Dalla Bari in lotta: l’interesse del privato (e del pubblico) all’attacco del comune

Ebbene si. L’occupazione nel “salotto buono” di Bari fatta stamattina  da studentesse e studenti, da precarie e precari, da disoccupati,  inoccupabili è stata sgomberata manu militari dalla polizia.

Ci è già successo (quando occupammo la clinica di Villa del Sole da  cui poi è nata l’occupazione di Villa Roth), non ci deprimiamo, non ci  fermiamo, non ci arrendiamo.

Di questa vicenda un paio di cose ci interessa dire:

 

1)l’interesse degli speculatori dell’edilizia nella città del  mattone, conta decisamente più degli interessi del comune. Ci sono a  Bari oggi qualcosa come 24.000 appartamenti sfitti. Tutti in mano a  cartelli potentissimi che vengono tutelati e protetti da un potere  locale cieco e clientelare e difeso dai manganelli della polizia.

Questo renderà sempre più evidente l’irrappresentabilità di una  moltitudine che non reclamerà più ma risponderà alla guerra che le viene  mossa contro riappropriandosi di una vita indipendente e autonoma.

 

2)l’eccedenza e la tensione che si è prodotta intorno a questa  occupazione ci lascia ben sperare in una capacità organizzativa che  significa riappropriazione diretta di reddito (e la casa è una parte del  reddito) e che, a nostro avviso, segnerà l’autunno alle porte e non  solo questo.

 

Per queste considerazioni noi invitiamo tutte e tutti, le/gli  occupanti, chi è passato per solidarietà, chi ha da subito solidarizzato  e chi si è avvicinato per organizzare ulteriori passi in avanti, chi ha  resistito alle provocazioni in divisa,  di vederci in ASSEMBLEA METROPOLITANA Venerdì  19 ottobre ore 20:30 a Villa Roth Occupata.

Da qui si riparte, non ci fermerete. Non chiediamo più, OCCUPIAMO!

Il 20 Ottobre tutti in strada #globalnoiseroma continua

Nessuno ci rappresenta! Più che un governo tecnico in Italia si realizzano tecniche di governoautoritario. E’ il momento di dire basta! Scendiamo nuovamente inpiazza.

#Global noise roma 13 Ottobre è stata una prima occasione di riconoscimento e cooperazione, un centinaio di precari, abitanti delquartiere, giovani e studenti hanno dato vita ad un’assemblea che ha deciso di riconvocarsi in piazza per il prossimo sabato a partire dalle 18 per preparare materiali ed organizzarsi per poi muoversi dove meglio crederà in maniera vivace, rumorosa, arrabbiata, desiderante e determinata ad attivarsi con i propri contenuti nel territorio.

L’appuntamento è per il 20/10/2012 h 18 in Piazza S.Maria in Trastevere per chiudere la settimana globale d’iniziative lanciata dai movimenti internazionali contro l’austerity.

Generazioni senza futuro nelle scuole e nelle università, precari eprecarizzati, disoccupati, cassintegrati, nativi e migranti,indignati, incazzati, liberi pensatori!

Atene, Lisbona, Madrid, Parigi…

…Roma non fà la stupida!

Sabato 20 Ottobre h 18 P.zza Santa Maria in Trastevere

[media id=70 width=600 height=450]

Uninomade 2.0 al Teatro Valle Occupato

SEMINARIO, Roma, 27-28 ottobre 2012 

 Il marchese di Condorcet e Thomas Jefferson conoscevano bene la forza e l’importanza delle Costituzioni. Eppure, entrambi concordavano sul fatto che nessuna Costituzione potesse essere considerata eterna. Anzi, ogni generazione – sostenevano questi padri del costituzionalismo moderno – avrebbe diritto a scrivere una nuova costituzione. Sapevano bene, Jefferson e Condorcet, che le costituzioni nascono da precise mediazioni storiche, traducono equilibri contingenti, e che il rapporto tra qualsiasi “diritto costituzionale” costituito e processi costituenti non può mai essere chiuso definitivamente.

Oggi la crisi ha riaperto ancora una volta lo spazio costituzionale, lo ha nuovamente investito trasformandolo in uno spazio di critica e di lotta politica. L’attacco neoliberale ha radicalmente disarticolato l’unità del sistema costituzionale, con un’iniziativa che si è collocata esplicitamente su un piano di sfida costituente: una vera e propria “rivoluzione dall’alto”, che ha preteso l’adeguamento delle stesse costituzioni “formali” al nuovo comando politico finanziario.

Davanti a questa sfida, la sinistra ha mantenuto una posizione semplicemente reattiva, difensiva: lo slogan della “difesa della Costituzione” non basta a nascondere l’incapacità di fare i conti con la fine di quegli equilibri costituzionali, con la destrutturazione profonda della cittadinanza democratica e con la rottura tradizionale mediazione tra capitale e lavoro incorporata nelle costituzioni welfaristiche del Novecento.

Gli Occupy nordamericani e europei, per non dire delle primavere nordafricane, pur nelle loro grandi differenze, si sono invece tutti collocati su un terreno completamente diverso da quello della “difesa” degli equilibri costituzionali esistenti. Sono stati tutti movimenti che hanno esercitato una rottura di quegli equilibri. Hanno avuto caratteristiche destituenti rispetto ai contesti costituzionali dati, e, contemporaneamente, hanno aperto un’agenda costituente: costruzione di contropoteri democratici qui e adesso, nuova affermazione di eguaglianza e libertà, non contenuta e non contenibile in nessun ordine costituzionale “dato”. Il fatto che questi movimenti siano riusciti a manifestare solo parzialmente le loro potenzialità, o, in altri casi, abbiano incontrato la reazione feroce delle élites conservatrici, non toglie nulla alla chiarezza con cui si sono collocati su un terreno costituente e non rappresentabile. Tale irriducibilità anzi, per questi movimenti, non è stato un obiettivo da proclamare, un programma cui tener fede: semplicemente, essi si sono mostrati costitutivamente inconfigurabili, così come è la cooperazione sociale che essi esprimono.

