#Occupywelfare contro il pacco Fornero

Roma, 8 marzo. Ministero del Lavoro Via Veneto 65.  Poco fa OccupyWelfare ha anticipato le mosse e con un blitz precario è entrato nel Ministero del Lavoro di Via Veneto per poter consegnare personalmente la lettera alla Fornero. Al momento decine di attivisti si trovano al piano della Fornero bloccati da una decina di agenti della Digos.

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Comunicato dopo l’incontro.

Con l’uscita della delegazione delle donne precarie di OccupyWelfare che ha incontrato la Ministra Fornero dopo l’occupazione del terzo piano del Ministero del Lavoro, si è conclusa l’azione di oggi: e quanto narrato dalla delegazione sull’incontro ha chiarito bene i termini e le ragioni immutate dell’iniziativa di OccupyWelfare. Le donne precarie di OccupyWelfare hanno messo sul piatto il reddito di base incondizionato come una forma per uscire dal ricatto e non rischiare un default dei diritti e delle persone. Hanno detto no ai sacrifici subito senza certezza di ammortizzatori sociali e di risposte concrete.Hanno anzi rifiutato l’indegno scambio fra vaghe promesse sul futuro e l’attacco che il “lavoro stabile” subisce invece sull’articolo 18. Servono risposte e scelte legislative che estendano e universalizzino le garanzie, non che le abbattano. La risposta della Fornero ricalca i luoghi comuni, le banalità e gli insulti delle ultime settimane (lavoro fisso monotono, precari perchè non preparati e così via): se vi diamo reddito voi non fate nulla per il paese, vi sedete e magiate pasta e pomodoro. Il tutto giustificato con la solita priorità di “salvare l’ Italia”. Anche OccupyWelfare lavora per il bene dell’Italia, a partire dalla sua realtà, quella della vita precaria. E perciò dà appuntamento a tutte e tutti per domani, 9 marzo, dalle ore 14, davanti al ministero in Via Veneto 56: per una vera Occupy, l’istituzione dello spazio pubblico di presa di parola e d’iniziativa comune delle precarie e dei precari, insieme alle precarizzate e ai precarizzati. #OccupyWelfare – Roma, via Veneto 56.

Comunicato Ribellule

Altri video e articoli

Blog San Precario sul Fatto Quotidiano

Repubblica Roma

Corriere Roma

Paese Sera

L’unità

Il Manifesto

Video Sole 24 ore

Video TMNews

Video Corriere della Sera

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Dalle ore 14 tutti/e sotto il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, via veneto n 56

