Coast to coast: traiettorie del movimento Occupy

Un interessante articolo su Occupy Wall Street e Occupy Oakland da Connessioni Precarie. Di Michele Cento – Felice Mometti

Il successo della giornata del 17 novembre a New York, assedio alla Borsa al mattino, studenti nelle strade al pomeriggio e più di 30 mila persone in piazza la sera, è in larga parte dipeso dalla capacità di Occupy Wall Street di tradurre l’ampio consenso di cui gode in mobilitazione sociale. Tuttavia, il sostegno – secondo i sondaggi – della maggioranza dei newyorchesi non è sufficiente se tale meccanismo di accumulazione del consenso rimane a livello di opinione pubblica e non diventa possibilità concreta di inceppare i meccanismi della riproduzione dei rapporti sociali.

In altri termini, occorre chiedersi se OWS sia in grado o meno di costruire connessioni tali da produrre rotture nell’ordine sociale, anche quando l’onda emotiva innescata dallo sgombero si è ormai esaurita. La proposta, avanzata dal “gruppo di Azione diretta” subito dopo il 17, di occupare sette tra edifici e piazze sparsi per la città costituiva un ulteriore segnale in direzione di un superamento dei confini ormai stretti di Zuccotti Park. L’obiettivo non era tanto quello di delimitare spazi, quanto piuttosto quello di attivare nuovi focolai di disordine da cui il virus di Zuccotti si sarebbe dovuto diffondere. Un virus pericoloso per la salute del capitale e dell’establishment politico-istituzionale, proprio per la sua capacità di contagiare i gruppi che oggi pagano maggiormente i costi della crisi. In questo senso, si poteva scorgere una spinta verso una definitiva radicalizzazione del movimento, espiando dunque il peccato originale della semplice rappresentazione del conflitto.

Purtroppo, le difficoltà logistiche prodotte dallo sgombero così come la costante repressione della polizia hanno per il momento impedito il dispiegarsi della protesta. Anche l’occupazione di alcuni locali dell’Università New School, che puntava a innescare un cortocircuito nel sistema dell’istruzione statunitense, creando uno spazio pubblico in un’università privata, non ha avuto gli effetti sperati scontando la frammentazione e la divisione dei collettivi studenteschi.

Se lo sgombero ha rinvigorito Occupy Oakland, su OWS sembra non aver avuto lo stesso effetto. Certo, Oakland ha superato vittoriosa il battesimo del fuoco dello sciopero generale del 2 novembre, mentre forse OWS ha pagato la scelta minimalista di reagire allo sgombero con una semplice manifestazione di solidarietà. Cosa che ha certamente catalizzato l’indignazione dei liberal newyorchesi verso il sindaco Bloomberg, ma non ha incanalato lo scontento sociale delle comunità ispaniche e afroamericane, che pure alla manifestazione del 17 novembre erano presenti in massa, verso forme di azione diretta. Per parafrasare un vecchio sociologo sui generis, OWS ha peccato di “crisi di immaginazione rivoluzionaria”.

Ma non è solo questo. Dopo il 17, vari settori di movimento hanno reagito con insofferenza al controllo esercitato sulla manifestazione dei 30mila dai sindacati, che avrebbero impedito il blocco totale del ponte di Brooklyn canalizzando il corteo nell’area pedonale. Molto ha pesato, in questo senso, la dichiarazione pubblica, dei gruppi dirigenti sindacali, di sostegno alla rielezione di Obama fatta il giorno prima della manifestazione. Il rischio è che il rapporto con i sindacati si possa tramutare da elemento di amplificazione del movimento a gabbia per la messa in campo della conflittualità sociale.

Con ciò non si vuole dire che OWS abbia perso il suo slancio antagonista. Anzi, proprio per accumulare nuovamente la forza e la credibilità incrinate in questi ultimi giorni, ha messo in cantiere almeno un paio di iniziative rilevanti. In primo luogo, ha convocato per il 6 dicembre una giornata nazionale di sit-in nei quartieri dove più alta è la percentuale di sfratti e pignoramenti di abitazioni. In tal modo, OWS punta a toccare un nervo scoperto della società americana ai tempi della Grande Recessione. La crisi economica ha infatti mostrato il suo volto più duro ai titolari di mutui subprime, che, una volta dichiarati insolventi, si sono ritrovati senza un tetto a causa dell’azione repressiva delle banche. Quelle stesse banche per cui il governo americano ha sborsato cifre astronomiche proprio per evitarne l’insolvenza. Ecco allora il duplice senso dell’iniziativa di OWS: da un lato, un’azione concreta a favore di ampi settori della società americana situati tra le classi medio-basse, dall’altro mettere in evidenza le contraddizioni e le storture di questo capitalismo a trazione finanziaria.