Con il seminario del 27 e 28 ottobre, vogliano discutere appunto della costituzione. E non solo e non tanto della costituzione italiana, quanto della rottura delle mediazioni costituzionali classiche, dell’esaurimento delle “costituzioni del lavoro” del Novecento. Della fine di quel modello di welfare e di cittadinanza. Vogliamo rilanciare la critica del diritto, a cominciare dalla critica del diritto pubblico e costituzionale, ma anche sporgerci al di là, verso quell’orizzonte costituente pur contraddittoriamente aperto dai movimenti. E farlo soprattutto guardando alla dimensione europea, dove è sempre più evidente come non esista nessuna costituzione data che possa recepire le istanze di eguaglianza e libertà avanzate dalla radicalità dei movimenti. Vogliamo discutere dell’urgenza in Europa di un’ipotesi costituente, oltre ogni possibile “aggiornamento” delle mediazioni costituzionali esistenti, in cui ancora paiono adagiarsi le sinistre europee.

Vogliamo anche dare sostanza, cominciare ad articolare questo orizzonte costituente. Immaginare che cosa può essere oggi una Dichiarazione dell’irrinunciabile, dell’inalienabile. Non si tratta di appiattirci sul linguaggio dei diritti – spesso tanto pomposo quanto impotente – o di scimmiottare le dichiarazioni del Settecento. Ma di cominciare a formulare i punti programmatici, emersi dalle lotte, che segnano, i nuovi “principi indisponibili” del lavoro vivo: il reddito, la libertà di movimento, il welfare del comune, la riappropriazione della moneta, la libertà della cooperazione sociale dai dispositivi parassitari che la attraversano, la lotta al debito, il diritto all’insolvenza, la libertà dai dispositivi di controllo e securitari, il diritto alla salute in tutte le sue dimensioni biopolitiche…

Infine, vogliamo affrontare la questione, continuamente affermata oggi dalle lotte per i commons, degli usi e dell’accesso al comune. Le lotte di quest’anno hanno elaborato pratiche inedite. È già un fatto politico che esistano una pluralità di usi del diritto, a tutti i livelli:

  • la scrittura di una istituzionalità autonoma proposta dallo Statuto del Teatro Valle;
  • la giurisprudenza delle sentenze, in particolare quella del cinema Palazzo;
  • delle delibere, come nel caso dell’ex Asilo Filangieri;
  • l’appello agli articoli della Costituzione nel referendum sull’acqua;
  • il diverso uso del diritto amministrativo fatto dai comitati cittadini dell’acqua;
  • le politiche dei “nessi amministrativi” nei municipi;
  • l’uso che risignifica politicamente alcune normative esistenti (dagli usi civici all’acquisto di microlotti di terreno attorno al cantiere in Val di Susa).

Queste lotte, che hanno fatto riemergere parole in qualche modo “antiche” come uso e accesso, hanno però anche reso evidente che “uso” e “accesso” non si radicano oggi in nessun presupposto oggettivo, ma all’interno di pratiche inedite attraversate dalla produzione di nuova soggettività. Che in altri termini, il tema dei commons si apre sullo sfondo del comune, come produzione di una cooperazione sociale finalmente libera dallo sfruttamento.

Dalle lotte sui commons, emerge anche come l’unità – tradizionalmente presupposta – dei sistemi costituzionali sia oramai in frantumi. Il diritto si produce sotto il segno dell’eterogeneità, non più dell’omogeneità che caratterizzava l’antica tradizione “pubblicistica” del Popolo e del Sovrano, mentre i processi di governo si svolgono in una dimensione di “opacità” e pongono in discussione i modelli classici di divisione dei poteri. Ma proprio l’irriducibile pluralità delle fonti giuridiche – sentenze, delibere, statuti, usi civici, norme costituzionali – e la rottura della loro tradizionale gerarchia, può essere oggi l’occasione di una politica federativa delle lotte.

In ultimo, ma è il punto cruciale: le lotte sull’uso e dell’accesso ai commons, riaprono – finalmente! – la questione della proprietà. La riapertura di un’istanza costituente oggi si gioca principalmente su questo: spodestare la proprietà dal centro che pretende di occupare nella regolazione della cooperazione sociale. L’immaginazione costituente che il nostro seminario vuole mettere in moto, accoglie dalle lotte e rilancia l’urgenza di superare l’arbitrarietà del “terribile diritto”.

PROGRAMMA

Teatro Valle Occupato (www.teatrovalle.it)
Via del Teatro Valle 21, 00186 Roma

Sabato 27 ottobre, ore 10.00 – Prima sessione
VERSO UN ORIZZONTE COSTITUENTE

Introduzione: Sandro Mezzadra, Giso Amendola, Teatro Valle Occupato
Relazioni: Ugo Mattei, Toni Negri

 

Sabato 27 ottobre, ore 14.30 – Seconda sessione:
GLI USI DEL COMUNE

Introduzione: Teatro Valle Occupato
Relazioni: Massimilano Guareschi e Federico Rahola, Paolo Napoli
Discussione

 

Domenica 28 ottobre, ore 10.00 –  Terza sessione:
PER UNA NUOVA DICHIARAZIONE DELL’IRRINUNCIABILE E DELL’INALIENABILE

Introduzione: Sandro Mezzadra, Giso Amendola
Relazioni: Michael Hardt, Raul Sanchez Cedillo
Discussione

 

Interventi programmati (da distribuire nelle due giornate): Alessandro Arienzo, Peppe Allegri, Giovanni Giovannelli, Maria Rosaria Marella, Costanza Margiotta, Marco Silvestri, Michele Surdi, Benedetto Vecchi.

da www.uninomade.org

 

 

 

 

Puzza di bruciato – Acrobax prende parola sul dibattito web

Che cos’è questa puzza di bruciato?
Qualcuno ha messo un fiammifero vicino a della pagliuzza secca e,
quella, ha preso subito fuoco!

