Perchè l’acqua continua ad essere un paradigma. La battaglia di Roma.


Da quasi 2 mesi a Roma si sta giocando un’importante partita sulla questione dell’acqua e dei beni comuni.
La cronaca è piuttosto semplice: Alemanno, decidendo di giocare una partita tutta elettorale e cercando di ingraziarsi uno dei poteri forti di Roma (vedi Caltagirone), ha presentato un bilancio in cui il punto forte è la vendita del 21% di ACEA, cedendo così la maggioranza in mano al Comune.
Facendo questo il Sindaco di Roma, e la sua maggioranza, aprono un cammino (che molte amministrazioni, in modo bipartisan, stanno guardando con attenzione) che ignora compleatmente il voto referendario di un anno fa e, anzi, va in senso diametralmente opposto.

Che questo avvenga a Roma non è casuale per una seri di motivi, tra questi: ACEA è una Società Per azione (già privatizzata dall’allora centrosinistra) che ha quasi 8 milioni di utenti e controlla in buona parte il servizio idrico del centro Italia. Oltre a questo i vertici di ACEA si sono spese ampiamente per combattere il fronte referendario contro la privatizzazione e ha speso, illecitamente, 250.000 euro dei soldi della società per farlo.
L’azienda è stata la prima a richiedere, subito dopo il voto, un parere all’avvocato Napolitano (figlio del Presidente della Repubblica) che, sostanzialmente, affermava con estrema tranquillità, e contraddicendo la corte costituzionale, che l’esito referendario non aveva nessun influenza sullo stato dell’arte.
Inoltre all’inizio di questa vicenda, i due maggiori azionisti, Caltagirone e GDF-Suez, cosa decisamente inusuale, prendevano una posizione pubblica per l’ulteriore privatizzazione.

Da 2 mesi gli/e attivisit* del movimento dell’acqua insieme ad una larga alleanza sociale, e coinvolgendo cittadini e cittadine, hanno dato vita ad una mobilitazione costante e capillare. A partire dai territori, dalle strade dei muinicipi romani fino ad arrivare in piazza del campidoglio, perennemente negata, e dentro le aule consigliari.
Hanno scelto di parlare, volantinare, organizzare manifestazioni e occupazioni. In una dinamica di crescita della battaglia di opposizione alla giunta capitolina.
Domani, 21 giugno, ci sarà l’ennesima tappa di un lungo percorso che non si chiuderà neanche con il voto in aula o con i termini obbligatori delle istituzioni.
Il cosiddetto popolo dell’acqua, non ha in mente solo la resistenza a questo progetto ma ha in testa la ripubblicizzazione dell’ACEA e del servizio idrico.
Così come ha ben chiaro quale strada si apra verso la privatizzazione di tutti i servizzi pubblici locali a partire dai trasporti e dalla gestione dei rifiuti e di come possa spaventare che un’idea alternativa di gestione del comune, di ciò che è di tutti, possa farsi largo; proprio per questo sta chiamando a raccolta tutti/e domani ma con la consapevolezza che sia un passaggio per una battaglia ancora lunga e di cui la fine ancora non si vede.

Ma questo contesto e questa breve ricostruzione evidenziano quella palese alleanza che unisce la vorace volontà dei poteri finanziari e quelli politici che, in un gioco sempre meno sotterraneo, palesano quella volontà per cui la privatizzazione e l’applicazione della ricetta del capitale neoliberista non è più la scelta migliore ma è l’unica possibile.
Si palesa, dunque, la necessità di dover approfondire quelle scelte che sono alla base della crisi economica che, ormai da 4 anni, si sta abbattendo su Europa e Stati Uniti.
E non crediamo che questa relazione sia eccessiva: effettivamente, come in altre parti di Italia e di Europa, si palesa un conflitto in merito alla messa a valore dei territori e dei beni ad essi legati.
Da qui nasce quel processo di difesa dei cosidetti “beni comuni”, ovvero di quegli elementi che sono patrimonio collettivo ed inalienabile che invece divongo terreno di conquista e quindi di scontro.

In quel conflitto che vedeva centrale la dicotomia capitale/lavoro si è innescato un nuovo elemento che, anni fa, ha iniziato ad erodere i diritti e le conquiste (si sarebbero dette di classe) ottenute in quel duro scontro. Quel processo, che per noi va sotto il nome di precarizzazione, ha innescato un’esondazione della precarietà dalle sole mura del posto di lavoro perchè ha esteso la produzione a tutta la nostra vita, compreso lo stesso ambiente in cui viviamo.
Si è messa in produzione la complessità della nostra quotidianità, delle nostre relazioni, delle nostre intelligenze e degli stessi elementi necessari alla sopravvivenza.

Nella battaglia di Roma è evidente di come la contesa sia tutta politica, senza nessun appiglio di concretezza logica. Ed è proprio qui che si apre l’altra centrale questione, anche questa già vista altrove: “chi decide su cosa?”
Perchè in queste settimane si è rotto chiaramente ed irremediabilmente quel meccanismo di democrazia rappresentativa in quanto, i rappresentanti stessi, ignorando la volontà espressa con i sempri più ridotti strumenti previsti come il referendum, scelgono le regole del mercato e di quelle si fanno garanti.
In aggiunta si forzano i regolamenti stessi delle istituzioni per poter portare avanti quelle decisioni; a questo punto i cittadini restano completamente sganciati, e la loro volontà ancor di più, dal contesto decisionale.
Rimangono soli ed esclusi dai luoghi della discussione potendo parlare solo con le forze dell’ordine perchè sono divenuti solo questo, un “problema di ordine pubblico”.

In questi giorni a Roma, in questi anni in Italia e in molte altre parti del globo, si è resa palese la rottura di un patto sociale; per questo riteniamo una volta di più paradignamtica questa battaglia, perchè offre una lente forgiata nella partecipazione e nella determinazione, nella relazione e nella contaminazione di diverse storie, nella radicalità dei contenuti e nella coerenza nel portarli avanti.
Una capacità conflittuale e costituente con cui leggere la nostra quotidianità che, per noi, vuol dire riuscire a vedere all’orizzonte anche una possibile alternativa di futuro.

Nodo redazionale indipendente

NO IMU – NO BANCHE

Oggi sono scesi in piazza i movimenti di lotta x la casa di Roma, bloccando ripetutamente la strada, in prima fila il Coordinamento cittadino di lotta x la casa e la cooperativa inventare l’abitare, prima soluzione nella città di Roma per l’innovativo progetto di autorecupero, i cui cantieri sono fermi tra rimpalli continui tra l’amministrazione comunale e la Bcc, banca coinvolta dai mutui concordati nel progetto di autorecupero strappato con anni di lotte. E’ stato ottenuto un primo incontro nel quale i movimenti hanno esposto le loro ragioni, per lo sblocco immediato dei progetti di autorecupero, contro l’emergenza abitativa ma anche contro l’IMU per il blocco degli sfratti e per un piano nazionale di edilizia residenziale pubblica. In corteo poi i movimenti si uniti al presidio dell’inquilinato e ad altri movimenti per l’abitare.

