Sulla riforma del mercato del lavoro in Spagna

Anche se vista dal “loro” punto di vista, pubblichiamo questo interessante contributo sulla riforma del mercato del lavoro attuata dal governo Rajoy in Spagna, utile soprattutto per avere un pò di informazioni e di possibili confronti con la riforma prospettata dal governo Monti.

MERCATO DEL LAVORO IN SPAGNA: UNA BUONA RIFORMA

di Luis Garicano21.02.2012

La riforma del mercato del lavoro varata in Spagna, pur non risolvendo tutti i problemi, può contribuire a porre fine alla distruzione dei posti di lavoro e favorire la creazione di nuova occupazione. Perché dà la priorità agli accordi a livello di impresa, permette riduzioni temporanee dell’orario di lavoro e facilita la flessibilità interna. A patto, però, che il parlamento spagnolo intervenga introducendo alcuni cruciali cambiamenti. E che il governo riesca a spiegare ai cittadini i contenuti e i fini della riforma.

La riforma del governo Rajoy sul mercato del lavoro in Spagna, varata con il regio decreto legge (Real Decreto-ley) n. 3 del 10 febbraio 2012, non è una cattiva riforma: con qualche piccolo ma importante cambiamento nel corso dell’iter parlamentare può porre fine alla distruzione dei posti di lavoro e, senza dubbio, faciliterà la creazione di nuova occupazione. (…)

LE OMBRE

È certamente facile enfatizzare gli aspetti negativi o perfettibili delle nuove norme: la dualità rimane la nota dominante, gli impieghi continueranno a essere temporanei, i contratti sono troppi (anzi, ora ce n’è uno in più). Mentre il proliferare di bonus e sussidi è un errore e una perdita di tempo e denaro: se ci sono risorse da investire, che vengano utilizzate per la formazione dei disoccupati. E l’eliminazione del licenziamento rapido, odiato dai sindacati (con il massimo indennizzo ma senza spese di transazione, che sono quelle che danno lavoro ad avvocati, sindacati, confederazioni imprenditoriali, eccetera) aumenterà i costi di transazione e i contenziosi nel nostro inefficiente apparato giudiziario.
Tuttavia, bisogna riconoscere (ed è la mia opinione personale) che questa non è una mini-riforma. E  può migliorare il catastrofico andamento del mercato del lavoro. Per quale ragione?

COSA CAMBIA

Cominciamo dall’inizio. Il problema principale della Spagna è la flessibilità interna. Immaginate di dirigere un’azienda con 250 dipendenti e di avere di fronte un futuro estremamente incerto. Avete degli utili, ma cominciate a rendervi conto che le banche tagliano i prestiti, che la situazione prende una brutta piega e che i risultati del prossimo esercizio saranno cruciali per la sopravvivenza dell’azienda.
Cosa dovete fare? Dovete salvare l’azienda e salvare quanti più posti di lavoro possibili. L’ideale sarebbe ridurre l’orario di lavoro, riorganizzare il tutto, tentare di mantenere tutti i dipendenti cercando di evitare il disastro. Ma l’attuale regolamentazione imposta dalla negoziazione collettiva lo rende impossibile. Con procedure di licenziamento collettivo (Expedientes de regulación de empleo) di 45 giorni, pagando due, tre, quattro anni di lavoro ai dipendenti che vengono licenziati, l’azienda va a fondo. Che fare, dunque? Resistere, confidare nel fatto che le cose cambieranno, e poi, di colpo, chiudere i battenti.
La riforma prosegue sulla linea di quelle precedenti nell’incrementare gli strumenti atti a favorire l’adeguamento interno. Innanzitutto, perché si dà la priorità agli accordi a livello di impresa. Questo facilita enormemente la flessibilità interna, permettendo a imprenditori e dipendenti di confrontarsi con la realtà specifica di ogni luogo di lavoro. Secondo, perché estende anche alle condizioni salariali la procedura (art. 41 dell’Estatuto de los trabajadores) che permette all’imprenditore (con controllo giudiziario ex post) la modifica unilaterale delle condizioni individuali, ove migliorative rispetto all’accordo collettivo. Terzo, mira a permettere interventi di modifica delle condizioni lavorative e salariali stabilite nei contratti collettivi. In questo caso, l’imprenditore non può adottare misure in maniera unilaterale, ma deve negoziare e affrontare un complesso iter in base all’articolo 83.2 dell’Estatuto de los trabajadores con verdetto finale spettante al comitato consultivo nazionale dei contratti collettivi. Quarto, le riduzioni dell’orario di lavoro previste dall’articolo 47 dell’Estatuto de los trabajadores, in precedenza effettuate su autorizzazione amministrativa, sono ora decise dall’azienda, ma sono a carattere temporaneo e devono rientrare in un insieme di motivi predeterminati. Quinto, la riforma elimina la più grande assurdità del sistema dei contratti, ossia la loro proroga automatica indeterminata (la cosiddetta “ultra-attività”).
Altrettanto importante è il tentativo di facilitare la riduzione della durata della giornata lavorativa. Vorrei richiamare l’attenzione sulla quinta disposizione addizionale: “La disoccupazione sarà parziale qualora il dipendente si veda temporaneamente ridotto l’orario di lavoro giornaliero, da un minimo del 10 a un massimo del 70 per cento, sempre che il salario sia anch’esso oggetto di analoga riduzione. A tali condizioni, si intenderà come riduzione della giornata lavorativa quella che venga decisa dal datore di lavoro secondo quanto stabilito nell’articolo 47 dello Statuto dei lavoratori, a esclusione delle riduzioni di orario lavorativo permanenti o di quelle che si estendano a tutto il periodo rimanente di vigenza del contratto di lavoro”.
In poche parole, pare ci sia il tentativo (e il governo deve essere quell’esempio positivo che finora non è stato) di scongiurare la distruzione dei posti di lavoro per il prossimo anno, che si prospetta terribile, e di spingere i lavoratori ad assumere una posizione realista al fine di salvare la propria azienda e in definitiva, l’economia spagnola.
Il rischio, chiaramente, è che gli elementi di flessibilità interna vengano completamente ignorati e che al loro posto si prospettino mesi di tagli indiscriminati dei posti di lavoro a 20 giorni per giustificato motivo oggettivo: esistono forse aziende che non abbiano tre trimestri di crollo degli utili e che non abbiano personale in esubero? Ovvio, senza la possibilità del licenziamento, la flessibilità non verrà sfruttata né accettata, ma d’altro canto, cosa succede se si ricorre al licenziamento anziché alle possibilità di flessibilità interna, pur con qualche forzatura legale? Di qui la convinzione che il messaggio educativo del governo sia cruciale.
Tra l’altro, la riforma presenta molti altri dettagli che mirano a razionalizzare il bizzarro sistema dei rapporti di lavoro in Spagna. Due in particolare: un intervento migliorativo sul contrasto all’assenteismo, finora ridicolo, e (…) la riduzione dei costi di indennizzo per il licenziamento da 45 a 33 giorni, e soprattutto la riduzione del limite massimo da 42 a 24 mensilità. Il provvedimento ci avvicina alla media europea e riduce la condizione di “quasi-funzionario” assunta ormai da molti impieghi. Questo può incentivare la contrattazione fissa, così come lo snellimento delle cause oggettive di licenziamento.
Altrettanto positiva è la rottura del monopolio sindacale sulla formazione. (…) Ora la legge prevede oltre alla “partecipazione delle organizzazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentative” anche quella “dei centri ed enti di formazione debitamente accreditati per la progettazione e pianificazione del sottosistema di formazione professionale per l’impiego”.