Una volta erano i giornalisti mainstreaming i terroristi spacciatori
di calunnie e infamie oggi si annidano persino nelle “redazioni” di
autorevoli blog e siti di movimento. False notizie fabbricate ad
arte… è già perchè stiamo leggendo, in rete su diversi siti, di
una famigerata riunione ad Acrobax per organizzare il servizio
d’ordine alla manifestazione lanciata per il 27 ottobre prossimo.

Peccato però che questa riunione non ci sia mai stata, almeno non
qui: Acrobax non aderisce nemmeno al 27 ottobre figuriamoci fare un servizio d’ordine che comunque da queste parti abbiamo sempre usato solo contro guardie e fascisti.

Sia ben chiaro che questi giochetti di disinformazione e zizzania sono creati ad arte. Se poi per stupidità, per qualche strategia contorta o perchè stipendiati dallo stato questo, a noi, non è dato saperlo ma se lo venissimo a scoprire state pur certi che ve lo verremmo a dire di persona.

Agli amministratori dei siti e ai commentatori, ricordiamo che noi
non facciamo comitati per l’ordine e la sicurezza e tutte le cose che
facciamo e che diciamo sono pubbliche e alla luce del sole.
Tradotto: ci mettiamo sempre la faccia, anche se dobbiamo prendere la
paglia, impastarla con lo sterco e gettarla.

LOA Acrobax Project

Join the rebel: QUESTO NON E’ CHE L’INIZIO

Mentre dal resto d’Europa riceviamo, ormai da qualche mese, cartoline
che ampiamente dimostrano quali siano, nell’attuale contesto di
austerity, le uniche e vincenti forme di organizzazione del conflitto,
ieri tutto il territorio nazionale  è stato finalmente pervaso da parte
di quel protagonismo e attivazione sociale necessario per dimostrare che la soluzione alla crisi è ben lontano dalla compatibilità e dal biopotere della ormai decadente rappresentanza politica.

Ieri abbiamo avuto la dimostrazione che forme di sinergia possibili sono praticabili anche nel nostro paese. A partire da quei soggetti che innervano il mondo diffuso della precarietà giovanile che nella formazione scolastica toccano con mano le politiche di austerity. La crescita collettiva e la messa in condivisione di nuovi dispositivi autobiografici, capaci di narrare una lecita rabbia si è trasformato in un corteo partecipato, denso, consapevole, del precariato metropolitano che attraversando le strade del centro di Roma si è ripreso solo una piccola ma significativa parte, di quello che gli spetta, che spetta anche a tutte e tutti noi.

Dal nodo redazionale di indipendenti decidiamo diffondere il comunicato
degli studenti medi, con la speranza che la riproducibilità delle lotte
inizino ad estendersi anche in questo pezzo di euruolandia, rilanciando la data del 13 ottobre a piazza S. Maria in Trastevere per un’assemblea pubblica che guardi con intelligenza e dignità alla implementazione di reali possibilità di cambiamento e trasformazione.

Join the rebel

Oggi 5.10.12 la città di Roma è stata invasa dagli studenti dell’Assemblea Cittadina dei licei romani.
Questa data è nata dall’assemblea in Val di Susa, convocata dalla rete nazionale studaut, dove gli studenti di tutta l’Italia hanno sentito l’esigenza di scendere in piazza, per esprimere un’opposizione sociale reale al governo Monti e alle politiche di austerity che stanno sempre più strette a tutta la cittadinanza. Le istituzioni sottolineano continuamente la mancanza di fondi per l’istruzione mentre   lo stato spende 500 milioni per cacciabombardieri e 2 cm di Tav corrispondono a una borsa di studio universitaria, legittimando queste scelte come tecniche e non politiche.
In un quadro di drammatica trasformazione politica, la scuola rimane ancora una volta un luogo di costruzione e progettazione, opposizione e conflitto.
Gli studenti infatti contrastano le politiche di questo sistema scolastico e se ne riappropriano dall’interno vivendo le proprie scuole e creando dal basso controcultura attraverso cineforum, mercatini di libri a prezzi popolari, ecc… per dare una risposta concreta alla crisi, producendo momenti di riflessione e conflitto.
Queste iniziative si oppongono al progetto di scuola-azienda che questo governo, come il precendente, vuole realizzare attraverso il DDL Aprea e i test Invalsi, che mirano esclusivamente ad un’appiattimento culturale generale e alla costruzione di una scuola che premi il merito e ignori i problemi.

Il tentativo della questura di Roma, oggi,è stato quello di impedire che gli studenti raggiungessero  il centro storico per manifestare la loro rabbia davanti ai palazzi del potere, opponendosi fisicamente, con uno sproporzionato impiego delle forze “dell’ordine”, al regolare svolgimento del corteo.
Nonostante ciò, gli studenti non si sono arresi e fino all’ultimo hanno portato in piazza la loro determinazione. I manifestanti infatti, estenuati da una pessima gestione della piazza da parte della questura, che aveva il palese intento di emarginare e minimizzare la protesta, hanno tentato di riappropriarsi ancora una volta delle proprie strade. Nei pressi di Porta Portese, i soggetti che giorno dopo giorno militarizzano la nostra città hanno risposto all’iniziativa degli studenti non con semplici cariche di alleggerimento, inadeguate soprattutto contro un corteo costituito prevalentemente da minorenni, ma peggio,  con una vera e propria esplosione di violenza verso gli studenti, minacciando, picchiando, manganellando,  arrivando addirittura ad arrestare un quindicenne estraneo ai fatti,  trascinandolo per terra.
Dopo lo scontro e dopo essersi assicurati dell’imminente rilascio del ragazzo, il corteo non si è comunque arrestato ed ha ripreso il percorso fino a Piramide, dove al momento dello scioglimento ha pubblicamente denunciato la gravità dei fatti avvenuti in precedenza.