Questo il volantino distribuito oggi:

Lunedì 18 Giugno dalle ore 12
Protestiamo davanti alla sede dell’ABI in piazza del Gesù 49

Ancora una volta, come movimenti per il diritto all’abitare e realtà autorganizzate della città, abbiamo deciso di scendere in piazza e di dare vita ad una nuova giornata di mobilitazione. Abbiamo scelto il giorno 18 giugno non a caso: dopo le già innumerevoli stangate fino al’aumento del biglietto ATAC ad 1 euro e 50, in questa giornata milioni di persone che hanno acquistato una casa in assenza di qualsiasi alternativa, saranno costretti a pagare con l’IMU, l’ennesimo balzello imposto da una crisi dei mercati finanziari che si sta scaricando interamente sulle spalle di lavoratori e pensionati, producendo una valanga di precarietà e disoccupazione. 
Dal pagamento dell’IMU saranno esentati ancora una volta i poteri forti, le Fondazioni (in testa quelle bancarie), il patrimonio invenduto dei palazzinari (per tre anni) che continuano a speculare su un bisogno primario come quello della casa e a devastare il territorio, il Vaticano (proprietario del 30 per cento del patrimonio immobiliare in Italia) che nonostante i “solenni” impegni pubblici continua a non pagare un Euro.
Il governo Monti che ha sostituito il cialtronesco governo Berlusconi, ha tentato di illudere, dietro una facciata di efficientismo, gli italiani. Il risultato è la totale svendita del patrimonio pubblico, l’aumento delle tasse e delle tariffe, della disoccupazione soprattutto giovanile, del ricorso agli ammortizzatori sociali (finchè verranno contemplati e comunque insufficienti), la caduta della produzione, la creazione di un nuovo soggetto emarginato (gli oltre 300 mila esodati)… e già stanno preparando nuovi provvedimenti che colpiranno una realtà sociale ormai stremata da anni di sacrifici che presto si troverà, probabilmente, di nuovo a pagare per “salvare” le banche.
In questa giornata vogliamo ribadire la necessità di costruire un fronte comune che si opponga allo stato di cose presenti, affinchè il nostro grido di protesta sommerga chi ci vorrebbe schiavi obbedienti agli ordini dei poteri forti e della grande finanza. Vogliamo farlo a partire dalla nostra città, da una Roma già messa in ginocchio dai privilegi e dall’incompetenza, dai tagli e dalle privatizzazioni, dagli aumenti delle tariffe e dalle cementificazioni di Alemanno e della sua banda. 
 
NOI NON CI STIAMO
 
Lunedì 18 Giugno torniamo, quindi a prendere parola nella città contro l’aumento del biglietto del Trasporto Pubblico Locale e le logiche privatistiche e di privatizzazione che stanno mettendo in ginocchio questo servizio pubblico essenziale. Produrremo iniziative diffuse nei nostri quartieri. Metteremo in campo di fronte alla sede dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana), una iniziativa di protesta contro lo strapotere delle banche e della finanza sulle nostre vite. All’ABI siamo stati circa due mesi fa per rivendicare che venissero sbloccati i progetti di autorecupero abitativo fermi oramai da troppo tempo.  Nonostante le tante promesse sia dei funzionari dell’ABI che del gabinetto del sindaco di Roma nulla è accaduto. Evidentemente si vuole fermare perché fa paura, un percorso che porta che porta centinaia di persone e nuclei familiari a presidiare stabili abbandonati, a sottrarli alla vendita e a recuperarli producendo alloggi sociali a 200 o 300 euro al mese e spazi pubblici a disposizione dei nostri quartieri. Ma noi non molliamo..stiamo per tornare!
 
Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa
Cooperativa “Inventare l’Abitare”
Comitato Romano per le Autoriduzioni

S-Monti-amo la crisi

da www.infoaut.org

In coda ad una settimana e più di roventi polemiche intorno alla venuta in città del premier Mario Monti, oggi 16 giugno è scesa in piazza la Bologna che non ci stava ad accettare passivamente le passerelle del primo ministro diretta espressione delle banche e della finanza.

La Questura decide di creare una zona rossa militarizzando la zona centrale della città, ben conscia del fatto che la giornata di contestazione potrebbe rivelarsi attraversata da una pluralità di soggetti sociali indisponibili a sottostare al ricatto di provvedimenti come l’IMU, alle manovre lacrime e sangue, all’austerity generalizzata, a riforme universitarie nel solco delle precedenti, alla gestione della crisi post-terremoto, alla distruzione dell’articolo 18 e degli ultimi residui diritti dei lavoratori.

E così è. Dalle 15 l’incrocio tra piazza VII Agosto e via Indipendenza si riempie dei volti e delle voci di chi porta in piazza il suo rifiuto a questo governo esprimendosi in una forma rumorosa, ma determinata, di dissenso. Un cacerolazo contro la crisi, capace di andare con determinazione ( venendo più volte caricato dalle forze dell’ordine) a far sentire la propria voce fin sotto l’Arena del Sole dove era arroccato Monti, ma anche poi di bloccare la città per comunicare la presa di parola dei movimenti e delle lotte! Una piazza attraversatissima, che ha riunito in una sola voce tutti quelli che ai diktat della finanza internazionale non vogliono sottostare!

Una giornata importante quindi, che porta un’unica, iniziale, considerazione: come oggi a Bologna, è tempo che ovunque nel paese i ministri del governo tecnico ed il premier Monti non abbiano cittadinanza!

Diretta Live, con alla fine il video tratto da Repubblica.it

19:00 Sotto la R il corteo si conclude. Oggi Bologna non è stata ad ascoltare le parole di un banchiere protetto da zone rosse, scudi e manganelli, ma al contrario la parola l’hanno presa con forza tutt* quell* che rifiutano di sottostare ai ricatti del governo Monti, che rifiutano di accettare riforme sanguinarie, che dal basso vogliono contrastare queste politiche d’austerity!

18:50 Dal megafono si susseguono ancora interventi che parlano di precariato,lavoro,pensioni,studenti.

18:40 Il corteo arriva in piazza Re Enzo. La grande R della festa di Repubblica, sulla quale viene appeso lo striscione di apertura (“sMontiamo la crisi, Monti bologna non ti vuole!”)  oggi è stata cambiata di senso: é diventata la nostra grande R, quella della Rabbia, del Reddito per tutt*, della Riappropriazione, della Rinascita!

18:37 Oggi le zone rosse non ci impediscono di andare dove vogliamo, la folla passa sotto le due torri!

18:34 Da via irneio attraverso via borgo di San Pietro, via oberdan il cacerolazo arriva in piazza nettuno.

18:16 Dopo via Indipendenza ancora su via Irnerio, la folla grida “Monti degage!”, i cori e gli slogan continuano ad ecceggiare in una bologna paralizzata dal corteo.

18:00 Dopo quasi  4 ore di corteo, dopo le cariche, dopo aver sorpassato i blocchi delle forze dell’ordine la determinazione della gente non concede tregua alla controparte, i fischi continuano con la stessa intensità, gli slogan scanditi sono sempre piu’ incalzanti, il rumore continua a salire!

17:47 Il blocco sui viali viene forzato e oltrepassato dai manifestanti che riescono a tornare su via Indipendenza alla volta dell’Arena del sole.Non ci fermate, oggi bologna è nostra!

17:38 Il dissenso fa paura, i difersori dell’ordine continuano a bloccare il corteo , ora all’altezza di piazza medaglie d’oro vicino alla stazione dei treni.Ma la militarizzazione sempre piu’ consistente non spaventa chi si scaglia contro un governo che precarizza le vite, e il nervosismo delle fdo evidenzia la paura verso chi non vuole abbassare la testa!

17:32 Le forze dell’ordine cercano di imporre nuovi blocchi anche sui viali ma il corteo è sempre piu’ partecipato e vuole continuare ad esprimere la propira rabbia!

17:20 I viali sono bloccati dal cacerolazo!

17:11 Ancora piu’ di mille persone bloccano bologna ,il corteo punta verso i viali, gli interventi continuano a scagliarsi contro il governo delle banche, contro l’europa dell’austerity e contro l’1% che ci vorrebbe silenziosi e accondiscendenti. Noi non lo saremo mai e questa giornata lo dimostra!

17:06 La bologna delle lotte sociali paralizza la città! Il cacerolazo invade via Irnerio.

16:57 Il corteo continua a muoversi determinato per le strade di bologna.La gionata non finisce qui, Monti deve andare via!

