Barcellona, 29M 2012: cronostoria della huelga general

La nostra narrazione dello sciopero sociale, precario, metropolitano!

 

Piu di 250000 secondo i media mean stream, 50000 secondo il corpo di polizia della guardia urbana. 82% di partecipazione allo sciopero secondo i sindacati, 22% secondo il governo. Come sempre, tutto dipende dal punto di vista.

Barcellona, 29M 2012, ore 00.00. Iniziano i picchetti organizzati dalla grande efficacia organizzativa e territoriale delle Assambleas de barrios. A mezzanotte e un minuto inizano a rimbombare per Barcellona suoni dei petardi accompagnati dal coro vaga, vaga, vaga general!

In pieno centro,  ci si ferma davanti a tutti i pub e ristoranti ancora aperti facendo presente che é l’ora di chiudere e di andare a casa a riposare perché domani sarà una grande giornata di lotta. Fra sorrisi delle cameriere e dei camerieri e facce imbronciate dei proprietari,  i pochi turisti presenti al coro di “turista terrorista”, vengono simpaticamente invitati a continuare a bere i loro fantastici cocktails colorati per strada. Ore 00.30, qualcheduno fa il furbetto.  Serranda chiusa, ma da fuori si sente musica pop a tutto volume. Si alza la serranda e…et voilà il locale continua a essere gremito di gente. Alla faccia attonita de los fiesteros gli si risponde con petardi dentro il locale e fialette fetide molto puzzolenti. Ed ecco che un fuggi fuggi generale attraversa la centrica Via Laietana. Pochi metri più su si intravede un bingo aperto. Bene, bene dice qualcuno. In questo caso, però, i gorilla alla porta fanno subito capire che non è aria. Si entra, altri petardi e altre fialette. Si prova a chiudere la serranda, rompendola. La notizia nella prima pagina della “La Vanguardia” della mattina seguente asserisce che un gruppo di antisistema ha assaltato il Bingo di Via Laietana rubando 2000 euro dalla casa. Magari fosse stato così…..

La passeggiata notturna si chiude in un locale/discoteca dove si sta celebrando una festa dal nome Ven a celebrar la huelga! (Vieni a festeggiare lo sciopero!!). Anche in questo caso però si capisce che non è possibile infliggere più di tanto. Tra una risata di nervosismo e l’altra e le camionette che iniziano a monitorare l’accaduto, si decide tornare a casa….seguirem demà! (continueremo domani!).

Barcellona, 29M 2012, ore 8.00. La declinazione dello sciopero generale a sciopero sociale si intravede già  nelle prime ore della mattina. Dai blocchi stradali alle entrate della città da parte di studenti  universitari, precari e soggettività varie in cerca di quel protagonismo tanto voluto e desiderato in una giornata come questa, si alzano elevate colonne di fumo. Lo stesso accade davanti le fabbriche del Poligono Industriale. Determinati  ed incisivi picchetti dei lavoratori riescono a chiudere completamente le fabbriche della SEAT, Ford e Coca-cola. In tutto il territorio nazionale lo sciopero del settore industriale ha  raggiunto circa il 90%, il quale, a sua volta, ha causato una diminuzione di richieste di energia elettrica del 20%.

Barcellona, 29M 2012, ore 10.00. La storia si ripete. Dai diversi quartieri, partono picchetti per arrivare al grande picchetto unitario (non convocato dai sindacati) nel barrio de Gracia delle ore 13.00. Dalla emblematica e storica Plaza Forat de la Vergonya  si parte in 20. Camminando per il centro il numero aumenta. I pochi piccoli negozi aperti si apprestano frettolosamente ad abbassare la serrande non appena intravedono la massa avanzare.

Questa mattina, però,  l’attacco è verso le grandi superfici. Stiamo vivendo uno sciopero che và oltre le vertenzialità lavorative. Uno sciopero sociale e metropolitano che trova la sua espressione anche in una Huelga de consumo, no compres, no vendas!  (sciopero del consumo, non comprare, non vendere!).  Con la complicità e gli occhiolini dei commessi e delle commesse vengono chiusi e lasciati completamente vuoti le grandi catene di supermercati  Dia, LIDL, Carrefour, Mercadona, Caprabo, Decathlon… riempiendo le entrate principali di adesivi e manifesti con su scritto: Tancat per Vaga General i Social (Chiuso per Sciopero Generale e Sociale). La Confederación Española de Comercio  ha calcolato che il bilancio è una perdita di circa 150 millioni di euro.

Arriva la notizia che durante il picchetto degli studenti universitari la polizia autonoma catalana (i Mossos d’esquadra) ha caricato duramente. 20 fermi, ed è solo l’inizio.  Altre cariche nei quartieri del Clot e Poble Nou. Bilancio delle prime ore della mattinata 6 arresti confermati, solo a Barcellona.

Barcellona, 29M 2012, ore 13.00. Il fiume di gente che arriva nel quartiere di Gracia è impressionante. Uno striscione riporta: Se va a acabar la paz social (sta per finiré la pace sociale), mentre altri ricordano a tutte e tutti che La Reforma Laboral genera sòlo màs Precariedad (La reforma del lavoro genera solo più precarietà) e che vogliamo una Educaciò i sanitat publica i de qualitat (Educazione e Sanità Pubblica e di Qualità). Stencil e adesivi  con su scritto: Ni Reforma Laboral, Ni Pacte Social (nè reforma del lavoro, nè patto sociale) invadono le vetrine di Zara, Luiss Vitton, HM, Cacharel, Benetton, Mango, Verskha, Levis, Desigual. Vetrine ignare del fatto che a distanza di poche ore saranno ben più sanzionate che da un “misero” attacchinaggio.

Nello sgomento generale si pensa a un Cual ès el Plan (Qual è il piano)?  Si ragiona sul fatto che entrare nelle stradine del Barrio de Gracia renderebbe ingestibile e pericoloso l’esito ottenuto. Approfittando della grande affluenza di gente si decide comunemente di andare direttamente verso la tana del lupo. Si inizia percorrendo una delle strade emblematiche del potere economico e finanziario della capitale catalana. Migliaia di persone scorrono lungo la via Diagonal…uh toh, la Deutche Bank prende fuoco. Uh, ma guarda anche la BBVA. Stessa sorte alle tante banche incontrate lungo il breve percorso Caixa Catalunya, Caja Mar, Caixa Tarragona, la sede del Banco Sabadell…..e a differenti siti istituzionali.

Ormai la tensione sta salendo e le sirene dei Mossos d’esquadra iniziano a farsi più vicine. Come spesso succede in terra catalana le camionette iniziano a caricare il corteo. Cassonetti  incendiati vengono utilizzati per fare barricate e impedire una loro veloce avanzata. Il corteo è però ormai già diviso in due, tre parti, mentre i Mossos continueranno per più di un’ora a fare caroselli e giri all’impazzata con l’intento di intimorire e arrestare qualcuno.

Tutte e tutti con facce che iniziano a far intravedere qualche vena di stanchezza mista alla felicità che un po’ di quel malessere e rabbia sociale sia venuto fuori , decidiamo di riposarci aspettando il picchetto convocato per le 16.30 dai sindacati di base CGT, CNT, IAC, COBAS, sempre a Gracia.

Gruppiscoli di persone invadono le panchine e i parchetti delle strade del centro di Barcellona mangiando panini rigorosamente comprati il giorno prima (oggi  si sciopera, non si deve comprare niente), mentre la città già tenta di recuperare la sua normalità con BCNeta (la corrispondente AMA) che prova a sgomberare e pulire le strade.

Barcellona, 29M 2012, ore 16.30. Di nuovo la stessa massa oceanica si riappropria delle strade. Questa volta però la composizione sociale è più variegata. Donne di tutte le età, mascherate con bigodini e vestaglia, danno vita alla Huelga de cuidado y trabajadoras domesticas (sciopero delle lavoratrici domestiche) reclamando la loro esistenza nella vita e nel lavoro. Pensionati, infermieri e infermiere vestite con camici bianchi e verdi, student*, professor*, lavoratori del così chiamato terzo settore animano  e danno vita al grande serpentone che scendendo per la via Pau Claris vuole raggiungere Plaza Catalunya. Contemporaneamente nella strada parallela si muove l’enorme corteo indetto dai sindacati confederali (CCOO, UGT e USOC). L’immagine è emblemática. A soli 100 metri di distanza, due mondi differenti, probabilmente l’uno che non si riconosce nell’altro, ma per noi va bene così. Come diciamo da molto tempo, non vogliamo essere contrapposti ad alcunché, vogliamo e chiediamo solo quello che ci spetta.

