A’ l’è Düra, ma non drammatizziamo (Giorgio dal carcere)

da www.infoaut.org

Saluzzo, 30 marzo 2012

Gli articoli sui giornali locali che
hanno riportato il comunicato della sezione “ISOL”, la visita della delegazione,
la conferenza successiva a Saluzzo, infine il partecipato presidio di sabato 4
marzo hanno rotto la normale “routine” del carcere e ulteriormente innervosito
la direzione e il comandante che si arrampicano sugli specchi per difendere il
loro operato. Il presidio è stato sentito in tutta la prigione, i detenuti che
incontro quando vado a messa, appartenenti alla prima e seconda sezione ALTA
SORVEGLIANZA, il barbiere, il bibliotecario e lo spesino riportano che in tutte
le sezioni sono sei in totale, sono contenti e ringraziano per l’attenzione che
c’è intorno al carcere di Saluzzo. Andiamo avanti a piccoli passi.

Vi racconto uno spiacevole episodio successo nella nostra sezione “ISOL”
DOMENICA 18 MARZO. Da metà marzo scendo all’aria dalle 13 alle 15, sono l’unico
quasi sempre, gli altri preferiscono rimanere a giocare a carte o chiacchierare
nel corridoio che scendere ognuno divisi nel suo cortile/box. Quando risalgo
vengo a sapere quello che è accaduto. Appena “aperti” due giovani detenuti hanno
un acceso diverbio per futili motivi dovuti al nervosismo che si è venuto a
creare nel fine settimana quando si sono esaurite le sigarette e il tabacco.
Intervento delle guardie e chiusura in cella per tutti. Un detenuto, lo stesso
che aveva già subito una “ripassata” di botte a metà dicembre si rifiuta ed
insulta gli agenti, quasi tutti graduati, viene portato in ufficio lontano da
sguardi indiscreti e colpito con una nuova scarica di botte e calci.

Pur essendo un ragazzo che fa palestra ed incassa “bene” quando è arrivata
giovedì la delegazione con Vattimo, Artesio e Biolè erano ben visibili i segni
sul volto e sul corpo. Nei giorni precedenti nonostante le proteste il
comandante aveva cercato di minimizzare, spingendosi a dire che il ragazzo si
era picchiato da solo. Dopo la visita della delegazione, il giorno dopo lo hanno
convocato per raccogliere la testimonianza e fatto refertare in infermeria. In
questi casi il detenuto cerca di farsi assistere dall’avvocato, che per ogni
istanza va pagato se no ti trascura o ti consiglia il silenzio che è sempre
meglio per il tuo futuro processuale.

Aldilà di frasi fatte in prigione c’è gente informata dei fatti che
raccontano problemi e speranze. E’ difficile aspettarsi da un detenuto che ha
dieci anni alle spalle scontati e che ne ha 28 da fare, che “spera” di avere il
primo permesso fuori per vedere la moglie ed i due bambini oramai ragazzi, che
si esponga quando un solo rapporto punitivo può precluderti ogni speranza.

L’attacco telematico di alcune settimane orsono di anonymous in cui è stato
attaccato il site del ministero di grazie e giustizia ha comportato a Saluzzo il
blocco della spesa per due settimane della “spesa” per i detenuti (risulta che
abbia colpito tutte le carceri italiane). Pur essendo la “spesa” uno dei momenti
importanti e delicati, non ho sentito un solo detenuto lamentarsi contro
anonymous, ma tutti contro la direzione, che non sistemi manuali vecchia maniera
avrebbe potuto garantire comunque lo stesso il servizio. E’ stato sicuramente un
attacco ben calibrato che ha colpito in profondità il sistema informatico del
ministero.

Alcune lettere che ricevo (ne approfitto per ringraziare) sono intrise di un
certo vittimismo: “poverino, tieni duro, che brutte cose ti stanno facendo”.
Ebbene questo è un modo sbagliato di porsi. Alessio, Maurizio, Marcelo, Luca e
Juan si trovano in forme diverse nelle mie stesse condizioni. Isolamento e
sovraffollamento, silenzio e rumore creano “stati d’animo” diversi e molto
soggettivi. Sdrammatizzando, ora c’è qualcosa di diverso nella mia vita, poco
avvezza alle novità e al nomadismo, che ha sempre preferito il fresco della
montagna e guardato con sospetto al rito del sole in spiaggia, il mare
considerato come una bacinella d’acqua o poco più. Non per niente da vent’anni
passo in tenda i primi 10 giorni di agosto ai duemila metri della valle
argentera, tra la val di susa e la val chisone. Eppure da quando è entrata in
vigore l’ora solare, dalle 13 alle 14, il sole “batte” in un angolo del cortile
d’aria, faccio la “tintarella” su un tappetino di fogli di giornali e una
bottiglia di plastica come cuscino, l’asciugamano è vietato, il capoposto
afferma che nemmeno il giornale sarebbe consentito all’aria dell’isolamento,
secondo lui, si potrebbe arrotolarli e dargli fuoco. Mah. (c’è solo cemento
dappertutto e una porta di ferro e i segnali di fumo stile apache non sono
capace di farli). La novità di oggi venerdì 30 marzo: un agente seduto su una
sedia posizionata a controllarmi davanti alla mia aria per tutta la durata della
stessa. Ha ricevuto l’ordine dal capoposto.