16:49 In via Righi,sul lato destro del corteo i manganelli si abbattono anche sui musicisti della Samba Army  che con tamburi, rollanti e fiati accompagna il cacerolazo dall’inizio della giornata!

16:40 La folla grida: “Pagaci le tasse, Monti pagaci le tasse!”.Tra i manifestanti ci sono diversi contusi: la repressione è l’unica risposta che il governo delle banche possa concepire.

16:34 Il corteo è sempre piu’ vicino all’arena del sole, mentre tra gli interventi dal megafono si alzano le voci di chi ha vissuto il terremoto e non ne puo’ piu’ di false promesse e austerity!

16:24 Il cacerolazo incontra un nuovo blocco delle fdo all’altezza di via Righi, incrocio con via Indipendenza.L’assedio continua!

16:13 Il dissenso contro Monti invade la città! Il cacerolazo inizia a spostarsi verso via Irnerio per continuare l’assedio, in una bologna complice e solidale con i manifestanti!

16:06 Seconda carica della forze dell’ordine, il corteo continua, non arretra di un millimetro, non si scompone, rimane compatto! E ancora una pioggia di verdure e ortaggi contro quello che  è il vero marcio di questa giornata: i difensori del governo dell’austerity!

16:00 La piazza determinata non arretra dopo le cariche! I manifestanti continuano a ricoprire le forze dell’ordine di ortaggi marci!La folla grida via Monti,bologna non ti vuole!

15:50 Piovono pomodori marci  e i tutori della legge non esitano a caricare i manifestanti per difendere il presidente delle banche!

15:45 L’ assedio è sempre piu’ vicino al cordone che protegge l’arena del sole! Ma l’incredibile schieramento di forze dell’ordine e gli elicotteri che ronzano in cielo non spaventano chi è determinato ad esprimere il proprio dissenso e la propria rabbia contro l’1% arroccato nelle sue zone rosse protette dai suoi servi!

15:30 La Bologna del dissenso non cerca mediazioni! L’assedio verso l’arena del Sole continua,animato da un migliaio di persone che con bandiere NoTav, cartelli, strisconi, pentole e coperchi vogliono andare a gridare in faccia a Monti fuck austerity!

15:10 Diverse centinaia di persone avanzano su via Indipendenza in mezzo ad una gran frastuono!Cacerolazo contro il governo della banche!

15:00 Sempre piu’ persone confluiscono al cacerolazo e sempre piu’ il rumore si alza contro il governo Monti!Tantissime pentole, coperchi, tamburi e fischietti!

14:45 Già un qarto d’ora prima dell’appuntamento, tra piazza  VIII Agosto e via Indipendenza, ci sono circa150 persone pronte per contestare Monti!

14:20 Bolgna è blindata! Via Indipendenza e via dei Mille sono bloccate da un ingente schieramento di forze dell’ordine.

 

La valle e il nostro tempo. Autonomi in Val Susa

Il 27 giugno, quando la polizia ha attaccato la Libera Repubblica della Maddalena, ero a Manhattan, dove abitavo da qualche tempo. Ho ascoltato la diretta dello sgombero in streaming, in una casa di Chinatown. Pochi giorni dopo ho preso un aereo e sono tornato in Italia, in quello che oggi è il Kiomontistan, territorio impervio per i difensori del neoliberismo in crisi, gli stessi che fanno i conti con Occupy Wall Street. Passare dai grattacieli al fogliame e alle fronde mi ha fatto davvero l’effetto di essere un soldato partito per il Vietnam, anche perché ho condiviso con i miei compagni ogni minuto della lotta nel nuovo scenario dell’occupazione militare: dalle ferite riportate sul campo agli arresti, dagli assedi al non-cantiere alla caduta di Luca, fino alla rabbia che ne è seguita. Essere No Tav è, per me, uno dei mille modi di essere ciò che sono: ho sempre vissuto tra le persone, nei luoghi più diversi, con il sogno di distruggere il mondo che ho ricevuto in eredità; ed è da loro, dai miei compagni, che ho imparato che un sogno simile, per divenire realtà, deve sapersi calare in ogni situazione e in ogni luogo in modo nuovo, misurando il peso delle scelte sulla bilancia dell’efficacia.

La polizia, i giornalisti, i leader di partito si interrogano su chi siamo noi, gli autonomi della Val di Susa, con differenti livelli di stupidità. Il nostro identikit sociale è semplice: precari, studenti-lavoratori, disoccupati ad intermittenza. Non versiamo contributi, non abbiamo né avremo tutele. Salariati in nero o in forma atipica nella ristorazione, nell’informatica, nella comunicazione, nell’industria della conoscenza, ci consideriamo i prototipi più azzeccati della nostra generazione e, al tempo stesso, i suoi nemici mortali; non per la presunzione di voler essere meglio del nostro tempo, ma per essere il nostro tempo al meglio: combattiamo, a nostro modo, la passività congenita a ogni classe oppressa. Siamo tanti, organizzati. Tra la nebbia dei lacrimogeni sappiamo orientarci giorno e notte, nei boschi o sulle autostrade, in inverno o in estate, con il sole o con la pioggia. Quando l’assemblea decide il grande corteo popolare, contribuiamo alla sua riuscita; quando decide di arrivare alle reti, non ci spendiamo con minor sacrificio. Imprevedibilità e flessibilità ci caratterizzano, nel tentativo di conciliare la morale irreprensibile del rifiuto con il pragmatismo della sua declinazione diretta. Allergici alla retorica e ad ogni fanatismo, siamo lontani dall’individualismo ipocrita del liberalismo quanto da quello scolastico dell’anarchismo. È l’interesse comune, quello che si definisce in autonomia dalle istituzioni e dalle dinamiche di sfruttamento, il cavallo di Troia che abbiamo nascosto nel futuro.

Partito di massa e di opinione convivono, in essenza, nella nostra forma di organizzazione agile, figlia della critica della forma-partito come tale. Radicamento sociale e strategia mediatica si uniscono in un abbraccio scandaloso, nell’equilibrio millimetrico che sappiamo di dover trovare per non cedere spazi di linguaggio e di immaginario al nostro nemico. Il tutto con un unico, ossessivo obiettivo: valorizzare e organizzare il conflitto sociale, aggregare nuove ragazze e nuovi ragazzi, riprodurre ed estendere l’insubordinazione, allargare la critica. Perché? Perché il futuro, se vuole essere diverso dal presente, deve costituirsi sul nuovo. Senza l’autonomia sociale, politica e culturale dal potere non si vince, dura legge della storia, spietata con chi non la impara. Siamo militanti politici, una forma di essere umano sempre e necessariamente in guerra, anzitutto in tempo di pace, ma non abbiamo forze armate né piani militari; semmai, attraversiamo in modo conflittuale una miriade di piani sociali, tra metropoli e montagna. Incarcerati, ci mettono in isolamento; seguiti e pedinati, ci danno il foglio di via; allergici alle carriere e alle divise, ci muoviamo come volontari agli antipodi del volontariato.

Abbiamo fondato il primo comitato popolare contro l’Alta Velocità dodici anni fa e, da allora, nella corsa del movimento a diventare sempre più grande, non ci siamo mai fermati. I governi vanno e vengono, noi siamo sempre qui, per vincere. Qualcuno si meraviglia di come siamo visibili e irriconoscibili a un tempo; ma è normale per chi, come noi, si compiace di tentare la declinazione post-postmoderna del bolscevismo più originario. Allora dicono che siamo “nascosti” dentro il movimento, ma è l’esatto opposto: scriviamo sui siti e compariamo in televisione; venite a trovarci nelle assemblee, nelle feste popolari, nelle conferenze stampa. Non siamo una corrente interna, ma soggetti votati al potenziamento dell’insieme, del tutto; l’autonomia non è una fazione, è una necessità. Tra i fuochi delle barricate ci muoviamo senza ideologia. Quando i Cattolici per la Valle hanno voluto costruire una statua di Padre Pio accanto al nuovo presidio, dopo che la polizia ha loro sottratto il pilone votivo alla Madonna, non abbiamo obiettato: sappiamo quanto la fede può essere importante per una resistenza. Persino quando i leghisti venivano alle assemblee, anni fa, non li abbiamo cacciati; era chiaro fin da allora che avrebbero abbandonato in massa il loro partito.