Nuovamente, il corteo prende colore, solo che, in questo caldo pomeriggio,  le banche e i negozi delle grandi corporation incendiati sono accompagnate dagli applausi di chi partecipa al corteo. Si arriva a Plaza Catalunya e lì, proprio lì, ci si avventa contro l’emblema del capitalismo spagnolo: El cortes Ingles. Centro commerciale la cui catena è riuscita ad arrivare anche nel più misero e sperduto pueblito della penisola Iberica.

Barricate e tafferugli durano fino a tarda sera. Un totale di più di 220 cassonetti bruciati, più di 50 banche. La durezza dell’atteggiamento dei Mossos d’esquadra si traduce con 44 arresti, 15 feriti in ospedale, 1 giovane ha perso un occhio, un altro la milza, un ferito disperso, sequestrato dai Mossos dentro una camionetta per più di un’ora, pestato e lasciato in condizioni pietose solo verso le 21 di sera solo per strada.

Barcellona, 30M 2012, ore 9.00 Nella metro di Barcellona una signora sta leggendo La Vanguardia che titola: “Gravi incidenti nella capitale catalana. Violenti antisistema assaltano banche”.

Timidamente mi avvicino e chiedo alla signora che pensa dell’articolo:”Nena, la cosa més violenta de tot será tornar a la normalitat” (La cosa più violenta di tutto sarà tornare alla normalità!).

 

11 Aprile – L’appello del Movimento NOTAV

da www.notav.info

 

Questo appello è rivolto a tutti gli uomini e donne che, in questi lunghi mesi di occupazione militare, in questi mesi di lotta e resistenza NoTav, si sono schierati al nostro fianco in ogni dove d’Italia.
Grazie a voi è stato chiaro a chi ha cuore e intelligenza che la lotta dei No Tav di quest’angolo di Piemonte è la lotta di tutti coloro che si battono contro lo sperpero di denaro pubblico a fini privatissimi, contro la devastazione del territorio, contro la definitiva trasformazione in merce delle nostre vite e delle nostre relazioni sociali.
Difendere la propria terra e la propria vita è difendere il futuro nostro e di tutti. Il futuro dei giovani condannati alla precarietà a vita, degli anziani cui è negata una vecchiaia dignitosa, di tutti quelli che pensano che il bene comune non è il profitto di pochi ma una migliore qualità della vita per ciascun uomo, donna, bambino e bambina. Qui e ovunque.
In ogni ospedale che chiude, in ogni scuola che va a pezzi, in ogni piccola stazione abbandonata, in ogni famiglia che perde la casa, in ogni fabbrica dove Monti regala ai padroni la libertà di licenziare chi lotta, ci sono le nostre ragioni.

Dopo la terribile giornata del 27 febbraio, quando uno di noi ha rischiato di morire per aver tentato di intralciare l’allargamento del fortino della Maddalena, il moltiplicarsi dei cortei, dei blocchi di strade, autostrade, porti e ferrovie, in decine e decine di grandi e piccole città italiane ci ha dato forza nella nostra resistenza sull’autostrada. 
In quell’occasione abbiamo capito che, nonostante le migliaia di uomini in armi, il governo e tutti i partiti Si Tav erano in difficoltà. Si sono aperte delle falle nella propaganda di criminalizzazione, si sono aperte possibilità di lotta accessibili a tutti ovunque.

Il 27 febbraio non si sono limitati a mettere a repentaglio la vita di uno dei noi, hanno occupato un altro pezzo di terra, l’hanno cintata con reti, jersey, filo spinato.

Il prossimo mercoledì 11 aprile vogliono che l’occupazione diventi legale. 
Quel giorno hanno convocato i proprietari per la procedura di occupazione “temporanea” dei terreni. Potranno entrare nel fortino fortificato come guerra solo uno alla volta: se qualcuno non si presenta procederanno comunque. L’importante è dare una patina di legalità all’imposizione violenta di una grande opera inutile. Da quel giorno le ditte potranno cominciare davvero i lavori.

I No Tav anche questa volta ci saranno. Saremo lì e saremo ovunque sia possibile inceppare la macchina dell’occupazione militare.

Facciamo appello perché quel giorno e per tutta la settimana, che promoviamo come settimana di lotta popolare No Tav, ci diate appoggio. Abbiamo bisogno che la rete di solidarietà spontanea che ci ha sostenuto in febbraio, diventi ancora più fitta e più forte.
Non vi chiediamo di venire qui, anche se tutti sono come sempre benvenuti, vi chiediamo di lottare nelle vostre città e paesi.
Vi chiediamo di diffondere la resistenza.

Il Movimento No Tav

Dispositivi x l’Indipendenza – la crisi economica nell’austerity!

 

La crisi economica nell’austerity: la grande trasformazione tra la crisi del processo della valorizzazione capitalistica, la nuova composizione sociale al lavoro e i dispositivi di comando e governance politica ed economica.

– Introduce Rafael Di Maio – Laboratorio Acrobax

– Andrea Fumagalli, Prof. Economia Politica all’università di Pavia

Siamo oggi di fronte ad una crisi epocale, definita dall’interno della governance europea e dello stesso establishment del gotha finanziario internazionale  come crisi sistemica. Crediamo che alla base di ciò che “giornalisticamente” definiamo “crack finanziario” ovvero del processo economico formale costituitosi negli USA a partire dal 2007/2008, vi siano elementi fondamentali e caratteristiche profonde che vanno indagate. Potremmo accontentarci infatti del corollario della narrazione che la governance politica europea produce, come interpretazione della crisi, anche attraverso un nuovo vocabolario tecnico-governamentale, come ad esempio lo spread  (tasso di differenza interno alla misura di un valore particolare – che però determina la direzione generale delle politiche economiche di Stati o interi mercati comunitari integrati come appunto la Comunità Europea).
Facendo tesoro della riflessione di Marazzi e della sua cogente analisi sulla crisi finanziaria relativamente al rapporto consustanziale tra economia e finanza, che potremmo definire quasi ontologico nell’odierno sistema di accumulazione finanziario, crediamo altresì che la crisi economica affondi le sue profonde radici dentro un senso, un nesso, specifico, interno ad un processo di disvelamento. Il divenire della crisi, complesso di  stratificazioni economiche, politiche e produttive, è per dirla con Braudel dentro un ciclo economico. Ve ne furono quattro: il ciclo genovese XV sec. quello olandese del XVII il ciclo inglese XVIII sec. e quello degli USA. Oggi l’ultimo è a chiusura di un percorso geo-stratecigo che lo ha visto effettivamente egemone negli ultimi due secoli e che volge inesorabilmente al termine. Siamo nel pieno di un processo di transizione, ad un salto di paradigma, caratterizzato anche da un’altra transizione quella del passaggio dall’economia industriale, al modello produttivo post-fordista.

Il nesso tra crisi e produzione, noi lo abbiamo rintracciato fondamentalmente nella crisi della misura del valore, nella crisi del processo di valorizzazione. Nella crisi della misurazione del lavoro e della produzione formale ovvero nella crisi tutta interna allo “sviluppo del capitalismo” mantenendo per dirla con il Panzieri delle “Lotte operaie e sviluppo del capitalismo” uno sguardo critico sulla visione progressista della storia e dello sviluppo del capitalismo.

Loa Acrobax
via della vasca navale, 6 [ponte Marconi]
www.acrobax.org
www.indipendenti.eu

Giovedi 29 marzo-ore 17
Dispositivi per l’indipendenza
presso il LOA Acrobax

Segue la versione integrale della griglia di discussione:

Siamo oggi di fronte ad una crisi epocale, definita dall’interno della
governance europea e dello stesso establishment del gotha finanziario
internazionale  come crisi sistemica. Crediamo che alla base di ciò
che “giornalisticamente” definiamo “crack finanziario” ovvero del
processo economico formale costituitosi negli USA a partire dal
2007/2008, vi siano elementi fondamentali e caratteristiche profonde
che vanno indagate. Potremmo accontentarci infatti del corollario
della narrazione che la governance politica europea produce, come
interpretazione della crisi, anche attraverso un nuovo vocabolario
tecnico-governamentale, come ad esempio lo spread  (tasso di
differenza interno alla misura di un valore particolare – che però
determina la direzione generale delle politiche economiche di Stati o
interi mercati comunitari integrati come appunto la Comunità Europea).
Facendo tesoro della riflessione di Marazzi e della sua cogente
analisi sulla crisi finanziaria relativamente al rapporto
consustanziale tra economia e finanza, che potremmo definire quasi
ontologico nell’odierno sistema di accumulazione finanziario, crediamo
altresì che la crisi economica affondi le sue profonde radici dentro
un senso, un nesso, specifico, interno ad un processo di disvelamento.
Il divenire della crisi, complesso di stratificazioni economiche,
politiche e produttive, è per dirla con Braudel dentro un ciclo
economico. Ve ne furono quattro: il ciclo genovese XV sec. quello
olandese del XVII il ciclo inglese XVIII sec. e quello degli USA. Oggi
l’ultimo è a chiusura di un percorso geo-stratecigo che lo ha visto
effettivamente egemone negli ultimi due secoli e che volge
inesorabilmente al termine. Siamo nel pieno di un processo di
transizione, ad un salto di paradigma, caratterizzato anche da
un’altra transizione quella del passaggio dall’economia industriale,
al modello produttivo post-fordista.

