Ordinaria follia della legge – nella notte di due ragazzi di Acrobax

 Martedì 26 febbraio – Notte – Ponte Marconi – Acrobax

 Nella notte due ragazzi escono dall’ex cinodromo con il motorino e si imbattono in una pattuglia della polizia. Mentre sono fermi al semaforo rosso la volante sbatte il suo muso sul bauletto posteriore, da lì la situazione degenera in un attimo: i due provano a girarsi e
vengono ripetutamente colpiti dal muso della pattuglia fino a cadere in terra.

 

Come nella migliore delle banlieu i due idioti in divisa scendono
dall’auto e si accaniscono sui ragazzi i quali invece di essere
soccorsi vengono aggrediti, gli vengono sottratte le chiavi del
motorino e il telefono cellulare.

Quello che i due energumeni in divisa non hanno considerato è che non
sempre i soprusi incontrano ragazzi da soli e indifesi nel cuore della
notte, come è accaduto al giovanissimo Federico Aldovrandi, la cui
memoria solo ieri è stata di nuovo offesa dai poliziotti che hanno
applaudito il suo assassino. In questo caso gli eroi in divisa hanno
incontrato la rabbia di chi non tollera gli abusi e le prepotenze
degli sceriffi de noantri.

Tutti i compagni e le compagne di Acrobax, riuniti per l’assemblea,
sono usciti in strada e la pattuglia si è data alla fuga. Pochi
istanti dopo la pattuglia si ripresenta, ferma i blindati della celere
che passano in continuazione in una città militarizzata per le
elezioni, le dimissioni del Papa, o forse solo per la “paura” della
perduta coesione sociale, pronti a reprimere il dissenso ovunque si
annidi.

I blindati diventano due, poi tre, le volanti sei, poi sette. La
celere si schiera con caschi, scudi e manganelli. Dalla nostra parte
si organizza immediatamente un workshop di “scienza delle barricate”,
quella in cui ognuno è maestro.

Arrivano compagni e compagne a sostegno da tutti gli spazi occupati di
zona e l’ingombrante presenza delle forze del disordine a si sposta
dalla strada di accesso al cinodromo ed infine se ne va.

Oggi, alle pecorelle senza pastore, non chiediamo scuse o numeri
d’identificazione sulle divise ma vogliamo indietro ciò che ci hanno
rubato.

Ancora una volta fascisti e polizia da San Paolo sono stati cacciati via…

ACAB.

Laboratorio del Precariato metropolitano Acrobax

– “…pure la polizia che sta in giro, mica sta là per pestarvi, sta
là per proteggervi.”
– “Come no. E da voi chi ci protegge?”
(da L’Odio)

Nuovo sgombero a Bologna, rioccupiamo la città!

Questa mattina Hobo è stato sgomberato. Dopo Bartleby, un altro spazio universitario di produzione comune di saperi e di iniziativa politica contro la crisi e la precarietà è stato chiuso con la forza. É un fatto grave, perché su mandato del Rettore, le camionette della polizia e dei carabinieri sono state fatte entrare all’interno di una facoltà. Un episodio che accomuna la “democratica” amministrazione universitaria, guidata dal rettore Dionigi – tesserato Pd – alla giunta greca dei colonnelli. Ma Dionigi si illude e ha paura. L’uso della forza e delle denunce non sarà sufficiente ad arrestare la potenza del sapere vivo. Esprimiamo la nostra solidarietà agli occupanti denunciati questa mattina dagli sgherri del rettore. C’è un’unica strada che possiamo percorrere nella crisi economica e dell’università, contro questa classe dirigente ormai al palo, che tenta di governare l’ingovernabile e per difendersi ha bisogno di dispiegare scudi, manganelli e camionette. Quella, al loro tempo, tracciata dagli hobos, gli inarrestabili lavoratori nomadi e precari che all’inizio del 900 diedero vita alle più importanti lotte operaie negli Stai Uniti d’America. Quella della lotta alla precarietà, della conquista di spazi di autonomia nell’Università contro la corruzione dei baroni di ogni risma. Come dicevano gli hobos e gli wobblies: “An injury to one is an injury to all”.

10 anni senza di te, 10 anni con te Roma x Dax

SABATO 9 MARZO A L.O.A. ACROBAX
Via della Vasca Navale, 6
Metro B San Paolo

Iniziativa a sostegno dei pullman per Milano.