Siamo alle fasi conclusive del progetto di riforma del mercato del lavoro che andrà in approvazione entro il mese di marzo. Il pacco Monti-Fornero è il punto di arrivo delle politiche di flessibilizzazione imposte negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi/Boeri – un esempio di “ingegneria normativa” improntata esclusivamente all’attacco di diritti acquisiti. Una prima dimostrazione viene dall’accanimento sull’art.18, che, pur tutelando ad oggi solo una parte dei lavoratori, rappresenta un deterrente importantissimo nei confronti dello strapotere delle imprese. Non a caso, i tavoli di “negoziazione” tra governo e sindacati non considerano la condizione di milioni di soggetti precarizzati dall’attuale crisi del capitale. Siamo noi lavoratori flessibili e generazioni precarie gli unici che andranno veramente in “default” se continueranno ad essere applicate le politiche di austerità imposte da Fondo Monterio e BCE, volute dai responsabili stessi della crisi, le banche. Il mercato del lavoro in Italia è ormai imperniato sulla tendenziale generalizzazione della precarietà. Il pacco Monti-Fornero non fa che normalizzare questa tendenza sotto la sferza e il ricatto della crisi. Invece, dal nostro punto di vista, ovvero di chi produce ricchezza ogni giorno nel nostro paese, c’è la necessità e c’è la volontà di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità. Non vogliamo più divisione e contrapposizione tra “garantiti” e precari, giovani e meno giovani, nord e sud, lavoro e non lavoro, nativi e migranti. Rifiutiamo la competizione al ribasso tra tutele differenziate e non siamo disposte e disposti ad accettare un livellamento verso il basso del salario come dei diritti. Pretendiamo una redistribuzione generale della ricchezza attraverso strumenti che non possono essere scambiati con i diritti che tutelano il lavoro subordinato. Vogliamo ammortizzatori sociali adeguati a questa necessità: l’indennità di disoccupazione copre solo il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – è erogata solo per una parte dei lavori ed è usata per creare sperequazione e clientelismo. Vogliamo rompere il silenzio sulla realtà di un sistema di welfare sempre più privatizzato e fatto gravare sulle spalle delle donne, che con il lavoro di cura gratuito permettono allo Stato di risparmiare circa 26 miliardi di euro. E’ questa una vera leva della precarizzazione, che fa perno sulle donne come primo soggetto di sperimentazione, accanto alla condizione migrante. Senza intervenire su questa realtà di fondo, non c’è lotta alle dimissioni “in bianco” o promessa sul diritto alla maternità che tenga. Vogliamo garanzie. Vogliamo che siano garantite tutele universali nel lavoro. Rivendichiamo libertà di scelta del lavoro. Difendiamo il lavoro esistente, dall’inizio della contrattualizzazione fino alla garanzie nella risoluzione del rapporto. Pretendiamo un limite al tempo di lavoro e il salario minimo orario; rigettiamo la privatizzazione dei controlli sulla sicurezza, quando giorno dopo giorno si allunga la lista insopportabile di vittime dello sfruttamento. Vogliamo la razionalizzazione delle forme contrattuali e l’estensione delle tutele nei contratti atipici e nel lavoro indipendente. Vogliamo un reddito di base e incondizionato, vero architrave di un welfare effettivamente universale che renda sostenibile un sistema pensionistico finora puntato solo ad una futura miseria. Sappiamo dove trovare le risorse: con un piano legislativo nazionale che le prenda dove ci sono, dai profitti, dalle transazioni finanziarie, dalla rendita, dalle speculazioni, dal pozzo senza fondo di spese militari inspiegabili come quelle per gli F35 e di grandi opere rifiutate dalle popolazioni come quella del TAV. Per questo nella giornata del 9 marzo, in concomitanza con la manifestazione nazionale e lo sciopero della Fiom, pensiamo sia necessario che le reti indipendenti di precari/e e precarizzati/e prendano parola, a partire dalla loro comune condizione di espropriati dei diritti di garanzie e di libertà. Invitiamo tutte/i ad animare #occupywelfare davanti al ministero del lavoro dalle ore 14 per riprendere parola, dare protagonismo e visibilità ai nostri desideri alle nostre rivendicazioni. Occupywelfare vuole costruire un processo indipendente, autoconvocato ed autorganizzato di mobilitazioni durante tutto il mese di marzo, contro il “pacchetto” Fornero.

 

9 Marzo 2012 #Occupywelfare, fermiamo il pacco Fornero

Dalle ore 14 tutti/e sotto il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, via veneto n 56