E se una valligiana mi parla di energia della terra, di magia dei luoghi e dello spirito che abita le montagne, io – scettico per indole, materialista per vocazione – la ascolto pieno di fascino. Imparo da tutto e da tutti, in questo scenario folle e bellissimo, dove paganesimo e cristianesimo si incrociano con l’identità occitana e montana, mentre ragazzi di stadio della cintura torinese incrociano i destini dei pensionati di montagna e dei reduci della guerra, che a loro volta ascoltano rapiti le storie delle studentesse emigrate a Torino dalla Sicilia e dal Salento. Il potere organizza la tutela disciplinata e astratta delle differenze, noi ne coltiviamo il potenziale reale. Le vediamo crescere e rafforzarsi contro l’uniformazione coatta prodotta da un potere decrepito, lo stesso che ho visto all’opera nei quartieri di New York. Mi è costato abbandonare l’America, ma la valle è legata alla mia vita non meno della Grande Mela, e allora soffoco la nostalgia della giungla d’asfalto ammirando i colori della foresta reale, la poesia dei ciglioni dopo la nevicata, o respirando l’aria inconfondibile di cui vivono – e dovranno continuare a vivere – i nostri castagneti.

Pubblicato su “Alphabeta2”, 6 giugno 2012

da quieteotempesta.blogspot.it

Abbiamo gli occhi ben aperti!

Fra la notte di sabato e domenica sera un militante del laboratorio Acrobax ha dovuto far fronte a due tentativi di aggressione da parte di soliti noti fascisti di zona.

 

Nel primo episodio, avvenuto intorno alle quattro di notte di sabato, dopo l’iniziativa di Trastinvaders in cui centinaia di persone si sono riappropriate del rione di Trastevere è stato vigliaccamente attaccato alle spalle da un fascista, il quale, casco alla mano, si era nascosto a pochi metri dalla sua abitazione per tendergli l’ agguato. La determinazione del nostro compagno gli ha permesso di allontanarsi senza conseguenze.

 

Ma questo episodio non rimane isolato. Frustrato infatti per il fallimento dell’ offensiva e per non rischiare di fallire una seconda volta, lo stesso aggressore torna il giorno dopo insieme con altri tre camerati. Sono circa le 20:00 e in quel momento è con un’altra compagna di Acrobax, quando viene raggiunto mentre si trova nella piazza antistante casa sua.

 

Il gruppo si avvicina ancora caschi alla mano  al compagno che questa volta, dopo una colluttazione, riesce a mettere in fuga la squadraccia e fortunatamente, a non riportare lesioni di alcun tipo.

 

Le ragioni che hanno portato a queste aggressioni vanno ricercate nell’ impegno politico del militante, da anni attivo prima nei collettivi studenteschi e poi nelle esperienze di politica territoriale nei quartieri di Monteverde e di Trastevere. Gli aggressori infatti non sono sconosciuti ma  noti esponenti dell’ organizzazione fascista foro 753, che esercita sul quartiere un alto livello di propaganda e che vanta il sostegno e l’adesione di esponenti del PDL cittadino,del sindaco Alemanno e la sua maggioranza (proprio oggi, 5 giugno,un consigliere della maggioranza ha pubblicamente definito il partigiano Rosario Bentivegna “macchiato del sangue di vittime innocenti”).

Come al solito questi individui scelgono di agire con dinamiche squadriste, agendo in gruppo o nell’ ombra, ed è per questo che vogliamo ribadire la determinazione con cui continueremo a stare al fianco del nostro compagno. continuando a portare avanti i nostri percorsi di lotta, perché non c è fascista che ci possa togliere la voglia di lottare perché non c’ è fascista che ci fa paura!

 

Noi  abbiamo gli occhi ben aperti; perchè chi tocca uno, tocca tutti/e noi.

Nei nostri quartieri e in tutta la metropoli mai un passo indietro!

Nipotini/e di Sasà

In questa giornata un saluto sentito va a Carla Verbano

Con Carla, Valerio e Renato nel cuore.

 

Loa Acrobax

La popolare Palestra Indipendente

Renoize Project

All Reds Rugby Roma

All Reds Basket

Circolo ANPI Renato Biagetti

Trastinvaders

Trast Invaders* l’invasione della metropoli è appena cominciata

CONTRO LA CRISI INVADIAMO TRASTEVERE

La notte del 2 Giugno più di 1000 trast invaders hanno invaso il quartiere di trastevere. Partiti da piazza san calisto ci siamo diretti verso piazza santa maria in trastevere, dove degli artisti di strada si sono esibiti in una performance artistica per protestare contro l’ordinanza di alemanno che limita e reprime la possibilità di espressione e produzione culturale. Abbiamo continuato il percorso per il quartiere oscurando le telecamere per liberare il rione dalle asfissianti dinamiche di controllo. Continuando ad invadere trastevere siamo arrivati a piazza trilussa, simbolo del tentativo di militarizzazione del territorio. Continuando a girare per le vie del quartiere abbiamo sanzionato della banche chiudendo simbolicamente le loro porte con del silicone e riaperto simbolicamente il CINEMA AMERICA, uno spazio abbandonato da oltre dieci anni. Questo luogo è stato sottratto al quartiere, un’importante occasione di produzione e diffusione culturale è in totale stato d’abbandono e forse verrà completamente distrutto per far spazio ad appartamenti o ad un centro commerciale. Oggi l’invasione è appena cominciata, nei prossimi mesi invaderemo tutta la città, occuperemo case, studentati, spazi di aggregazione e produzione culturale, ci rivedremo nelle piazze e nelle strade, nelle scuole e facoltà. Dobbiamo riappropriarci di pezzi di libertà, per inceppare il meccanismo di sfruttamento sulle nostre vite. Non vogliamo più essere soggetti al ricatto di un lavoro da sfruttato a vita e per la vita. Vogliamo strappare spazi per costruire nuove esperienze comunitarie. Riprenderci il tempo che ci stanno rubando, per non regalare il nostro valore alla loro sete di profitto.

Dobbiamo prenderci tutto:

il loro predicare austerità è la nostra dichiarazione d’indipendenza.

L’invasione della metropoli è appena cominciata.