Un nuovo e interessante tentativo di connessione proviene poi da El Barrio, lo storico quartiere ispanico di East Harlem dove è attivo Encuentro, un gruppo persone di colore di ogni età, con una forte presenza di lavoratori e migranti. Da anni El Barrio è sottoposto a un processo di gentrification, che punta a riconfigurare peculiarità socio-culturali e costo della vita del quartiere per adeguarlo agli standard della middle class bianca. Tale processo sta mettendo a dura prova la resistenza dei latinos, che, più in generale, osservano quotidianamente il potere violento del capitale distruggere la loro comunità, a partire proprio dalle procedure di sfratto. Pertanto, Encuentro ha proposto a OWS di unire gli sforzi contro le dinamiche di sfruttamento e di subordinazione perpetrate dal capitale globale, costruendo un tessuto connettivo tra le molteplici istanze che attraversano sia il movimento sia la comunità di East Harlem. Entrambe le iniziative possono ridare nuova linfa a OWS e un nuovo slancio radicale

Tuttavia, una rinnovata fase di lotta può essere costruita solo tramite una più stretta connessione con i movimenti Occupy della West Coast, dove l’epicentro della protesta sembra essersi spostato. Occupy Oakland, grazie anche alla sua particolare composizione sociale e a una soggettività politica decisamente più marcata rispetto alle altre esperienze, dopo lo sciopero generale ha lanciato per il 12 dicembre una giornata di blocco di tutti i porti della costa ovest coinvolgendo nel coordinamento dell’iniziativa le occupazioni di Los Angeles, San Francisco, Portland. Gli studenti dell’Università della California di Sacramento hanno indetto uno sciopero generale per il 28 novembre contro i tagli all’istruzione fatti dal governo e il vertiginoso aumento delle tasse universitarie, con l’obiettivo di generalizzarlo anche negli altri 10 campus dell’Università della California compreso Berkeley. Le occupazioni di Seattle, Tacoma, Bellingham, Everett si sono mobilitate per sostenere i lavoratori, in grande maggioranza precari, della sede di Renton della Wal-Mart la più grande catena commerciale del mondo, nella loro lotta contro un tasso di sfruttamento e una mancanza di diritti elementari che ricordano i tempi della prima rivoluzione industriale.

Questo sommovimento generale che sta investendo la West Coast apre una fase nuova in tutta la galassia Occupy negli Stati Uniti dimostrando ancora una volta che i tempi e i luoghi della conflittualità dei movimenti sono imprevedibili, soprattutto quando escono dalle consolidate certezze non solo del discorso dominante, ma anche dei sindacati e dei movimenti che conosciamo. Questo anche e forse soprattutto nel cuore del sistema capitalistico.

Ferrovieri sui tetti a Roma

Da Indymedia Roma. 24 novembre. Questa mattina, una quindicina di colleghi e colleghe dell’indotto ferroviario della Wagon Lits hanno occupato una palazzina di proprietà R.F.I. in via Prenestina 137, a fianco dello stabilimento ex snia, a 500 metri da Porta Maggiore.

Questi lavoratori, esasperati da mesi di sciopero bianco che ha messo a dura prova l’effettuazione dei treni notturni, stanno ricevendo 800 (Ottocento!) lettere di licenziamento.

Dopo essersi, inutilmente, rivolti a sindacati che non vedono, non sentono, non parlano, hanno deciso di agire in proprio, occupando la palazzina ed arrampicandosi sul tetto.

Sono stato a trovarli questa sera, mentre stavano mangiando una pizza, insieme ad un compagno di Radio Onda Rossa, e li ho trovati decisi e combattivi nel portare avanti la loro battaglia contro i licenziamenti e per l’accorpamento in Trenitalia.

Ora si tratta di dimostrare, come ferrovieri innanzitutto, ma anche come “società civile”, che stiamo al loro fianco, sforzandoci di far conoscere, in ogni modo, la loro lotta.