A differenza di qualcuno che è caduto dal ramo come un fico secco,
l’operazione scattata il 26 gennaio dagli “organi competenti” era prevedibile.
Come comitato di lotta popolare di Bussoleno, da settembre in avanti ci
siamo adoperati a preparare il terreno perché i nostri militanti e gli attivisti
del movimento prendessero in considerazione tale ipotesi con possibilità senza
inutili isterismi e paure, ben sapendo che per come è fatto il movimento NO TAV,
nel suo essere una comunità popolare in lotta variegata e trasversale, nulla era
scontato. Non volevamo cadere nella trappola lotta/repressione/ghetto, che con
il ricatto e la paura indebolisce fino ad ammazzarle le lotte, ma fosse invece
parte integrante, anzi una spinta propulsiva alla lotta, che ne rafforza la
mobilitazione.

Scontato, per noi, soggettività militanti che innocenza e colpevolezza sono
categorie dannose e distorte, che essere in attesa di giudizio o condannati poco
cambia. Dopodiché, da qualche parte che non siano le nostre granitiche certezze
bisogna partire per aprire contraddizioni e costruire consenso ad una battaglia
di libertà contro il carcere. Altrimenti accettiamo il terreno della finzione
dello “scontro totale” che necessita di ben più approfondite analisi e
riflessioni. Ma in quel caso perché fare gli “uccel di bosco” e poi costituirsi
usando l’alibi del gesto personale? Lì non serve più la continuità, ci si
inchina di fronte all’individuo, questa si massima personalizzazione
possibile.

Da quando tirano forti i venti della crisi si sente che qualcosa scricchiola,
c’è fragilità nel meccanismo ben oliato della riproduzione e dell’accumulazione
del comando capitalista sulla società. Quando Caselli a Torino, non a Palermo
ripete in continuazione la cantilena “mi sento solo”; quando i politicanti di
ogni sorta si ubriacano a suon di frasi fatte “siamo in democrazia, difendiamo
il vostro diritto a manifestare” senza disturbare troppo, perché nulla deve
inceppare il “sistema” in cui ingrassano i padroni, speculatori, devastatori,
sindacalisti vari, meschini individui, supposti amici e veri nemici. Quello che
accomuna un nostro ex alleato a Venaus nel 2005 Pecoraro Scanio, in pensione a
48 anni a quegli spaventapasseri bipartisan di Ghiglia ed Esposito.

Uno strano disgusto è quello provato dalla scenetta della maglietta sulla
Fornero con quel trombone di Diliberto che si smarca. Meno normale una Ministra
Fornero che dal suo punto di vista, di classe, dice “non ci hanno chiamato al
governo a distribuire caramelle” e si assume le sue responsabilità. E’ invece
penosa la signora che indossava la maglietta che per due giorni si è rinchiusa
in casa per la vergogna a piagnucolare. In questa storiella sta tutto lo schifo
di un certo modo di fare politica e sindacato a base di tarallucci e vino, pane
e democrazia, compromesso e mediazione, perché siamo tutti sulla stessa barca.
La signora lasci perdere t-shirt, video e foto, rispolveri qualche libro
novecentesco su chi è amico e chi è nemico, chi sta da una parte e chi sta
dall’altra parte della barricata.

Non ci si lasci imbambolare da Napolitano, non è sopra le parti, è parte del
problema. Alla retorica della democrazia come status quo per non cambiare mai
bisogna contrapporre la forza della partecipazione come diversità ed alterità al
quadro dominante. Lavoriamo perché prima o poi, non qualcuno ma pezzi

importanti di una nuova composizione di classe gliene chiedano il conto. Non
mi piace il gioco d’azzardo, però, siamo ambiziosi, aspiriamo nel nostro piccolo
a far saltare il banco.

A’ l’è Düra.

 

GIORGIO

La riappropriazione non è reato. Reddito e diritti per tutti!

ll 6 novembre 2004 dopo mesi di mobilitazioni e riunioni in tutta Italia veniva organizzata a Roma una grande manifestazione per la richiesta di un reddito garantito per tutti e tutte.

Gli stessi movimenti che organizzarono quella manifestazione realizzarono anche delle azioni simboliche sul carovita e sull’accesso a beni e servizi per una vera redistribuzione della ricchezza. L’iniziativa effetuata al supermercato Panorama nella zona di Pietralata fu trasformata immediatamente dall’allora Governo Berlusconi, dal Ministero dell’Interno, dal centro-sinistra e dai media in nuovo episodio di “esproprio proletario”, per l’ennesima volta veniva riesumata la cartina di tornasole degli anni ’70 e il terrorismo e la risposta a quella giornata fu un’ accusa di concorso in rapina pluriaggravata per 105 persone.