La storia insegna, ma non ha alunni

Contributo da Villa Roth occupata di Bari

Noi, la rabbia, le lacrime e gli Altri
 
 
Abbiamo preferito tacere per qualche ora. Non volevamo scrivere un’ulteriore inutile lettera di sgomento, tristezza o vicinanza per la morte di una ragazza innocente. Né volevamo lanciare slogan o proclami più o meno ideologici sulla vicenda di Brindisi. Per noi Melissa rimarrà per sempre ragazza, e la rabbia per i suoi occhi strappati via alla vita non è esplosa in grida o giudizi dissennati. Non abbiamo voluto farlo per il rispetto del dolore, di quella soglia oltre la quale non vogliamo andare per “restare umani” (che è un imperativo difficilissimo da mantenere nell’Italia di oggi). Purtroppo Altri non hanno taciuto, Altri si sono avventati come sciacalli furibondi sui corpi delle vittime o nel fumo delle bombe di Brindisi. Lo hanno fatto lanciando proclami, costruendo parallelismi assurdi, promettendo militarizzazioni, strette poliziesche, invocando addirittura l’uomo forte al comando (quel coprofago di Storace ha dichiarato proprio questo un’ora, solo un’ora dopo, l’esplosione; per ricordare a tutti gli smemorati la passione dei fascisti nostrani per le bombe che esplodono e proprio in quella Brindisi in cui vive in libertà da anni Franco Freda questo dovrebbe essere un segnale politico chiarissimo). Gli Altri per noi sono quelli che, seguendo un copione cinico quanto scontato in questo terribile paese, mentre i genitori, gli amici piangono ancora, si sono chiesti come riuscire a sfruttare a proprio vantaggio quest’episodio folle. E allora l’attentato alla scuola Morvillo – Falcone di Brindisi diventa il pretesto utile per rispolverare il caro vecchio “uniamoci tutti a difendere le istituzioni”, “ci vuole prevenzione”, “l’esercito difenderà i cittadini dalla follia terroristico/mafiosa”. Il che sta a significare che da domani, chiunque scenda in piazza a manifestare contro la crisi, contro la casta politica, contro i suicidi (cfr. le dichiarazioni dello sciacallo Susanna Camusso su Equitalia di ieri), contro i tagli, per i beni comuni, rischierà di disturbare la “vita tranquilla dei cittadini” (citando le dichiarazioni di Bersani a due ore dall’esplosione), rischierà di disturbare il manovratore, rischierà di contribuire al “caos da cui solo lo Stato può difenderci”. Gli Altri insomma, quelli di ieri e quelli di oggi, proveranno a dare giudizi, proveranno a trovare i colpevoli in fretta e furia, oppure a trovarne diversi in modo rocambolesco per intorbidire ulteriormente le acque. Proveranno a utilizzare una strage fatta per uccidere, fatta per spaventare e fatta insomma per lanciare un messaggio. Una strage fatta in un modo che, per analogie storiche e di fase, riporta alla mente la strage di via dei Georgofili di Firenze del ’93, per analogie di obiettivi, ricorda le stragi che vengono compiute per militarizzare la Palestina, Gaza, l’Afghanistan o il Pakistan e, in generale, porta alla mente le tante, troppe stragi di Stato senza colpevole del nostro paese. Quelle stragi di cui tutti sappiamo i nomi dei colpevoli ma “senza le prove né gli indizi”.Immaginiamo gli Altri nei loro studi televisivi a studiare le dinamiche, le anomalie dell’attentato, magari con un bel plastico su una scrivania in ciliegio, qualcuno dirà è stata la mafia, qualcuno dirà “terrorismo politico”, qualcun altro il gesto di un folle o chissà cos’altro e si andrà avanti così come una normale partita di calcio, come un reality show, tutti inquirenti, tutti concordi con una soluzione possibile per accontentare tutte le ipotesi possibili “Stato più forte, polizia, esercito, telecamere, controlli, arresti, intimidazioni”.Gli Altri che fino al giorno prima avevano paura. Avevano paura perché vedevano il consenso sociale delle loro azioni ridursi di giorno in giorno; perché la rabbia degna in Val di Susa o il 14 dicembre o il 15 ottobre o contro le vessazioni di Equitalia o contro un Governo non votato da nessun cittadino e sostenuto da una classe politica corrotta e volgare, diventava ripresa della vita contro i manganelli, contro le prigioni, contro i fili spinati e (ora dobbiamo dirlo) contro le bombe. Perché sospesa la democrazia in nome dell’austerità e delle misure economiche da imporre “costi quel che costi”, la svolta neo-autoritaria diventa la seconda gamba su cui si fonda la nascente Terza Repubblica. E tra crisi infinita e autoritarismo si può rinchiudere la gente nella disperazione, nella propria solitudine, ricacciarla nelle case mentre le strade potranno essere militarizzate e controllate.Non è il nostro ruolo trovare chi ha piazzato a Brindisi la bomba, nostro ruolo è capire a chi può giovare questo atto. Chi ne può trarre vantaggi, chi può specularci sopra, chi può insomma sfruttare al massimo l’indignazione e la rabbia che da un gesto così infame può generarsi.Non abbiamo dubbi a tal proposito. Sono proprio gli Altri che abbiamo nominato prima.Proveranno sulle macerie fumanti insomma a ridurci al silenzio a spaventarci, a terrorizzarci.Il film in Italia è noto come anche il finale.Sta a noi adesso, l’altro nostro ruolo, se siamo stati bravi alunni della Storia, cambiare questo finale. Facendo esattamente quello che và nella direzione uguale e contraria a quella a cui loro, gli “Altri” appunto, vorrebbero spingerci. La piazza di Brindisi di sabato sera è stata importante per questo; una piazza rabbiosa, che ha fischiato tutti i sepolcri imbiancati della politica locale e non e anche le autorità religiose salite sul palco e ha invece applaudito con forza quando dal palco si è detto: “non vogliamo più esercito, non vogliamo più polizia, non vogliamo la militarizzazione delle nostre vite”.Per questo quello che ci consegna quella piazza è quello che dovremmo fare da subito. Dobbiamo riversarci nelle strade, noi, la moltitudine irrappresentabile che tanto spaventa gli “Altri”, dobbiamo riappropriarci degli spazi di discussione, delle piazze, dei luoghi abbandonati, rendere impossibile progettare attentati, rendere impossibile determinare l’esito del conflitto fuori dagli spazi di discussione, dobbiamo definire questi spazi come Comune, dobbiamo finalmente prendere la nostra storia nelle mani, per la prima volta da cinquant’anni a questa parte, senza delegarla a nessun apparato corrotto o assassino, e costruire un’esondazione sociale  ridandoci la possibilità di decidere noi contro la loro austerity, contro la loro crisi, contro la loro polizia, contro le loro bombe.