Siamo alle fasi conclusive del progetto di riforma del mercato del lavoro che andrà in approvazione entro il mese di marzo. Il pacco Monti-Fornero è il punto di arrivo delle politiche di flessibilizzazione imposte negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi/Boeri – un esempio di “ingegneria normativa” improntata esclusivamente all’attacco di diritti acquisiti. Una prima dimostrazione viene dall’accanimento sull’art.18, che, pur tutelando ad oggi solo una parte dei lavoratori, rappresenta un deterrente importantissimo nei confronti dello strapotere delle imprese. Non a caso, i tavoli di “negoziazione” tra governo e sindacati non considerano la condizione di milioni di soggetti precarizzati dall’attuale crisi del capitale. Siamo noi lavoratori flessibili e generazioni precarie gli unici che andranno veramente in “default” se continueranno ad essere applicate le politiche di austerità imposte da Fondo Monterio e BCE, volute dai responsabili stessi della crisi, le banche. Il mercato del lavoro in Italia è ormai imperniato sulla tendenziale generalizzazione della precarietà. Il pacco Monti-Fornero non fa che normalizzare questa tendenza sotto la sferza e il ricatto della crisi. Invece, dal nostro punto di vista, ovvero di chi produce ricchezza ogni giorno nel nostro paese, c’è la necessità e c’è la volontà di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità. Non vogliamo più divisione e contrapposizione tra “garantiti” e precari, giovani e meno giovani, nord e sud, lavoro e non lavoro, nativi e migranti. Rifiutiamo la competizione al ribasso tra tutele differenziate e non siamo disposte e disposti ad accettare un livellamento verso il basso del salario come dei diritti. Pretendiamo una redistribuzione generale della ricchezza attraverso strumenti che non possono essere scambiati con i diritti che tutelano il lavoro subordinato. Vogliamo ammortizzatori sociali adeguati a questa necessità: l’indennità di disoccupazione copre solo il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – è erogata solo per una parte dei lavori ed è usata per creare sperequazione e clientelismo. Vogliamo rompere il silenzio sulla realtà di un sistema di welfare sempre più privatizzato e fatto gravare sulle spalle delle donne, che con il lavoro di cura gratuito permettono allo Stato di risparmiare circa 26 miliardi di euro. E’ questa una vera leva della precarizzazione, che fa perno sulle donne come primo soggetto di sperimentazione, accanto alla condizione migrante. Senza intervenire su questa realtà di fondo, non c’è lotta alle dimissioni “in bianco” o promessa sul diritto alla maternità che tenga. Vogliamo garanzie. Vogliamo che siano garantite tutele universali nel lavoro. Rivendichiamo libertà di scelta del lavoro. Difendiamo il lavoro esistente, dall’inizio della contrattualizzazione fino alla garanzie nella risoluzione del rapporto. Pretendiamo un limite al tempo di lavoro e il salario minimo orario; rigettiamo la privatizzazione dei controlli sulla sicurezza, quando giorno dopo giorno si allunga la lista insopportabile di vittime dello sfruttamento. Vogliamo la razionalizzazione delle forme contrattuali e l’estensione delle tutele nei contratti atipici e nel lavoro indipendente. Vogliamo un reddito di base e incondizionato, vero architrave di un welfare effettivamente universale che renda sostenibile un sistema pensionistico finora puntato solo ad una futura miseria. Sappiamo dove trovare le risorse: con un piano legislativo nazionale che le prenda dove ci sono, dai profitti, dalle transazioni finanziarie, dalla rendita, dalle speculazioni, dal pozzo senza fondo di spese militari inspiegabili come quelle per gli F35 e di grandi opere rifiutate dalle popolazioni come quella del TAV. Per questo nella giornata del 9 marzo, in concomitanza con la manifestazione nazionale e lo sciopero della Fiom, pensiamo sia necessario che le reti indipendenti di precari/e e precarizzati/e prendano parola, a partire dalla loro comune condizione di espropriati dei diritti di garanzie e di libertà. Invitiamo tutte/i ad animare #occupywelfare davanti al ministero del lavoro dalle ore 14 per riprendere parola, dare protagonismo e visibilità ai nostri desideri alle nostre rivendicazioni. Occupywelfare vuole costruire un processo indipendente, autoconvocato ed autorganizzato di mobilitazioni durante tutto il mese di marzo, contro il “pacchetto” Fornero.

La Valle non si vende, la Valle si difende, per la libertà e l’indipendenza!

Sabato 3/3/2012 h 15 Piazzale Tiburtino – Roma – Tutti in piazza

La Valle non si vende la Valle si difende!

Uno scheletro della politica di palazzo come Fassino dice che il movimento NoTav è cambiato e non sa quanto è vero… non immaginano neanche questi signori quanto la lotta possa far crescere la consapevolezza delle proprie ragioni e la determinazione nel continuare ad affermarle anche man mano che il prezzo della resistenza cresce: notav in carcere, notav in ospedale, notav portati via di peso, calpestati e inseguiti fin nelle proprie case. Non immaginano neanche lor signori chiusi nei palazzi quanto la determinazione di quel popolo resistente abbia risvegliato le coscenze e le emozioni di tanti e tante che non possono assistere in silenzio alla miseria del presente, allo scippo di democrazia, all’ingordigia dei potenti nel divorare risorse, territori e umanità per i loro meschini profitti.