Il nesso tra crisi e produzione, noi lo abbiamo rintracciato
fondamentalmente nella crisi della misura del valore, nella crisi del
processo di valorizzazione. Nella crisi della misurazione del lavoro e
della produzione formale ovvero nella crisi tutta interna allo
“sviluppo del capitalismo” mantenendo per dirla con il Panzieri delle
“Lotte operaie e sviluppo del capitalismo” uno sguardo critico sulla
visione progressista della storia e dello sviluppo del capitalismo.

Quindi una crisi economica e finanziaria strutturale e sistemica,
dalla quale si pensa di poter uscire a seconda delle declinazioni
politiche o dei diversi interessi geo-strategici, attraverso strade o
canali differenti.

Oggi per dirla con Marazzi la finanza è parte integrante della nostra
vita quotidiana, è pervasiva a tutto il ciclo, e le fonti di
finanziarizzazione si sono moltiplicate in modo che le finanze sono
consustanziali alla produzione stessa dei beni e servizi. Questa
estensione delle “fonti di accumulazione del capitale finanziario,
vanno tenute presente per comprendere le trasformazioni del modello di
sviluppo/crisi post-fordista.

Il peso del debito privato spostato sul debito pubblico (in realtà
comprato dalle banche estere, come nel nostro caso, le banche
francesi, che detengono più del 40% del nostro debito sovrano) in
virtù della nuova crisi che stiamo conoscendo, impone agli stati come
gli USA o alla governance della comunità europea diretta dalla
cosidetta Troika – i cui destini peraltro sono incrociati e uniti sin
dal “patto atlantico” – d’individuare le possibili vie di uscita dalla
crisi, stagnazione e bassa crescita. Oggi come oggi, sostanzialmente
abbiamo due modelli sempre più divaricati tra loro che per
semplificazione potremmo etichettare con la Germania della Merkel da
un lato e gli USA di Obama dall’altro. A partire dall’approfondimento
di questi due modelli di crescita e gestione delle risorse pubbliche
vorremmo ampliare la visuale sulla crisi e sulle strade che vengono
indicate come possibili indicazioni anticicliche di uscita dalla crisi
verso una nuova ripresa economica. Vorremmo capire quali sono i punti
di reale differenza tra i due modelli di politica economica che
sinteticamente rintracciamo tra quello della Germania improntato
all’austerity e alla salvaguardia dei conti pubblici a discapito degli
investimenti sulle risorse dedicate alle politiche di welfare, e che
prevalentemente usa alcuni indicatori economici come rigida guida
quasi religiosa per impostare il governo della società e del suo stare
in comune. E quello degli USA che dall’apparizione di Obama ha
invertito le dinamiche fondative del sistema neoliberista, imposto a
se e al mondo sotto la sua influenza anche con la forza e con
l’ausilio di dittature militari come nel sud America negli anni 70 e
80, e che oggi ha decisamente cambiato la rotta delle politiche
economiche a partire dall’utilizzo delle risorse pubbliche e di un
diverso approccio ai parametri come il deficit o lo spread, dando tale
centralità al ruolo dello Stato nell’economia da far ipotizzare un
nuovo impianto keynesiano per la crescita e lo sviluppo capitalista.

Un terzo modello a cui dedicare un ulteriore momento di
approfondimento è il caso dei cosidetti paesi emergenti, i BRIC che
stanno attraversando il corso della crisi fuori da questo binomio a
partire da tutt’altro contesto e che però stanno conoscendo un livello
di crescita esponenziale e di sviluppo complesso tale da
ri-significare lo stesso concetto di crisi globale, a testimonianza
che non si tratta evidentemente, dal crack della Leman Brother in
avanti, della fine del mondo, ma della decadenza di una parte ben
precisa del mondo.  Un altro tema sul quale vorremmo concentrare le
nostre analisi e riflessioni riguardo il contesto economico e sociale
che si respira e si tocca con mano nel nostro paese, a partire dalle
ripercussioni sul MdL come effetto materiale della crisi finanziaria e
della sua ricaduta sul tessuto produttivo e lavorativo – e anche
dell’effetto delle politiche adottate dal governo Monti per seguire le
strade di exit strategy dalla crisi a partire dalla Riforma del MdL tutte peraltro concordate con la UE – sono le liberalizzazioni di alcuni settori
produttivi e le proteste che si stanno susseguendo per contrastarle.
Dopo l’assordante e inaspettato silenzio sulla riforma delle pensioni
a partire dal blocco sociale pensionandi di riferimento (classe
52/53/54) peraltro ampliamente sindacalizzato che si è fatto carico
del costo sociale della riforma delle pensioni, il paese sta facendo i
conti nelle scorse settimane con la caparbia e dura protesta di
alcuni soggetti produttivi ben precisi che sul tema delle
liberalizzazioni stanno costituendo una protesta sociale forte e
decisa – dal movimento dei forconi alla lotta degli autotrasportatori
– sulla quale vorremmo interrogarci a partire da due piani di analisi
inizialmente distinti, due ordini del discorso, paralleli ma
complementari:

Uno riguarda la struttura produttiva: Sergio Bologna per primo aveva
individuato all’interno delle trasformazioni produttive che hanno
costituito il processo di ristrutturazione e trasformazione nel
passaggio di fase dalla grande industria fordista all’economia
post-fordista dei servizi e della conoscenza, proprio nel settore del
trasporto e della logistica, un ambito produttivo centrale,
strategico. In primis come settore privilegiato nella specifica
creazione di valore – centrale nell’economia postfordista – dove la
valorizzazione capitalistica passa dalla produzione materiale delle
merci alla valorizzazione della loro distribuzione e circolazione. E
però il carico di valore aggiunto nei profitti della grande
distribuzione è stato possibile per la nuova organizzazione del lavoro
che ne è conseguita. La riorganizzazione della molecolare struttura
delle sub-forniture ri-articolate dentro le trasformazione della
composizione sociale a lavoro – nei processi di esternalizzazione che
tra gli anni 80 e 90 hanno dato il via al cosi detto esercito delle
Partite IVA – è un tema che vorremmo analizzare oggi alla luce di un
dato sociale nuovo, al netto quindi dell’analisi generale sullo stato
dell’arte dell’economia globale e finanziaria, gettando lo sguardo sul
corpo sociale coinvolto, che porta con sé alcuni elementi di
innovazione e trasformazione radicale anche dell’apparente
rovesciamento del rapporto capitale/lavoro che si delinea nella classe
dei cosi detti padroncini, ovvero delle partite IVA. Su questo blocco
sociale di riferimento a cui sempre per primo Sergio Bologna con
Andrea Fumagalli avevano dedicato la propria analisi relativamente al
lavoro autonomo di seconda generazione, l’importanza appare quindi più
che evidente di dover ancora scandagliare e analizzare in profondità
la vicenda ampliamente annunciata ed intuita della nuova composizione
sociale al lavoro, in questo caso anche in rivolta. E su questo piano
se volete più politico vorremmo dedicare l’attenzione del secondo
elemento complementare alla comprensione dell’attuale fase, ovvero
concentrare il nostro focus sulla composizione sociale del primo
grande blocco dei flussi nella produzione postfordista o anche sul
primo grande sciopero selvaggio del lavoro indipendente nella crisi.
Vorremmo capire se e quanto può essere considerata una protesta
dettata più da esigenze specifiche o corporative o quanto invece
questo non sia altro che l’inizio per una nuova ricomposizione di
classe – delle nuove classi, o della nuova stratificazione di classe –
che potrebbe portare ad una nuova definizione della rappresentanza
sindacale di interessi produttivi emergenti ma anche alla radicale
messa in discussione dell’intera forma dell’organizzazione del lavoro
e della distribuzione della ricchezza sul territorio.