Lo specchio elettorale infranto e la torsione autoritaria dello Stato…

Ma l’amor mio non muore…

In questi giorni accadono cose che incidono sulla percezione collettiva della fase. Prendere parola è oggi la condizione necessaria per chi vuole continuare a riconoscersi dentro un movimento che non si lasci cucire il vestitino addosso da altri, che siano apparati e servizi dello Stato o nuovi spontaneisti armati.
L’Italia è più che mai in Europa, nel senso che oggi ne condivide pienamente la crisi, a partire da quella della rappresentanza politica. Anche in Italia, con le specifiche peculiarità, è posta terribilmente in discussione qualsiasi capacità di cattura del consenso nella macchina della politica rappresentativa ossia nella gestione del piano di comando che va sotto il nome di austerity. Questo non vuol dire che l’azione del governo tecnocratico-finanziario ne sarà indebolita: significa anzi – e si vede già – che si farà più arcigna perché più scopertamente senza mediazioni. Ma questo significa anche molte cose sul terreno della percezione sociale.
Tant’è che nessuno tra gli osservatori e opinionisti in voga scommette su un “rientro” del fenomeno del grillismo né può negare il carattere tendenziale e costante della crescita dell’astensione, accanto all’evidenza che viene punito chi è visto insieme come figura del sistema partitico e nel contempo corresponsabile dell’austerity (in particolare chi ha formalmente dovuto passare le consegne a Monti), tanto quanto è premiato chi a quel sistema si contrappone e dall’austerity anche solo formalmente si smarca. Certo questa fotografia, per non essere equivocata e per intenderne anche le potenzialità rischiose, va sovrapposta a quella del livello minimo raggiunto dal conflitto sociale come movimento reale: altrettanto certo è che c’è una percezione diffusa che vede la pace sociale come imposta e subita, per quanto ancora non se ne agisca un ribaltamento o meglio non si producano e non si incontrino dispositivi adeguati ad agirlo generalmente.
Ma questo è il punto di limite da affrontare senza facili scorciatoie.
Il risultato delle presidenziali in Francia era atteso. La novità però è determinata dalla simultanea circostanza delle elezioni politiche in Grecia. Qui dove di fronte alla débacle dei due tradizionali poli del consenso, ci troviamo a notare da una parte, è vero, l’obiettivo successo di Syriza, ma anche l’aprirsi di uno scenario da vera e propria Weimar post moderna: percentuali balcanizzate, minacce di rottura della zona euro, e, impossibile non vederlo, 21 parlamentari assegnati ad una organizzazione, Chrisi Avgi, letteralmente neonazista, che al contrario dei movimenti europei dell’ultimo ventennio non media con la propria identità, anzi la esalta. Siamo di fronte ad una novità e allo stesso tempo prossimi all’imponderabile: ulteriori limitazioni della sovranità nazionale o l’inizio di una spirale di conflitto tra poteri costituiti? Autonomie sociali dispiegate o pulsioni autoritarie  in un contesto dove oltre il 50% dei funzionari di polizia sembra che abbia dato il proprio voto ai neonazisti?
Il risultato elettorale in Grecia non solo induce la fibrillazione dei mercati ma soprattutto produce una totale revisione delle prospettive di governance della crisi e nella crisi dell’eurozona. Il piano B, specialmente tedesco, cioè la rottura dell’unità monetaria è ormai alle porte non come eventualità ultima ma come possibile necessità urgente. La caratteristica fondamentale del risultato greco viene non a caso taciuta nel dibattito italiota: essa risiede non solo e non tanto nella nettezza di quella fotografia di rigetto della cattura del consenso fra le burocrazie politiche serve della Troijka, bensì nel fatto che la moltitudine ha spazzato via ogni possibilità di “soluzione politica”, ad un tempo con l’astensione di massa e con l’aver premiato ogni forza vincolata alla promessa di non fare compromessi con il memorandum imposto da BCE-UE- FMI, non casualmente con l’enorme prevalenza dell’unica formazione capace di farsi tollerare nelle piazze del movimento di rivolta sociale ossia SYRIZA. Alla faccia di chi predicava sulle “rovine fumanti” dello scenario greco per assumerle a stigma negativo rispetto al quale agitare le magnifiche sorti e progressive di una “alternativa”.
Questo risultato greco – che riflette proprio i 3 anni di rivolta sociale – è quello che fa saltare i conti degli osti dell’austerity in Europa e ne rimette in discussione l’architettura di potere per il prossimo futuro. Non sarebbe (stato) possibile se non, come (è stato) riflesso d’un esodo diffuso dall’opzione della governance che, tra i rigori della disperazione sociale, ha stabilito già un flusso di pratiche alternative in termini di resistenza materiale e di autorganizzazione sin sul piano economico. Questa lezione è quella, sola, che dovrebbe interpellare chi abbia un vero assillo sull’alternativa al capitale e alla sua crisi, e non ne faccia invece una parodia opportunista.
Ma qui siamo in Italia, bruscamente risvegliati dall’incantesimo berlusconiano e precipitati nella più profonda crisi politica ed economica dal dopoguerra, senza neanche uno scudocrociato o una falce e martello a cui aggrapparsi. Lo spauracchio necessario, altro che il coraggio cui si appella Monti, a far da collante per continuare a sottoscrivere una sottrazione dietro l’altra, di diritti, di garanzie, di futuro ma sempre con una paternalistica pacca sulla spalla.
Dall’altra parte la FAI informale – Fronte rivoluzionario internazione  che si erge a guida per ogni forma di dissenso, per chiunque voglia seriamente e senza mediazioni produrre uno spazio di conflitto e di superamento delle attuali condizioni di precarizzazione e sfruttamento. Non avremmo sentito l’esigenza di rivolgerci a chi agita queste pratiche cui non riconosciamo neanche la dignità politica che in altri contesti ha la “lotta armata”. Perché con nessuna lotta reale si confrontano, piuttosto preferendo sfruttare la facile visibilità mediatica fine a se stessa di un gesto con lo stesso coraggio e la stessa maturità di quello di bambini che infilzino una rana con gli spilli.
Ma ci sentiamo chiamati in causa in quanto determinatamente ed ostinatamente attivi nella costruzione di conflitto in questa società, come siamo, maledettamente impegnati ad organizzare la rabbia, quella “perdente” s’intende, quotidianamente presi con tanti altri e tante altre a rivendicare quei diritti – vecchi e nuovi poco importa – il cui impianto e ragionamento sostanziale viene oggi messo sotto accusa presso il tribunale anarchico informale perché contribuirebbe, a loro dire, “al rafforzamento della democrazia!”
Questa l’accusa di fondo contenuta nel manifesto/documento degli anarchici Informali che hanno rivendicato la gambizzazione del “tecnocrate” Adinolfi, dirigente di Ansaldo Nucleare, episodio più che noto la cui cronaca giudiziaria si moltiplica e si diffonde con un esercizio di stile orwelliano, in una permanente dittatura mediatica postmoderna in 3d. E’ così che il banale e contemporaneamente complesso sistema dei media mainstream si presta volentieri a far da sponda agli anarco/armati con un’attenzione mediatica ossessiva, quasi paranoica nella costruzione della notizia, nella capacità di farla divenire opinione pubblica, coscienza collettiva.
Un certosino lavoro di costruzione del consenso attraverso la mediatizzazione, come vera e propria mobilitazione sociale per la nuova scelta del capitale nell’accumulo delle sue plusvalenze  e per l’ormai improcrastinabile passaggio da uno Stato che cerca una forma di consenso ad uno che, in crisi di legittimità e di senso, non ha più remore nel mostrare il suo volto antidemocratico e neoautoritario. Nella società delle informazioni e dei segni ambigui dello spettacolo, anarchici informali e Stato autoritario si spalleggiano uno con l’altro con due opzioni che procedono per luce riflessa, uguale e contraria, determinando il rigido quadro politico che ad oggi si deposita di fronte a noi e che molti poteri forti vorrebbero così schiacciato esclusivamente tra due polarizzazioni: l’austerity e i tecnocrati da un lato e la lotta armata dall’altro. E quello che rimane dello specchio elettorale infranto è solo il controllo, l’esercito e l’intelligence. Come rimangono i tanti silenzi sulle morti sul lavoro che quotidianamente si ripetono in questi anni o i suicidi che via via si sommano uno all’altro per colpa della crisi e le politiche di austerity. Una pistola puntata contro un signore particolare vale e azzitisce tutte le pistole puntate contro le tempie dei tanti disperati, precari e precarizzati. Vogliamo politicamente dire la nostra, affermare l’autonomia e l’indipendenza dei movimenti e delle lotte sociali anche da chi pretende di condizionarli usando una pistola idealizzata e feticisticamente coccolata: “azione che si fa idea”, in una retorica più futurista che altro. Come affermato più volte, e non solo da noi, qui non si tratta di dissociarsi o meno perché mai associazione si è data, mai nessuna condivisione con chi svilisce come “cittadiniste” le battaglie sociali e le rivendicazioni che quotidianamente portiamo avanti.
Ed è proprio sul movimento,  in Italia, che vogliamo portare una riflessione, sulla sua inquietante assenza, sul silenzio in cui esplode il colpo sparato a Genova.
Si può dire che niente come il discorso sull’indipendenza sia stato avvalorato in questi tempi, sia nell’oggettività della crisi di sistema sia nell’esperienza più arricchente delle soggettività, quella esibita dalle più innovative traiettorie di movimento nel panorama globale dell’anno di rottura, il 2011.
Esattamente l’esperienza che è stata praticamente quasi assente qui in Italia. Infatti se non fosse stato per l’accumulazione e la potenza della mobilitazione No-Tav con quella determinata e moltitudinaria resistenza sociale che ha saputo dispiegare il protagonismo politico della lotta e dell’opposizione, il nostro paese sarebbe stato completamente assopito nella sua vita quotidiana e risvegliato magari solo con qualche sobbalzo episodicamente determinato, da un 14 dicembre ad un 15 ottobre. E questo è il dato sul quale occorre fondare un discorso di verità. Riaprendo una sfida, anzi la posta d’uno spazio generale di movimento indipendente, che parta anche dallo sconvolgimento di proposte nostrane ripetitive quanto distanti dal vento della rottura che spira globalmente, spalancando le porte a pratiche di esodo dai meccanismi di rappresentanza, che diano forma di discorso, costituente, all’espressione del desiderio compresso di rivolta.Una seria condivisione di quello slogan “non ci rappresenta nessuno” che echeggia da una parte all’altra del globo; possibile che l’unica alternativa, qui, stia in Grillo o sfogatoi vari? Sembra mancare la volontà di confrontarsi, mischiarsi, fare un passo indietro per produrne cento in avanti sul piano dell’alternativa, non solo al governo Monti ma alle scelte di sistema che sono state compiute e si compiranno nel prossimo periodo.
Certo non mancano focolai di dissenso, prese di parola determinate né le ancora scomposte mobilitazioni dentro e a partire da quel sociale tanto bistrattato, costretto a riscoprire i nessi di cooperazione e la capacità di organizzazione nella frammentazione e in un’informalità, questa sì, fuori da ogni logica predeterminata, struttura di rappresentanza o orticello identitario da difendere. Accanto e dentro a questo processo, che si pone già di fatto nella condizione di superare definitivamente la precarietà e lo sfruttamento, vogliamo stare. Perché le lotte contro precarietà e austerity sono oggi le lotte per la libertà e l’autodeterminazione: non un gesto estetico, ma il movimento reale.