L’INTERVENTO IN PARLAMENTO

Dovremo aspettare settimane prima di sapere come sarà realmente la riforma, ma per il momento direi che la mia valutazione preliminare è positiva.
Anche perché quattro ulteriori misure si possono, anzi si devono, inserire per via parlamentare:
1. diminuire il numero dei contratti riducendo quelli a tempo determinato;
2. prevedere un indennizzo crescente per il licenziamento nei contratti a tempo indeterminato, fino a un massimo di 20/33 giorni;
3. passare al sistema di licenziamento austriaco;
4. individuare una strategia per favorire la riduzione della giornata lavorativa.
Soprattutto, la riforma va illustrata ai cittadini. Se il governo non è capace di spiegare tutto questo, lavoratori e imprenditori non lo capiranno, e ciò che vedremo saranno solo licenziamenti, non flessibilità interna.

(Traduzione di Giulia D’Appollonio)

* Il testo in lingua originale è pubblicato su Nada es Gratis.

I commenti possono essere inviati in lingua originale al sito da cui l’articolo è tratto

25 Febbraio: nuova marcia No Tav in Valle di Susa

APPELLO PER UNA NUOVA MARCIA NO TAV IN VALLE DI SUSA

DA BUSSOLENO A SUSASABATO 25 FEBBRAIO 2012

RITROVO DALLE ORE 13 IN PIAZZA DELLA STAZIONE A BUSSOLENO

Il popolo NO TAV scenderà ancora una volta in strada per ribadire il proprio rifiuto al progetto inutile e devastante della nuova linea ferroviaria Torino-Lione.

La manifestazione è stata organizzata in collaborazione con la Comunità Montana e l’assemblea dei sindaci della val Susa e val Sangone per ribadire l’unità del territorio nel respingere quest’opera.

Sarà un’ occasione per rilanciare la mobilitazione e sancire la legittimità della resistenza in corso da mesi contro il cantiere di Chiomonte, area militarizzata.

Esprimeremo anche in questa giornata la nostra vicinanza e solidarietà nei confronti delle persone arrestate e inquisite per aver lottato al nostro fianco e invitiamo tutte le loro famiglie a partecipare con noi a quella che sarà una grande giornata di testimonianza e gratitudine.

Saranno bene accetti anche questa volta tutti coloro che giungeranno in valle per supportare le istanze del movimento NO TAV che sempre più sta diventando simbolo di riscossa per chi lotta contro i poteri forti e riferimento per le idee di un altro mondo possibile.

Vi aspettiamo numerosi e determinati.

IL MOVIMENTO NOTAV

www.notav.info

15 Ottobre: Pesanti condanne a due manifestanti

Pesante condanna per due dei giovani, incensurati, arrestati nel corso degli scontri avvenuti a Roma, nella zona di piazza San Giovanni, il 15 ottobre scorso. Il giudice dell’udienza preliminare Anna Maria Fattori ha inflitto, all’esito del procedimento in rito abbreviato, 5 anni di reclusione a Giuseppe Ciurleo, e 4 anni a Lorenzo Giuliani. Sia Ciurleo, 21 anni, che Giuliani, 20 anni, sono agli arresti domiciliari. L’accusa contestata è di resistenza aggravata a pubblico ufficiale.
In base all’originario capo d’accusa Ciurleo e Giuliani avrebbero lanciato «pietre ed altri oggetti contundenti ed esplodenti» contro uomini delle forze dell’ordine. Ciurleo e Giuliani, stando sempre all’accusa, avrebbero utilizzato «manici di piccone» come «strumenti atti ad offendere». Nell’informativa della polizia giudiziaria, allegata al capo di imputazione, si scrive inoltre che la contestazione ai due imputati «è suffragata da gravi indizi di colpevolezza». I due «venivano» fermati subito dopo «avere attivamente partecipato ad una manovra aggressiva nei confronti delle forze dell’ordine». I familiari dei due giovani, fuori dall’aula, dopo la sentenza sono rimasti senza parole. «Non hanno fatto niente, non hanno fatto niente», hanno solo aggiunto.
Si tratta di una condanna oggettivamente pesantissima se si pensa che la scelta del rito ha consentito agli imputati, difesi dall’avvocato Maria Luisa D’Addabbo, di beneficiare dello sconto di pena pari a un terzo. Prima di entrare in camera di consiglio per la decisione, il giudice aveva fatto sperare la difesa respingendo le richieste di costituzione di parte civile avanzate da Comune di Roma, Atac e Ama, ritenendo che non vi fosse alcun danno diretto tra quanto lamentato dagli enti e la condotta riconducibile ai due manifestanti. Per gli incidenti di metà ottobre, la decima sezione del tribunale, che pure aveva ammesso Comune, Atac e Ama come parti civili, ha già condannato a 3 anni e 4 mesi Giovanni Caputi e a 2 anni il romeno Robert Scarlat.
Le fasi del fermo furono anche riprese in un video (depositato dalla difesa dei ragazzi) che fece il giro del web in cui, da una finestra, in cui si sentiva la voce di una donna: «Non sono loro che dovete arrestare, loro non c’entrano nulla con gli scontri».
Una sentenza pesante e vergognosa che può far piacere al Procuratore Caselli ed al suo teorema accusatorio contro i movimenti.