Come la battaglia per l’acqua bene comune ha centrato bene nello slogan “si scrive acqua si legge democrazia” così la ventennale lotta no tav ha affermato le sue ragioni e ora naturalmente si spinge oltre per evidenziare e contrastare quel gap di democrazia che ha ormai reso le istituzioni di ogni ordine e grado la mera interfaccia degli interessi privatistici di speculazione sulle risorse pubbliche e i beni comuni come appunto l’acqua o i territori.

 

El pueblo unido funziona sin partido!

Questo è il vero elemento che turba il sonno dei governanti non già la violenza il cui livello e la cui intensità rimane ben al di sotto di quella violenza che si dà nel sociale e nella quotidianità fatta di povertà galoppante, precarietà esistenziale e disgregazione sociale. Abbiamo letto sui giornali frasi del tipo “la drammatica sequenza” con riferimento al video del giovane con la barba rossa che “aggredisce un poliziotto inerme dietro la sua armatura” ma sappiamo bene che chi legge non è stupido anche perchè viviamo sulla nostra pelle la vera violenza: quella degli sfratti per morosità incolpevole, dei licenziamenti immotivati, del lavoro squalificato, svilito e sottopagato, quella dell’arroganza dei potenti che anche e soprattutto nella crisi trovano sempre nuove occasioni di speculazione e sfruttamento.

 

Quella che viene sbattuta in prima pagina come inaccettabile violenza mette il potere tutto di fronte all’irrimediabilità di una crisi della rappresentanza non più reparabile. Lo ammettono ormai gli stessi partiti che addirittura parlano di slittamento delle elezioni amministrative e perchè no anche di quelle politiche, il cui svolgimento sarebbe inutile e vanificato dall’egemonia dei tecnici su ogni velleità della politica rappresentativa.

Da Napolitano in giù tutti si sperticano in appelli alla coesione sociale sapendo bene che nel momento in cui la si invoca è già irrimediabilmente perduta.

Incrinata in maniera profondissima a partire proprio dal primo articolo della Costituzione laddove la coesione sociale fu affidata al lavoro: pensate per un attimo a cos’è il lavoro oggi e forse inizierete a capire perchè di coesione sociale davvero non si può più parlare.

Bisognerà che si comincino ad abituare lor signori: l’era del fair play e del consenso incondizionato al capitalismo e ai suoi dogmi non c’è più, l’era dell’Unione EUropea come panacea di tutti i mali dell’italietta tanto meno.

 

Nel nostro paese il trucchetto di sedare ogni dissenso rispetto alla gestione dell’austerity con l’inconfutabilità della ragione e dei tecnici rischia di infrangersi sulle Alpi della Valle di Susa.

 

Da Chiomonte ad Atene, da Bussoleno a Barcellona, da Giaglione al Cairo…

Resisteremo un giorno più di loro!
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Qualche settimana fa si è svolta un’operazione repressiva con decine di arresti e denunce nei confronti di attivisti/e NO TAV in tutta Italia. Da quel momento la solidarietà continua a esprimersi in molteplici forme, dal Nord al Sud del Paese: nessuna/o è sola/o, non ci sono buone/i e cattive/i. Un corteo di 80 mila persone si è riversato nella valle, da Bussoleno a Susa, per dire che il movimento NO TAV non si arresta e non ha paura. Il giorno dopo parte l’allargamento dei cantieri, attraverso l’esproprio militare delle terre valsusine. La resistenza dei NO TAV è immediata. Un compagno, Luca, per impedire l’avanzamento delle ruspe, si arrampica su un traliccio. Inseguito da un carabiniere rocciatore, cade, rischiando la vita: è tuttora ricoverato in ospedale in gravi condizioni. I giornali e i media screditano e minimizzano l’accaduto, insultando il coraggio e la determinazione di Luca. La risposta della Val di Susa è determinata, con blocchi e barricate che vengono immediatamente ricostruite non appena vengono sgomberate. Ancora una volta in tutta Italia la solidarietà si fa sentire con manifestazioni spontanee, presidi, blocchi stradali e ferroviari.
Queste sono solo le ultime pagine di una lotta che va avanti da 23 anni.
Di fronte all’attacco dello Stato nei confronti del movimento No Tav, di fronte alla repressione di ogni forma di conflitto, al di fuori del “consentito”, tanto il 3 luglio in Val di Susa quanto il 15 Ottobre a Roma, è necessario reagire. La lotta contro il Tav fa paura ai poteri politici, economici e giuridici, perché ne mette in discussione la loro stessa essenza. Si vuole reprimere l’autorganizzazione, il rifiuto della delega, la molteplicità e la radicalità di azioni e pratiche. Si vuole colpire tanto il dissenso e il contrattacco nei confronti dei poteri costituiti, quanto la condivisione di esperienze di vita che generano forme di cospirazione e di complicità sociale.
Anche attraverso Il TAV e la politica delle grandi opere il capitalismo vuole imporre ancora una volta l’idea di un mondo sottomesso alle leggi del profitto e dello sfruttamento affaristico dei beni comuni. La Val di Susa fa paura perché la lotta contro il Tav esprime la possibilità concreta di un cambiamento reale allo stato di cose presenti: determinarne il seguito spetta a tutti e tutte noi!