Nodo redazionale indipendente

Al fianco della Rimaia di Barcellona

…ogni sgombero dovrà diventare una barricata!

Con rabbia apprendiamo la notizia che questa mattina, verso le sei, un cospicuo e ingente dispiegamento di mossos d’esquadra ha sgomberato
uno degli edifici emblematici del movimento catalano:

La Rimaia.

 

Uno spazio occupato e autogestito nato tre anni fa in un contesto di
piena fermentazione delle lotte universitarie contro la, ormai
vigente, riforma Bologna. Uno spazio nato non solo con l’idea di voler
lottare contro chi ha voluto ridurre l’accesso ai saperi ad una logica
mercantile volta più a valorizzare i profitti piuttosto che la libera
conoscenza, ma anche uno spazio che ha saputo essere punto di
accumulazione, di espressione, di riappropriazione dal basso e di
presa di parola da parte di chi non solo questa crisi non la vuole
pagare, ma si propone, piuttosto, di superare le condizioni di
precarizzazione e frammentazione sociale in atto sulle nostre vite.
Lo sgombero è avvenuto senza preavviso, in mancanza di ordine di
sgombero e, soprattutto, nonostante il caso fosse già stato
archiviato, nel lontano 2008, dalle autorità giudiziarie. Durato più
di 5 ore e concluso con 14 denunce e un fermo. Dovremmo dunque
definirlo, come stanno facendo i media mainstream nella democratica
Catalunya, come sgombero illegale? No, noi questa la definiamo
retorica. Il quid non risiede nel concetto d’illegalità. Noi che
barcolliamo nell’incertezza costante e che, costantemente, facciamo
acrobazie per riprenderci quello che è nostro siamo ampiamente
coscienti che l’illegalità è un fattore che impregna la vita, un’arma
a doppio taglio che a volte ci si ritorce contro, dipende da chi la
usa e da qunato è potente, tutto qua.

 

Piuttosto dovremmo pronunciare
il più ben appropriato concetto d’illegittimità. Ma, nuovamente,
anche l’illegittimità è un principio duale, dicotomico che dipende
dal punto di vista. Per noi è illegittimo chi specula sulle nostre
vite e chi, in questo forte contesto di crisi, continua proponendo,
come unica soluzione, l’ingestione di pillole neoliberiste. Per noi è illegittimo
chi sgombera spazi pensando di annientare visibili segni di una
volontà diffusa di invertire la rotta e sottrarsi ad una speculazione
costante.
Inoltre a nessuno deve sfuggire la vicinanza con le date di
mobilitazioni del 12 e 15M che, proprio, a partire dai quei territori,
hanno assunto un carattere di spazio pubblico di cooperazione
internazionale. La logica filo-governativa dei buoni e dei cattivi ha
oggi provato a ripetere lo schema di sempre, definendo pericolosi e
violenti antisistema chi di fronte all’evidenza della catastrofe
sperimenta forme di autorganizzazione sociale volte a ribaltare lo
schema esistente.  La prossimità delle date di mobilitazione con
l’illegittimo sgombero di oggi convalida che il moralismo che
caratterizza questo genere di situazioni nel dibattito dei media non
regge piú facendo del conflitto sociale l’unica posizione e opzione
possibile.

Di fronte a questa società in sfacelo, c’è chi si indigna, chi
denuncia e chi si autorganizza. Noi siamo dal lato di quelli che si
organizzano. Solidarietà a La Rimaia, mai un passo indietro!

Laboratorio Acrobax

 

Le nostre ragioni e quelle della legge. Riflessioni di un NoTav dal Carcere di Saluzzo

Di Giorgio Rossetto

Mi trovo rinchiuso in prigione da alcuni mesi per essermi opposto,
assieme a migliaia di altre persone, alla militarizzazione della Val
di Susa, la valle dove abito, e all’imposizione manu militari del
progetto tav. Avevo messo in conto la possibilità di un provvedimento
giudiziario, come molti altri che hanno partecipato alla lotta.
Talvolta le mobilitazioni sociali richiedono un impegno da parte dei
singoli che può pregiudicare la loro libertà (o mettere a rischio la
loro vita, come è accaduto a Luca che saluto); eppure sono convinto
che valga la pena affrontare queste conseguenze, perché non condivido
il dogma imperante secondo cui ciascuno deve sempre e soltanto  curare
il proprio interesse individuale.

Sto affrontando questo periodo di detenzione con serenità, nonostante
la direzione carceraria si stia prodigando affinchè la mia permanenza
qui sia la meno piacevole possibile. Dai primi di febbraio a Saluzzo
sono in un regime anomalo di isolamento, a causa della  denuncia mia e
di altri compagni, nel carcere delle Vallette, delle difficili
condizioni in cui si trovano i detenuti.  Nonostante la mia sia una
carcerazione cautelare e io sia quindi secondo il codice penale un
“indagato” lo stato impone a me e ad altri detenuti, anch’essi in
attesa di giudizio, questa condizione di fatto persecutoria.
Ulteriormente inasprita della censura per 6 mesi della mia posta.

Non è mia intenzione, tuttavia, descrivere la mia condizione come
eccezionale; al contrario, vorrei condividere alcune riflessioni su
ciò che di puramente procedurale c’è nella repressione del dissenso in
un sistema istituzionale come il nostro, prendendo in questione lo
stesso metro di giudizio che viene usato dai tribunali: la legge.

Il procuratore Caselli ha spiegato  i provvedimenti precisando che
obiettivo dell’operazione è stato isolare e colpire le condotte
illegali da altre, che non lo erano. Non mi dilungo sul “rigore”
intellettuale che lo ha portato a queste affermazioni: la condivisione
politica della resistenza delle giornate di giugno e luglio da parte
di tutto il movimento, è stata affermata allora, ribadita in occasione
dei nostri arresti, e praticata nei mesi passati durante le
mobilitazioni contro l’allargamento del cantiere.