 

Bibliografia di riferimento:

 

Mediterraneo – F. Braudel Einaudi

Lotte operaie e sviluppo capitalistico – R. Panzieri Einaudi

La violenza del capitalismo finanziario – C. Marazzi Ombre corte

Il lavoro di Dioniso – M. Hardt e A. Negri Manifesto Libri

Il lavoro autonomo di II° generazione – S. Bologna e A. Fumagalli Feltrinelli

 

Testi consigliati:

 

Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II – F. Braudel Einaudi

La grande trasformazione – K. Polany Einaudi

Comune – M. Hardt e A. Negri Rizzoli

Il comunismo del capitale – C. Marazzi Ombre corte

Ceti medi senza futuro – S. Bologna Derive e approdi

Oltre lo stato assistenziale – Per un nuovo patto tra generazioni – G.
Esping-Andersen Einaudi

I fondamentali sociali delle economie postindustriali – G.
Esping-Andersen Einaudi

L’immateriale – A. Gorz – Bollati Boringhieri

Dispositivi per l’Indipendenza: La crisi economica nell’austerity

La crisi economica nell’austerity: la grande trasformazione tra la crisi del processo della valorizzazione capitalistica, la nuova composizione sociale al lavoro e i dispositivi di comando e governance politica ed economica.

 

 

– Introduce Rafael Di Maio – Laboratorio Acrobax

– Andrea Fumagalli, Prof. Economia Politica all’università di Pavia

Siamo oggi di fronte ad una crisi epocale, definita dall’interno della governance europea e dello stesso establishment del gotha finanziario internazionale  come crisi sistemica. Crediamo che alla base di ciò
che “giornalisticamente” definiamo “crack finanziario” ovvero del processo economico formale costituitosi negli USA a partire dal 2007/2008, vi siano elementi fondamentali e caratteristiche profonde che vanno indagate. Potremmo accontentarci infatti del corollario della narrazione che la governance politica europea produce, come
interpretazione della crisi, anche attraverso un nuovo vocabolario tecnico-governamentale, come ad esempio lo spread  (tasso di differenza interno alla misura di un valore particolare – che però determina la direzione generale delle politiche economiche di Stati o interi mercati comunitari integrati come appunto la Comunità Europea).
Facendo tesoro della riflessione di Marazzi e della sua cogente analisi sulla crisi finanziaria relativamente al rapporto consustanziale tra economia e finanza, che potremmo definire quasi ontologico nell’odierno sistema di accumulazione finanziario, crediamo altresì che la crisi economica affondi le sue profonde radici dentro un senso, un nesso, specifico, interno ad un processo di disvelamento.
Il divenire della crisi, complesso di stratificazioni economiche, politiche e produttive, è per dirla con Braudel dentro un ciclo economico. Ve ne furono quattro: il ciclo genovese XV sec. quello olandese del XVII il ciclo inglese XVIII sec. e quello degli USA.
Oggi l’ultimo è a chiusura di un percorso geo-stratecigo che lo ha visto effettivamente egemone negli ultimi due secoli e che volge inesorabilmente al termine. Siamo nel pieno di un processo di transizione, ad un salto di paradigma, caratterizzato anche da un’altra transizione quella del passaggio dall’economia industriale, al modello produttivo post-fordista.

Il nesso tra crisi e produzione, noi lo abbiamo rintracciato fondamentalmente nella crisi della misura del valore, nella crisi del processo di valorizzazione. Nella crisi della misurazione del lavoro e della produzione formale ovvero nella crisi tutta interna allo “sviluppo del capitalismo” mantenendo per dirla con il Panzieri delle “Lotte operaie e sviluppo del capitalismo” uno sguardo critico sulla visione progressista della storia e dello sviluppo del capitalismo.

Loa Acrobax
via della vasca navale, 6 [ponte Marconi]
www.acrobax.org
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Giovedi 29 marzo-ore 17
Dispositivi per l’indipendenza
presso il LOA Acrobax

Segue la versione integrale della griglia di discussione:

Siamo oggi di fronte ad una crisi epocale, definita dall’interno della
governance europea e dello stesso establishment del gotha finanziario
internazionale  come crisi sistemica. Crediamo che alla base di ciò
che “giornalisticamente” definiamo “crack finanziario” ovvero del
processo economico formale costituitosi negli USA a partire dal
2007/2008, vi siano elementi fondamentali e caratteristiche profonde
che vanno indagate. Potremmo accontentarci infatti del corollario
della narrazione che la governance politica europea produce, come
interpretazione della crisi, anche attraverso un nuovo vocabolario
tecnico-governamentale, come ad esempio lo spread  (tasso di
differenza interno alla misura di un valore particolare – che però
determina la direzione generale delle politiche economiche di Stati o
interi mercati comunitari integrati come appunto la Comunità Europea).
Facendo tesoro della riflessione di Marazzi e della sua cogente
analisi sulla crisi finanziaria relativamente al rapporto
consustanziale tra economia e finanza, che potremmo definire quasi
ontologico nell’odierno sistema di accumulazione finanziario, crediamo
altresì che la crisi economica affondi le sue profonde radici dentro
un senso, un nesso, specifico, interno ad un processo di disvelamento.
Il divenire della crisi, complesso di stratificazioni economiche,
politiche e produttive, è per dirla con Braudel dentro un ciclo
economico. Ve ne furono quattro: il ciclo genovese XV sec. quello
olandese del XVII il ciclo inglese XVIII sec. e quello degli USA. Oggi
l’ultimo è a chiusura di un percorso geo-stratecigo che lo ha visto
effettivamente egemone negli ultimi due secoli e che volge
inesorabilmente al termine. Siamo nel pieno di un processo di
transizione, ad un salto di paradigma, caratterizzato anche da
un’altra transizione quella del passaggio dall’economia industriale,
al modello produttivo post-fordista.

Il nesso tra crisi e produzione, noi lo abbiamo rintracciato
fondamentalmente nella crisi della misura del valore, nella crisi del
processo di valorizzazione. Nella crisi della misurazione del lavoro e
della produzione formale ovvero nella crisi tutta interna allo
“sviluppo del capitalismo” mantenendo per dirla con il Panzieri delle
“Lotte operaie e sviluppo del capitalismo” uno sguardo critico sulla
visione progressista della storia e dello sviluppo del capitalismo.

Quindi una crisi economica e finanziaria strutturale e sistemica,
dalla quale si pensa di poter uscire a seconda delle declinazioni
politiche o dei diversi interessi geo-strategici, attraverso strade o
canali differenti.

Gli obiettivi dei seminari:

Oggi per dirla con Marazzi la finanza è parte integrante della nostra
vita quotidiana, è pervasiva a tutto il ciclo, e le fonti di
finanziarizzazione si sono moltiplicate in modo che le finanze sono
consustanziali alla produzione stessa dei beni e servizi. Questa
estensione delle “fonti di accumulazione del capitale finanziario,
vanno tenute presente per comprendere le trasformazioni del modello di
sviluppo/crisi post-fordista.

Il peso del debito privato spostato sul debito pubblico (in realtà
comprato dalle banche estere, come nel nostro caso, le banche
francesi, che detengono più del 40% del nostro debito sovrano) in
virtù della nuova crisi che stiamo conoscendo, impone agli stati come
gli USA o alla governance della comunità europea diretta dalla
cosidetta Troika – i cui destini peraltro sono incrociati e uniti sin
dal “patto atlantico” – d’individuare le possibili vie di uscita dalla
crisi, stagnazione e bassa crescita. Oggi come oggi, sostanzialmente
abbiamo due modelli sempre più divaricati tra loro che per
semplificazione potremmo etichettare con la Germania della Merkel da
un lato e gli USA di Obama dall’altro. A partire dall’approfondimento
di questi due modelli di crescita e gestione delle risorse pubbliche
vorremmo ampliare la visuale sulla crisi e sulle strade che vengono
indicate come possibili indicazioni anticicliche di uscita dalla crisi
verso una nuova ripresa economica. Vorremmo capire quali sono i punti
di reale differenza tra i due modelli di politica economica che
sinteticamente rintracciamo tra quello della Germania improntato
all’austerity e alla salvaguardia dei conti pubblici a discapito degli
investimenti sulle risorse dedicate alle politiche di welfare, e che
prevalentemente usa alcuni indicatori economici come rigida guida
quasi religiosa per impostare il governo della società e del suo stare
in comune. E quello degli USA che dall’apparizione di Obama ha
invertito le dinamiche fondative del sistema neoliberista, imposto a
se e al mondo sotto la sua influenza anche con la forza e con
l’ausilio di dittature militari come nel sud America negli anni 70 e
80, e che oggi ha decisamente cambiato la rotta delle politiche
economiche a partire dall’utilizzo delle risorse pubbliche e di un
diverso approccio ai parametri come il deficit o lo spread, dando tale
centralità al ruolo dello Stato nell’economia da far ipotizzare un
nuovo impianto keynesiano per la crescita e lo sviluppo capitalista.

