back yard, non nel mio giardino), ma ad una messa in discussione dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti, ponendo l’accento sulla raccolta differenziata come elemento fondamentale di un diverso trattamento dei rifiuti compatibile con la salute e l’ambiente.

Discariche-inceneritori e raccolta differenziata si escludono a vicenda. O si cambia completamente il ciclo dei rifiuti e la filosofia che c’è alla base della gestione attuale, oppure si continua ad investire nel modello discariche e inceneritori.

La politica ha già dato la sua risposta: in nome dell’ennesima emergenza, ha una volta di più delegato un prefetto, Pecoraro, nominato in fretta e furia dal governo i primi di settembre, appena 3 mesi prima della chiusura annunciata di Malagrotta, a trovare un sito definitivo (individuato in Pizzo del Prete). Qui i lavori non dureranno però meno di 36 mesi, e perciò si è resa necessaria l’individuazione di altri due siti di smaltimento provvisorio a Riano Flaminio e Corcolle (Tivoli).

Malagrotta alla fine non ha chiuso neanche stavolta, una nuova proroga ha sfidato ancora le sanzioni dell’Unione Europea verso la Regione Lazio. Ora una calma apparente concede altri 6 brevissimi mesi di tempo per trovare nuove soluzioni che a giudicare dal comportamento delle istituzioni non si ha nessuna voglia di risolvere: Regione, Comune e Prefettura già mettono le mani avanti e accollano ai comitati la responsabilità di non voler risolvere la questione, visto che rifiutano le nuove discariche solo per non farsi avvelenare la terra, l’acqua e l’aria. Il classico rimescolio delle carte, diventato ormai la specialità della politica.

Eppure la chiusura di Malagrotta è stata annunciata da anni. Un periodo in cui nulla è cambiato, nonostante ci sarebbe stato tutto il tempo di trovare l’alternativa. Anzi, di applicarla. Perché l’alternativa esiste, e si chiama raccolta differenziata, oggi ferma al 20% e ad uno sparuto tentativo di porta a porta nel primo municipio. Eppure Roma ha conosciuto la differenziata fino al 1980, sempre per mano di quel Manlio Cerroni oggi Re di Malagrotta, fin quando non si è deciso di aprire una mega discarica, fin quando qualcuno ha deciso di sviluppare ben altri profitti.

Comunque evolva la situazione, ciò che stupisce e sorprende di queste manifestazioni non è tanto il numero di comitati e di paesi coinvolti, ma è proprio la loro unità. Si capisce subito infatti che non siamo di fronte ad un No alla discarica sotto casa propria, ma ad un No a tutte le discariche, a tutti gli inceneritori, No al Piano della Regione e No ad un sistema che da 30 anni gestisce la monnezza a Roma come in molte altre parti d’Italia.

E si va ben oltre il no. É evidente già da quelle poche case intorno a Pizzo del Prete: accanto agli striscioni “no alla discarica”, “no all’inceneritore”, sventola l’immancabile bandiera della campagna Rifiuti Zero (Zero Waste). Qui emerge la proposta alternativa, la forza di un movimento che parla la stessa lingua, porta avanti le stesse parole d’ordine a prescindere da quello che sarà il sito definitivo della discarica. Un movimento che cresce costantemente. La sua forza sembra essere stata proprio questa: mettere da parte le differenze, non accettare nessuna concessione, nessuna compensazione; scegliere fin dall’inizio un nome e un’identità comune, non di partito ma di prospettiva, che toglie i singoli comitati dall’isolamento, offre un senso di appartenenza e permette a chi si avvicina a questo movimento di capirne al volo obiettivi e finalità.

“E’ appena cominciata”, gridavano dal cerchio sulla collina. Sarà dura, verrebbe da aggiungere, ma in ogni caso ne sarà valsa la pena.

Aggressione di Casapound a Ostia

Stanotte l’ennesima aggressione di Casapound si è consumata ad Ostia. Un gruppo di attivisti che stavano attaccando manifesti sono stati aggrediti. E in questo momento, gli stessi attisti sono trattenuti in questura con l’accusa di rissa aggravata. E’ insopportabile pensare che doversi difendere da un’aggressione comporti anche un’accusa giudiziaria. A maggior ragione se questa è di chiara matrice fascista.La copertura che le istituzioni stanno offrendo al gruppo neofascista di Casapound è veramente ingiustificabile.
Non è bastato un duplice assassinio a Firenze.
Non basta la loro esaltazione del ventennio.
Non basta l’ arroganza del loro razzismo.
La nostra pazienza è agli sgoccioli.Il nostro massimo sostegno al teatro del lido e a tutti/e gli attivisti/e di Ostia.
Saremo al vostro fianco.LOA Acrobax