ORE 20 – TRATTORIA SOCIALE

ORE 22 – MUSICA E LOTTE SOCIALI

KAOS FOR CAUSE (Kombat – Terni)
VORTEX KLASH Feat C.U.B.A KABAL + IL NANO (Punk/Electro/HipHop/ – Bologna_Pescara_ Roma)

A seguire SERATONE TRASH con la ROTAS – ROMA TRASH ALL STARS

SPECIAL GUEST DJ BREGA (Milano)

Riflessioni per la rottura politica, un contributo alla discussione prima della tornata elettorale

La governance capitalista è allo sbando, non ha un piano strategico, si muove sulla tattica e sulla rapina sistematica, usa strumentalmente la crisi, la costituisce come fondamento e la risignifica come dottrina.

Il gioco di specchi è tra l’uso politico della crisi attraverso il ruolo vincolante della troika e il comando politico e militare sull’austerity, con le polizie usate sovente come truppe di occupazione dei territori.

Dentro lo sviluppo e la trasformazione radicale della realtà sociale e produttiva, lo stato contemporaneo, snello o postmoderno o come lo si voglia definire, è ancora lì esistente, con la sua scienza della polizia a difesa dell’autoregolazione del mercato, sovrano unico e incontrastato. La macchina dello stato è ancora il potere politico a guardia dell’esercizio sistematico del profitto per mezzo dello sfruttamento capitalistico, nella sua permanente dinamica di espropriazione e cattura.

La moneta in crisi, ovvero l’Euro – questo enorme campo di forze a regime intensivo di sfruttamento del lavoro vivo sotto l’egemonia del capitale renano – diviene un nuovo stato, oltre lo stato. Potremmo dire che la moneta – ma anche la finanza globalmente intesa – diviene sovra stato produce legge senza bisogno della legge, decide permanentemente sull’eccezione e sulle nostre teste, disponendo sistematicamente del futuro delle nostre vite.

Il volto politico della governance attraverso gli esecutivi tecnici e autoritari che si alternano alla guida di molti paesi della comunità europea – tecnicizzazione, vecchia passione dell’autorità – assume sembianze sempre cangianti, diversificate e articolate che sintetizzano sul territorio la rappresentanza del complesso snodo di lobbies e agenzie, apparati e gruppi di expertise. Snodi di potere che sul territorio si diffondono e si moltiplicano progressivamente proprio per il loro ruolo strategico all’interno della stessa catena di comando.

Sostenuti ed eterodiretti dai gruppi di interesse del capitalismo contemporaneo, ormai attraversato e verticalmente costituito dal processo di finanziarizzazione dell’economia, basato sulla stessa produzione biopolitica del comune.

E’ in corso, nella grande transizione e diaspora del moderno, una nuova accumulazione originaria del capitale attraverso la gestione e il controllo proprietario della banca dei dati sociali, il nuovo grezzo immateriale, la nuova energia come lavoro vivo, sottomessa e risucchiata dal regime capitalistico contemporaneo.

La produzione del capitale sociale e i nessi tra le forme della nuova valorizzazione cognitiva, digitale, affettiva, l’evoluzione delle tecnologie della comunicazione e del linguaggio che nella rete si dispiegano sono lo spazio per la nuova accumulazione capitalistica. Le reti sociali virtuali ad esempio rappresentano lo spazio della cooperazione sociale diffusa e nel contempo della nuova cattura: siamo di fronte alla sussunzione reale non solo del processo lavorativo formalmente costituito ma dell’intera vita nella sua produzione e riproduzione reale. Le multinazionali oligopolistiche che gestiscono i big data e le infrastrutture informatiche sono evidentemente i nuovi padroni.

Ciò non significa aver individuato l’unica contraddizione nello sviluppo del capitale, quanto invece aver segnalato una delle tendenze più avanzate sotto il profilo delle nuove forme dello sfruttamento della vita e della sua riproduzione.

E però queste forme di accumulazione e sfruttamento intensivo non sono le uniche del comando capitalista. La speculazione immobiliare, la cementificazione del suolo, la rendita immobiliare rappresentano, nelle continue interconnessioni con il processo di finanziarizzazione, altre e altrettanto decisive forme dello sfruttamento e estrazione di valore.
Così come anche dentro le stesse politiche neoliberiste del pareggio in bilancio e della privatizzazione dei servizi del welfare, dello sfruttamento dei cosiddetti beni comuni, come appunto il suolo e l’acqua, si determina un processo intensivo di sviluppo e accumulazione di profitto ed estrazione di plusvalore.