Loro hanno già chiamato le organizzazioni sindacali confederali, con scarsi risultati.

Il tg3 li ha già intervistati e domani venerdi’ 25 novembre dovrebbe mandarli in onda.

Dobbiamo cercare di far diventare la loro lotta una lotta di tutti, e di tutta la città.

Gli ho consigliato di andare domani all’assemblea nazionale sulla sicurezza alle 17.30 in via Galilei, per chiedere espressamente la solidarietà dei ferrovieri e delle organizzazioni sindacali tutte alla loro lotta.

Chiunque può, li passi a trovare, a loro fa certamente piacere.

Pino

 

Ferrovieri e pendolari sfiduciano Moretti. Lunedì 28 novembre tutti a Tiburtina.

 

 

Comunicato sui fermi dei compagni Italiani al Cairo!

Il Cairo, Egitto, 26 novembre 2011

La scorsa notte, al termine di una nuova intensa giornata di mobilitazione di massa intorno a piazza Tahrir, tre italiani e una giovane palestinese di Gaza, sono stati tratti in arresto dalla polizia egiziana e sono tuttora trattenuti con la grave e ingiustificata accusa di sabotaggio.
I quattro raccontano di essersi trovati nei pressi di un incendio che aveva colpito le piante all’ingresso di un noto albergo del centro e mentre stavano documentando quanto accadeva con macchina fotografica e telecamerina, sono stati avvicinati da due uomini in borghese e non identificati che inveivano in arabo contro di loro.

Nella situazione concitata hanno preso un taxi per farsi portare a casa ma la vettura con i 4 a bordo é stata poco dopo fermata dalle stesse persone che, ancora una volta senza qualificarsi, hanno imposto al conducente di condurli al commissariato dove li hanno appunto trattenuti con la fantasiosa accusa di essere i responsabili dell’incendio.
Da ieri sera sono dunque in stato di fermo e da qualche ora sono stati tolti loro i telefoni cellulari attraverso cui eravamo in contatto con loro.
Sicuri che al più presto la situazione si risolverà nel migliore dei modi, non possiamo fare a meno di segnalare la preoccupazione per il trattamento riservato in questi contesti a chi si mobilita per garantire quello scambio di informazioni attraverso la rete, i twitter e i blog che tanto hanno aiutato le popolazioni di tutto il mondo a liberarsi dai regimi e a rivendicare una società più giusta e libera.

 

Tutte e tutti Liberi!
Roma, 26 novembre 2011
segui le info su http://www.indipendenti.eu/blog/?page_id=26579

Comunicato internazionale libertario di solidarietà con la lotta popolare egiziana

Il fine settimana del 19-20 novembre ha visto una nuova ondata di
protesta di massa in tutto Egitto a causa della violenza sistematica
del Consiglio Supremo delle forze armate (CSFA) contro le masse
egiziane.
La gente è stanca del comportamento dittatoriale del CSFA, dell’uso
della forza estrema contro i manifestanti, dei tribunali militari che
in 10 mesi hanno mandato 12.000 compagni e compagne a marcire nelle
carceri, della censura, della tortura, rapimenti e perfino
dell’eliminazione fisica selettiva di attivisti. La gente è stanca del
fatto che il consiglio militare continua a dirottare la rivoluzione,
per mantenere la vecchia dittatura con altri mezzi. La gente è stanca
del
settarismo che il CSFA genera per distogliere ldei a nostra attenzione
dalla vera lotta per la giustizia, per l’uguaglianza, per la libertà.
L’imperialismo ha decretato una “transizione ordinata” alla democrazia
in Egitto. L’esercito si è dimostrato obbediente nel rendere effettivo
questo disegno. Il popolo egiziano esige la fine della dittatura e lo
sradicamento di ogni vestigia dell’odiato regime di Mubarak. La gente in
Egitto vuole sentire, finalmente, che il paese è gestito da loro, per
loro.

Gli anarchici in Egitto, e con loro il movimento internazionale di
solidarietà con i rivoluzionari libertari, danno il loro incondizionato
sostegno alla giusta lotta del popolo egiziano perché esso continui la
rivoluzione, e deplorano il massacro dei manifestanti, che dimostra che
il CSFA non è diverso da Mubarak in alcun modo.