Un terzo modello a cui dedicare un ulteriore momento di
approfondimento è il caso dei cosidetti paesi emergenti, i BRIC che
stanno attraversando il corso della crisi fuori da questo binomio a
partire da tutt’altro contesto e che però stanno conoscendo un livello
di crescita esponenziale e di sviluppo complesso tale da
ri-significare lo stesso concetto di crisi globale, a testimonianza
che non si tratta evidentemente, dal crack della Leman Brother in
avanti, della fine del mondo, ma della decadenza di una parte ben
precisa del mondo.  Un altro tema sul quale vorremmo concentrare le
nostre analisi e riflessioni riguardo il contesto economico e sociale
che si respira e si tocca con mano nel nostro paese, a partire dalle
ripercussioni sul MdL come effetto materiale della crisi finanziaria e
della sua ricaduta sul tessuto produttivo e lavorativo – e anche
dell’effetto delle politiche adottate dal governo Monti per seguire le
strade di exit strategy dalla crisi, tutte peraltro concordate
concordate con la UE – sono le liberalizzazioni di alcuni settori
produttivi e le proteste che si stanno susseguendo per contrastarle.
Dopo l’assordante e inaspettato silenzio sulla riforma delle pensioni
a partire dal blocco sociale pensionandi di riferimento (classe
52/53/54) peraltro ampliamente sindacalizzato che si è fatto carico
del costo sociale della riforma delle pensioni, il paese sta facendo i
conti proprio in queste settimane con la caparbia e dura protesta di
alcuni soggetti produttivi ben precisi che sul tema delle
liberalizzazioni stanno costituendo una protesta sociale forte e
decisa – dal movimento dei forconi alla lotta degli autotrasportatori
– sulla quale vorremmo interrogarci a partire da due piani di analisi
inizialmente distinti, due ordini del discorso, paralleli ma
complementari:

Uno riguarda la struttura produttiva: Sergio Bologna per primo aveva
individuato all’interno delle trasformazioni produttive che hanno
costituito il processo di ristrutturazione e trasformazione nel
passaggio di fase dalla grande industria fordista all’economia
post-fordista dei servizi e della conoscenza, proprio nel settore del
trasporto e della logistica, un ambito produttivo centrale,
strategico. In primis come settore privilegiato nella specifica
creazione di valore – centrale nell’economia postfordista – dove la
valorizzazione capitalistica passa dalla produzione materiale delle
merci alla valorizzazione della loro distribuzione e circolazione. E
però il carico di valore aggiunto nei profitti della grande
distribuzione è stato possibile per la nuova organizzazione del lavoro
che ne è conseguita. La riorganizzazione della molecolare struttura
delle sub-forniture ri-articolate dentro le trasformazione della
composizione sociale a lavoro – nei processi di esternalizzazione che
tra gli anni 80 e 90 hanno dato il via al cosi detto esercito delle
Partite IVA – è un tema che vorremmo analizzare oggi alla luce di un
dato sociale nuovo, al netto quindi dell’analisi generale sullo stato
dell’arte dell’economia globale e finanziaria, gettando lo sguardo sul
corpo sociale coinvolto, che porta con sé alcuni elementi di
innovazione e trasformazione radicale anche dell’apparente
rovesciamento del rapporto capitale/lavoro che si delinea nella classe
dei cosi detti padroncini, ovvero delle partite IVA. Su questo blocco
sociale di riferimento a cui sempre per primo Sergio Bologna con
Andrea Fumagalli avevano dedicato la propria analisi relativamente al
lavoro autonomo di seconda generazione, l’importanza appare quindi più
che evidente di dover ancora scandagliare e analizzare in profondità
la vicenda ampliamente annunciata ed intuita della nuova composizione
sociale al lavoro, in questo caso anche in rivolta. E su questo piano
se volete più politivo vorremmo dedicare l’attenzione del secondo
elemento complementare alla comprensione dell’attuale fase, ovvero
concentrare il nostro focus sulla composizione sociale del primo
grande blocco dei flussi nella produzione postfordista o anche sul
primo grande sciopero selvaggio del lavoro indipendente nella crisi.
Vorremmo capire se e quanto può essere considerata una protesta
dettata più da esigenze specifiche o corporative o quanto invece
questo non sia altro che l’inizio per una nuova ricomposizione di
classe – delle nuove classi, o della nuova stratificazione di classe –
che potrebbe portare ad una nuova definizione della rappresentanza
sindacale di interessi produttivi emergenti ma anche alla radicale
messa in discussione dell’intera forma dell’organizzazione del lavoro
e della distribuzione della ricchezza sul territorio.

 

Bibliografia di riferimento:

 

Mediterraneo – F. Braudel Einaudi

Lotte operaie e sviluppo capitalistico – R. Panzieri Einaudi

La violenza del capitalismo finanziario – C. Marazzi Ombre corte

Il lavoro di Dioniso – M. Hardt e A. Negri Manifesto Libri

Il lavoro autonomo di II° generazione – S. Bologna e A. Fumagalli Feltrinelli

 

Testi consigliati:

 

Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II – F. Braudel Einaudi

La grande trasformazione – K. Polany Einaudi

Comune – M. Hardt e A. Negri Rizzoli

Il comunismo del capitale – C. Marazzi Ombre corte

Ceti medi senza futuro – S. Bologna Derive e approdi

Oltre lo stato assistenziale – Per un nuovo patto tra generazioni – G.
Esping-Andersen Einaudi

I fondamentali sociali delle economie postindustriali – G.
Esping-Andersen Einaudi

L’immateriale – A. Gorz – Bollati Boringhieri

Libertà per Giorgio e tutti i Notav

Una battaglia di resistenza, una battaglia di dignità. Oggi a Saluzzo, dove da ormai due mesi è detenuto Girogio Rossetto, uno dei no tav arrestati il 26 gennaio scorso i parlamentari Gianni Vattimo insieme ai consiglieri regionali Eleonora Artesio e Fabrizio Biolè hanno tenuto una conferenza stampa di denuncia rispetto alle gravi condizioni di detenzione e vita nel carcere della medesima cittadina. Giorgio insieme ad altri 12 detenuti è recluso in uno speciale braccio di isolamento costruito per l’applicazione del famoso articolo 41bis riservato ai mafiosi. La direzione ammette la situazione ma con la mera scusa del sovraffolamento usata ormai come acquasantiera per tutti i mali del carcere italiano, rinchiude in queste topaie ragazzi per lo più in attesa di giudizio, con tutti i diritti della presunzione di innocenza ma con
gli oneri dei mafiosi pluricondannati. Una battaglia di  dignità quella di Giorgio e del movimento no tav, che oggi si trova a raccontare e a vivere quello che tutti tacciono o peggio raccontano solo in occasione dell’ennesimo episodio di suicidio o pestaggio che riempie da troppo tempo il palinsesto dei tg. Prima della conferenza stampa i parlamentari hanno voluto fare l’ennesimo sopralluogo e poter così descrivere a tutti la situazione più volte denunciata da Giorgio con gli altri ragazzi nelle sue lettere e nei colloqui con i legali. Ne emerge una situazione gravissima che ha portato i deputati a richiede una immediata e rigorosa ispezione da parte del ministero competente, quello di grazia e
giustiza, sempre pronto in passato a riempire i tribunali italiani di ispettori quando l’imputato era il famoso cavaliere e che oggi vediamo latitare in maniera
neanche troppo disinteressata sulla questione no tav e anzi protagonista quando l’appoggio è richiesto dal procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli. A
seguire poi negli interventi Alberto Perino e Lele Rizzo per il movimento no tav. Con loro il discorso si è sviluppato sul tema specifico dell’alta velocità con Alberto che ha ricordato a tutti come con una manovra degna delle peggiori oligarchie i governi abbiano recuperato i 168 milioni di euro destinati al tunnel geognostico di Chiomonte contro il quale Giorgio e gli altri no tav si sono spesi e per la quale opposizione sono accusati. Soldi recuperati con una delibera cipe dai fondi fas destinati e vincolati all’edilizia scolastica e ironia della sorte ma neanche troppo all’edilizia carceraria. In chiusura Lele che ha ricordato come il movimento non si sia tirato indietro neanche in questa situazione, tutti i no tav detenuti hanno da subito lottato per denunciare la situazione carceraria di detenzione loro e di tutti i detenuti che hanno incontrato. Una battaglia di resistenza a Chiomonte ma anche una battaglia civile di dignità, per tutti e tutte.

da www.notav.info

in streaming da www.infoaut.org

#Stati Generali della Precarietà a Napoli

NAPOLI 17 – 18 MARZO

QUARTA EDIZIONE DEGLI STATI GENERALIDELLA PRECARIETA’

C.S.O.AOfficina 99 – via Carlo di Tocco – Gianturco – Napoli

Mentre a Roma si giocal’enorme partita della riforma del mercato del lavoro che vede tra i grandiesclusi i precar@ la Rete degli StatiGenerali della Precarietà torna a incontrarsi a Napoli per una serrata duegiorni di workshop e dibattiti che non possono che avere la precarietà cometema centrale.