Da qualche parte abbiamo letto che il ceto capitalista è in un certo qual modo foucaultiano, ogni sua categoria definitoria è categoria pratica, ipotesi di trasformabilità rapporto tattico e strategico e con questo siamo profondamente d’accordo.

Le politiche dell’austerity e la misura del debito devono però come sempre essere imposte e governate con la forza, con quella coercizione propria della “spada che sostiene la legge”. Le decisioni dei governi che hanno adottato le indicazioni della commissione UE sono di profonda e drammatica portata nei termini di costi sociali e questo in nome della dittatura dei mercati e del neoliberismo.

Il governo autoritario della crisi prova a gestire la grande transizione con un’asimmetrica guerra civile non dichiarata. Gli eserciti del neoliberismo contro i nuovi poveri del neoliberismo. Nella crisi della misura del valore, si rompe anche il piano-sequenza della politica come mediazione e governo dei conflitti. La crisi della rappresentanza politica relega la governance al ruolo di una nuova scienza della polizia in un progressivo, voluto e disinteressato distacco dalla realtà, dalla sua costituzione materiale, dalle leve concrete della precarizzazione. L’unico welfare realmente visibile nella vita delle persone è la polizia.

La particolarità del momento preelettorale che sta attraversando il nostro bel paese, vive un passaggio complesso che si dispiega su un vero campo di forze, su una tensione polarizzata che terminerà evidentemente in uno scontro e ulteriore conflittualità sociale, starà a noi capire però in quale direzione politica.

I rigurgiti della teppa neofascista, con il populismo del ritorno sovranista alla casa dello stato regolatore o, peggio, alla più retrogada cultura nazional popolare sono dietro l’angolo di ogni dibattito sulla crisi. Non ci sorprenderebbe affatto un risultato discretamente pericoloso per le organizzazioni neofasciste e neonaziste candidate ovunque tra elezioni politiche e amministrative.
Per non parlare della scelta del movimento cinque stelle di farsi i salutini con i fascisti del terzo millennio ammiccando qua e là, ovviamente, anche nel mondo dei centri sociali, vantando l’internità, magari anche specificatamente genuina, in alcuni movimenti popolari noti come il No Tav, i movimenti per l’acqua pubblica o quelli sui rifiuti.

Magari scopriremo che la burla del comico torna comoda come ultimo estremo tentativo di una parte della governance e dei suoi apparati per il recupero, la cattura della rabbia, nell’ultimo disperato tentativo di neutralizzare e normalizzare il malcontento ormai diffuso che, nel biennio 2010/11, qualche fiammata di indignazione l’aveva manifestata nelle strade di questo paese.

Meglio dare il sussulto alla legalità e al richiamo confessionale alla costituzione e rimandare i giovani rivoltosi a casa o, ai più cattivelli, e sprovveduti un po’ di galera.
E speriamo non sia solo un addomesticamento quello delle istanze anche più avanzate, come quella sul reddito di cittadinanza – che poi figurarsi scavalcano le pozioni micragnose della sinistra con l’orecchino sotto l’ala del PD.
Proprio su questo tema si dovrebbe aprire una profonda riflessione su quello che i movimenti sono stati in grado di produrre in questi anni e della capacità che hanno avuto di imporre una questione nell’agenda politica di questo paese. Eppure, da sempre convinti che il reddito sia uno strumento, sappiamo anche che, come tale, può essere utilizzato per approfondire quella condizionatezza e controllo sei sistemi di workfare che, negli ultimi anni, abbiamo visto nel resto di Europa.
C’è da compiere una scelta: rivendicare un reddito incondizionato perchè in aperta rottura con le dinamiche di precarizzazione, o scegliere di rimanere imprigonati nelle maglie del contenimento sociale.

Un sistema bloccato, circolo vizioso, nella coazione a ripetere.