IL TAV E’ OVUNQUE, LOTTIAMO OVUNQUE CONTRO IL TAV

TUTTI/E LIBERI/E!

Sabato 3 marzo, ore 15:00, corteo NO TAV, partenza da Piazzale Tiburtino

Daje Luca, Sempre no Tav, a sarà düra!

Assemblea No Tav di RomaVisualizza altro

15 Ottobre: Pesanti condanne a due manifestanti

Pesante condanna per due dei giovani, incensurati, arrestati nel corso degli scontri avvenuti a Roma, nella zona di piazza San Giovanni, il 15 ottobre scorso. Il giudice dell’udienza preliminare Anna Maria Fattori ha inflitto, all’esito del procedimento in rito abbreviato, 5 anni di reclusione a Giuseppe Ciurleo, e 4 anni a Lorenzo Giuliani. Sia Ciurleo, 21 anni, che Giuliani, 20 anni, sono agli arresti domiciliari. L’accusa contestata è di resistenza aggravata a pubblico ufficiale.
In base all’originario capo d’accusa Ciurleo e Giuliani avrebbero lanciato «pietre ed altri oggetti contundenti ed esplodenti» contro uomini delle forze dell’ordine. Ciurleo e Giuliani, stando sempre all’accusa, avrebbero utilizzato «manici di piccone» come «strumenti atti ad offendere». Nell’informativa della polizia giudiziaria, allegata al capo di imputazione, si scrive inoltre che la contestazione ai due imputati «è suffragata da gravi indizi di colpevolezza». I due «venivano» fermati subito dopo «avere attivamente partecipato ad una manovra aggressiva nei confronti delle forze dell’ordine». I familiari dei due giovani, fuori dall’aula, dopo la sentenza sono rimasti senza parole. «Non hanno fatto niente, non hanno fatto niente», hanno solo aggiunto.
Si tratta di una condanna oggettivamente pesantissima se si pensa che la scelta del rito ha consentito agli imputati, difesi dall’avvocato Maria Luisa D’Addabbo, di beneficiare dello sconto di pena pari a un terzo. Prima di entrare in camera di consiglio per la decisione, il giudice aveva fatto sperare la difesa respingendo le richieste di costituzione di parte civile avanzate da Comune di Roma, Atac e Ama, ritenendo che non vi fosse alcun danno diretto tra quanto lamentato dagli enti e la condotta riconducibile ai due manifestanti. Per gli incidenti di metà ottobre, la decima sezione del tribunale, che pure aveva ammesso Comune, Atac e Ama come parti civili, ha già condannato a 3 anni e 4 mesi Giovanni Caputi e a 2 anni il romeno Robert Scarlat.
Le fasi del fermo furono anche riprese in un video (depositato dalla difesa dei ragazzi) che fece il giro del web in cui, da una finestra, in cui si sentiva la voce di una donna: «Non sono loro che dovete arrestare, loro non c’entrano nulla con gli scontri».
Una sentenza pesante e vergognosa che può far piacere al Procuratore Caselli ed al suo teorema accusatorio contro i movimenti.