Mercoledì 28 Marzo 2012, una sentenza del Tribunale di Roma assolve tutti gli imputati di quel processo perchè il fatto non sussiste. Non esiste la rapina perchè quell’azione era una dichiarazione della crisi che sarebbe venuta, dell’aumento della povertà della società italiana e della progressiva sottrazione di diritti e garanzie. Era un’azione politica per affermarel’impoverimento di tutti noi, precari, disoccupati, migranti, cittadini e cittadine, lavoratori a tempo indeterminato, donne e uomini di questo paese. Non certo un’iniziativa di una banda di criminali.

Allora entavamo in quel supermercato parlando di shopsurfing, del nostro paniere precario e della necessità di avere nuovi diritti di cittadinanza, nuove garanzie sociali. Oggi, purtroppo, la precarietà è generalizzata grazie ai governi di centrodestra e centro sinistra, ha travalicato  i muri dei posti di lavoro – anche quelli cosiddetti garantiti – e ha travolto le vite di milioni diitaliani di tutte le età, diventando un vero e proprio sistema di controllo disciplinare.

La crisi sta trascinando via gli ultimi residui di diritti e la nuova riforma del mercato del lavoro è un lampante esempio di come la stessa ricetta venga riproposta con ancora più vigore. Ma quest’assoluzione dimostra, di fronte alla fine di ogni mediazione sociale, l’unica capacità rimasta ai poteri forti: quella di reagire con criminalizzazione e ordine pubblico cercando di isolare e additare i movimenti sociali,  i precari che i organizzano o chi si batte per la difesa deibeni comuni come portatori di violenza e sopraffazione.
La verità è che in Italia come nel resto dell’Europa che conosciamo da troppi anni c’è un’indicazione conservatrice e fortemente ideologica che propaganda la soluzione del mercato come unica possibile soluzione e via d’uscita, che sacrifica la vita di tutti/e noi per l’esclusiva produzione di profitti.

Oggi diciamo che è ora di trasformare questo paese rimettendo al centro le pratiche di conflitto contro le politiche di austerity. Le lotte contro i processi di precarizzazione si caratterizzano ancora una volta come lotte per la libertà. Per questo non ci fermeremo ma anzi rilanciamo nuove mobilitazioni contro il caro-vita, le politiche di austerity e la riforma del mercato del lavoro. La chiusura di questo processo afferma il carattere persecutorio nei confronti delle opposizioni sociali, così come sta avvenendo attualmente nei confronti del movimento no-tav, che vede rinchiusi nelle carceri i compagni e le compagne a cui vengono applicate restrizioni da carcere speciale come il 41 bis. A loro va il nostro pensiero e la richiesta immediata ed incondizionata della loro liberazione.

Oggi splende anche il sorriso di Antonio, nostro fratello imputato di quel processo e morto nel mentre per la precarietà del lavoro, che afferma beffardamente: “il Re è nudo”.

Laboratorio Acrobax

Barcellona, 29M 2012: cronostoria della huelga general

La nostra narrazione dello sciopero sociale, precario, metropolitano!

 

Piu di 250000 secondo i media mean stream, 50000 secondo il corpo di polizia della guardia urbana. 82% di partecipazione allo sciopero secondo i sindacati, 22% secondo il governo. Come sempre, tutto dipende dal punto di vista.

Barcellona, 29M 2012, ore 00.00. Iniziano i picchetti organizzati dalla grande efficacia organizzativa e territoriale delle Assambleas de barrios. A mezzanotte e un minuto inizano a rimbombare per Barcellona suoni dei petardi accompagnati dal coro vaga, vaga, vaga general!

In pieno centro,  ci si ferma davanti a tutti i pub e ristoranti ancora aperti facendo presente che é l’ora di chiudere e di andare a casa a riposare perché domani sarà una grande giornata di lotta. Fra sorrisi delle cameriere e dei camerieri e facce imbronciate dei proprietari,  i pochi turisti presenti al coro di “turista terrorista”, vengono simpaticamente invitati a continuare a bere i loro fantastici cocktails colorati per strada. Ore 00.30, qualcheduno fa il furbetto.  Serranda chiusa, ma da fuori si sente musica pop a tutto volume. Si alza la serranda e…et voilà il locale continua a essere gremito di gente. Alla faccia attonita de los fiesteros gli si risponde con petardi dentro il locale e fialette fetide molto puzzolenti. Ed ecco che un fuggi fuggi generale attraversa la centrica Via Laietana. Pochi metri più su si intravede un bingo aperto. Bene, bene dice qualcuno. In questo caso, però, i gorilla alla porta fanno subito capire che non è aria. Si entra, altri petardi e altre fialette. Si prova a chiudere la serranda, rompendola. La notizia nella prima pagina della “La Vanguardia” della mattina seguente asserisce che un gruppo di antisistema ha assaltato il Bingo di Via Laietana rubando 2000 euro dalla casa. Magari fosse stato così…..

La passeggiata notturna si chiude in un locale/discoteca dove si sta celebrando una festa dal nome Ven a celebrar la huelga! (Vieni a festeggiare lo sciopero!!). Anche in questo caso però si capisce che non è possibile infliggere più di tanto. Tra una risata di nervosismo e l’altra e le camionette che iniziano a monitorare l’accaduto, si decide tornare a casa….seguirem demà! (continueremo domani!).