La nostra generazione per vivere e non sopravvivere può fare solo la rivoluzione, non c’è altra strada.
C’è bisogno della rottura politica col quadro della compatibilità voluto anche dalle sinistre parlamentari o aspiranti tali, chi col PD, chi con quella magistratura che sostituendosi alle opposizioni sta aprendo un varco pericolosissimo dentro lo stesso esercizio del potere.
Per tre volte la Repubblica Italiana ha fatto ricorso, per supplire alla mediocrità della politica, alla via giudiziaria. Prima, con lo stato di emergenza e le leggi speciali evocate ed applicate per annichilire la spinta rivoluzionaria nel decennio caldo che è seguito in Italia al maggio francese, poi per disarcionare una classe politica corrotta nello scandalo tangentopoli, poi per reprimere l’asse di potere del Cavaliere congiuntamente alle pressioni e successivi ultimatum dei vertici della Trojka che a loro volta hanno imposto d’autorità e nello stato di emergenza il governo dei tecnici.

La rottura non può che essere generalizzata, aperta e di massa critica. Quella trasformazione può essere compiuta solo se i soggetti precarizzati e impoveriti riusciranno a connettere le loro singole attivazioni in un processo più ampio e liberare il campo dagli orticelli delle organizzazioni precostituite anche di movimento.
Evidentemente negli ultimi anni si è costruito, con lo sviluppo e l’acuirsi di vertenze più o meno grandi, un segno di insubordinazione, un arcipelago, un’idra dalle molte teste; il punto sostanziale oggi però è generalizzare, comprendere un quadro differente, in cui dovremo essere in grado di mettere in campo non più rappresentazioni del conflitto quanto invece la giusta forma della rottura con un’organizzazione sociale fluida e sufficientemente attestata sulla trasformazione, all’altezza della fase.
Questo molto più che le elezioni, sono il centro delle nostre prospettive e relazioni.

Le condizioni, attualmente, non possono essere univoche, perchè la crisi ha prodotto un’enorme frammentazione ed è difficile ritrovarsi nello stesso luogo e nello stesso tempo, la ricomposizione nella lotta.

Riuscire ad immaginare una trasformazione radicale dell’esistente è l’unica via di fuga dalla retorica e dal senso di responsabilità e sacrificio mortifero del capitalismo. Nell’insopportabile violenza prodotta sulle nostre vite sta la prima leva in cui rivoltare il macigno, la seconda è l’organizzazione della rottura oltre i partiti, le sigle sindacali o le reti di scopo, ma nella condivisione reale di un processo, in cui sia chiara e trasparente la relazione tra i singoli territori, che siano essi fisici o mentali, ma in cui si produce lo sfruttamento delle nostre vite e dove è necessario concentrare energie e conflitto.
La terza è l’individuazione delle strategie della soggettività di movimento adeguate al conflitto nel cosi detto mercato del lavoro, nello sfruttamento dei beni comuni contro le dinamiche della precarizzazione, normalizzazione e cooptazione che spesso compongono quell’ingranaggio di potere, prerequisito e dispositivo nelle strategie della governance neoliberista.

Le nostre catene continuano ad essere sempre più salde e noi non abbiamo che perdere solo quelle.

Conoscete il detto “capire di che morte morire”? Si usa in condizione di frustrazione e rassegnazione, aspettando che qualcuno palesi le proprie volontà perché determini anche il nostro di futuro.
Esattamente il punto di vista opposto. E’ questo quello che abbiamo provato a costruire e continueremo a fare cercando altri con cui respirare e cospirare assieme.

Determinare le nostre vite, creare legami per riprendere il presente e poter decidere un futuro, diverso:
scegliere di che vita vivere.