La riforma del mercato del lavoro | Workshop

La riforma del mercato del lavoro, dalla promessa della flessibilità alla sicurezza sella precarietà. Workshop di autoformazione con l’avvocato Riccardo Faranda

Entro marzo il governo Monti approverà la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Con l’efficienza che contraddistingue il supergoverno dei tecnici finalmente spariranno dal nostro paese quelle zavorre di sfiga (i precari) e di monotonia (gli indeterminati con il posto fisso) mentre arriveranno finanziamenti a pioggia al sistema delle imprese (tutti cavalieri del lavoro) sotto forma di una riduzione permanente dei salari per chi entra o prova a rientrare nel mercato del lavoro. Sindacati e confindustria siedono comodamente ai tavoli di negoziazione con il governo così come hanno fatto da quando, a partire dagli anni ’90, il paradigma della flessibilità è stato universalmente assunto come taumaturgico rimedio ad ogni stortura. Ma noi cosa sappiamo realmente dei progetti di riforma del mercato del lavoro (Ichino, Damiano, Boeri-Garibaldi) da cui prendono le mosse le “trattative”? Per capire meglio le proposte alla base di questa riforma a costo zero per le imprese e le casse dello Stato, i Punti San Precario di Roma promuovono un momento di approfondimento con l’avvocato del lavoro Riccardo Faranda… “Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.” Gramsci

Dalle ceneri di Alessandria. Su Anonymous e Megaupload

La rete negli ultimi 3 giorni ha vissuto un momento cruciale, come sempre succede quando deve difendere le sue liberta’ fondamentali , prima la serrata ad opera di numerosi siti, da Craiglist a Wikipedia, poi l’operazione da guerra fredda che porta in carcere il creatore e molti lavoratori della piattaforma Megaupload in tutto il mondo e infine la rabbiosa reazione di una rete gia’ in movimento con in testa Anonymous a dettare i bersagli, che gradualmente uno a uno cadono inesorabilmente.

Ma andiamo con ordine:

Il congresso sotto il ricatto delle grandi major editoriali elabora una legge (SOPA Stop Online Piracy Act) che di fatto e’ la summa di tutti i metodi possibili per censurare la rete, dal blocco degli ISP, al blocco dei DNS alla blocco dei motori di ricerca, misure che vengono applicate normalmente nei paesi arabi in rivolta nel tentativo di spegnere la comunicazione online o che vengono utilizzate in Cina e in Russia per censurare l’informazione.

A questa proposta la rete ha risposto massicciamente sia in termini di semplici cittadini sia con la presa di posizione di grandi gruppi commerciali e di informazione come Wikipedia (che ha serrato il sito per un giorno intero), Facebook (che ha preso parola per bocca del suo creatore) e Google (che ha esposto un banner di protesta antiSOPA su google.com); si calcola che oltre 200 milioni di visitatori unici in tutto il mondo nella sola giornata del 18/01 abbiano visto e si siano informati riguardo alla protesta e congiuntamente a un’opera di pressione sul congresso USA ha portato al ritiro di numerosi membri del congresso dal supportare la legge e alla conseguente procrastinazione in data da definirsi.

La reazione a questa ennesima (ma in ogni caso momentanea) sconfitta e’ stata evidentemente scomposta, l’FBI infatti per il giorno 19/01 lancia una fitta campagna di arresti indirizzati al proprietario della piattaforma di Megaupload e a diversi suoi dipendenti sparsi per il mondo con accuse che superano i 50 anni di carcere e che vanno dal riciclaggio all’estorsione. Megaupload e Megavideo vengono oscurati.

Oltre la solidarietà per persone che stanno rischiando decenni di galera e che vengono arrestate con mandati internazionali dalla Nuova Zelanda alla Lettonia semplicemente perché avevano un sito di hosting, non c’è particolare simpatia per Kim “dotcom” Schmidzt, ultramilionario e fanatico delle macchine, il punto è un altro ed è quello che farà scattare la rappresaglia della rete.