Barcellona, 29M 2012, ore 8.00. La declinazione dello sciopero generale a sciopero sociale si intravede già  nelle prime ore della mattina. Dai blocchi stradali alle entrate della città da parte di studenti  universitari, precari e soggettività varie in cerca di quel protagonismo tanto voluto e desiderato in una giornata come questa, si alzano elevate colonne di fumo. Lo stesso accade davanti le fabbriche del Poligono Industriale. Determinati  ed incisivi picchetti dei lavoratori riescono a chiudere completamente le fabbriche della SEAT, Ford e Coca-cola. In tutto il territorio nazionale lo sciopero del settore industriale ha  raggiunto circa il 90%, il quale, a sua volta, ha causato una diminuzione di richieste di energia elettrica del 20%.

Barcellona, 29M 2012, ore 10.00. La storia si ripete. Dai diversi quartieri, partono picchetti per arrivare al grande picchetto unitario (non convocato dai sindacati) nel barrio de Gracia delle ore 13.00. Dalla emblematica e storica Plaza Forat de la Vergonya  si parte in 20. Camminando per il centro il numero aumenta. I pochi piccoli negozi aperti si apprestano frettolosamente ad abbassare la serrande non appena intravedono la massa avanzare.

Questa mattina, però,  l’attacco è verso le grandi superfici. Stiamo vivendo uno sciopero che và oltre le vertenzialità lavorative. Uno sciopero sociale e metropolitano che trova la sua espressione anche in una Huelga de consumo, no compres, no vendas!  (sciopero del consumo, non comprare, non vendere!).  Con la complicità e gli occhiolini dei commessi e delle commesse vengono chiusi e lasciati completamente vuoti le grandi catene di supermercati  Dia, LIDL, Carrefour, Mercadona, Caprabo, Decathlon… riempiendo le entrate principali di adesivi e manifesti con su scritto: Tancat per Vaga General i Social (Chiuso per Sciopero Generale e Sociale). La Confederación Española de Comercio  ha calcolato che il bilancio è una perdita di circa 150 millioni di euro.

Arriva la notizia che durante il picchetto degli studenti universitari la polizia autonoma catalana (i Mossos d’esquadra) ha caricato duramente. 20 fermi, ed è solo l’inizio.  Altre cariche nei quartieri del Clot e Poble Nou. Bilancio delle prime ore della mattinata 6 arresti confermati, solo a Barcellona.

Barcellona, 29M 2012, ore 13.00. Il fiume di gente che arriva nel quartiere di Gracia è impressionante. Uno striscione riporta: Se va a acabar la paz social (sta per finiré la pace sociale), mentre altri ricordano a tutte e tutti che La Reforma Laboral genera sòlo màs Precariedad (La reforma del lavoro genera solo più precarietà) e che vogliamo una Educaciò i sanitat publica i de qualitat (Educazione e Sanità Pubblica e di Qualità). Stencil e adesivi  con su scritto: Ni Reforma Laboral, Ni Pacte Social (nè reforma del lavoro, nè patto sociale) invadono le vetrine di Zara, Luiss Vitton, HM, Cacharel, Benetton, Mango, Verskha, Levis, Desigual. Vetrine ignare del fatto che a distanza di poche ore saranno ben più sanzionate che da un “misero” attacchinaggio.

Nello sgomento generale si pensa a un Cual ès el Plan (Qual è il piano)?  Si ragiona sul fatto che entrare nelle stradine del Barrio de Gracia renderebbe ingestibile e pericoloso l’esito ottenuto. Approfittando della grande affluenza di gente si decide comunemente di andare direttamente verso la tana del lupo. Si inizia percorrendo una delle strade emblematiche del potere economico e finanziario della capitale catalana. Migliaia di persone scorrono lungo la via Diagonal…uh toh, la Deutche Bank prende fuoco. Uh, ma guarda anche la BBVA. Stessa sorte alle tante banche incontrate lungo il breve percorso Caixa Catalunya, Caja Mar, Caixa Tarragona, la sede del Banco Sabadell…..e a differenti siti istituzionali.

Ormai la tensione sta salendo e le sirene dei Mossos d’esquadra iniziano a farsi più vicine. Come spesso succede in terra catalana le camionette iniziano a caricare il corteo. Cassonetti  incendiati vengono utilizzati per fare barricate e impedire una loro veloce avanzata. Il corteo è però ormai già diviso in due, tre parti, mentre i Mossos continueranno per più di un’ora a fare caroselli e giri all’impazzata con l’intento di intimorire e arrestare qualcuno.

Tutte e tutti con facce che iniziano a far intravedere qualche vena di stanchezza mista alla felicità che un po’ di quel malessere e rabbia sociale sia venuto fuori , decidiamo di riposarci aspettando il picchetto convocato per le 16.30 dai sindacati di base CGT, CNT, IAC, COBAS, sempre a Gracia.