Que se vayan todos, no algunos
Laboratorio Acrobax

Ben scavato, vecchio Hobo! nuova occupazione a Bologna

Lavoratore nomade e migrante, continuamente in movimento e irriducibile alla disciplina di fabbrica: ecco chi era Hobo all’inizio del Novecento. Ed ecco che Hobo rinasce nel cuore del capitalismo cognitivo: la mobilità è il suo tratto costitutivo, la fabbrica è quella dei saperi. Hobo non si vuole piegare, costruisce linee di fuga, produce in comune le proprie forme di vita. Hobo non ha carta di identità perché ha tanti volti ed è sempre giovane. Hobo è studentessa e precario, disoccupato e attivissima, povera di potere e ricco di potenza. Hobo è lavoratore di #IkeaInLotta e militante di Occupy, insorge in Tunisia ed Egitto e resiste alle politiche di austerity in Grecia. Hobo rifiuta la guerra perché vive di lotta. Hobo è No Tav e per la riappropriazione del reddito, perché la crisi e il debito non li vuole pagare e si organizza per farli pagare a chi li ha imposti.
Hobo infatti non è inorganizzabile: è così solo per i partiti
che cercano di rappresentarlo. Hobo è sprezzantemente estraneo alle elezioni perché è ingovernabile ed è troppo impegnato a organizzarsi con i molti. Hobo non ha nostalgia dell’università pubblica, perché sta costruendo la propria università e le proprie istituzioni autonome. Hobo non si fa catturare dalle discipline accademiche, perché pratica l’inchiesta militante e la conricerca. Hobo coopera con il compagno Dracula, morde i baroni e ha sete di vita. Dopo che anche i papi hanno abdicato, proclama che ogni re-ttore può perdere la testa. Hobo non ha Patria e non ha Dio(nigi): meglio Donatella. Hobo odia la puzza di morte del feudalesimo aziendale perché è il sapere vivo.
Oggi Hobo si è ripreso una piccola parte di ciò che le appartiene e ha aperto un laboratorio dei saperi comuni. La riempirà di iniziative di autoformazione e discussione, di socialità e reti di comunicazione, di libera circolazione delle conoscenze e delle lotte. La riempirà di autonomia, gioia e cooperazione. Hobo è uno spazio aperto e costituente, è singolare e collettivo, è fuga e dentro e contro. Hobo è uno stile della militanza. Ecco perché Hobo è nomade: perché non ci prenderete mai.
Vieni a trovare Hobo, divieni anche tu Hobo nel Laboratorio dei Saperi Comuni Giardini di Via Filiipo Re
H. 12.30: Conferenza stampa H. 16.30: Assemblea aperta
Prossimi appuntamenti…
mart 19
– h12.30 Conferenza stampa; – h16.30 Assemblea di presentazione
merc 20 – h17.00: Commonware, percorso di autoformazione: Stili della militanza. Dal movimento operaio a Occupy,
1° incontro con Sandro Mezzadra e Adelino Zanini.
giov 21 – h16.30: Pomeriggio di comuncazione No Tav in
prepaparazione della presentazione A sarà düra! (zamboni 38 h18)
ven 22 – h18.00: Dentro e contro l’università della crisi:
riapriamo il dibattito.
sab 23 – h15.00:
Verso lo sciopero del settore merci e logistica: assemblea con studenti precari e lavoratori in lotta.
dom 24 – h17.00:
Politica e soggettività femminili: l’attualità di Carla Lonzi con Vincenza Perilli e Giovanna Zapperi.
lun 25 – h19.00: Vota Django.
mart 26 – h18.00:
Avete pagato caro non avete pagato tutto.
Presentazione di Rosso (DeriveApprodi 2007), con Valerio Guzzardi e Tommaso De Lorenzis.
merc 27 – h18.00:
Presentazione di Diritto del comune (ombre corte 2012) sarà presente il curatore Sandro Chignola.
giov 28 – h18.00:
Sì, sono paranoico: ma lo sono abbastanza?
Controllo, dipendenza, spettacolo, tennis, televisione e altre cose più o meno divertenti secondo David Foster Wallace, a cura di Girolamo De Michele.
ven 1 – h18.00:
Dégagé. Insorgenze e controrivoluzione in Egitto e Tunisa, con Paolo Gerbaudo e Fulvio Massarelli

Conflitto sociale e Libertà di movimento – i bi/sogni non si arrestano – verso Teramo

Il 15 Ottobre del 2011 le moltitudini indignate e in lotta contro il neoliberismo si mobilitarono globalmente. In Italia nella preparazione di quella giornata, durante il suo svolgimento e dopo sono avvenute cose degne di un bilancio politico e più approfondito da parte dei movimenti: partiamo anzitutto da noi, ma dovrebbe essere un’incombenza sentita anche e soprattutto da coloro che quel giorno e nei seguenti gridarono al lupo e cercarono il nemico interno – abitudine brutta e antica, ahinoi, di chi a sinistra ricorrentemente giustifica i propri tatticismi mascherandoli per grandi strategie e poi cerca di scansare l’implacabile giudizio dei fatti. Abbiamo sentito in quei giorni quindi dare fiato alle trombe, fin sulle pagine dei giornali, con lucido risentimento: ritrovandoci così, noi insieme alla cospirazione precaria, ad essere tra i pochi alleati della sana disponibilità al conflitto che quel giorno ha dispiegato ciò che si andava concatenando da tempo.