La riforma del mercato del lavoro | Workshop

La riforma del mercato del lavoro, dalla promessa della flessibilità alla sicurezza sella precarietà. Workshop di autoformazione con l’avvocato Riccardo Faranda

Entro marzo il governo Monti approverà la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Con l’efficienza che contraddistingue il supergoverno dei tecnici finalmente spariranno dal nostro paese quelle zavorre di sfiga (i precari) e di monotonia (gli indeterminati con il posto fisso) mentre arriveranno finanziamenti a pioggia al sistema delle imprese (tutti cavalieri del lavoro) sotto forma di una riduzione permanente dei salari per chi entra o prova a rientrare nel mercato del lavoro. Sindacati e confindustria siedono comodamente ai tavoli di negoziazione con il governo così come hanno fatto da quando, a partire dagli anni ’90, il paradigma della flessibilità è stato universalmente assunto come taumaturgico rimedio ad ogni stortura. Ma noi cosa sappiamo realmente dei progetti di riforma del mercato del lavoro (Ichino, Damiano, Boeri-Garibaldi) da cui prendono le mosse le “trattative”? Per capire meglio le proposte alla base di questa riforma a costo zero per le imprese e le casse dello Stato, i Punti San Precario di Roma promuovono un momento di approfondimento con l’avvocato del lavoro Riccardo Faranda… “Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.” Gramsci

Obbedienza civile. Consegnati i primi reclami ad Acea

Consegnati i primi 200 reclami della campagna “obbedienza civile” ad Acea (Ato2) pari a circa 2000 famiglie/appartamenti.

Video
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Rassegna stampa:

Affari Italiani – Bollette pazze, Acea da ridere. Zorro e Batman rivogliono i soldi
http://affaritaliani.libero.it/roma/bollette-pazze-acea-da-ridere-zorro-e-batman-rivogliono-i-soldi-14022012.htmlRadio Onda Rossa – L’acqua salvata dai supereroi
http://www.ondarossa.info/newsredazione/lacqua-salvata-dai-supereroiMeridiana Notizie – Roma, dopo referendum acqua 200 reclami presentati ad Acea per cancellare i profitti 
http://www.youtube.com/watch?v=sCUp6sFgIJg

Affari Italiani – Bollette pazze, Acea da ridere. Zorro e Batman rivogliono i soldi
http://affaritaliani.libero.it/roma/bollette-pazze-acea-da-ridere-zorro-e-batman-rivogliono-i-soldi-14022012.html
Nuovo Paese Sera – Acqua, supereroi consegnano ad Acea 200 reclami: “Fuori l’acqua dal mercato”
http://www.paesesera.it/Cronaca/Acqua-supereroi-consegnano-ad-Acea-200-reclami-Fuori-l-acqua-dal-mercato
GreenMe – Acqua pubblica: giù le mani dalle privatizzazioni e dal referendum. Ecco come ridursi la bolletta
http://www.greenme.it/consumare/acqua/6957-acqua-pubblica-privatizzazioni-bolletta
Contropiano – Roma, blitz all’Acea: “fuori l’acqua dal mercato”
http://www.contropiano.org/it/sindacato/item/6786-roma-blitz-all%E2%80%99acea-%E2%80%9Cfuori-l%E2%80%99acqua-dal-mercato%E2%80%9D
Roma Regione . net – ROMA-Acea, ti vogliamo bene… comune! Il San Valentino degli attivisti dell’acqua ad Acea
http://www.romaregione.net/2012/02/15/roma-acea-ti-vogliamo-bene-comune-il-san-valentino-degli-attivisti-dellacqua-ad-acea/
Roma Notizie
http://www.romanotizie.it/acea-ti-vogliamo-bene-comune.html
Il Tempo – Davanti alla sede Acea, vestiti da Zorro, Batman, Uomo Ragno e Robin Hood, hanno distribuito volantini in cui invitano i cittadini, «dopo averlo cancellato con il referendum», a «cancellare il profitto dalla bolletta dell’acqua».Una trentina i rappresentanti dei comitati per l’acqua pubblica che hanno manifestato sotto la sede dell’azienda con bandiere e magliette che recitano «il mio voto va rispettato».
http://www.iltempo.it/roma/
Roma che verrà – “Ad Acea la vogliamo bene comune”
http://www.romacheverra.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=1328:ad-acea-la-vogliamo-bene-comune&Itemid=60&tmpl=component&print=1
TuttoGreen – Acqua: a 7 mesi dal referendum cosa è cambiato?

Acqua: a 7 mesi dal referendum cosa è cambiato?

Russia, l’insurrezione di ceti medi senza futuro

Era l’inizio del 2000 quando il primo presidente della Federazione Russa Boris Yeltsin decise di lasciare la carica e passare tutto il potere a Vladimir Putin. Boris Yeltsin è ricordato per la terapia shock che lui e il suo team di economisti misero in campo all’inizio degli anni ’90. E’ ricordato per le massiccie e ingiuste privatizzazioni, che hanno aiutato molte persone, parte della vecchia burocrazia sovietica, a diventare estremamente ricche e potenti. Sarà anche ricordato come un “democratico” difensore del parlamento quando gli ufficiali filo-sovietici volevano impedire il crollo dell’URSS.
E anche come un dittatore quando Yeltsin diede ordine ai tank di sparare sul parlamento nel 1993. Il parlamento voleva farlo decadere per le misure economiche che lui e altri economisti neoliberisti, noti come “Chicago Boys”(avevano tutti studiato negli USA come allievi di Milton Friedman) avevano messo in campo. Gli anni 90 saranno anche ricordati per l’estrema povertà, l’altissima attività criminale e la recessione economica, specialmente nel settore industriale. Yeltsin è anche responsabile della prima guerra cecena e delle sue vittime. E stato un alcolista, un vizioso e un manipolatore. Ma all’inizio i Russi lo hanno visto come una nuova speranza per un paese democratico e libero nel quale volevano vivere. Ma quando minacciò i suoi sostenitori di far bombardare il parlamento, la società Russa venne sommersa dall’apatia totale. Enormi manifestazioni di migliaia di persone divvennero storia dal 1993.
Ed ora, dopo 18 anni di indifferenza una nuova generazione di persone ha deciso di nuovo di riprendersi le strade. Ma chi sono? che tipo di futuro vogliono? Proviamo a vedere.

La fase dal 2001 al 2008 può essere considerata un periodo di crescita economica. Ma molto è dovuto all’alto prezzo del petrolio più che alle decisioni del governo. Durante questa fase Vladimir Putin ha costruito la sua gerarchia nell’establishment. Alla fine aveva preso i suoi contorni e dei suoi amici, vecchi partner d’affari e colleghi dell’ex KGB. Era un periodo di stabilizzazione nell’elite e nell’economia. Le persone confrontando con i caoitici anni 90 erano soddisfatti con l’era Putin. Ma durante i 2000 non fu fatto un solo passo per ricostituire l’economia e la crisi finanziaria del 2008 ha provato che l’economia russa è completamente dipendente dall’esportazione di materie prime. Ha provato che l’assunzione di un modello capitalistico come lo abbiamo è di tipo periferico come nel caso di alcuni paesi Latinoamericani.