Non certo la precarietà come strano animale daanalizzare, o la precarietà comeparola di moda con la quale infarcire astratti ragionamenti o vuote propostepolitico-sindacali, bensì la precarietàcome elemento caratterizzante delle vite di milioni di persone a partire dacoloro che animano gli Stati Generali della Precarietà e da chi le lotte le stafacendo portando alla due giorni le loro esperienze, la precarietà conosciuta nelle decine e decine di interventi neiluoghi di lavoro precario, la precarietà vissuta da coloro che sirivolgono ai Punti San Precario per agire legalmente contro i precarizzatori. E’ il Punto di Vista Precario

Per chi si muove nella precarietà, come la Rete degli SgP,è inevitabile respingere al mittente il pacco Fornero-Monti come scritto nellalettera aperta al governo e consegnata al Ministro Fornero dalle donne precariedi Roma. Gli SgP non possono che portare il punto di vista precario dichi non è rappresentato nei tavoli di consultazione, tra una politica che limortifica e un sindacato che non li conosce. I precar@ non hanno scelto la lorocondizione, ma sono il motore dell’economia e le prime vittime della sua crisie gli Stati Generali della Precarietà, non possono che portare il Punto diVista Precario di chi non è rappresentato nei tavoli di consultazione, trauna politica che li mortifica e un sindacato che non li conosce.

Nella due giorni napoletanasi continuerà il percorso nazionale iniziato nell’ottobre del 2010 a Milano contre workshop: Reddito, Punti San Precario, Comunicazione e un’assembleaplenaria finale nella giornata di domenica.

Reddito – laposizione degli SgP è chiara: reddito di base incondizionato. Al di sotto di un certo livello di reddito questo deve esseregarantito calcolandolo annualmente in base alla soglia di povertà relativa. Ilreddito di base come unico strumento contro il ricatto e per agevolare la libera scelta dellavoro. Salari minimi per legge. http://quaderni.sanprecario.info/media/San_Precario_Quaderno_1.pdf

Punti San Precario – un blob di cospirazione precaria che si sta diffondendo in moltecittà italiane. Più di uno sportello sindacale, più di uno sportello legale.Oltre il sindacato. Vere agenzie di conflitto e cospirazione precaria.

Comunicazione– strumento di contaminazione indispensabile per far passare i nostri contenutie condividere azioni, pensieri, sogni, lotte, immaginari.

CalendarioLavori

Sabato 17 – ore 11.30 inizio lavori prima dell’inizio dei  work shop ci sarà una introduzione alla due ggin plenaria – 13.30 pranzo – 15.00 ripresa lavori

Domenica 18 – ore 10.30 inizio lavori (plenaria) – 15.00 chiusura + pranzo

Ufficio Stampa: Paola Gasparoli 333 5446280

#Occupy Welfare >>> venerdì 16 marzo >>>

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#Occupy Welfare  >>> venerdì  16 marzo >>> Via Veneto, 56 dalle ore 16

Mayday! Mayday! Entro il 23 marzo il governo tecno/autoritario ha intenzione di approvare la Riforma del mercato del lavoro! Dopo quella sulle pensioni (parola che ora sparirà dalvocabolario!), anche i diritti sul lavoro già calpestati dagli ultimi 15 anni di politiche di flessibilizzazione realizzate in maniera bipartisan si apprestano ad essere cancellati senza colpo ferire.

Sindacati e forze politiche non ci rappresentano e certo non ci difenderanno dal default dei diritti. Tra “paccate” di soldi – che sono briciole! – sorrisi e mediazioni, gli incontri con il governo vengono definiti da CGIL, CISL e UIL “utili e costruttivi”. Per chi?

Cominciano a prendere corpo le proposte innovative del “paccoFornero”: il contratto dominante ovvero il solito apprendistato che piace tanto ai sindacati per i contributi a pioggia  sulla formazione professionale e alle imprese per la drastica riduzione dei salari. L’ ASPI (acronimo per Assicurazione Sociale per l’Impiego) che sostituisce le parziali indennità di disoccupazione e mobilità senza estenderne veramente la copertura a tutta la platea reale di beneficiari. Per chiudere, la ciliegina sulla torta, la flessibilità in uscita che suona veramente macabra di fronte alle centinaia di migliaia di posti di lavoro che si stanno perdendo nell’attualefase di crisi.

Con la lettera aperta al governo sul punto di vista precario, l’8 marzo è cominciata la campagna #occupywelfare: precarie e precari, con la complicità di San Precario, hanno occupato il ministero del lavoro riuscendo ad incontrare la Fornero. Da lì in poi per tutti i venerdì del mese di marzo scegliamo di continuare a portare il punto di vista precario sotto le finestre del ministero del lavoro.

Le parole della ministra, clandestinamente documentate attraverso il nostro materiale video durante l’incontro con le precarie, non ci accontentano! anzi si sommano alle offensive banalizzazioni che abbiamo sentito dal governo negli ultimi mesi: a chi chiede nuovi diritti e una vera redistribuzione della ricchezza  attraverso il reddito di base e incondizionato non si può rispondere con la solita demagogia dei sacrifici per tutti. Sappiamo che la crisi non è uguale per tutti, ne tantomeno un dispositivo neutro.

 

Cara Fornero la tua riforma sembra sempre più una dieta meditteranea di diritti per i precari e le precarie!

Non abbiamo nulla daperdere!  #occupywelfare un mondo di diritti da conquistare!

Fermiamo la riforma del mercato del lavoro!

 

 

Libertà di movimento – Convegno all’università Roma Tre

I movimenti sociali e i precari indipendenti a convegno all’università Roma tre:

L’interdizione delle lotte sociali tra la crisi della democrazia, la dittatura dei mercati e la fine della mediazione politica, verso la costruzione materiale dell’alternativa: reddito, beni comuni, autogoverno.

La nostra libertà non si compra, non si paga.  Si strappa! Nella crisi economica a cui corrisponde la crisi della politica e della sua rappresentanza formale, prende forma la crisi della democrazia e delle sue fondamentali basi. Quello che sta avvenendo politicamente in seno alla governance europea e globale nell’ultimi anni di crisi economica è degno di nota e di riflessione se ancora si hanno a cuore gli spazi di democrazia reale e di agibilità politica in questa piccola parte di mondo. Ancor di più dovrebbe interessare chiunque voglia ancora opporsi ed alzare la testa di fronte alla dilagante e sistematica svolta autoritaria intrapresa dal nostro paese negli ultimi anni, ancor di più oggi che la nuova fase del Prof. Monti comincia a mostrare, oltre gli orpelli accademici, il suo volto feroce e insieme competente, quindi, ancor più pericoloso dell’archiviato governo Berlusconi.

La penalizzazione delle lotte sociali, dell’agibilità politica dei movimenti indipendenti, il bavaglio mediatico imposto alle opposizioni, il controllo poliziesco sugli attivisti, l’uso arbitrario della legislazione speciale antiterrorismo, significano molto di più e rappresentano un tratto ancor più inquietante se considerati all’interno nel contesto politico e sociale più generale nel quale si ascrivono. Dei movimenti sociali si occupa l’antiterrorismo quando questi assumono forme radicali ed indipendenti per imporre una capillare prevenzione e un’imminente e feroce repressione, oscura e vendicativa, che prende forma, nella fine della mediazione politica, come prerequisito della gestione autoritaria della crisi e diviene il vero tema del nuovo millennio, una crisi globale, generale, sistemica.