Ostinatamente continuiamo a rivendicarlo come nostro punto di forza e di resistenza: essere variabile indipendente, volere e aprire un possibile varco per una necessaria rottura politica, un odio di classe come motore costituente che per noi è desiderante espressione di potenza e non di superficiale rancore tra gruppi. A cooperare per il conflitto e la praticabilità di un’opzione rivoluzionaria siamo tutt’oggi disponibili, ma con la chiarezza politica necessaria, chiedendo sempre – anzitutto a noi stessi, a partire proprio dalle lezioni di quel 15 ottobre – di giocare a carte scoperte nelle alleanze e nelle pratiche di relazione politica.

Andremo a Teramo prima di tutto per chiedere l’immediata e incondizionata libertà per i fratelli e le sorelle, i/le compagn* rastrellat*, pedinat*, seguit*, ricattat* e minacciat* dallo stato o dai suoi solerti funzionari in divisa o in doppiopetto. Da quella giornata di rivolta e di rabbia precaria, che ha tenuto piazza San Giovanni per ore resistendo alle cariche e ai caroselli di polizia, carabinieri, finanza e polizia in borghese, lo Stato per come ha reagito nell’immediato e deciso di vendicarsi nel medio e lungo termine dimostra di aver avuto paura della sollevazione quale mezzo di partecipazione. Ci hanno preso troppo sul serio, verrebbe da dire nell’indagare i limiti in seguito espressi dalle soggettività di movimento.
Ora in tante e tanti stiamo subendo la repressione a suon di processi e di sentenze che già hanno accumulato un ammontare spropositato di anni di carcerazione somministrati, proprio mentre il nostro bel paesello viene redarguito davanti al mondo dal tribunale dei diritti dell’uomo di Strasburgo per la vessazione e disumana condizione in cui versano le patrie galere – e, verrebbe da aggiungere, le celle dei commissariati e dei CIE che quotidianamente praticano la tortura fisica e psicologica su tutti i malcapitati; la maggior parte, come si dice in gergo, comuni, cioè cittadini comuni nelle mani dello Stato in balia delle sue prove tecniche di governo autoritario.
Perciò non basta dire no alla repressione. Occorre, e lo diciamo da tempo, una più ampia campagna di denuncia del clima insopportabile che prima di tutto il corpo sociale sta subendo in termini di chiusura degli spazi di libertà: a partire da quei particolari laboratori della repressione che si esercitano sugli stadi, i migranti, il precariato delle periferie, e insieme alla progressiva delinquentizzazione delle lotte sociali attraverso la fattispecie di reato di devastazione e saccheggio.

In un paese compresso da politiche di austerity durissime è necessario dunque aprire una vertenza generale per la libertà di movimento, coniugarla alla più estesa battaglia per una democrazia reale, radicale, esercitata dal basso contro le politiche autoritarie inflitteci nella logica del sacrificio e con le armi della precarizzazione e dell’esclusione sociale. Da qui nasce l’esigenza non solo di sottolineare il paradosso della traduzione della conflittualità sociale in “probema di ordine pubblico”, ma soprattutto di ri-significare la parola libertà.

Parlare di libertà di movimento significa anzitutto mettere a fuoco il cambiamento di paradigma che sta trasformando le realtà sociali: significa prenderne coscienza delle meccaniche del profitto dentro lo sfruttamento e della disciplina sociale che l’austerity impone. Parlare di libertà di movimento significa rovesciare il senso delle accuse e cercare di creare quelle condizioni sociali per cui siano la devastazione del mercato del lavoro e il saccheggio del nostro futuro ad essere combattuti, con le lotte e il protagonismo sociale.

Laboratorio Acrobax

Bartleby è ovunque, siamo tutt* Bartleby

L’hanno murata, la casa di Bartleby a Bologna, stamattina. E’ così che si tratta la produzione di ricchezza comune, di idee e cultura e libera socialità, sotto i governi democratici dell’austerità.
Volevano espellerla dalla città, quella casa, dalla pericolosa promiscuità con i flussi del sapere in conflitto nell’Università da cui Bartleby era spuntato, nato dall’Onda, dicendo ancora una volta quasi quattro anni fa “avrei preferenza di No”.
E anche stavolta ha detto così, Bartleby, come quando per più volte gli avevano violentemente chiuso la sua prima casa: “avrei preferenza di No”, resto in San Petronio, convenzione o non convenzione, non son un tipo convenzionale, ne converrete…
Ora che hanno messo su un muro al posto di una porta e un altro muro di divise e blindati intorno, Bartleby risponde con la sua persona plurale che più preoccupa il Potere: “Dissotterriamo le asce di guerra”.
Noi che con Bartleby abbiamo nel nostro piccolo condiviso moltissimo in questi anni, cose come la pretesa di indipendenza, la costruzione di autonomia, la libertà di tessere reti e immaginare la nostra comune esplosione di precarie e precari in uno sciopero inevitabilmente e sapientemente sociale che infine inizia a divampare nell’EuroMediterraneo, possiamo avere una sola risposta: Augh! Bartleby, fratello e sorella! Le nostre asce con le vostre e sarà terribile la risata che li seppellirà sotto le macerie dei loro muri!
Ogni giorno, ogni notte, con Bartleby che è dovunque perché è moltitudine.
Laboratorio Acrobax –  All Reds – Alexis occupato – America occupato