Durante questa fase solo una volta le autorità si sono sentite minacciate.
Nel 2005 prese piede la “monetarizzazione dei benefit”. Molti pensionati e militari erano economicamente devastati da queste riforme. Migliaia di persone, per lo più quei pensionati prendevano parte a manifestazioni in tutto il paese. Ma di nuovo la protesta si depotenziò fino a finire. Questo è accaduto perchè le pensioni vennero aumentate in proporzione ai benefici persi dalle persone. Le autorità lo fecero per prevenire la crescita della protesta. Ea la prima volta che il governo Putin fu veramente spaventato dalla sua stessa gente. Dopo ci sono state alcuni tentativi di produrre battaglie politiche. Cittadini extraparlamentari, movimenti di destra e di sinistra non hanno mai portato più di un migliaio di persone in strada per protesta. Solo la cosiddetta “Marcia Russa”-una specie di manifestazione che viene annualmente messa in piedi dall’estrema destra e dai neonazisti dal 2005, porta un paio di mila persone. Ma non hanno nessuna proposta sociale. Solo populismo, xenofobia, intolleranza. Tutto questo fino alla fine del 2011. Poi ci sono state le elezioni del 4 dicembre…
Molta gente che potremmo chiamare cittadinanza attiva, così come differenti tipi di attivisti di ONG sapevano dei vari brogli che sarebbero avvenuti alle elezioni. Molti di loro si sono proposti come osservatori nei distretti elettorali per controllare il voto. E’ andata a finire con un paio di video su Youtube, dove si vede varia gente mettere schede con il segno sul partito di governo “Russia Unita” nell’urna. E sono accadute anche varie storie divertenti nella sera dello stesso giorno. Una è andata in onda alla televisione nazionale. Durante il telegiornale l’annunciatore dichiarava che secondo conteggi preliminari Russia unità arrivava al 58,99%, il Partito Comunista al 32,96%, i liberl-democratici al 23,74%, “Russia giusta” al 19,41%, Jabloko (Mela in russo, partito democratico russo) 9,32%, i patrioti Russi 1,46%, “La giusta causa” 0,59%. E’ solo matematica, ma la somma arriva a 146%…in analogia con lo slogan “siamo il 99%”, i dimostranti russi ora usano “Siamo il 146%”.
Circa 300 persone si sono raccolte in una delle piazze centrali di Mosca per protesta con le elezioni la sera stessa. Molti di loro erano noti attivisti politici. La manifestazione è stata brutalmente dispersa dalla polizia. Non molta gente è scesa in strada il 4 dicembre perchè il risultato ufficiale sarebbe stato annunciato il giorno dopo.
Il 5 dicembre, liberali indipendenti e altri gruppi politici hanno organizzato un appuntamento che sarebbe stato cruciale in quel momento. Le autorità autorizzarono solo 300 persone a partecipare ed effettivamente era il numero di persone che gli organizzatori si aspettavano. Ma arrivarono circa 8 mila persone. La zona era affolatissima. Ci fu un piccolo scontro con la polizia quando la manifestazione arrivò al termine. La gente voleva marciare senza autorizzazione fino alla commissione elettorale centrale ma non ci riuscirono. Sembra che pochi gruppi di persone fossero pronti a scontrarsi quella notte. la maggior parte della gente, compresi molti giovani che erano alla loro prima manifestazione politica, erano riluttanti o semplicemente impauriti dal prendere parte all’azione. circa 300 persone vennero arrestate dalla polizia. Alcuni di loro sono stati detenuti per 15 giorni.

La sera del 6 dicembre circa 1000 persone si sono raccolte in piazza Triumfalnaya. due giorni prima le elezioni gli attivisti pro-Putin erano stati portati a Mosca da tutto il paese e si erano stabiliti a Mosca dal 2 dicembre.
Tutti loro erano a piazza Triumfalnaya il 6 dicembre. circa 500 membri del cosiddetto movimento “Nashi” (“i nostri) cercavano di mostrare alla società russa che c’erano ancora dei giovani che supportavano i progetti di Putin. Ma alla fine a tutti loro erano stati dati dei soldi per partecipare alla protesta. Questo è risaputo rispetto le organizzazioni giovanili a favore del cremlino. Il sito naziwatch (naziwatch.noblogs.org) mostra come anche tifosi di estrema destra fossero presenti tra i Nashi, aggressivi e pronti a difendere il “lato oscuro”. Alcuni di loro sono stati pagati 80 euro a sera. Sono avvenuti un paio di fronteggiamenti durante la protesta. La gente sputava in faccia agli attivisti procremlino, alcuni membri della “Putin-Jugend” sono stati anche picchiati. Sono state bruciate bandiere pro-kremlino e ci sono stati scontri con la polizia.

Il 10 dicembre ha avuto luogo una manifestazione storica, con circa 80.000 persone.E’ stata la prima volta dai primi anni 90 che un così alto numero di persone si radunava. La polizia  non ha reagito a cose che avrebbero immediatamente creato attenzione, come striscioni provocatori ecc. Il raduno è andato avanti in maniera pacifica e tranquilla. Niente di speciale è stato però detto dai comizi.

Il raduno successivo ha avuto luogo il 24 dicembre. Circa 100.000 persone si sono radunate sul viale Sakharov. E’tutto andato seguendo lo stesso schema, ma con due differenze. Primo-quasi tutti i politici e un paio di star del “glamour” che volevano giocare il “gioco della Rivoluzione” sono state fischiate dal pubblico. Ksenya Sobchak, una sorta di Parsi Hilton russa era tra loro. E’ la figlia del defunto Anatoly Sobchak, in passato sindaco di San Pietroburgo. E in quel periodo Vladimir Putin fece parte del suo staff. Sobchak è noto per la sua corruzione. Si dice che un gran numero di inchieste per reati siano state aperte nei confronti di Putin e Sobchak. circa 10-12 casi, ma naturalmente nessuno, dopo che Putin è divenuto presidente, ha più sentito parlare di queste. Così, si potevano vedere in piazza, il 24 dicembre, anche gente come Ksenya Sobchak, che prendeva parola per raccontare come anche le loro vite fossero sconvolte dal sistema di corruzione. Molto divertente…Si avrebbe avuto un secondo problema dopo che i nazionalisti hanno tentato di salire sul palco. Ma alla fine non ci sono riusciti.

Dopo questo raduno, il presidente Medvedev ha iniziato a parlare di riforme. Putin ha dichiarato che le proteste erano il frutto della sua politica era pienamente soddisfatto di ciò. La retorica è cambiata molto. Il primo giorno le autorità volevano usare la forza. Dicevano che la minoranza delle persone protestava veramente e che la maggior parte voleva solo divertirsi e infrangere la legge. Ma quando migliaia di persone si sono raccolte la polizia ha dovuto lasciarli fare, rinunciando a riprendere il controllo delle manifestazioni o interromperle. C’è un detto popolare sulla polizia al momento: se ci sono 300 attivisti, li sfondiamo, se ce ne sono 10.000, guardiamo, se sono 500.000, siamo dalla loro parte.