Un trattamento già avviato da tempo dentro quel generale laboratorio repressivo che i poteri dello Stato e dei centri di comando hanno inteso attuare all’interno di una profonda svolta autoritaria, cresciuta culturalmente e sedimentata particolarmente in Italia proprio all’ombra della crisi economica che da qualche anno in forma epocale travolge e ridefinisce lo spazio politico ed il tempo economico. All’interno di questa dimensione globale si va costituendo ovviamente anche in Italia la forma dell’ ”eccezionalità sulla norma” nel senso specifico della sospensione dell’ordinamento che la sorregge, trasformando in prassi politicamente consolidata la gestione autoritaria della crisi economica, politica e sociale. Certo non sempre seguendo percorsi lineari a volte come nel caso nel nostro bel paese per strappi e forzature, nuovi equilibri e rafforzati assetti di potere, come nel caso appunto del nuovo governo dei “Professori”.

Ma se qualcuno avesse raccolto i numeri su arresti, denunce, fermi e torture subite, morti in carcere o in commissariato, processi, pestaggi, a partire ad esempio dal recente 2001 ovvero l’anno del Global forum di Napoli e del G8 di Genova e ripercorresse fino ad oggi il decennio vissuto, ci troveremmo a fare i conti con decine di migliaia di cittadini passati per questure, varie Bolzaneto, carceri e tribunali, leggi speciali e dispositivi di prevenzione. Dopo Genova ci fu l’11 Settembre: la guerra globale dispiegò le sue strategie, forme, dispositivi, dal Patriot act in poi. Le manifestazioni contro i conflitti globali fino ai movimenti degli Indignados e di Occupy che hanno riempito le piazze e subìto la repressione di tutti i governi di destra e di sinistra hanno visto moltiplicarsi, mentre covava negli anni una crisi economica senza fine, le spese miliardarie per mandare truppe prima in Afghanistan, in Iraq poi in Libia, domani chissà anche in Iran. Fedeli agli USA con le basi Nato e le fabbriche di armi pronte a colpire, con commesse miliardarie come quelle degli F15 per le quali l’Italia è indebitata attraverso la Vergogna di Stato, crogiuolo di mazzette, corruzione, fascisti e servizi segreti, dal nome di Finmeccanica.

Con l’acuirsi della crisi economica e del suo impatto sociale, nei termini di crescente disoccupazione, precarietà, mancanza di elementari forme di welfare adeguate alle trasformazioni sociali, produttive e lavorative, nello spazio comune odierno, nella riproduzione delle forme di vita peraltro sempre più precarie e sempre più ai margini della libera scelta e della decisione politica, la repressione più o meno pubblicamente, colpisce ormai sempre più ampi settori sociali, dagli studenti in lotta ai lavoratori in sciopero con migliaia di precettazioni, dalle cariche della polizia sui blocchi stradali di cassaintegrati e disoccupati, agli sgomberi e agli sfratti delle case, agli ultras, assunti già da diversi anni come cavie sociali nel grande laboratorio della repressione, ai bloggers con le politiche liberticide di controllo e di censura nella rete. Fino ai precari devoti del Santo protettore, come quelli coinvolti dall’inchiesta su San Precario quando nella giornata nazionale per il reddito garantito del 6/11/2004 furono messe in campo azioni pubbliche di riappropriazione e autoriduzione in librerie e supermercati di Roma, furono indagati 105 attivisti di cui 15 oggi sono in attesa di giudizio e rischiano a breve di pagare la denuncia della precarietà e del caro vita che in quel giorno si voleva segnalare, con una sentenza pesante ed esemplare per la scelta arbitraria e strumentale della Procura di Roma d’imputare agli attivisti rinviati a giudizio il pesante e sproporzionato reato di rapina pluriaggravata.

O come in Val di Susa dove la determinazione popolare e radicale, gentile ma determinata a non indietreggiare di un solo metro, deve oggi fare i conti con un ignobile manovra a tenaglia, tra la criminalizzazione mediatica, la mistificazione “tecnica” e la retorica strumentale del governo che insieme ai sindacati utilizza il tema della crisi per avallare lo scempio del Tav con la devastazione, lo sperpero di risorse e il danno ambientale enorme che porta con se. La tenace resistenza No-Tav deve oggi fare i conti con una normativa d’emergenza varata a inizio anno che decreta l’inviolabilità del non-cantiere ritenendolo sito di interesse strategico nazionale, con la diretta ed esplicita minaccia di arresto per chiunque violi le disposizioni. Così come  in questi giorni il Movimento No-Tav deve fronteggiareun’ignobile inchiesta firmata dal Procuratore-capo di Torino, Giancarlo Caselli, che a tutt’oggi tiene tra misure cautelari e carcerazione preventiva, reclusi decine di attivisti e attiviste, nostri fratelli e sorelle di lotta, di cui chiediamo l’immediata scarcerazione.

E poi ancora il sovraffollamento delle carceri, di cui la stragrande maggioranza della popolazione è ancora in attesa di giudizio vivendo spesso una condizione detentiva disumana, all’applicazione infame del pacchetto sicurezza del Governo Berlusconi e delle leggi razziste che con gli illegali e famigerati CIE contribuisce a rendere nauseabonda l’aria che si vuol far respirare. Si arriva fino agli ultimi giorni del 2011 e alle ultime provocazioni solo dopo una lunga ed interminabile trafila di episodi e storie di quotidiana repressione ed intimidazione del dissenso contro quell’opposizione sociale che in questo paese, a tratti e seppur in forma discontinua e spontanea ha avuto comunque la capacità di porre al centro del dibattito “La Democrazia “ ed il fallimento della rappresentanza politica di segnare anche solo parzialmente il clima politico di questo paese. Il 14 dicembre del 2010 e del 15 Ottobre del 2011 sono lì a confermare quanto diciamo.

Urgono quindi spazi di confronto e di discussione.

Oltre l’indignazione è necessaria l’attivazione, il protagonismo sociale, l’iniziativa politica. È necessario aprire una vasta ed ampia campagna informativa che quantifichi la dimensione del processo autoritario in corso e ne denunci le condizioni, i metodi e le responsabilità politiche. È altrettanto necessaria una campagna comunicativa, una decisa presa di parola, che dia voce alla libertà di opporsi e di resistere, alla libertà di vivere e di non sopravvivere, al diritto naturale e profondamente radicato nell’uomo di pensare liberamente e di lottare per la condivisione dei beni comuni. Questo a cominciare non dal disperato e isolato urlo contro la repressione, ma attraverso un discorso politico che sia in grado non solo di misurare la miseria del presente ma anche e soprattutto di tracciare le vie della ricchezza del possibile, che mentre resiste con determinazione allo scempio che stiamo vivendo, sia in grado d’indicare le vie dell’alternativa, contro tutti i dispositivi di controllo, repressione ed interdizione.

Quindi a partire da una seria battaglia contro la precarietà e la precarizzazione che sia in grado di porre al centro dell’iniziativa di movimento il tema del reddito garantito, di base e incondizionato, proprio come conditio  per la vera libertà, come trampolino verso la libera attività umana, come dispositivo materiale di partecipazione e democrazia reale e radicale, come risposta non solo alla precarizzazione ed all’esclusione sociale, ma come via di costruzione di una società altra, i cui diritti e garanzie siano finalmente ancorate all’esistenza umana. All’intelligenza e alla partecipazione sociale, alla cooperazione e alla condivisione e non più al compianto lavoro, che con buona pace dei sindacati e partiti, è ormai sempre più precario, sempre più sfruttato, latente, peraltro a servizio dello sviluppo e della crescita  per l’accumulazione di pochi sulle spalle di molti, ormai troppi, per rimanere tutti schiavi, in silenzio e sorridenti.