A differenza di altri settori che ancora nutrono illusioni sulla
democrazia borghese, noi crediamo che la democrazia e lo Stato siano
incompatibili. La vera democrazia si è vista quando il popolo egiziano
ha formato dei comitati popolari che hanno gestito le proprie comunità,
le proprie città, le proprie attività, dal basso verso l’alto. Noi
facciamo appello perché questi comitati popolari si potenzino, perché il
paese venga decentralizzato, perché ogni singola posizione politica sia
revocabile da parte dei comitati qualora i detentori non eseguano il
mandato popolare.

Crediamo inoltre che le aspirazioni alla democrazia siano incompatibili
con il sistema capitalista, che si basa sul controllo da parte
dell’elite dell’economia e dei mezzi di vita, condannando alla morte per
fame ogni giorno ben 25.000 esseri umani. La vera democrazia è
possibile solo quando l’intera società gestisce democraticamente
l’economia e l’industria di una nazione. Perché questo sia possibile, è
necessaria la proprietà collettiva della terra e delle industrie nonché
la loro gestione diretta da parte degli operai e dei contadini stessi.
Finché i pochi continuino a controllare la ricchezza del mondo, i pochi
avranno sempre il potere sulla maggioranza. Il mercato libero è solo una
forma più sottile della dittatura.

Facciamo appello, dunque, perché i sindacati e i lavoratori svolgano un
ruolo di guida nella lotta attuale, perché vengano occupati i luoghi di
lavoro, perché questi vengano trasformati in cooperative dei lavoratori e
perché si prepari la completa autogestione dell’economia egiziana.

La crisi in Egitto non si risolverà con delle soluzioni tiepide e
incerte. Serve l’impegno della gioventù, delle donne, della classe
lavoratrice perché si poss sradicare ogni germe di tirannia e violenza
nel nostro paese: il sistema capitalista e lo Stato. Uniamoci tutti e
tutte sotto la bandiera della lotta contro il governo militare, ma
difendiamo l’alternativa rivoluzionaria e libertaria per le masse
egiziane.

25 novembre 2011

Movimento Socialista Libertario (Egitto)
Federazione dei Comunisti Anarchici (Italia)
Organisation Socialiste Libertaire (Svizzera)
Workers Solidarity Movement (Irlanda)
Zabalaza Anarchist Communist Front (Sud Africa)
Workers Solidarity Alliance (USA)
Confederación Sindical Solidaridad Obrera (Spagna)
Grupo Libertario Vía Libre (Colombia)
Centro de Investigación Libertaria y Educación Popular (Colombia)
Instituto de Ciencias Económicas y de la Autogestión (Spagna)
Federación Comunista Libertaria (Cile)

http://www.anarkismo.net

Siamo studenti e studentesse delle scuole di questa città.

Troviamo giorno dopo giorno sempre più difficile vivere, animare e attraversare questi luoghi. Anni e anni di politiche di tagli, di gestione puramente economica della cultura hanno portato ad una scuola carente e inadatta alle nostre esigenze.

Pensiamo che le scuole debbano essere luoghi di formazione, di aggregazione, di socializzazione, di attivazione, non luoghi grigi e tristi nei quali passare sei ore al giorno a testa bassa.

È per questo che, anche quest’anno abbiamo deciso di occupare le nostre scuole, è per questo che i licei Malpighi, Ripetta, Visconti, Tacito, Lucrezio Caro e Anco Marzio hanno scelto questa forma di protesta, ed è per questo che verranno seguiti a breve da altri istituti. Proprio perché vogliamo riempire le scuole dei nostri colori e della nostra vivacità, della nostra gioia e delle nostre idee.

L’occupazione, per noi, è un momento di condivisione, di riappropriazione di spazi e tempi. Un momento in cui dimostrare che un’altra scuola è possibile, che scuola per noi non è solo sinonimo di programma ministeriale, che scuola per noi vuol dire anche focus di approfondimento, dibattiti, assemblee, proiezioni di film, esposizioni artistiche, gruppi di ascolto musicali, concerti, spettacoli teatrali.

Non pensiamo che la scuola possa essere un salvadanaio, al quale attingere per sanare quel debito o per pareggiare quell’altro bilancio. Riteniamo che la cultura, i saperi, l’istruzione, siano le pietre miliari della nostra società, ed è proprio dalla condivisione e dalla riappropriazione di questi che si deve partire per provare a cambiare e incidere sulla società.