Gli studenti oggi non si sono fatti intimorire dalla gestione tirannica, del sindaco Alemanno, della città, ma anzi hanno avuto la dimostrazione del fatto che l’unica risposta che il governo e le istituzioni sanno dare è di tipo poliziesco e militare.

LA VOSTRA REPRESSIONE NON FERMERA’ LA NOSTRA VOGLIA DI LOTTARE, QUESTO NON E’ CHE L’INIZIO

Studenti Medi in Mobilitazione

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=296hrGT9Tjw

Luca Abbà ritorna in Clarea, la polizia usa idrante sui notav

da www.infoaut.org

Sotto una pioggia battente migliaia i notav che hanno accompagnato Luca Abbà
sotto quel traliccio dal quale cadde, per colpa della polizia, il 27 febbraio
scorso. Il ritorno di Luca in Clarea dimostra la sua tenacia, di chi da sempre
si oppone allo scempio di una valle, contro le lobby affaristiche del tav.

Una passeggiata pacifica ma determinata per dimostrare che il movimento notav
non si fa intimidire dai tentativi di criminalizzazione della magistratura, per
denunciare la militarizzazione della valle, contro un cantiere che ha devastato
un intero territorio.

Una volta giunti in Clarea, un primo momento fatto di interventi nei quali si
ribadivano l’importanza di continuare ad esserci, un momento per ribadire la
necessità di resistere e continuare a lottare; in un secondo momento i notav si
sono avvicinati alle reti del cantiere per l’ormai consueta battitura per
esprimere il dissenso verso un cantiere installato manu militare, contro la
militarizzazione della valle. Appena il movimento ha iniziato la battitura le
forze dell’ordine, in maniera gratuita, ha scaricato l’idrante addosso alla
gente rimasta ferma continuando, per quanto fosse possibile sotto i forti getti
d’acqua, la battitura alle reti del cantiere. Un’ azione quella delle forze
dell’ordine in linea con la loro vigliaccheria. Senza farsi turbare troppo da
questo gesto, il movimento notav è andato a posare, in prossimità delle zona
delle vasche, un menhir in pietra a perenne memoria di tutti i caduti della
resistenza partigiana nelle vallate alpine piemontesi.

Una giornata che seppur all’insegna del maltempo è stata molto partecipata,
un ritorno al futuro per Luca che in quel luogo a rischiato di non avere più, un
momento di rilancio per il movimento notav che si appresta ad affrontare un
altro inverno di lotta.

NO ALLA VENDITA DEL PATRIMONIO PUBBLICO 1.10.12 Manifestazione a Roma

NO ALLA
VENDITA DEL PATRIMONIO PUBBLICO

LUNEDì 1 OTTOBRE

ORE 13.30
CONFERENZA STAMPA
ORE 15.30 MANIFESTAZIONE IN
CAMPIDOGLIO

Il 1 ottobre sarà una giornata decisiva per il destino di Roma. In questa giornata,
infatti, il Campidoglio è chiamato a votare la delibera sulla vendita del
patrimonio pubblico: una lunga lista di beni comuni che rischiano di essere
sottratti alla collettività per essere (s)venduti al miglior offerente o a chi –
sull’onda lunga delle tante «parentopoli» romane – avrà meglio saputo
intrallazzare con i nostri amministratori.

manifestazione in campidoglioPurtroppo sia la maggioranza che l’opposizione sono convinte che
cedere il patrimonio comunale sia inevitabile per far fronte al disavanzo delle
casse romane, devastate dal malaffare e dal nepotismo. Invece si tratta di
un’idea inaccettabile, un insulto per tutti i cittadini e l’ennesimo regalo ai
«signori del mattone».

Con le
mille persone salite al Campidoglio giovedì 27 Settembre, i MOVIMENTI PER IL
DIRITTO ALL’ABITARE hanno già fatto sentire la loro voce, esprimendo il dissenso
nei confronti della giunta Alemanno e ottenendo un incontro con l’assessore al
Patrimonio e la maggioranza, fissato per LUNEDI 1 OTTOBRE alle 12, mentre alle
16, in aula, inizierà la discussione, con l’obbiettivo dichiarato di una veloce
approvazione di un provvedimento assolutamente antipopolare.

I
MOVIMENTI PER IL DIRITTO ALL’ABITARE si mobiliteranno ancora, sia per opporsi
con tutte le loro forze alla vendita incontrollata dei «gioielli di famiglia»,
sia perché – come confermato da un incontro con i rappresentanti
dell’opposizione, ottenuto giovedì scorso grazie alla pressione della piazza –
la novità di un fondo per l’edilizia residenziale pubblica da prevedere nel
bilancio deve assolutamente diventare realtà. Solo una simile voce, infatti,
potrebbe dare finalmente sostanza alle 6000 case popolari che, da marzo 2010,
esistono soltanto sulla carta di una delibera approvata dal consiglio comunale.
Perché non bisogna dimenticare che, con questi investimenti, si potrebbe tornare
a parlare di alloggi pubblici e di sostegno alle iniziative di autorecupero:
necessità vitali per una città sul quale aleggia minaccioso lo spettro della
perdita della casa per quote sempre più ampie della sua popolazione.