Queste proteste sono state completamente organizzate via Internet, ma il problema ora è che alcuni liberali che hanno fatto parte del sistema negli anni ’90 e che successivamente hanno perso le loro posizioni ora vogliono guidare le proteste nonostante la maggior parte delle persone che partecipano non si fidi di loro. Le persone si sono riunite contro le elezioni e il regime di Putin ma sono anche molto scettici rispetto alla cosiddetta opposizione extraparlamentare i cui membri sono particolarmente filo-occidentali con frequentazioni continue dell’ambasciata statunitense.

L’altra questione è che viviamo in un’era post-ideologica. La maggior parte delle persone hanno paura anche di parlare di politica, di discutere differenti punti di vista. Vogliono solo vivere come in Occidente o in Nord Europa. Non capiscono che le persone sono anche escluse dai processi decisionali. Non vogliono la rivoluzione, non vogliono la violenza, non vogliono altro che stare in una piazza per un paio di ore, gridare slogan e comportarsi come Gandhi o Luther King. Si ispirano a loro, ma ciò potrebbe avere conseguenze disastrose poichè gente come Putin non cederanno mai il potere come ha fatto, ad esempio Pinochet (anche se questo fu grazie alle pressioni americane). Putin sa che molto probabilmente potrebbe avere lo stesso destino di Slobodan Milosevic. Non ha dove ritirarsi, a parte, forse, gli Emirati Arabi Uniti.

La terza questione è che anche i nazionalisti vogliono una “fetta della torta”. Neonazisti, razzisti, forze conservatrici, nazionalisti radicali-tutto loro ora provano a mascherarsi da “nazionalismo civile”. Sono ispirati in questo dall’esempio di alcuni paesi europei dove partiti di estrema destra si definiscono nazional-democratici e la questione della migrazione sembra essere la sola importante per loro. Ma sembra che vengano anche considerati come una forza residuale dalla maggior parte dei partecipanti alle manifestazioni politiche.

La spiegazione è molto semplice. La maggior parte dei dimostranti rappresenta la nuova classe media che è emersa durante il potere di Putin. Sono anche chiamati classe innovativa o creativa. Molte di queste persone hanno stipendi ragguardevoli. Possono comprare una macchina, possono viaggiare all’estero almeno due volte l’anno, hanno l’iPhone e denaro da spendere. Non sono colpiti da povertà, ma sentono che qualcosa sta avenenedo nel paese. Oggi sono imprenditori con un buon profitto, domani i loro guadagni potrebbero essere presi da funzionari corrotti. Potrebbero schiantarsi durante uno dei loro viaggi a bordo di aerei fatiscenti.

Potrebbero anche morire in un attacco terroristico nella metro di Mosca o in un aeroporto. Sono stanchi di pagare tangenti ai funzionari ad ogni occasione- quando vengono fermati sull’autostrada o se vogliono mandare i propri figli all’asilo. Sono anche irritati dagli immigrati perchè sono esclusi dalla società. Le tensioni interetniche stanno crescendo e cresce l’aggressività verso la classe media delle persone che vengono dal Caucaso del Nord, o che condividono principi islamici fondamentalisti. Così la nostra classe media è unita da due questioni: corruzione e xenofobia. Alcuni politici scaltri come Alexey Navalny, blogger famoso e conosciuto per le battaglie contro la corruzione hanno iniziato a strumentalizzare questa tendenza della gente. si definisce un nazional-democratico preoccupato per le politiche migratorie e non ha risposte per i problemi sociali. Uno dei suoi slogan è “Basta sfamare il Caucaso”. Intende le donazioni in denaro che arrivano dalla capitale federale a regioni che non producono nulla e sono completamente dipendenti dagli stanziamenti del Cremlino.

I compagni hanno preso parte alle proteste? che ruolo hanno avuto?
Bene, alcuni hanno criticato seriamente le manifestazioni. C’è anche un’opinione diffusa come “Questa rivoluzione è sbagliata e non vogliamo prendere parte”. In qualche maniera questa gente esclude se stessa dal processo storico e preferisce stare a casa a scrivere documenti polemici che nessuno leggerà mai. Alcuni gruppi neo-marxisti che ricordano le piccole sette hanno iniziato ad agire differentemente. Molti di loro provano a prendere parte alle proteste e diffondere la loro propaganda ma hanno sbagliato nel diventare parte dei Comitati che si sono autorganizzati subito dopo le proteste. Molti degli attivisti non vogliono sedere con liberali o nazionalisti di destra perchè effettivamente è solo il sentimento anti-putin a unire le forze politiche coinvolte. Gli anarchici provano anche loro a diffondere contenuti durante le proteste, ma sono i più disorganizzati.

Dall’altra parte dobbiamo ammettere che i compagni al momento non hanno nulla da offrire alla gente che è scesa in strada. Libere elezioni, le dimissioni di Putin e meno corruzione-questi sono i punti principali promossi dai comizi ed è effettivamente quello che la gente vuole. Il discorso di un compagno che chiede un sistema educativo gratuito, cure mediche gratuite, tassazione progressiva o proponendo altre questioni sociali confliggerebbe con i discorsi dei liberali. I liberali non vogliono agire su queste questioni perchè all’occorrenza proporranno la stessa agenda di questo governo. Ed ora nessuno sa come i liberali andranno a risolvere la questione della corruzione. Così in questa circostanza la cosa migliore da fare è stare da una parte, accumulare forza, partecipare alle manifestazioni ma attendere il momento di esplosione. Non è il caso di costituire partiti di estrema sinistra perchè non è proprio il momento. E questo obiettivo-unire i militanti di sinistra in una struttura operativa- è già fallita in passato dopo numerosi sforzi. Forse, allora è meglio aspettare il momento in cui inizieranno i cambiamenti veri. E allora, se la tensione salirà in un processo rivoluzionario, si costituirà un soggetto rivoluzionario, un partito o un movimento che saprà raccogliere membri e numeri. Sono posizioni che possiamo trovare in Lenin o Che Guevara.
Crediamo fortemente che dopo febbraio arriva ottobre. Il nostro tempo non è arrivato. e questo è un corso naturale della storia.

Le future elezioni presidenziali ci saranno il 4 marzo e saranno seguite da imponenti proteste. E’ sicuro. Sembra certo che Putin vincerà al secondo turno le elezioni presidenziali. E’ il primo a preoccuparsi di elezioni “regolari”. Ha ordinato webcam da piazzare in tutti i seggi elettorali. Ma è anche certo che il voto verrà falsato e qualsiasi voto a favore di Putin aumenterà l’attenzione e incoraggerà la protesta. Allora, la cosa più sicura da fare da parte sua sarà di simulare un’elezione democratica, non vincendo al primo turno, facendo credere alle persone che la democrazia in Russia esiste, con una competizione corretta. E’ovvio che a competere con Putin sarà il leader del “Partito Comunista”, che non ha nulla di sinistra e comunista. Il leader del partito Genady Zuganov ha già vinto le elezioni nel 1996, ma ebbe paura del potere e ha ceduto la sua posizione al primo presidente della Russia-Boris Yeltsin. Da allora ha svolto una grottesca opposizione. Lui e il suo partito vengono usati per screditare la sinistra e i movimenti. Così anche se Zuganov vincesse le elezioni grazie al voto di protesta (quando la gente vota per chiunque non sia Putin) sarebbe il primo a cedere dietro le quinte il passo a Putin e congratularsi con lui sulla televisione nazionale.