Gruppiscoli di persone invadono le panchine e i parchetti delle strade del centro di Barcellona mangiando panini rigorosamente comprati il giorno prima (oggi  si sciopera, non si deve comprare niente), mentre la città già tenta di recuperare la sua normalità con BCNeta (la corrispondente AMA) che prova a sgomberare e pulire le strade.

Barcellona, 29M 2012, ore 16.30. Di nuovo la stessa massa oceanica si riappropria delle strade. Questa volta però la composizione sociale è più variegata. Donne di tutte le età, mascherate con bigodini e vestaglia, danno vita alla Huelga de cuidado y trabajadoras domesticas (sciopero delle lavoratrici domestiche) reclamando la loro esistenza nella vita e nel lavoro. Pensionati, infermieri e infermiere vestite con camici bianchi e verdi, student*, professor*, lavoratori del così chiamato terzo settore animano  e danno vita al grande serpentone che scendendo per la via Pau Claris vuole raggiungere Plaza Catalunya. Contemporaneamente nella strada parallela si muove l’enorme corteo indetto dai sindacati confederali (CCOO, UGT e USOC). L’immagine è emblemática. A soli 100 metri di distanza, due mondi differenti, probabilmente l’uno che non si riconosce nell’altro, ma per noi va bene così. Come diciamo da molto tempo, non vogliamo essere contrapposti ad alcunché, vogliamo e chiediamo solo quello che ci spetta.

Nuovamente, il corteo prende colore, solo che, in questo caldo pomeriggio,  le banche e i negozi delle grandi corporation incendiati sono accompagnate dagli applausi di chi partecipa al corteo. Si arriva a Plaza Catalunya e lì, proprio lì, ci si avventa contro l’emblema del capitalismo spagnolo: El cortes Ingles. Centro commerciale la cui catena è riuscita ad arrivare anche nel più misero e sperduto pueblito della penisola Iberica.

Barricate e tafferugli durano fino a tarda sera. Un totale di più di 220 cassonetti bruciati, più di 50 banche. La durezza dell’atteggiamento dei Mossos d’esquadra si traduce con 44 arresti, 15 feriti in ospedale, 1 giovane ha perso un occhio, un altro la milza, un ferito disperso, sequestrato dai Mossos dentro una camionetta per più di un’ora, pestato e lasciato in condizioni pietose solo verso le 21 di sera solo per strada.

Barcellona, 30M 2012, ore 9.00 Nella metro di Barcellona una signora sta leggendo La Vanguardia che titola: “Gravi incidenti nella capitale catalana. Violenti antisistema assaltano banche”.

Timidamente mi avvicino e chiedo alla signora che pensa dell’articolo:”Nena, la cosa més violenta de tot será tornar a la normalitat” (La cosa più violenta di tutto sarà tornare alla normalità!).

 

11 Aprile – L’appello del Movimento NOTAV

da www.notav.info

 

Questo appello è rivolto a tutti gli uomini e donne che, in questi lunghi mesi di occupazione militare, in questi mesi di lotta e resistenza NoTav, si sono schierati al nostro fianco in ogni dove d’Italia.
Grazie a voi è stato chiaro a chi ha cuore e intelligenza che la lotta dei No Tav di quest’angolo di Piemonte è la lotta di tutti coloro che si battono contro lo sperpero di denaro pubblico a fini privatissimi, contro la devastazione del territorio, contro la definitiva trasformazione in merce delle nostre vite e delle nostre relazioni sociali.
Difendere la propria terra e la propria vita è difendere il futuro nostro e di tutti. Il futuro dei giovani condannati alla precarietà a vita, degli anziani cui è negata una vecchiaia dignitosa, di tutti quelli che pensano che il bene comune non è il profitto di pochi ma una migliore qualità della vita per ciascun uomo, donna, bambino e bambina. Qui e ovunque.
In ogni ospedale che chiude, in ogni scuola che va a pezzi, in ogni piccola stazione abbandonata, in ogni famiglia che perde la casa, in ogni fabbrica dove Monti regala ai padroni la libertà di licenziare chi lotta, ci sono le nostre ragioni.

Dopo la terribile giornata del 27 febbraio, quando uno di noi ha rischiato di morire per aver tentato di intralciare l’allargamento del fortino della Maddalena, il moltiplicarsi dei cortei, dei blocchi di strade, autostrade, porti e ferrovie, in decine e decine di grandi e piccole città italiane ci ha dato forza nella nostra resistenza sull’autostrada. 
In quell’occasione abbiamo capito che, nonostante le migliaia di uomini in armi, il governo e tutti i partiti Si Tav erano in difficoltà. Si sono aperte delle falle nella propaganda di criminalizzazione, si sono aperte possibilità di lotta accessibili a tutti ovunque.

Il 27 febbraio non si sono limitati a mettere a repentaglio la vita di uno dei noi, hanno occupato un altro pezzo di terra, l’hanno cintata con reti, jersey, filo spinato.

Il prossimo mercoledì 11 aprile vogliono che l’occupazione diventi legale. 
Quel giorno hanno convocato i proprietari per la procedura di occupazione “temporanea” dei terreni. Potranno entrare nel fortino fortificato come guerra solo uno alla volta: se qualcuno non si presenta procederanno comunque. L’importante è dare una patina di legalità all’imposizione violenta di una grande opera inutile. Da quel giorno le ditte potranno cominciare davvero i lavori.