Siamo solo
all’inizio di un processo difficile, condizionato da una  campagna elettorale
alle porte. Dobbiamo strappare dentro il bilancio che sta per essere approvato
le risorse necessarie per finanziare politiche abitative degne di questo nome.
Per questa ragione i MOVIMENTI PER IL DIRITTO ALL’ABITARE torneranno in
Campidoglio LUNEDì 1 OTTOBRE ALLE
15.30 per manifestare i bisogni autentici di una Roma devastata dal cemento e
dalla precarietà.

Movimenti per il diritto all’abitare

Madrid 25S — La democrazia si apre il passo

di MADRILONIA.ORG

Ci hanno chiamati golpisti. Hanno detto che dietro questa manifestazione si nascondeva l’estrema destra. I mezzi di comunicazione hanno mentito per giorni e giorni. Hanno minacciato di mandarci in galera, hanno dispiegato oltre 1400 agenti di polizia, hanno identificato e denunciato molte persone solo perché esse si erano riunite in un parco pubblico a discutere sulla convocazione di questa manifestazione. Hanno provato a riempirci di paura, come mai era successo prima d’ora. Il risultato è che, nelle strade, eravamo in decine di migliaia, pronti a disobbedire allo stato di eccezione imposto dal governo. Ora tutti i media del pianeta stanno parlando di quanto successo a Madrid il 25S. E sappiamo bene che è solo l’inizio.

Il governo Rajoy è debole come mai era stato prima d’ora. E deve affrontare un problema di governamentalità politica su tre fronti, deve affrontare un problema di dimensioni totalmente nuove. In primo luogo, la forte crisi di legittimità presso la cittadinanza, non solo per le decine di migliaia di persone che si sono mobilitate durante il 25S, ma anche nei confronti del proprio elettorato. Il governo non ha in mente nessun piano di azione, a parte quello di continuare nella propria politica di tagli, accompagnati da una dinamica repressiva sempre più intensa, e sempre più inutile. La risposta al di là di ogni previsione alla mobilitazione lanciata ieri, la fuga clandestina degli “onorevoli”, le patetiche dichiarazioni della maggior parte dei deputati sono segni chiari di questo processo.

Vogliamo dirlo senza equivoci: un governo che si sostiene solo grazie al monopolio della violenza è un governo debole, moribondo e condannato.

Il secondo fronte aperto è quello di una grave crisi del modello territoriale dello Stato. Intrappolato tra il prostrarsi alla Troika (UE BCE FMI) – che si traduce nell’imposizione di politiche dettate dalle dinamiche finanziare – e lo smembrarsi del patto tra le élite – che ha permesso di sostenere la distribuzione della ricchezza tra le comunità autonome -, il governo centrale non è altro che uno spaventapasseri. Con grandi difficoltà è riuscito a mantenere una certa convergenza di azione con le varie élite territoriali, come ci dimostra la “minaccia” indipendentista del CIU (Convergenza e Unione, partito della destra catalanista al governo in Catalogna, ndt), capace di mobilitare una buona parte della società catalana nel nome di un progetto sfacciatamente neoliberale e oligarchico. In questo caso, la debolezza non è solo di questo governo. Siamo di fronte a una ristrutturazione generale delle istituzioni, ereditate dal processo della Transizione, che dimostra la necessità di costruire un nuovo modello di democrazia, tanto politica quanto economica.

Infine, il governo si è mostrato assolutamente incapace di imporsi di fronte alla Troika, di difendere gli interessi della propria popolazione e di allearsi con il resto dei paesi europei periferici. Detto in altro modo, il governo non ha smesso di obbedire agli ordini del potere finanziario che ci spinge verso un’intensificazione continua della crisi sociale. In questo quadro, non ci saranno altre via d’uscita se non la recessione e l’impoverimento. E su questo punto dobbiamo stare allerta perché venerdì o sabato sapremo quali sono le contropartite chieste dalla Troika per garantire il nuovo bailout: riduzione degli ammortizzatori sociali per la disoccupazione, aumento dell’età pensionabile, vendita di asset e beni comuni e nuovi tagli ai diritti dei lavoratori nel pubblico impiego.

Oggi, lo spread è tornato a salire rispetto agli ultimi giorni. Molto probabilmente è un avviso da parte della Troika – attraverso la sospensione dell’acquisto di buoni del tesoro – riguardo il fatto che il programma di contropartite imposto dalla finanza deve mantenersi inalterato, al di fuori da qualunque “concessione” alle richieste che provengano dalla cittadinanza.

Quello che abbiamo vissuto nelle strade di Madrid il 25S è stata la prima dimostrazione della potenza dell’organizzazione collettiva. Ci troviamo probabilmente all’inizio di un ciclo di mobilitazioni al quale tuttavia non si sono ancora uniti né i funzionari pubblici, né i pensionati. Dobbiamo riconoscerlo: la mobilitazione del 25S è stata segnata da un chiaro tratto generazionale. La generazione di chi non ha una casa, non ha un reddito, non ha un lavoro, la generazione di chi non ha votato la Costituzione del 1978 e non si sente garantito dai patti che negli anni Ottanta hanno dato corpo a questo modello di Stato.

Eppure, c’è da aspettarsi che le misure che il governo dovrà probabilmente approvare, spingeranno molte altre persone a unirsi all’assedio del Congresso. Il problema è politico e per questo il nostro compito continua a essere quello di riunire la potenza sociale necessaria a fermare il saccheggio del comune a cui stiamo assistendo. Il problema è politico e per questo dobbiamo riuscire a riprodurre quella alleanza che nelle giornate di Luglio aveva unito il 15M, i funzionari pubblici, i pensionati, i lavoratori dell’istruzione, della sanità e una moltitudine di persone che partecipavano senza altro nome che il proprio. Dobbiamo fare in modo che questa stessa alleanza torni a emergere e a mettere in evidenza la crisi dell’ordinamento costituzionale attuale, del bipartitismo imperante e delle istanze rappresentative. Per dire forte e chiaro che la democrazia è un’altra cosa e che questo paese, così come l’Europa, sono ancora da inventare.
La Delegación de Gobierno di Madrid può dire che c’erano seimila persone, parlare di golpismo e paragonarci al colonello Tejero e al suo golpe di Stato fallito nel 1981, però la “loro” realtà e la “nostra” camminano ormai lungo strade separate. L’intelligenza in rete possiede una capacità propria di auto-narrazione e non ha bisogno di meccanismi che la rappresentino. Si tratta di un esempio chiaro della crisi della forma Stato, uno Stato che assomiglia sempre più a una dittatura. Per questo dobbiamo gridare un’altra volta: non siamo spettatori, non ci rappresentate.