In un momento di grave crisi economica, governativa e di rappresentanza, la cultura diventa poi ancor più importante e fondamentale. Il sapere comincia ad essere effettivamente un bene comune da difendere, tutelare e socializzare. Ed è questo che facciamo occupando le nostre scuole: ci riappropriamo dei nostri spazi facendoli vivere come vorremmo che vivessero tutti i giorni.

Occupiamo le nostre scuole per far sì che lo studente non sia solo utente passivo di un servizio, ma che sia effettivamente protagonista della propria formazione, dove formazione non significa solo imparare a memoria la lezioncina sulla seconda guerra mondiale o un paradigma greco, ma dove formazione significa anche imparare a tessere e instaurare rapporti con l’altro, sentirsi parte di una comunità.

Perciò in molti istituti si stanno diffondendo assemblee ed iniziative, dal centro a bravetta, dal villaggio
olimpico a ostia stiamo dimostrando che non abbiamo intenzione di delegare a nessun “tecnico” il nostro
futuro, e che invece vogliamo esserne protagonisti.
Non siamo noi e non è la scuola a dover pagare per una crisi che non ci appartiene, che paghino politici e banchieri la crisi che hanno provocato!

studenti medi in mobilitazione

#OCCUPY OSTIA# – 400 studenti in corteo

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Roma – Sfilano in 400 per le strade di Ostia, dalla stazione lido nord fino al Teatro del Lido occupato in via delle Sirene.
Sono gli studenti dei licei Anco Marzio, Enriques, Labriola, Toscanelli e Faraday che sotto lo striscione “autogestire gli spazi, riprendersi la città”, hanno sanzionato le banche con lancio di monetine e bancontote finte per dire che il governo dovrebbe salvare la scuola pubblica piuttosto che le banche, vere responsabili della crisi economica. Hanno inoltre denunciato la mancanza di spazi sociali per i giovani nel tredicesimo municipio.
Verso la fine del corteo hanno deviato dal percorso autorizzato, senza disagi per il traffico, per portare solidarietà alle famiglie in emergenza abitativa che hanno occupato la scuola dell’infanzia “do-re-mi diverto”. Il corteo partito alle 9.00 si è concluso alle 12.00 con un’assemblea cittadina.