I No Tav anche questa volta ci saranno. Saremo lì e saremo ovunque sia possibile inceppare la macchina dell’occupazione militare.

Facciamo appello perché quel giorno e per tutta la settimana, che promoviamo come settimana di lotta popolare No Tav, ci diate appoggio. Abbiamo bisogno che la rete di solidarietà spontanea che ci ha sostenuto in febbraio, diventi ancora più fitta e più forte.
Non vi chiediamo di venire qui, anche se tutti sono come sempre benvenuti, vi chiediamo di lottare nelle vostre città e paesi.
Vi chiediamo di diffondere la resistenza.

Il Movimento No Tav

29 Marzo. Sciopero in Spagna: toma la helga! #29M

29 Marzo Sin Miedo…tomando la huelga!

In Spagna, e principalmente in Catalunya, la “huelga general”(sciopero generale)convocata dai sindacati confederali diventa sempre più uno spazio di partecipazione ampio anche per chi “nei e dai” sindacati non si sente rappresentato. Una sperimentazione che comincia il 29 settembre 2010 in occasione di uno sciopero generale convocato contro l’allora governo Zapatero che aveva intrapreso il lungo cammino di obbedienza ai precetti di UE e BCE in tema di libertà di licenziamento, tagli alle pensioni e al pubblico impiego. In quel frangente l’attraversamento dello sciopero sindacale da parte delle reti indipendenti e di movimento rappresentò il volano per rilanciare su un’opzione di autorganizzazione sociale decisamente eccedente il sindacato aprendo la strada ad un movimento di incredibile radicamento e diffusione: il 15M.

Un cammino di lotta, un processo di sperimentazione costante, di riappropriazione dal basso e di presa di parola da parte di chi non solo questa crisi non la vuole pagare, ma si propone, piuttosto, di superare le condizioni di precarizzazione e frammentazione sociale con cui il capitalismo si riproduce.

Un cammino di lotta che procede dando impulso a processi di movimento che valorizzano la genuina e sana esplosione di rabbia precaria che ormai accompagna costantemente la nostra quotidianità di vita.

Un cammino di lotta che agisce nel presente e sul presente per riprendere e vivere un futuro che non faccia dell’incertezza una variabile costante.

Per il prossimo 29 marzo è stato convocato nella vicina, vicinissima Spagna un nuovo sciopero generale per contrastare la riforma del mercato del lavoro portata a compimento dal nuovo governo Rajoy in un paese dove i tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, sono tra i più alti d’Europa.

Anche in questa occasione la “huelga general” diventa irrinunciabile occasione per una sperimentazione ad ampio raggio che parte dalle pratiche e dalle connessioni tra le medesime e che si pone l’obiettivo di consolidare una strumentazione (“hierramentas”) in grado di incidere realmente sui profitti, sui meccanismi di estrazione del valore e del consenso di cui il sistema capitalistico si è abbondantemente dotato.

Una sperimentazione che al contempo valorizza le reti di relazioni e di attivazione che si sono date sui territori a partire dai bisogni che la precarietà di vita ci nega. Attraverso le Asambleas de barrios si sviluppano le sinergie trasversali ai settori produttivi e ai bisogni che dovrebbero coprire: dalla sanità pubblica, all’educazione, al diritto all’abitare.

Un esempio tra gli altri è quello della plataforma de afectados por la hypoteca (PAH) che ha visto crescere la sua battaglia contro gli sfratti e i mutui sempre più insostenibili a causa della bolla speculativa: proprio il radicamento territoriale delle pratiche dei picchetti e delle occupazioni abitative, l’alto livello di critica alle banche così come alla rendita fondiaria e finanziaria, le massicce campagne di denuncia e boicottaggio hanno costretto molti istituti di credito a rivedere la loro politica di sfratti a favore di una rimodulazione dei mutui (“dacción en pago”).

Allo stesso modo sui territori nascono i coordinamenti per “istruzione e sanità pubbliche e di qualità” contro i tagli, le privatizzazioni e la precarizzazione dei lavoratori del pubblico impiego. Questo variegato universo si organizza in forme classiche e tradizionali ma allo stesso tempo da vita a modalità e sperimentazioni costituenti di innovativi processi sociali che producono la difesa di beni e servizi comuni, si pensi alle occupazioni di scuole ed ospedali che hanno resistito intere settimane in autogestione,. Le iniziative e il movimento si diffondono “en la calle” anche grazie ad un uso e un’attivazione capillare “en la red”.