Il punto è che le piattaforme di hosting per quanto private, per quanto speculative, per quanto eticamente meno giustificabili per lo sharing (non sono p2p sono in direct download) sono dei magazzini, dei magazzini dove gli utenti mettono quello che vogliono, dalle foto del compleanno della nonna all’ultima puntata del dottor House sottotitolata in ceceno.

Chi carica materiale protetto sa, forse a cuor leggero ma lo sa, che sta commettendo un’infrazione, che può essere perseguito e che il suo materiale se scoperto verrà cancellato; in ogni caso è intenzionato a poter condividere una sua distribuzione di un gioco, di un film appena uscito, di un crack per un programma costoso, i motivi di queste intenzioni sono molteplici vanno dall’autogratificazione alla coscienza che le opere di intelletto debbano essere libere e accessibili, quale che sia la motivazione, la loro utilita’ per chi non ha i soldi per andare al cinema 3 volte al mese, comprarsi sky per vedere un telefilm, comprare 10 giochi l’anno etc. e’ immensa .

Tornando a megaupload la sua piattaforma conteneva il 5% dei contenuti online dell’intera internet, era visitata da milioni di persone quotidianamente sia per motivi legali che per quelli considerati “illegali” e la sua messa offline per colpa di un governo asservito alle major discografiche, editoriali e cinematografiche priva il mondo di una biblioteca di contenuti globali frutto di 6 anni di accumulazione.

Tutto quel materiale oggi, dalle foto della tua vacanza all’ultimo football manager e’ nelle mani dell’FBI, tutto quel materiale è stato sequestrato dai magazzini personali e requisito aldilà di prove di illegalità. Non si tratta quindi di difendere l’investitore, il proprietario, o il pubblicitario che c’è dietro megaupload, si tratta come al solito di difendere i propri spazi di libertà nella rete, è quindi la solita vecchia guerra contro chi vorrebbe fare di internet strumenti di controllo e di commercio contro chi invece vuole che la rete diventi definitivamente quello per cui è nata cioè uno strumento di condivisione e di comunicazione libera.

Per questo 15 minuti dopo il comunicato di megaupload la rete ha risposto con il più grande attacco della sua storia, per questo il collettivo anonymous è riuscito con il solito successo a colpire più bersagli in poche ore.

Decine di migliaia di persone nel mondo hanno dato il loro supporto,in migliaia hanno azionato LOIC, in milioni hanno condiviso i bersagli twittandoli e hanno incitato alla rappresaglia esultando quando un sito dopo l’altro cadeva; i bersagli erano le industrie musicali (universalmusic.com) i consorzi editoriali (mpaa.org e riaa.com) e i siti governativi (copyright.gov, justice.gov) e infine l’odiata FBI (fbi.gov) che nel 2011 ha arrestato un numero di attivisti impressionante con accuse per centinaia di anni di carcere e con una condotta che non differisce troppo dalle polizie presidenziali dei paesi arabi in rivolta.

Oggi 20/01 l’operazione #OpMegaupload continua mentre scriviamo :

#Anonymous reports that justice.govt.nz and shop.mgm.com are Tango Down in continuing #OpMegaUpload

Ma un attacco ddos non basta e come giustamente dice Anonymous:

Questo non è solamente un richiamo collettivo di Anonymous a darci da fare. Cosa può mai risolvere un attacco DDoS? Che cosa può essere attaccare un sito rispetto i poteri corrotti del governo? No. Questo è un richiamo per una protesta di grandezza mondiale sia su internet che nella vita reale contro il potere. Diffondete questo messaggio ovunque. Non possiamo tollerare quello che sta succedendo. Ditelo ai vostri genitori, ai vostri vicini, ai vostri colleghi di lavoro, ai vostri insegnati e a tutti coloro con i quali venite in contatto.Tutto quello che stanno facendo riguarda chiunque desideri la libertà di navigare in forma anonima, parlare liberamente senza paura di ritorsioni, o protestare senza la paura di essere arrestati. Andate su ogni rete IRC, su tutti i social network, in ogni community on-line e dite a tutti l’atrocità che sta per essere commessa. Se protestare non sarà abbastanza, gli Stati Uniti dovranno vedere che siamo davvero una legione e noi dovremo unirci come una sola forza opponendoci a questo tentativo di censurare Internet ancora una volta, e nel frattempo scoraggiare tutti gli altri governi dal tentare ancora. Noi siamo Anonymous. Noi siamo una legione. Non perdoniamo la censura. Non dimentichiamo la negazione dei nostri diritti come esseri umani liberi. Questo è per il governo degli Stati Uniti. Dovevate aspettarvi la nostra reazione.”