Siamo tutte antifascisti!

SABATO 24 NOVEMBRE

MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA ORE 14:30 PIAZZA DELL’ESQUILINO.

La grande mobilitazione di questa settimana che ha messo in rete tantissime realtà antifasciste anche molto diverse fra loro, ha ottenuto che non venisse consentito ai fascisti di sfilare per le strade del centro di Roma, dove dalla mattina si svolgeranno le mobilitazioni degli studenti e di tutto il mondo della scuola e della conoscenza. Casapound decide infatti di spostare il suo corteo nazionale contro l’austerity nel quartiere più alto borghese di Roma! E lì, nelle vie dello struscio della Roma bene, loro ambiente naturale, terranno la “grande marcia nazionale” contro il governo Monti, tra SUV e localetti alla moda.

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Come antifascisti e antifasciste manifesteremo comunque sabato 24 a partire dalle ore 14:30 a Piazza dell’Esquilino per ribadire ancora una volta che i fascisti non hanno nessuna legittimità a sfilare e per dire che è una vergogna che il Comune di Roma, che taglia sui servizi sociali e ha un deficit di cui nessuno conosce l’entità, stanzi quasi 12 milioni di euro per regalare lo stabile di via Napoleone III agli squadristi: contro l’austerity vogliamo chiudere Casapound e tutte le sedi neonaziste, sostenute e foraggiate dalla giunta Alemanno con patrocini, fondi e posti di lavoro!Saremo noi gli antifascisti a riprenderci le piazze e le strade del centro di Roma dove avrebbero voluto sfilare i fascisti “del terzo millennio”, riprendendocele fin dalla mattina al fianco delle scuole e dei giovani precari e precarie in movimento: a loro lasciamo la riserva indiana della Roma per bene.Appuntamento ore 14:30 piazza dell’Esquilino

Gli antifascisti e le antifasciste romani

GIOVENTU’ LIDENSE TIFA ARDITA SAN PAOLO

25 NOVEMBRE 1884 / 2012
128°Anniversario della bonifica del litorale di Roma

Ore 14.00 Stazione Stella Polare (Roma-Lido)

STAGNI DI OSTIA VS. ARDITA SAN PAOLO
https://www.facebook.com/events/300358470074890/?ref=ts&fref=ts
Tifando la squadra baluardo dello sport popolare, festeggiamo i 500 braccianti socialisti e anarchici che rifondarono l’antica porta di Roma. ARDITA SAN PAOLO VINCI PER NOI!

25 NOVEMBRE 1884 – 500 BRACCIANTI RIFONDANO OSTIA

“…al grido di pane e lavoro!” Andrea Costa

Il ricordo della bonifica è ancora vivo nei nomi delle strade (viale dei Romagnoli, piazza dei Ravennati) e nei monumenti dedicati ai padri fondatori della bonifica: Armando Armuzzi, presidente dell’Associazione, e Federico Bazzini – ma soprattutto Andrea Costa e Nullo Baldini, gli ‘apostoli del socialismo’. E rimane vivo negli abitanti di Ostia Antica, figli e nipoti di quei Romagnoli, che spesso ancora ne parlano il dialetto.

Il 24 novembre del 1884 partirono alla volta dell’Agro romano 500 braccianti e 50 donne ravennati che, da lì a poco, diverranno i protagonisti della bonifica di Ostia e Maccarese.

Le direttive contenute nell’accordo di bonifica prevedevano la conclusione dei lavori entro 48 mesi dal loro inizio ma, le numerose difficoltà incontrate nell’esecuzione, fecero slittare la “consegna” di molto: ci sarebbero voluti sette lunghi anni per terminare le opere preventivate.