Da qui, girando per il web iniziano a comparire suggestioni interessanti sulle modalità di partecipazione al prossimo sciopero: Toma la huelga, Huelga Social Universal Revolucionaria, Huelga Sin Miedo, Huelga 29M No trabajes No consumas, Busca tu Huelga… sono solo alcune delle piattaforme e delle parole d’ordine che si vanno diffondendo sulla rete.

http://29msinmiedo.tumblr.com/

Senza paura! Sappiamo bene che molti precari non hanno nessun diritto allo sciopero ma anche per chi formalmente lo potrebbe praticare i meccanismi di ricatto esercitati dai datori di lavoro sono innumerevoli. Questa piattaforma permette di segnalare le pressioni e gli abusi delle imprese (private ovviamente, ma anche pubbliche come le Università) contro la possibilità di scioperare: da quelle che praticano un vero e proprio mobbing, a quelle che perseguitano chi conduce attività sindacali fino a quelle che con la massima cordialità dichiarano di riconoscere il diritto costituzionale allo sciopero ma al contempo invitano a comunicare preventivamente l’adesione dei lavoratori allo sciopero stesso, ovviamente al fine di neutralizzarne la capacità di bloccare la produzione e il servizio.

La piattaforma è arrivata a più di 1700 segnalazioni su tutto il territorio nazionale.

#tomalahuelga:

http://tomalahuelga.net/recursos/

Letteralmente prendi lo sciopero: trasformalo, riempilo di contenuti e rivendicazioni, inventa le pratiche che più ti si addicono come soggettività singola o organizzata, diffondilo.

Sciopero del consumo, sciopero de-genere, sciopero del lavoro domestico e di cura, sciopero “io non pago” che realizzerà forme di riappropriazione diretta sono solo alcune delle sperimentazioni che si lanciano sulla piattaforma della huelga social universal revolucionaria:

http://huelgasur.wordpress.com/2012/03/13/huelga-social-universal-revolucionaria/

Qui si propone anche un manuale scaricabile in pdf per ragionare sullo sciopero nell’era del capitalismo finanziario: se il capitalismo si è trasformato anche lo sciopero si deve trasformare. Allora diventano fondamentali terreni di sperimentazione le occupazioni: dalle case agli ospedali, dalle università alle piazze occupare vuol dire risignificare funzioni e relazioni di conflitto e cooperazione oltre il capitalismo. Dall’Argentina del 2001, alle mobilitazioni francesi contro la riforma delle pensioni passando persino per il recente sciopero dei camionisti in Italia, il manuale spiega come il blocco dei flussi di merci e persone sia nel capitalismo contemporaneo una delle forme più efficaci di sabotaggio dei profitti. La produzione,infatti, risente poco dell’astensione dal lavoro per qualche ora avendo acquisito la capacità di rimodularsi, dislocarsi territorialmente e avvalersi delle scorte presenti nella rete di distribuzione: il blocco di porti o autostrade produce un danno immediato che ovviamente si amplifica esponenzialmente quanto più il blocco si protrae.

In terra spagnola, il movimento sta riuscendo con intelligenza e fervore a trovare canali reali di contropotere suggerendo sperimentazioni, tanto dialettiche quanto pragmatiche, capaci di stimolare un confronto e un conflitto concreto e tangibile contro un sistema che ci vorrebbe sempre più instabili e precari. Il ricatto di questa crisi è prioritariamente nella menzogna costruita ad arte di un possibile “ritorno in carreggiata” con le misure di austerity che dalle riforme del mercato del lavoro all’attacco al welfare e ai beni comuni avanzano in tutta Europa, e non solo, lasciando le istituzioni della democrazia formale e rappresentativa nude di fronte alla loro inutilità.

La potenza dei processi cooperativi è la chiave di lettura su cui scommettere. La cospirazione tra soggetti precarizzati dovrà e potrà costruire anche qui il terreno per uno sciopero precario e sociale che sappia mettere al centro una condizione alla quale non vogliamo più sottostare.

Verso lo sciopero precario… passando per l’hubmeeting 2.0 del 31 marzo e 1° aprile a Milano…

Dispositivi x l’Indipendenza – la crisi economica nell’austerity!

 

La crisi economica nell’austerity: la grande trasformazione tra la crisi del processo della valorizzazione capitalistica, la nuova composizione sociale al lavoro e i dispositivi di comando e governance politica ed economica.

– Introduce Rafael Di Maio – Laboratorio Acrobax

– Andrea Fumagalli, Prof. Economia Politica all’università di Pavia

Siamo oggi di fronte ad una crisi epocale, definita dall’interno della governance europea e dello stesso establishment del gotha finanziario internazionale  come crisi sistemica. Crediamo che alla base di ciò che “giornalisticamente” definiamo “crack finanziario” ovvero del processo economico formale costituitosi negli USA a partire dal 2007/2008, vi siano elementi fondamentali e caratteristiche profonde che vanno indagate. Potremmo accontentarci infatti del corollario della narrazione che la governance politica europea produce, come interpretazione della crisi, anche attraverso un nuovo vocabolario tecnico-governamentale, come ad esempio lo spread  (tasso di differenza interno alla misura di un valore particolare – che però determina la direzione generale delle politiche economiche di Stati o interi mercati comunitari integrati come appunto la Comunità Europea).
Facendo tesoro della riflessione di Marazzi e della sua cogente analisi sulla crisi finanziaria relativamente al rapporto consustanziale tra economia e finanza, che potremmo definire quasi ontologico nell’odierno sistema di accumulazione finanziario, crediamo altresì che la crisi economica affondi le sue profonde radici dentro un senso, un nesso, specifico, interno ad un processo di disvelamento. Il divenire della crisi, complesso di  stratificazioni economiche, politiche e produttive, è per dirla con Braudel dentro un ciclo economico. Ve ne furono quattro: il ciclo genovese XV sec. quello olandese del XVII il ciclo inglese XVIII sec. e quello degli USA. Oggi l’ultimo è a chiusura di un percorso geo-stratecigo che lo ha visto effettivamente egemone negli ultimi due secoli e che volge inesorabilmente al termine. Siamo nel pieno di un processo di transizione, ad un salto di paradigma, caratterizzato anche da un’altra transizione quella del passaggio dall’economia industriale, al modello produttivo post-fordista.