http://www.youtube.com/watch?v=Smb-cFSDXrw

 

 

Working Class Heroes. I migranti, la guerra e l’impossibile democrazia

Generazione Precaria
Via A. da Giussano 58
Sabato 16 aprile
ore 16-18

Le rivolte nel Maghreb e in Egitto, la guerra in Libia e la situazione a Lampedusa e negli altri luoghi d´Italia dove sono “smistati” coloro che ogni giorno approdano sulle nostre coste hanno riportato i migranti al centro della scena pubblica. Dopo essere stati inneggiati come protagonisti delle nuove rivoluzioni, oggi i migranti che arrivano sulle coste di Lampedusa sono visti come orde barbariche che bussano alle porte dell´Europa, oppure come profughi, vittime, sfollati, clandestini.

I recenti tentativi dell´Italia di trattare col governo di Tunisi, così come la polemica sempre più accesa con la Francia, mostrano che la posta in gioco di quelle rivoluzioni e di questa guerra è il controllo dei movimenti dei migranti. Gli uomini e le donne del nord Africa sono scesi in piazza anche per riconquistare una libertà di movimento negata dai loro governi, che per lungo tempo e soprattutto in tempo di crisi sono stati garanti per l´Europa delle sue frontiere esterne. Oggi l´Europa si prepara a legittimare qualunque governo – più o meno “democratico” – sia disposto a riaffermare quel controllo.

Eppure, migliaia di uomini e donne grazie alle rivoluzioni hanno ricominciato a muoversi e ogni giorno raggiungono l´Europa. Al di là delle retoriche che trasformano tutto in emergenza, è necessario domandarsi quali trasformazioni innescheranno questi processi qui e ora, sapendo che gli uomini e le donne che arrivano in questi giorni sulle nostre coste vivranno, si muoveranno e lavoreranno in Europa, accanto a quei migranti e a quelle migranti che lottano ogni giorno contro il razzismo istituzionale, e sulla cui pelle si gioca una parte importante della precarizzazione di tutto il lavoro.

Proprio perché la condizione dei migranti riguarda tutti, proprio perché i migranti parlano della condizione precaria di tutto il lavoro, noi crediamo che il lavoro migrante debba saper parlare all´interno degli Stati generali nel loro complesso, e non solo in un workshop. Pensiamo anche, però, che ci siano delle domande precise alle quali sia necessario rispondere, oggi, per poter pensare a uno sciopero che sappia essere davvero precario, operaio, migrante:

Che cosa significa la concessione di un permesso di soggiorno provvisorio, in che misura apre possibilità per i migranti o mette invece il governo nelle condizioni di identificare gli uomini e le donne che ne beneficeranno, messi così sulla soglia della clandestinità e dell’espellibilità?

Come legare questi elementi di novità alla condizione di quei migranti che da anni vivono e lavorano in questo paese e sono schiacciati dalla folle amministrazione dei permessi di soggiorno, dalla crisi che rischia di renderli clandestini, da una condizione giuridica e materiale che vorrebbe impedire anche ai figli dei migranti di liberarsi da un destino già scritto di sfruttamento?

Che cosa significa in prospettiva che migliaia di uomini e donne senza documenti si ritroveranno “liberi di essere clandestini” in Italia e in Europa? Come questo influenzerà le trasformazioni del lavoro, se alcuni saranno disponibili ad accettare una precarietà ancora più forte pur di restare?

Come fare, per pensare sia i processi di precarizzazione sia gli spazi di organizzazione e di lotta, fare i conti con la sempre più marcata ”regolarità” della condizione irregolare dei migranti?