Difendere i beni comuni per combattere la precarietà di vita

[La crisi, l’acqua e il diritto all’insolvenza]
Nell’era della crisi infinita, praticare l’insolvenza significa non pagare l’austerity.
Pratiche individuali già ne esistono nella società italiana che presenta tassi di evasione fiscali altissimi, in cui aumenta a dismisura il numero dei protestati, di chi non paga più le multe, il canone rai, il biglietto dell’autobus e così via.
Ciò che è necessario mettere in campo sono pratiche di rivendicazione collettiva di pezzi di reddito che ci spettano e che dall’alto non cadrà mai.
Ancora una volta, ribadiamo che il reddito di base universale è un obiettivo da conquistare per garantirsi il diritto all’esistenza in un mondo quasi completamente mercificato e che vogliamo cambiare.
Il reddito per noi ha sempre significato per esempio, a partire dalle nostre vite precarie, occupare casa e così non pagare l’affitto e, così, non solo potersi mantenere ma addirittura poter lavorare meno, accettare meno lavori di merda e persino fare una vita politicamente attiva.
La casa è un pezzo di reddito ma da sola non può bastare!
“La crisi non la paghiamo” gridavamo 2 anni fa e, invece, ce l’hanno completamente scaricata addosso aprendo non solo una frana dell’economia ma una ben più larga e profonda crisi di un sistema di rappresentanza, di modello sistemico e culturale e di quell’incrollabile fede nell’ultima ideologia rimasta: il capitalismo.
Ma questo rappresenta oggi uno dei dati più interessanti, proprio perchè questa crisi ha aperto la possibilità, anche semantica, di immaginare una possibile alterità.
Uno degli esempi più forti è quello del referendum di giugno. Improvvisamente una popolazione da molti anni disabituata e disillusa afferma chiaramente che l’acqua non si tocca. E fino a qui va bene perchè l’acqua, emotivamente, è elemento madre: intuitivo e emozionale.
Ma in realtà qualcosa in più c’è.
C’è una campagna fatta dal basso, strada per strada, ci sono spazi di comunicazione guadagnati metro per metro, ci sono ragionamenti lunghi anni che conquistano e si diffondono veloci; l’acqua diviene un paradigma nella società italiana. Non solo tra cittadini ma anche nel dibattito pubblico. I beni comuni sfondano e divengono elemento semiotico riconosciuto, una linea. Forse una barricata.
Le persone dicono infatti con il loro voto che non sono più disposte a sacrificare tutto sull’altare del mercato; la religione neoliberista vacilla anche da noi.
I privatizzatori, bipartisan, si trovano improvvisamente sconfitti e, con loro, anni di beni pubblici saccheggiati a man bassa, ricette in cui le persone sono divenute risorse umane, in cui il mercato del lavoro doveva essere flessibile fino a divenir eprecario, l’innovazione e la garanzia passava per le formule innovative del profitto privato.
Ma ancor di più accade: si forma un ragionamento collettivo sul superamento tra pubblico e privato e che afferma il comune.
In questo contesto chi governa la crisi continua ad affermare che c’è un debito, e c’è, a carico di tutta la società. O meglio a carico di quella parte della società, enormemente maggioritario, che non lo ha contratto.
E questo rientra chiaramente in un circolo vizioso: chi ha fatto profitti sulla nostra vita ha prodotto la crisi e ora vuole che paghiamo il suo debito aumentando esponenzialmente lo sfruttamento della nostra vita stessa.
Per questo, ad oggi, non hanno ancora applicato il referendum e fanno di tutto per aggirarlo. Esattamente come ignorano volutamente le strenue resistenze che molti territori in tutta Italia, a partire dalla Val di Susa, fanno alle così dette grandi opere in cui si ignora completamente quello che è il bene comune e si opta per il profitto privato.
Ma il movimento dell’acqua ci offre un’ulteriore riflessione, quella della contrapposizione diretta con quelli che di volta in volta abbiamo definito privatizzatori, sfruttatori, precarizzatori. Infatti Il Forum italiano dell’Acqua sceglie di lanciare una campagna per l’applicazione del secondo quesito referendario, proprio quello sulla remunerazione del capitale: profitti garantiti in bolletta. E proprio in questa proposta noi vediamo una delle possibilità di non pagare, ancora una volta, di sottrarci al pagamento della crisi generata dal capitale, di poter praticare il diritto all’insolvenza. Il diritto a scegliere il non pagare il debito altrui perchè, quel debito, è una parte del profitto del mercato.
Perchè scegliere di non pagare non è solo una sottrazione dal mercato e dallo sfruttamento di quello che è di tutti ma è anche, implicitamente, una provocazione ed una presa di parola ben chiara.
Una forma conflittuale di praticare contenuti radicali, una delle possibili affermazioni del nostro: “Noi la crisi non la paghiamo” . Che da slogan diventa pratica concreta.
Scegliamo di condividere la nuova campagna lanciata dal Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua perché, quella del diritto all’insolvenza, deve essere una pratica quotidiana, perché se il piano individuale diventa coordinato e quindi collettivo, se diventa riproducibile e capillare sui territori potrà veramente fare male al sistema.
Questa è la forza che leggiamo nella campagna “Obbedienza Civile”, che volendo rispettare la volontà popolare chiede l’immediata eliminazione dalle tariffe della percentuale che garantisce i profitti procedendo, nel caso in cui questo non avvenisse, all’autoriduzione collettiva delle bollette.
Scegliamo di condividere questa campagna perché non si limita a contrastare le privatizzazioni, in una fase storica in cui più nessuna mediazione è possibile, perché utile solo a riprodurre il sistema che ci ha portato fin qui, ma anzi propone pratiche concrete dell’alternativa e della partecipazione.
E in questo ci ricorda tanto la proposta insita nello sciopero precario visto come sciopero politico e non come momento di precipitazione vertenziale per chiedere aumento del salario o garanzie di alcun tipo rispetto ad un determinato settore o contratto, ma che pone al centro il punto di vista precario e mostra la potenza dei precari non la loro debolezza, la complessità della precarietà non il suo atomismo, rilancia per tutti e non per qualcuno.
Come precarie e precarie abbiamo scelto da tempo che volevamo sottrarci allo sfruttamento del mercato e che volevamo stabilire forme di cooperazione e cospirazione per organizzarci al di fuori di contesti sindacali o politici che difficilmente riescono a leggere la precarietà. In questo il movimento si addice maggiormente, secondo noi, ad affrontare concettualmente e praticamente l’attacco che viene mosso a tutti noi.
Perchè la difesa dei beni comuni è un piano di ricomposizione nel quale riconoscersi e riuscire a superare quella divisione forzata di ognuno di noi, delle nostre storie e delle nostre vertenze. Esattamente quello che è rappresentato dalla parcellizzazione a cui sono sottoposte le nostre vite precarie.
Ma anche perchè sappiamo che sono alla base della nostra stessa vita e, dunque, anche della stessa lotta.
Per questo difendiamo i beni comuni e combattiamo contro la precarietà.
Per conquistare il nostro futuro. Diverso dall’esistente e, quindi, tutto da costruire.
Acrobax
Punti San Precario_Roma