Come giustamente ricordato da Angelo Celli, quello dei lavoratori ravennati era il primo esempio di emigrazione interna proveniente da un luogo dove non mancavano di certo braccia per il lavoro verso un altro che presentava solo aree paludose e malsane.

L’arrivo dei braccianti romagnoli era il frutto della grave crisi economica degli anni’80 del XIX secolo. La crisi che aveva colpito l’intera penisola, in Romagna era stata particolarmente grave: infatti la grande maggioranza degli introiti dell’economia romagnola provenivano dall’agricoltura.

Venute a conoscenza del loro passaggio, gli abitanti di diverse città accorsero lungo la ferrovia per portare il loro saluto ai lavoratori di Ravenna. Il treno, dopo la sosta a Falconara, arrivò a Fiumicino nella tarda sera del 25 novembre 1884; da lì tutti i lavoratori scesero e, presero alloggio presso il palazzo del conte Benicelli. Il Presidente Armuzzi, l’indomani, comunicò a Ravenna il felice esito del viaggio.

I quasi 500 braccianti romagnoli giunti nelle Campagne romane, si divisero in due squadre di lavoro destinate in due aree di bonifica distinte: ad Ostia andarono 220 lavoratori, mentre a Fiumicino 242.

L’atmosfera quasi festosa che aveva contraddistinto il viaggio da Ravenna a Roma si spense appena i lavoratori videro la desolante plaga che li aspettava. Lo sconforto fu subito enorme e le belle canzoni cantate durante il viaggio sembrarono subito un ricordo lontanissimo quasi remoto.

Poco dopo la tristezza e lo sconforto mutarono in rabbia e, appena giunsero i dirigenti della Cooperativa, i braccianti iniziarono a protestare con tutte le loro forze denunciando la terribile condizione di quelle terre che, a loro giudizio, avrebbero causato solo morte e miseria rendendo vano ogni tentativo di bonifica. Ad alzare ulteriormente la tensione ci si mise anche un guardiano del posto che, con fare quasi ironico, disse ai braccianti che in quelle terre non avrebbe vissuto neanche il demonio.

Di fronte ad una situazione del genere molti sarebbero tornati nella loro terra d’origine preferendo sgomitare per un lavoro anziché averlo tranquillamente ma in condizioni quasi disumane. I braccianti romagnoli, invece, restarono nel litorale romano e dimostrarono tutta la loro tempra e la loro attitudine al sacrificio.

*Tratto da uno scritto di Paolo Paliccia

Ci siamo ripresi ciò che è nostro e abbiamo trovato l’America nel cuore di Trastevere!

Pubblichiamo un appello di appoggio e solidarietà all’occupazione permanente del Cinema America di Trastevere, lanciata dall’Assemblea Giovani al Centro e dai residenti del rione domenica 18 novembre, durante l’assemblea conclusiva di Ri_Pubblica.
 
Il Cinema America è stato per anni lasciato all’incuria di una gestione privata il cui unico interesse è stato quello di far approvare un progetto di abbattimento per costruire una palazzina fatta di appartamenti e parcheggi interrati.
 
Con anni di mobilitazione gli abitanti di Trastevere hanno ottenuto la bocciatura di un primo progetto che prevedeva 36 mini-appartamenti. Ma la minaccia di abbattimento non è scomparsa: è stato presentato un nuovo progetto, al momento bloccato, che prevede di fare 20 abitazioni e due piani di parcheggio.
 
L’occupazione di domenica ha lanciato una settimana di “work in progress”, fatta di assemblee e incontri pubblici, destinati a organizzare una programmazione a lungo termine che risponda alle esigenze culturali, sociali e politiche degli abitanti del rione XIII e degli studenti di zona.
 
Il Cinema America diventerà un polo multifunzionale, un laboratorio di esperienze di attivazione culturale, politica e sociale per studenti, residenti e chiunque vorrà partecipare al progetto.
 
In vista di questi obiettivi,  contro la minaccia di abbattimento della storica sala trasteverina, supportiamo l’occupazione a tempo indeterminato del Cinema America, rilanciando l’assemblea pubblica di domenica 25 novembre alle 19:00.
 
Con il Cinema America Occupato, contro le speculazioni sulla cultura e sul territorio!
 
 
Per inviare adesioni lasciare un commento o inviare una mail ad assembleagiovanialcentro@gmail.com