Il 25S è finito. Adesso viene il meglio. Il primo passo successivo al 25S è oggi [mercoledì scorso, 26 settembre, ndt] alle 19 a Nettuno, per dimostrare che seguimos adelante.

* Traduzione dallo spagnolo di Francesco Salvini.

Viva la costituente!

da www.uninomade.org

 

Liberare il campo. Questo è il problema che abbiamo posto e ci poniamo dentro il movimento italiano (ma in una prospettiva che guarda immediatamente al Mediterraneo e all’Europa), di fronte all’interrogativo su cui con insistenza è necessario arrovellarsi: perché non c’è stato in Italia l’insorgere di una composizione che di Occupy, degli indignados o delle “primavere arabe” non ripeta pappagallescamente slogan e simboli, ma ne traduca e dunque crei in forma specifica la potenza politica e di generalizzazione? Sia chiaro, sarebbe sbagliato dire che non ci sono conflitti. Questi non mancano e ogni giorno le cronache, sui mezzi di comunicazione di movimento e mainstream, danno conto della loro diffusione. Il punto è che queste lotte faticano a parlarsi, a generalizzarsi, a comporsi su un piano comune. La domanda sul perché ciò avvenga e, soprattutto, su come rompere i dispositivi di frammentazione, non può che avere differenti livelli di risposta: e tutti interpellano urgentemente gli sforzi di inchiesta militante. Lo scorso 15 ottobre l’iniziativa di un insieme di forze politiche, unitamente al ricatto dell’anti-berlusconismo, ha costruito una cappa sotto cui si è cercato di soffocare, dunque di rappresentare, quello che c’era o poteva esserci. Così, mentre in diverse parti del mondo si esprimevano in modo forte potenza e nodi aperti delle lotte globali dentro la crisi, in Italia il dibattito arretrava drammaticamente sui temi della violenza e della caccia agli untori.

Sarebbe ingenuo e improduttivo pensare che la soluzione all’interrogativo risieda semplicemente in una sorta di katechon interno ai movimenti, ovvero una forza che trattiene l’altrimenti inevitabile affermarsi dei dispositivi di ricomposizione delle lotte. E del resto le insufficienze di proposta e organizzative con cui tutti dobbiamo misurarci vanno al di là delle scelte opportunistiche. I punti di blocco sono evidentemente molteplici e consistono fondamentalmente nella tenuta di istituzioni della mediazione sociale (dai partiti e sindacati, fino ad arrivare alla Chiesa e alla famiglia) che, pur in crisi, riescono ancora a tamponare la generalizzazione di comportamenti sovversivi. Queste linee di ingombro, tuttavia, allungano le proprie articolazioni fin dentro i movimenti, e molte delle strutture che rappresentano un pezzo importante della riproduzione antagonista degli ultimi vent’anni (molti centri sociali, ad esempio) oggi appaiono svuotati di capacità espansiva. Liberare il campo, allora, significa non risolvere ma porre sulle corrette basi il problema di costruire nuove forme di organizzazione all’altezza dei compiti epocali che la crisi del capitalismo offre. É, per dirla in altri termini, una condizione necessaria ma non sufficiente, da cui partire per confrontarsi su elementi di programma e prospettiva.

Costituzione e costituente

Mai come oggi è apparso chiaro che nessun tipo di compromesso istituzionale può permettere di indirizzare i movimenti, meglio, di creare all’interno dei movimenti dispositivi di trasformazione efficaci nell’affrontare la situazione politica presente. Negli anni scorsi alcuni compagni hanno pensato di poter trovare una linea intermedia sulla quale coalizzare forze istituzionali (rappresentanti settori della produzione, sottoposti ad una forte pressione di riforma neoliberale) e movimenti di trasformazione sociale. Era facilmente prevedibile che questo tipo di alleanza non avrebbe potuto stabilirsi che in maniera “diplomatica”, qualora non fosse stata esercitata una pressione di base all’interno e all’esterno di quelle stesse forze istituzionali. Alcuni gruppi di compagni hanno invece privilegiato il terreno istituzionale, sia quello sindacale che quello parlamentare, finendo per subire totalmente quel terreno e per risultare subalterni alla sua agenda. Cosa ancora più grave: si è arrivati ad accettare la discriminazione tra compagni sulla base del bieco refrain socialista: “chi è per la violenza è un nemico”. Per questi comportamenti, la critica è necessaria e l’autocritica deve essere imposta.