 

Interventi

– Introduce e modera Rafael Di Maio – Laboratorio Acrobax

– Movimento Notav – Gianluca Pittavini – redattore di infoaut.org

– Prof. Luigi Ferrajoli: la crisi del potere formale nelle macerie della democrazia

– Prof. Giacomo Marramao: il ruolo nello Stato moderno nella crisi, la nuova polizeiwissenschaft

– Prof. Giovanni Russo Spena: Lo stato di eccezione, l’assolutismo liberista e la democrazia costituzionale

– Patrizio Gonnella, associazione Antigone

– Comitato Madri: Il potere e la vita, delle Madri di Roma città aperta

– Avv. Marco Lucentini: L’interdizione delle lotte sociali nella crisi

– Avv. Simonetta Crisci: Una panoramica dei processi giudiziari ai movimenti

– Prof. Andrea Fumagalli: il basic income come via per la vera libertà

– Cristian Sica – Laboratorio Acrobax – PsP-Roma: per un modello alternativo, reddito e beni comuni

– Bruno Papale – Coordinamento cittadino di lotta x la casa: Le lotte sociali come spazio di autonomia

– Studenti Roma3: condivisione dei saperi e libertà di movimento

Libertà x i NoTav – Libere tutte Liberi tutti!

mercoledì 7 marzo, ore 15
Fac. Lettere – Unirversità Roma3

Aula Verra

 

A proposito delle lotte in Val di Susa – un invito alla discussione

di Toni Negri

Era ora che Occupy arrivasse anche in Italia. Avevamo assistito nell’estate e in autunno all’agitazione dei “centro-socialisti” che avevano ripetuto i soliti riti, chiamandosi ora “indignati”. Il 15 ottobre la stampa indipendente, riconoscendo l’innocenza dei “centro-socialisti”, si era permessa di gettare accuse di illegalità e violenza su compagni che sarebbero scesi dalle montagne. Continuando nella medesima rappresentazione, Caselli (giudice peraltro cortese) era stato spinto a verificare quelle accuse con un rastrellamento nazionale. Ma Occupy è ancora lì. Potente, nella vallata e un po’ ovunque in Italia.

Quali sono le caratteristiche principali che questa nostra Occupy ha mostrato (senza dimenticare che ha costruito queste capacità – segno dell’universalità del movimento – già prima che l’Occupy americano o gli “indignados” spagnoli e tutti gli altri nascessero)? Al nostro interesse se ne presentano tre, di queste caratteristiche.

La prima è il radicamento democratico dell’iniziativa politica. Questo radicamento maggioritario nel territorio, l’orizzontalità e il pluralismo delle forze singolari che confluiscono nel movimento, la definizione consensuale di un interesse comune che sta alla base della durata del progetto di resistenza, un’apertura mai negata al confronto ed alla discussione – bene, questi comportamenti costituiscono una formidabile forza del movimento. Esso ci mostra che il comune è anche uno spazio, l’occupazione di un luogo non solo come fondamento per la partecipazione democratica ma anche come occasione di rapporto fra i corpi, di costruzione consensuale di esperienze e di obiettivi, di condivisione di valori e di verità.

La seconda caratteristica sta nel rifiuto della rappresentanza politica. Questo rifiuto discende direttamente da quanto detto qui sopra, meglio, dall’intensità e dalla qualità dei processi di partecipazione democratica. Vi sono rappresentanti eletti nella vallata che hanno riguadagnato legittimità attraverso la partecipazione. È la partecipazione al movimento il fondamento di legittimità di ogni istituzione del comune. Anche questo fa parte di quegli aspetti universali che Occupy propone. Ora, questo rifiuto è, evidentemente, innanzitutto destituente della rappresentanza politica in quanto detentrice di sapere (expertise), di potere (decisionale) e di sovranità (monopolio legittimo della violenza). Ma questo rifiuto è anche costituente, in quanto produttore di un nuovo sapere (nella fattispecie, l’equilibrio fra fattori di vita e di produzione nel territorio e i capisaldi della sua storia e della sua riproduzione), di un nuovo modello di decisione (non solo partecipato ma virtuosamente costruttivo, affettivo, solidale), di un nuovo esercizio della resistenza – un’attività adeguata/commisurata al fine da perseguire contro l’idiota, eccezionale armamentario della repressione. Il filosofo direbbe “immanenza contro trascendenza”; il politico, “democrazia contro potere reazionario”; il moralista, “autonomia contro totalitarismo”. E’ attraversando queste esperienze che il legame con l’Europa sarà costruito, in maniera molto più efficace, certo, che attraverso un nuovo buco alpino che puzza di amianto e di rendite finanziarie – perché in Europa, e non solo, ovunque il movimento Occupy sta costruendosi alla ricerca di nuovi modelli democratici di accesso al comune, di partecipazione democratica e di gestione politica autonoma. Il federalismo non è questo?

Terzo punto (ma ce ne sarebbero tanti altri sui quali poter intervenire e sui quali incitiamo la discussione): perché tanta ferocia poliziesca e repressiva, fin dalle prime fasi dello scontro; perché tanta perseveranza “tecnica” nel consolidare dispositivi speculativi e dissipativi del denaro pubblico; perché, ora, addirittura il tentativo di “monetizzare” la nocività dell’intrapresa e di nascondere con il denaro la mala parata? Forse in ballo c’è qualcosa di troppo importante, un elemento simbolico primario, la capacità di far passare come “tecnica” un’operazione nata come speculativa, per imporre come necessario al bene della nazione o addirittura alla costruzione dell’Europa (e chi più ne ha più ne metta) una decisione stolta capitalistica. Bisogna difendere un principio, il principio della detenzione capitalistica del sapere: la tecnica è capitalistica. Ebbene, no. Il sapere delle popolazioni della valle è più saggio del sapere dei tecnici e questa volta lo è davvero. Ma è questo che non deve apparire, anche in una situazione in cui tutto ormai lo dice. Se non passa questa grande opera, potrebbero non passarne altre. Dopo la politica prodiana, dopo quella berlusconiana, anche la “tecnica” dei tecnici si squaglierebbe. Per il governo, per il partito di Berlusconi e per quello di Repubblica (a proposito, a quando le dichiarazioni dei redditi della casta giornalistica?) e per tanti altri gazzettieri televisivi, vincere in Val di Susa è tanto importante quanto mettere nella testa di tutti che la tecnica (dei tecnici, cioè banchieri) è il vero sapere.

Qualsiasi persona calma e tranquilla che non viva nel ricordo ossessivo degli anni ’70 come certi nostri dirigenti sembrano vivere, sa che trattare è possibile ed evitare radicalizzazioni inopportune e pericolose è utile. Ma per farlo bisogna che la politica in Italia rinasca e non può rinascere che dalla presa di parola di coloro che, resistendo, aprono a tutti la speranza di una nuova partecipazione democratica. Riunificare tutte le resistenze, portare la Valle in Italia dopo che governi corrotti e governi tecnici hanno voluto invadere la Valle, è ora essenziale. Discutiamo, discutiamo, discutiamo… e il nostro amato presidente che per vizio antico non ama discutere ed infierisce sulla piaga, ricordi che Budapest e Praga sono lontane molti secoli, che chi vuole rinnovarne i fasti non è solo vecchio ma bacucco e che la democrazia vive oggi nei corpi dei giovani.

Liberi subito i 4 compagni arrestati

Roma, 9 Marzo. Oggi alle 11:30 i movimenti di lotta per la casa hanno occupato la sede del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica). Iniziativa organizzata perché in questa sede vengono definiti gli stanziamenti di fondi per il TAV in Val di Susa.

Le 400 persone che hanno dato vita all’iniziativa sono state più volte caricate dalla Polizia ed infine spinte fuori dal palazzo di via della Mercede, 9.
Alla legittima richiesta di poter proseguire la protesta con un corteo, 35 persone compagni e compagne sono state identificate e fermate ed un compagno è rimasto a terra ferito dalle violente cariche.
Poi successivamente arrestato.
Un primo bilancio parla di 4 manifestanti arrestati.
Contemporaneamente il presidio tendopoli che stava realizzando il Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa presso i palazzi abbandonati di
proprietà del demanio pubblico in Via Boglione, 63 (nella periferia Sud di Roma) è stato sgomberato.
Nel corso dello sgombero di questo presidio di protesta operato dal reparto mobile della Guardia di Finanza sono state identificate tutte le famiglie presenti al presidio. Di tutte queste persone due donne sono state portate al Commissariato Preneste perché in quel momento prive di documenti. Durante lo sgombero è stato più volte ribadito dalle forze dell’ordine che quello che stava avvenendo era in relazione con l’occupazione in corso al CIPE in via della mercede. La giornata di oggi smaschera un clima di neoautoritarismo e di repressione selvaggia che sta prepotentemente avanzando nella nostra città.
Il Sindaco Alemanno completamente disinteressato e/o incapace di offrire una qualche soluzione all’emergenza abitativa che è oramai un dramma in questa città riduce tutto ad una questione di ordine pubblico di fatto delegando alla Questura il governo della città.
Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa – Roma
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@CoordLottaCasa

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