In ogni caso tutti aspettiamo le elezioni di marzo. Anche i liberali più pacifici lanciano richiami alle barricate, perchè sarà l’ultima occasione per chiunque per abbattere Putin e cambiare il corso della storia. Altrimenti, ci aspettano altri 6 anni di regime autoritario.

Vladimir Petrov

Sulla sostenibilità, costo e finanziamento di un reddito di base incondizionato in Italia.

Questa relazione si divide in due parti. La prima stima il costo dell’introduzione di un reddito di base incondizionato (RBI) pari a 7200, a 8640 euro e 10.000 euro l’anno, utilizzando sia i dati Istat che i dati Caritas. La seconda parte analizza le fonti dei possibili finanziamenti. Seguirà una breve conclusione. Da leggere con cura e maneggiare prima dell’uso. Materiale copy-left: Quaderni San Precario, Bin-Italia. Andrea Fumagalli

Apri la relazione completa in formato PDF

Intervista a Stefano Giusi, presidente Atdal

Il 20 Gennaio L’Associazione ATDAL OVER40 ha organizzato un presidio di fronte alla sede centrale del Ministero del Lavoro, in Via Veneto 56, per consegnare una lettera al Ministro con la richiesta di incontro.

– Quali sono le richieste che volevate porre al Ministro?
La nostra richiesta di incontro voleva portare alla luce la condizione di tante persone che perdono il lavoro dopo i 40 anni e hanno possibilità quasi inesistenti di ritrovarlo, perché il mercato del lavoro o li rifiuta completamente o, se li assorbe, lo fa in condizioni di estrema precarietà e insicurezza sia lavorativa che salariale. Lo slogan della nostra ass.ne è sintomatico di quello che pensiamo “troppo vecchi per lavorare, troppo giovani per la pensione”. Tutte le iniziative prese fino a questo momento da questo governo e da quelli che li hanno preceduti non hanno mai minimamente affrontato il problema. Molte di queste persone che perdono il lavoro non hanno nessun ammortizzatore sociale, e dall’oggi al domani si trovano senza lavoro, senza reddito e senza nessuna possibilità di riaverne uno dignitoso.

– Avete ottenuto un incontro?
Fino ad ora non abbiamo ottenuto nessuna risposta.

– Se si,siete soddisfatti della risposte?

-Cosa pensate dei disegni di legge (Ichino, Nerozzi-Boeri, Damiano) che stanno ispirando la riforma del mercato del lavoro ?
Non ce ne piace nessuno, perché alla base tutte hanno l’idea che bisogna togliere i diritti a qualcuno per redistribuirli ad altri. Già in passato ci hanno martellato dicendo che la flessibilità avrebbe aumentato l’offerta di lavoro: ebbene dopo oltre 15 anni di mercato ampiamente flessibilizzato i numeri stanno lì e dicono chiaramente una cosa: ad aumentare è stata solo la precarietà. I diritti vanno ampliati a tutte le categorie, non tolti a qualcuno per darli a un altro. In quelle riforme c’è solo la volontà di smontare pezzo per pezzo il diritto del lavoro e mettere contro la generazione dei padri e quella dei figli, rompendo  il patto sociale che ha portato avanti fino ad oggi la nostra società.

-Cosa pensate delle varie proposte di riordino degli ammortizzatori sociali: reddito di disoccupazione, sussidio di disoccupazione e reddito di base e incondizionato?
E’ un problema quello del reddito che nessuna forza politica ha fino ad oggi seriamente affrontato. I dati parlano chiaro, negli ultimi dieci anni la gran parte della redistribuzione dei redditi ha premiato rendite e profitti a scapito dei salari. Bisogna entrare in un ottica diversa da quella in cui abbiamo ragionato fino ad oggi con una equazione diretta lavoro=reddito. Per varie questioni non può più essere così e allora bisogna impostare un modello diverso, anche di società, dove il reddito garantito al cittadino sia sganciato dal lavoro, un reddito che consenta a chi non lavora di non cadere nella miseria e nella rincorsa a “lavori” che sembrano più vicini alla schiavitù che ad altro per mettere insieme un misero salario. E smettiamola pure di dire che non ci sono i soldi: i soldi si possono trovare sia unificando i vari ammortizzatori sociali esistenti, sia colpendo sul serio l’evasione fiscale ma soprattutto applicando una vera tassazione sulle transazioni finanziarie, quello che oggi è il vero mercato del denaro.

-Cosa pensate della proposta della cgil di investire sopratutto sul finanziamento CIG?
E’una visione limitata. Ma lo sanno i sindacati che la gran parte dei giovani precari il sindacato non sa nemmeno cos’è perché lavora in microimprese da cui possono essere cacciati in qualunque momento?

-Vi sentite rappresentati e tutelati dai sindacati?
Non rappresentati ne tantomeno tutelati. Il sindacato in gran parte ignora o fa finta di ignorare questo problema, ma soprattutto non riesce a intercettare quella che è la mutata situazione sociale.

-Cosa pensata dell’attuale dibattito sull’art.18?
Come dicevamo prima è il solito tentativo di scardinare lo stato sociale partendo da un elemento simbolico. Una sorta di presa di posizione “machista”, come quella sull’innalzamento devastante dell’età pensionabile, da utilizzarsi in Europa in termini politici. In queste misure non vi è nulla di realmente utile in termini concreti rispetto alla crisi nel nostro paese, sono decisioni di tipo ideologico attraverso le quali si vuole recuperare la credibilità perduta nei confronti dell’UE.  E’ chiaro che se lo guardiamo in termini di cifre assolute l’applicazione dell’articolo 18 non riguarda oggi (purtroppo) la maggioranza dei lavoratori, ma abolirlo è il solito modo di fare: intanto smonto la pietra più grande, poi facciamo venire giù tutto il palazzo. E’ semplicemente pazzesca l’idea che, lavoratore e imprenditore siano sullo stesso piano paritario di forza. Il lavoro, le persone diventano merce che possono essere liquidate tramite indennizzo rimborso e tanti saluti. Da sola questa cosa mostra tutto il progetto di macelleria sociale che c’è dietro. Vogliono tornare a un mercato frammentato in cui ogni lavoratore rappresenti se stesso e si contratti la sua pagnotta contro un altro lavoratore.