Il tentativo di alleanza con la Fiom è stato in proposito un esempio classico di fallimento politico: perché? Perché non si potevano accostare funzioni separate, come quella della mera difesa “lavorista” di una classe operaia di fabbrica investita da una profonda ristrutturazione e quella della proposta di un reddito garantito di cittadinanza che trasforma la concezione stessa del lavoro produttivo. Ogni tentativo svolto su questo terreno senza l’accompagnamento di una forte coscienza teorica del passaggio che si sta compiendo, è opportunista se non cialtrona. Il risultato è che oggi la Fiom è su posizioni più arretrate e conservatrici di tre anni fa. La parola d’ordine della costituente può invece diventare un punto unificante, come già sta avvenendo in Spagna. Il problema oggi è quello dunque di costruire, sul livello generale, forme di contropotere che contrastino l’avanzamento delle proposte costituzionali (sia sul terreno della pratica giuridica, sia sul terreno delle riforme strutturali) che le élite neoliberali impongono. È su questo terreno che tutte le forze e i movimenti della trasformazione, presenti sui territori, possono e debbono muoversi. Queste indicazioni prevedono un’apertura sociale massima degli organismi di base alla discussione di indicazioni costituenti ed alla definizione di strumenti adeguati. Negli anni ’90 si diceva “uscire dal ghetto” e si occupavano i centri sociali; ora, se non si vuole rimanere intrappolati nella gabbia dell’autoreferenzialità, bisogna aprirsi organizzativamente alle iniziative di nuova istituzionalità autonoma, dalle occupazioni dei lavoratori dell’arte e dello spettacolo a quelle di intere porzioni di territorio, trasformate in luoghi di contropotere costituente. Infatti, anche nelle lotte territoriali o per i beni comuni, così come per Occupy o le acampadas, il problema non è ripeterne slogan e icone da spendere sul mercato della politica: se non si comprende questo punto, non ci possiamo spiegare perché il movimento No Tav riesce a generalizzarsi e falliscono esperienze almeno potenzialmente analoghe. Il tema del comune, gli obiettivi e i programmi legati alle lotte sul comune e alla proposta costituzionale del comune sono dunque centrali.

Dentro/contro l’unità europea

Lo abbiamo detto e ripetuto: ogni illusione di poter scegliere lo spazio nazionale per portare avanti le lotte anticapitaliste è del tutto illusorio. Sul terreno europeo il capitale ha anticipato con enorme forza le politiche del riformismo socialista, le ha decisamente estirpate. Riconoscere questo ritardo, di venti-trent’anni, significa anche attribuirne la responsabilità a tutti quelli che, dopo la fine dell’Unione Sovietica, hanno pensato che la forza del movimento operaio internazionale (o addirittura la lotta di classe) fosse definitivamente scomparsa. Affermare che la lotta di classe si svolge sul terreno nazionale è sempre stata un’infamia (ed oggi è un errore moltiplicato per mille). C’è chi ancora si stupisce che il rifiuto dell’Europa finisca per essere populista e/o fascista: questa non è una deriva ma uno sviluppo coerente per ogni atteggiamento e/o comportamento identitario. Quello che è successo nell’ultimo anno in Ungheria ne è una dimostrazione lampante.

L’Europa rappresenta il nostro destino: può essere un inferno ma è anche il terreno adeguato alle lotte di emancipazione nel mondo globalizzato. Interiorizzare il senso europeo alla lotta di classe, ovunque essa si svolga, nelle fabbriche, nei servizi industriali e sociali, nell’università, ecc., è assolutamente fondamentale. È chiaro che le politiche dell’Unione europea vanno fin da ora radicalmente modificate e che la preminenza dei vecchi trattati va combattuta: ma questo non è un passaggio entro il quale lo spazio europeo venga dissolto (e le singole nazioni lasciate ancor più in preda alle operazioni delle grandi multinazionali e dei poteri finanziari) – questo passaggio è costruttivo di organizzazione, di contropoteri, di nuove strutture costituzionali. Programma del comune e programma europeo vanno completamente unificati. Per dirla chiaramente: non c’è programma del comune se non su base europea. Non è un caso che dalla Spagna, dal Portogallo e dalla Grecia – per citare i tre maggiori esempi di mobilitazioni, di massa e radicali, contro l’austerity – i compagni più avvertiti pongano con insistenza la necessità di uno spazio europeo, pur nella consapevolezza della difficoltà di questo compito. Senza questa capacità di iniziativa politica europea, che è oggi innanzitutto mediterranea, quindi in grado di allargarsi alle “primavere arabe” sull’altra sponda, le lotte contro l’austerity rischiano di essere consegnate al rancore localista. La costruzione di una “leva meridionale” con cui riaprire la questione europea, a partire dai paesi membri della UE maggiormente investiti dalla crisi, ma con una capacità di collegarsi a quanto si muove sulla sponda sud del Mediterraneo, può diventare un realistico progetto politico in questa fase.

Al contrario, l’arretramento sul piano della difesa della rappresentanza e della sovranità nazionale è il frutto velenoso della cosiddetta “dittatura della Bce”: da un lato si intende la finanziarizzazione non come un processo reale ma come l’invenzione di una cricca di malvagi (i discorsi sulla casta, fonte dei populismi degli ultimi anni, hanno qui il loro presupposto); dall’altro, si consegnano i movimenti alla peraltro illusoria alternativa tra corruzione del sistema politico e risentimento giustizialista. Nei prossimi mesi, c’è da scommetterci, non mancheranno neppure in Italia grandi esplosioni di conflitto contro le politiche di austerity: la loro caratteristica sarà inevitabilmente spuria e perfino ambigua. Il nostro compito è quello di starci dentro, perché è la stessa condizione della crisi a essere spuria e ambigua. Ma se non vogliamo essere risucchiati nel vortice della demagogia o rinchiuderci nella pura testimonianza, dobbiamo costruire collettivamente la capacità di conquistare l’egemonia programmatica del comune. Ed è solo qui, sul piano dell’iniziativa costituente europea, che la trappola populismo-rappresentanza va rotta e l’ambiguità può essere rovesciata.