Sulle 26 denunce per i fatti del 14 dicembre 2010

Vogliamo dichiarare la nostra vicinanza ai 26 denunciati per i fatti del 14 dicembre 2010.
A quasi un anno di distanza la magistratura e le forze dell’ordine hanno deciso evidentemente di dare un segnale ai movimenti sociali, oggi che il profondo discredito per il governo dei palazzi e delle borse, si traduce sempre più frequentemente in presa di parola diretta di quanti, precar* e indignat*, riscoprono la forza del fare comune e della condivisione.
Barcellona, New York, Oakland, entrambe le rive del Mediterraneo: siamo davanti ad un eccezionale momento di critica radicale allo stato di cose presenti. Non può sfuggire la prossimità temporale delle denunce ai fatti del 15 ottobre: una nuova fiammata di rabbia, in un paese che sembrava ormai condannato ad una docile apatia, schiacciato tra cultura massmediatica, frammentazione sociale e precarietà.
Viene spontaneo domandarsi se dietro a questa operazione di polizia non
ci sia il tentativo tutto politico di mettere in difficoltà attivisti, in alcuni casi ben
noti per il loro impegno costante e alla luce del sole, criminalizzando con loro l’intera piazza che quel 14 dicembre 2010 diede vita ad una delle più belle giornate di lotta degli ultimi decenni. All’apice di un autunno di lotte studentesche, e all’alba del movimento che ancora oggi in Italia, mette in discussione il sistema della rappresentanza, vuota e completamente asservita alla finanza e agli interessi del grande capitale, ci trovammo a migliaia a bussare prepotentemente ai palazzi del potere.
Viene altrettanto spontaneo domandarsi se quello che è stato contestato
ai 26, (danneggiamento, incendio…) non rappresenti nient’altro che uno
spauracchio per quanti, il 15 ottobre, hanno animato la resistenza di Piazza S.Giovanni contro i funzionari di un potere a cui non rimane che lo strumento dell’intimidazione fisica e giudiziaria.
Oggi, mentre scriviamo queste righe, veniamo a conoscenza dell’assoluzione
definitiva per l’ex capo della polizia Gianni de Gennaro e l’ex capo
della digos genovese Spartaco Mortola, per i depistaggi nelle inchieste sul G8 del 2001. Il potere ha la memoria lunga, e lo dimostra anche prendendosi cura dei suoi fedelissimi.
Ma noi continuiamo per la nostra strada: a polizia e tribunali
l’intimidazione? Ai precari la vendetta!

Laboratorio Acrobax

SanPrecario calling!

Domenica 20 a Bologna si è svolta la riunione della Rete degli stati generali della precarietà in cui, i precari e le precarie, stanno costruendo un persorso di narrazione, di attivazione e cospirazione verso lo sciopero precario.

Questo è un percorso che cerca pazientemente di ricucire la divisione forzata che la precarietà ci impone e frammenta ognuno di noi nei nostri ambiti, nelle nostre vite, nei nostri lavori di merda e i ricatti di cui sono fatti.

Per questo abbiamo deciso di attivarci e invocare la protezione dell’unico santo che abbiamo e riconosciamo: san Precario.

Per questo chiamiamo tutti/e ad un incontro Giovedì 24 novembre alle 18.30, presso la sala da tè del Porto Fluviale (via del porto fluviale 24), per poterci confrontare sulla nostra condizione, sull’attivazione di tutte le relazioni complici tra precari/e e sul’organizzazione di possibili iniziative.

 

Se il natale è precario, noi saremo insolventi!