-Qual è stata la composizione sociale che ha partecipato alla giornata. Hanno partecipato altre associazioni e/o reti di precari e/o disoccupati?
La manifestazione è stata organizzata da Atdal Over 40 e dall’Associazione Pensionandi con l’adesione dell’Associazione Lavoro Piemonte Over40 (ALP) e dei Comitati Esodati e Precoci.

-Come è stata costruita la manifestazione?
Attraverso la rete e il contatto con le persone, non solo associati, coinvolgendo giornali e media.

-Chi è iscritto e/o partecipa attivamente alla vostra associazione?
In gran parte disoccupati Over 40 ma anche persone che pur lavorando (chi precario, chi no) capisce che il problema non è solo personale ma sociale.

-Avete già in mente prossime iniziative?
Per ora no ma certo non staremo ad aspettare il silenzio del Ministro. Abbiamo posto domande, vogliamo delle risposte.

Anche ieri notte l’Egitto è sceso in piazza

Dopo la partita di calcio a Port Said tra Port Said e al-Ahly (una delle squadre più seguite in Egitto insieme a al-zamalek, come Roma/Lazio per intenderci) ci sono stati scontri.
I racconti riportano che a  fine partita con la vittoria del Ahly la sicurezza interna abbia fatto uscire i tifosi del Port Said e poi chiuso lo stadio con le transenne. Dopo sono iniziati gli scontri con gli Ultras del Ahly.

Gli Ultras hanno un ruolo cruciale negli avvenimenti della rivoluzione, sono ragazzi dall’età media che va dai 16/17 ai 24/25 circa, sono sempre in prima linea, sono molto uniti fra di loro, hanno i loro cori che ovviamente non sono solo da tifoseria da stadio, ma di lotta e rivendicazione.
Sono gli stessi ragazzi che erano in prima linea insieme agli altri durante gli scontri di Mohammad Mahmud, e si incontrano in ogni angolo della città dai cortei alle manifestazioni ai presidi.
Quando hanno aperto i cancelli e li hanno fatti uscire dallo stadio c’erano ormai oltre 70 morti e circa mille feriti.
I feriti gravi sono rimasti negli ospedali di Port Said i feriti lievi sono tornati dalla trasferta al Cairo intorno alle 03.30 ora locale.
Ad attenderli c’erano circa mille persone, tra familiari e ragazz* e le ambulanze per i soccorsi. Uno dei cori più urlato è stato: “Ya negib haohom ya nmut zayohom= O gli rendiamo giustizia o moriamo come loro”.
I racconti dei feriti sono agghiaccianti. Molti erano soltanto feriti e nel ricevere i primi soccorsi dalle ambulanze di Port Said sono stati presi e massacrati fino alla morte.
Sono state usate pochissime armi da fuoco, per lo più spari per aria e la maggior parte di loro è stata pestata selvaggiamente a morte, alcune foto atroci sono la testimonianza di ciò che raccontano.

Migliaia di persone hanno atteso l’arrivo del treno degli ultras del Al Ahly, per accogliere i feriti e i superstiti, di seguito il video

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Ieri notte manifestazione di solidarieta’ appoggiata anche dagli UWN (ultras white knights), i tifosi dello zamalek, l’altra squadra del Cairo, che appena saputo quello che succedeva a Port Said hanno dato fuoco allo stadio al Cairo e sono scesi in strada: gli ultras delle due squadre, insieme a migliaia di altri attivisti che respingono la questione posta nei termini di “violenza tra tifoserie”.

E’ chiaro che quello che e’ successo ha altre ragioni, non vorrei ripetere cose gia’ ovvie, ma ricordo che le tifoserie del Al Ahly e dello Zamalek sono un fenomeno particolare che li vede riconosciuti come eroi della rivoluzione, in quanto hanno rappresentato una forza organizzata in grado di resistere alla brutalita e alle continue violenze che la piazza rivoluzionaria ha subito.

Gli ultras, gemellati in chiave “rivoluzionaria” sono sempre nelle prime linee delle delle barricate e hanno cominciato ad identificarsi in maniera forte come i difensori della piazza. Come dicono alcuni di loro “abbiamo fatto sognare la gente egiziana che insieme a noi ha capito che dopo tanti anni di soprusi indiscriminati da parte delle forze di Mubarak era possibile rispondere e respingere la violenza poliziesca”.
Per questo adesso vengono accolti come eroi dalle migliaia di persone che poco o nulla sapevano fino ad un anno fa di questi gruppi di giovanissimi abituati a scontrarsi con la polizia.
Per questo quello che e’ successo viene visto da molt@ come una vendetta verso “l’esercito popolare della rivoluzione”.

In questo momento ci sta’ un corteo che e’ andato verso il ministero degli interni e piazza tahrir mentre per domani sono previste diverse manifestazioni che in maniera forte continuano a chiedere la testa di Tantawi…

I tifosi di queste squadre hanno continuato in questo anno a portare dentro lo stadio le rivendicazioni della piazza, scandendo cori e ricordando i morti ammazzati oltre alle persone imprigionate nelle carceri egiziane.

Di seguito alcuni link:

Una coreografia con le facce degli arrestati per i quali chiedono la liberazione:

“Freedom for ultras”

http://www.youtube.com/watch?v=mosHc3fAwCE&list=UUNIupLY7xOXQAXIjv91h8bg&index=41&feature=plcp

Un articolo, in inglese, che cerca di analizzare il fenomeno degli ultras egiziani oltre la semplice classificazione di Hooliganismo:

“The Ultras White Knights: Football hooliganism or social movement?”

http://thedailynewsegypt.com/football/the-ultras-white-knights-football-hooliganism-or-social-movement.html

Infoaut sui fatti di ieri:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/3889-egitto-73-morti-nella-carneficina-dello-stadio-di-port-said

Nel frattempo ieri sera sia l’esercito anche i fratelli musulmani (che fino ad oggi non sono certo stati la prima fila della piazza) hanno cominciato a puntare il dito verso altri responsabili, nella polizia.
Di seguito anche la loro :

Muslim Brotherhood blames police for Port Said disaster. Brotherhood spokesperson launches a scathing attack on the interior ministry in the wake of the deadly clashes following the Masry-Ahly football match in Port Said

http://english.ahram.org.eg/NewsContent/1/64/33478/Egypt/Politics-/Muslim-Brotherhood-blames-police-for-Port-Said-dis.aspx

Mentre lo SCAF si e’ affrettato correre ai ripari dopo aver permesso il massacro ha mandato due aerei per recuperare i morti e i feriti “assicurando” che i responsabili saranno puniti. 50 disgraziati sono stati arrestati a port said e probabilmente tutta la gogna per quello che e’ successo sara’ riservata a loro.