La lotta per il comune è una lotta per la pace

In questi anni, dentro la miseria della vita politica interna al paese, alcune componenti dei movimenti antagonisti hanno dimenticato la vocazione alla lotta per la pace che altre volte ne ha costituito il nerbo. La situazione nella quale viviamo, i rivolgimenti sensazionali del mondo mediterraneo e mediorientale e i tentativi di controllo e di moderazione della loro potenza rivoluzionaria, le lotte attorno al possesso delle materie prime energetiche, ecc., – tutto ciò porta precipitosamente verso contraddizioni ed antagonismi difficilmente regolabili se non attraverso opzioni belliche. Il fatto che l’egemonia americana nel Mediterraneo fino agli estremi limiti del mondo arabo sia in grave declino non allontana il pericolo ma lo rende ancora più vicino. Bisogna quindi che i movimenti si impegnino immediatamente sul terreno della pace in quanto processo costituente. Le lotte sociali per il salario, per il welfare, per la trasformazione della produzione, per una struttura costituzionale rivolta alla costruzione del comune non possono non avere al proprio interno un’istanza di lotta per la pace e per la giustizia nei rapporti tra le moltitudini.

Dentro la lotta per il comune la pace si spoglia così dei residui idealisti che l’hanno spesso caratterizzata nell’ultimo e importante ciclo no war, quando la lotta contro la guerra faticava a territorializzarsi nella quotidianità del conflitto sociale, finendo per consumarsi nel semplice richiamo alla coscienza civile o, in Italia, all’articolo 11 della Costituzione. Nella storia lunga e recente dei movimenti americani, ad esempio, la guerra è sempre stata un tema centrale, rischiando però spesso di essere il coagulo morale di un ceto medio che reclamava gli ideali del “sogno americano”, gridava al tradimento delle elite e marcava la separatezza dalle lotte contro i rapporti di sfruttamento. Nel momento in cui quel ceto medio è definitivamente declassato e l’American dream sprofonda nell’incubo della crisi permanente, Occupy lascia apparentemente sottotraccia la questione della pace, proprio perché essa comincia a vivere nella materialità delle lotte per un nuovo welfare e contro la povertà e il debito. Non c’è più tradimento, perché quelle elite – a cominciare da Obama – non rappresentano nessuno. E il tema della pace vive nelle “primavere arabe”, il cui processo è stato parzialmente interrotto ma resta completamente aperto, a dispetto delle retoriche – mainstream e di movimento – su un’inevitabile egemonia islamista. I partiti islamisti al governo hanno definitivamente gettato la maschera: infranta qualsiasi illusione di una funzione destabilizzatrice che la stupidità di un consunto anti-imperialismo continua ad attribuir loro, si rivelano per quello che sono sempre stati, cioè i migliori garanti di una prospettiva di stabilizzazione conservatrice. E in questo ruolo utilizzano salafiti e gruppi religiosi che, alla prova dell’insorgenza, si dimostrano nemici innanzitutto dei processi rivoluzionari.

Contro ogni minoritarismo

Liberare il campo, dicevamo. Cioè uscire dal minoritarismo, che non consiste in un puro dato quantitativo, di opinione pubblica, oppure – come pensano tutte le “terze vie”, quelle tragiche e quelle farsesche – moderare i contenuti per allargare il numero dei simpatizzanti: pensare questo, nell’accelerazione della crisi, è stupidità o malafede. L’uscita dal minoritarismo è una prassi politica, la capacità di essere all’altezza della composizione del lavoro vivo, della sua potenza di espressione e radicalità. Quando diciamo politica della composizione contro politica delle alleanze, dunque, non ci gingilliamo con le parole a effetto. Molto concretamente il problema è: perché si riempiono le sale degli incontri tra le supposte rappresentanze dei movimenti, degli studenti e dei lavoratori, e in piazza gli operai dell’Alcoa sono lasciati soli? Perché si constata l’esaurimento della forma-sindacato a Taranto e si consegna al sindacato la (mancata) iniziativa contro la riforma Fornero o per i referendum sul lavoro? Sono domande che interrogano tutti, nessuno escluso. Così, mentre in Italia si implorava la Cgil di convocare uno sciopero generale, a Oakland e nella MayDay questo veniva indetto direttamente dai movimenti, costringendo i sindacati americani, nazionalisti e corrotti, a confrontarsi con l’autonomia di programma e di agenda politica di Occupy. Insomma, è chiaro che processi di organizzazione unitari vanno privilegiati. Ma solo se sono espansivi, dunque con una vocazione maggioritaria e di classe, e non frontisti, cioè minoritari.

Contro crisi e austerità riprendiamoci scuole e città

Questi ultimi mesi sono stati caratterizzati dall’avvento del governo Monti e dei suoi tecnici, che di fatto si è posto su una linea di continuità nell’ottica di applicare le politiche di austerity dettate dalla finanza internazionale.
In un quadro di trasformazione politica, in cui nei fatti l’iniziale fiducia nei confronti del governo Monti è completamente svanita e la crisi si fa sempre più sentire sulle spalle della gente, la scuola ancora una volta resta luogo di costruzione e progettazione, di opposizione e conflitto, contro un sistema economico e sociale che tenta di riprodursi a scapito di chi già sta pagando questa crisi.

La scuola, infatti con il carattere di comunità che l’accompagna, spaventa chi come il ministro Profumo mira a mettere in atto l’ennesima riforma per garantire privilegi ai soliti.
Con la parola d’ordine “meritocrazia” si vuole nascondere di fatti un progetto che ha come obbiettivo quello di far accedere ad un’istruzione di qualità soltanto chi dispone di un certo livello di reddito, al fine di preservare una società giá soggiogata dalle logiche di mercato, nella quale non c’e spazio per la libera scelta.
Molti aspetti sono in continua evoluzione e nel corso dell’estate molti scenari politici si sono definiti, ma la nostra opposizione a questo governo e a questo sistema di sviluppo resta forte e determinata. In quest’ ottica lanciamo la prima data di mobilitazione studentesca nazionale venerdì 5 ottobre.★Studenti Medi in Mobilitazione ★