Ciò che mi interessa discutere è l’idea che il dissenso sia legittimo
soltanto entro i confini della legalità, e non perché l’ha detto un
magistrato, ma perché sono consapevole non mancano coloro che sono
pronti a condividere questo presupposto.

E’ sotto gli occhi di tutti le maleodorante corruzione sistemica e la
naturale indignazione contro i suoi abusi, hanno condotto negli ultimi
anni all’equivoci secondo cui schierarsi contro l’oppressione equivale
a sbattersi per il rispetto delle leggi; mi sembra, del punto di vista
dei movimenti, un’idea piuttosto astratta, slegata dalla realtà e
totalmente subalterna allo “status quo” e ai rapporti di forza
dominanti. L’infrazione della legge da parte del potente non è analoga
a quella dell’oppresso; l’illegalità delle istituzioni, che violano i
principi giuridici da loro stesse sanciti, per regalare continuamente
appalti pubblici all’imprenditoria, non è equivalente a quella del
valligiano che resiste per difendere la sua terra da quelle stesse
imprenditorie (legali o illegali). Non si può giudicare astrattamente
un gesto,  quasi il contesto storico e politico fosse qualcosa che si
declina soltanto al passato, sui libri di scuola: ogni gesto
dev’essere compreso in relazione a un fine.  Forse la violenza usata
per impedire uno stupro ( di una persona come di un territorio) è
equivalente, dal punto di vista morale, a quella usata per
perpetuarlo? C’è chi ne è convinto: ad esempio Marco Travaglio, che
pure si è prodigato in più sedi per evidenziare l’irrazionalità e
l’illegalità del tav, ma che ha altrettanto volentieri difeso
l’operato di Caselli contro di noi, dicendo che se un magistrato
rileva ciò che tecnicamente è un reato, non può voltarsi dall’altra
parte.

Sarebbe facile fare dell’ironia su quanto e come vengono perseguiti i
reati della controparte (ditte appaltatrici e polizia; ma per questo
c’è già il movimento con le sue puntuali inchieste.

Più interessante è chiedersi dove saremmo ora se, in ogni epoca e in
ogni stagione storica, tutti avessero ragionato come Travaglio:
avrebbero dovuto i partigiani, ad esempio, cessare la resistenza,
essendo essa bandita  per legge? Avrebbero dovuto  gli ebrei  o i
palestinesi, accettare di buon grado la deportazione, visto che invece
essa era imposta per legge da istituzioni operanti sui loro territori?
Mi si dirà che non si può paragonare il Tav al nazifascismo o alla
Nakba, ed è vero: non è quello che sto facendo e non lo farei mai. Il
carcere di Saluzzo non è un lager e il fascismo come regime è tutta
un’altra storia. Ma si può paragonare la pochezza morale di chi
difende lo status quo in contesti tra loro diversi, se tale difesa
trova giustificazione nel principio, in se evidente e proprio perciò
così debole, che la legge è la legge. Questo principio si traduce: il
più forte ha sempre ragione. Non mi risulta nemmeno che Berlusconi sia
stato “cacciato” dalla tanto sbandierata legalità di Caselli e le
inchieste giudiziarie nelle varie procure si sono arenate sugli scogli
o hanno getta “l’ancora  nel porto delle nebbie”. Noi, in Valsusa non
possiamo lasciarci devastare dalla Tav, né attendere che ci venga data
ragione ex post, o che in un lontano futuro opere dannose siano
impedite dalla legge stessa. Allora nessuno ci ridarà la nostra
tranquillità, ne restituirà la valle ai nostri nipoti.

Non è affatto necessario avere Mussolini o Berlusconi come governanti
per  decidere di ribellarsi, anche se la foglia di fico
della”democrazia” fa sempre comodo ai tanti imprenditori che lucrano
in tempo di pace sociale, prontissimi a votarsi alla dittatura quando
la pace sociale finisce o sta per finire. In questo senso mi rivolgo a
tutti coloro che in questi anni hanno trovato un punto di riferimento
in Travaglio o Saviano: autori cioè che hanno impostato la loro
critica/carriera sul concetto di legalità, invitando a un
interrogativo: possono essere i carabinieri “nei secoli fedeli”, e la
magistratura gli agenti del cambiamento, in una qualsiasi società, e
tanto più nella nostra? In Valsusa gli agenti di polizia, più volte
messi dalla popolazione di fronte alle loro responsabilità si sono
limitati meccanicamente a rispondere: “eseguo gli ordini di servizio,
sono pagato per questo”. Lo stesso afferma ogni procuratore capo,
quando deve sbattere in cella chi porta vanti la propria battaglia per
la libertà e per il futuro della sua terra o, in generale, un’idea
incompatibile con l’ordinamento attuale. Il nostro pensiero deve saper
produrre qualcosa di più intelligente di un semplice: “un poliziotto è
un poliziotto, un giudice è un giudice”. Siamo uomini e donne: questo
non ci attribuisce soltanto valore, ma anzitutto responsabilità. Chi
sceglie di rappresentare un’istituzione ha il dovere di chiedersi che
cosa quell’istituzione incarni: corruzione, sfruttamento, privilegi,
volgarità, sopraffazione, disumanizzazione e devastazione, e riduzione
della natura, delle donne, degli uomini e dei bambini a semplici
merci, a numeri o grafici nelle carte della finanza e delle banche.

Non basta  questo per rifiutare, oltre all’occupazione militare, la
sua logica profonda? L’idea che nulla deve esistere oltre e al di
fuori di ciò che è previsto dalle regole stabilite? Io non mi limito a
dire: “un partigiano è un partigiano, un notav è un notav”; io
dico:”un partigiano è molto meglio di un fascista, un notav è meglio
di un poliziotto occupante”. Con tutto il rispetto che nutro per i
lupi, non li si può trasformare in agnelli.  Ho ragioni per
argomentarlo, non prendo ordini per sostenerlo e nessuno mi paga per
dirlo.

Le ragioni della legge valgono quel che valgono, e in ogni  epoca e ad
ogni latitudine esistono i filistei. Condividere le ragioni di chi ha
incarcerato significa piegarsi all’idea che il mondo non possa pensare
la resistenza a ciò che esiste o è stato deciso, né i soggetti possano
pensare la trasformazione in modo autonomo. Nonostante i nostri
avvocati siano pronti a mostrare quanto le nostre accuse siano
inconsistenti anche sotto il profilo della legge, vorrei che si
chiedesse quanto la legge è metro di giudizio adeguato di fronte alla
sollevazione di un popolo, di una classe o parte di esso. Come sempre
quando un “no” rifiuta di diventare un “si” o un “ni”, con noi il
tempo della democrazia è finito, è iniziato quello della
militarizzazione e delle manette. Forse la nostra battaglia servirà
anche a far comprendere che è assurdo anche soltanto pensare che il
dissenso sia qualcosa che si può delegare ai giudici o alle
istituzioni in genere; e spero che la nostra prigionia serva anche a
ricordare che le battaglie, da che mondo è mondo, si vincono o si
perdono in prima persona e non per delega. Il criterio per scegliere
da che parte stare lo determiniamo noi, in autonomia; noi che non
abbiamo scelto di essere ingranaggi di un meccanismo ma persone aperte
alla critica dell’ingranaggio stesso.

Nella resistenza popolare di massa in Valsusa, ma innanzitutto nella
capacità di essere proposta politico organizzativa nella metropoli
vive l’idea forza dell’Autonomia come motore di un agire diverso.

Ringrazio tutti e tutte per la campagna contro la censura che sta
inondando l’ufficio casellario con decine di lettere e cartoline che
arrivano quotidianamente da tutta l’Italia e persino dall’estero. Il
registro della censura è molto spesso, ma di questo passo lo
riempirete piuttosto in fretta.

Giorgio