Come gia’ noto, nessun responsabile per le centinaia di morti ammazzati in questo anno e’ stato individuato e la sete di giustizia della piazza si fa sentire in maniera forte. Il capo della polizia di port said e’ stato arrestato ma sicuramente i veri mandanti del massacro sono ancora spasso.
A.C.A.B., non il film, sta’ diventando una sigla riconosciuta e rivendicata dalla piazza, non sappiamoo quanto e in che modo questo arricchisca il processo rivoluzionario ma sicuramente ne fa’ parte a pieno titolo.
non a caso il 25 gennaio, giornata della polizia, era stata scelta come data per occupare la piazza che ha cambiato un pezzetto di mondo.

Non a caso il 25 di quest’anno l’esercito ha cercato di rivendicare quella giornata come giorno della rivoluzione e della polizia, come a dire che tutt@ sono dalla stessa parte.

Lo streaming dalla piazze del cairo che mentre scriviamo sono in rivolta:

http://www.ustream.tv/Egypt

Gli Ultra, la Piazza e la Rivoluzione
http://invisiblearabs.com/?p=3906

questo invece e’ di oggi dalllo stesso blog
Non é solo Calcio
http://invisiblearabs.com/?p=4274

questo invece in inglese, un buon articolo su aljazzera dello stesso periodo

Egypt’s ‘Ultras’ pitch in at Tahrir protest
http://www.aljazeera.com/indepth/features/2011/11/201111284912960586.html

Reddito minimo, è arrivata l’ora delle scelte

Da il Manifesto del 28 gennaio 2012:

«Entro il mese di marzo»: questa la scadenza fornita da Mario Monti per riformare il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali. Nei primi giorni di gennaio 2012 sono partite le consultazioni del ministro del Welfare Elsa Fornero, che poche settimane prima si era dimostrata favorevole all’introduzione di un reddito minimo garantito anche nel nostro Paese. Visto il modo di operare fin qui svolto dall’attuale governo nel comunicare le iniziative politiche e viste le poche informazioni in circolazione al momento, non abbiamo ancora compreso cosa significhi in concreto riformare gli ammortizzatori sociali e quali siano le opzioni realmente in gioco.

Nel frattempo i dati diffusi da enti statistici e centri di previsione economica certificano l’aumento della disoccupazione, una precarizzazione sempre più selvaggia, l’abbassamento dei salari e il conseguente, generale, scivolamento verso il basso dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, giovani e vecchi, precari o garantiti che siano. In tutto questo, le politiche di austerity creano pressioni inedite su quelle forme di “welfare familistico” a cui per anni e fino ad ora, è stato delegato di risolvere le storture del welfare pubblico italiano e fornire una sorta di compensazione per l’assenza di una qualsivoglia misura universalistica di sostegno al reddito.

Per questo oggi il tema del reddito garantito diviene centrale, ineludibile, urgente. L’urgenza è data non solo dal peggioramento spaventoso della condizioni sociali, ma anche dall’emergere di una nuova aspettativa da una parte sempre più viva e larga di popolazione, che vede nel reddito garantito una concreta opportunità di garanzia e tutele. È testimonianza di ciò la straordinario risultato della legge regionale del Lazio in tema di reddito garantito, che ha portato nel 2009 all’emersione di oltre 120.000 domande di sostegno, totalmente inattese e largamente superiori alle previsioni, da parte di coloro che non arrivano a 8000 euro l’anno.

In questo periodo che ci porterà alla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, la parola d’ordine del reddito garantito può e deve diventare al più presto occasione di confronto per tutti i soggetti sociali che subiscono la crisi in maniera oppressiva. Far emergere la necessità del diritto al reddito significa ridare corpo e voce a quella “folla solitaria” in cerca di opportunità di lavoro e di sopravvivenza. Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani, cassaintegrati senza più cassa, precari di prima generazione (quelli tra i 35/50 anni), di seconda generazione (tra i 20/35 anni), componenti della generazione Neet (tra i 16/25 anni), donne, famiglie con un solo stipendio, immigrati, figure operaie ormai in dismissione, lavoratori over 50 non più spendibili sul mercato, working poors diffusi anche tra il lavoro autonomo e la lista potrebbe allungarsi.

Sul tema del reddito si possono unire tutte le singolarità che subiscono, spesso in silenzio, nuove forme di povertà, per ricostruire una solidarietà intra-generazionale, tra chi ha perso un lavoro e non riesce a ricollocarsi, e chi, un po’ più giovane, è costretto a svolgere un lavoretto precario cui non riesce a dire di no, pur di racimolare qualche soldo a fine mese. Sul tema del reddito si possono unire coloro che pensano sia necessario coltivare forme di autonomia, di autodeterminazione, di libertà di scelta, anche della vita professionale, senza per questo dover continuamente sottostare ai ricatti del lavoro purché sia. Sul tema del reddito si possono unire studenti, giovani, ai quali non piace il futuro che si offre loro perché subiscono un presente senza diritti. Sul tema del reddito possono e debbono prendere parola tutti i cittadini di questo Paese convinti che al centro delle politiche di contrasto alla crisi debba esserci una misura di distribuzione delle ricchezze.

Auspichiamo insomma una presa di parola capace di unire, di definire un obiettivo comune, indipendente dalla miriade di storie private ed individuali, che in verità ormai raccontano una storia unica fatta di povertà, ricatti e privazioni. Una presa di parola sul reddito garantito per tornare a guardare con fiducia al “futuro” a partire dal presente, per immaginare un orizzonte oltre la crisi, con maggiore giustizia sociale, in cui sia possibile una distribuzione delle ricchezze, in cui non sia più accettabile che alcuni percepiscano compensi superiori di oltre 500 volte quelli di un lavoratore medio. Occorre una presa di parola per dare visibilità al rischio di “default sociale” che stiamo vivendo e far si che intorno al tema del reddito garantito prendano parola i senza diritti insieme a chi i diritti rischia di perderli quotidianamente.

Insomma, in questa fase così strategica ci sembra necessaria una presa di parola larga, in grado di unire la frammentazione sociale, per lanciare una proposta politica concreta nel pieno del dibattito sulla riforma degli ammortizzatori sociali, affinché il tema del reddito garantito venga preso in considerazione in maniera seria, forte, concreta, urgente come nuovo diritto fondamentale per la realizzazione di vite degne.

Auspichiamo che a questa richiesta di presa di parola sul tema del reddito ne seguano altre di singoli cittadini e soggetti collettivi, personalità scientifiche e culturali, esponenti della politica locale e nazionale; di tutti coloro che insomma ritengano non sia più possibile rimandare un tema così importante per la coesione sociale, la libertà e dignità delle persone. Con la convinzione che questa presa di parola individuale e collettiva possa trasformare l’attuale frammentazione, solitudine e disagio sociale, in una massa critica verso l’obiettivo comune del reddito garantito.

Basic Income Network – Italia

(http://www.bin-italia.org)