Il nesso tra crisi e produzione, noi lo abbiamo rintracciato fondamentalmente nella crisi della misura del valore, nella crisi del processo di valorizzazione. Nella crisi della misurazione del lavoro e della produzione formale ovvero nella crisi tutta interna allo “sviluppo del capitalismo” mantenendo per dirla con il Panzieri delle “Lotte operaie e sviluppo del capitalismo” uno sguardo critico sulla visione progressista della storia e dello sviluppo del capitalismo.

Loa Acrobax
via della vasca navale, 6 [ponte Marconi]
www.acrobax.org
www.indipendenti.eu

Giovedi 29 marzo-ore 17
Dispositivi per l’indipendenza
presso il LOA Acrobax

Segue la versione integrale della griglia di discussione:

Siamo oggi di fronte ad una crisi epocale, definita dall’interno della
governance europea e dello stesso establishment del gotha finanziario
internazionale  come crisi sistemica. Crediamo che alla base di ciò
che “giornalisticamente” definiamo “crack finanziario” ovvero del
processo economico formale costituitosi negli USA a partire dal
2007/2008, vi siano elementi fondamentali e caratteristiche profonde
che vanno indagate. Potremmo accontentarci infatti del corollario
della narrazione che la governance politica europea produce, come
interpretazione della crisi, anche attraverso un nuovo vocabolario
tecnico-governamentale, come ad esempio lo spread  (tasso di
differenza interno alla misura di un valore particolare – che però
determina la direzione generale delle politiche economiche di Stati o
interi mercati comunitari integrati come appunto la Comunità Europea).
Facendo tesoro della riflessione di Marazzi e della sua cogente
analisi sulla crisi finanziaria relativamente al rapporto
consustanziale tra economia e finanza, che potremmo definire quasi
ontologico nell’odierno sistema di accumulazione finanziario, crediamo
altresì che la crisi economica affondi le sue profonde radici dentro
un senso, un nesso, specifico, interno ad un processo di disvelamento.
Il divenire della crisi, complesso di stratificazioni economiche,
politiche e produttive, è per dirla con Braudel dentro un ciclo
economico. Ve ne furono quattro: il ciclo genovese XV sec. quello
olandese del XVII il ciclo inglese XVIII sec. e quello degli USA. Oggi
l’ultimo è a chiusura di un percorso geo-stratecigo che lo ha visto
effettivamente egemone negli ultimi due secoli e che volge
inesorabilmente al termine. Siamo nel pieno di un processo di
transizione, ad un salto di paradigma, caratterizzato anche da
un’altra transizione quella del passaggio dall’economia industriale,
al modello produttivo post-fordista.

Il nesso tra crisi e produzione, noi lo abbiamo rintracciato
fondamentalmente nella crisi della misura del valore, nella crisi del
processo di valorizzazione. Nella crisi della misurazione del lavoro e
della produzione formale ovvero nella crisi tutta interna allo
“sviluppo del capitalismo” mantenendo per dirla con il Panzieri delle
“Lotte operaie e sviluppo del capitalismo” uno sguardo critico sulla
visione progressista della storia e dello sviluppo del capitalismo.

Quindi una crisi economica e finanziaria strutturale e sistemica,
dalla quale si pensa di poter uscire a seconda delle declinazioni
politiche o dei diversi interessi geo-strategici, attraverso strade o
canali differenti.

Oggi per dirla con Marazzi la finanza è parte integrante della nostra
vita quotidiana, è pervasiva a tutto il ciclo, e le fonti di
finanziarizzazione si sono moltiplicate in modo che le finanze sono
consustanziali alla produzione stessa dei beni e servizi. Questa
estensione delle “fonti di accumulazione del capitale finanziario,
vanno tenute presente per comprendere le trasformazioni del modello di
sviluppo/crisi post-fordista.

Il peso del debito privato spostato sul debito pubblico (in realtà
comprato dalle banche estere, come nel nostro caso, le banche
francesi, che detengono più del 40% del nostro debito sovrano) in
virtù della nuova crisi che stiamo conoscendo, impone agli stati come
gli USA o alla governance della comunità europea diretta dalla
cosidetta Troika – i cui destini peraltro sono incrociati e uniti sin
dal “patto atlantico” – d’individuare le possibili vie di uscita dalla
crisi, stagnazione e bassa crescita. Oggi come oggi, sostanzialmente
abbiamo due modelli sempre più divaricati tra loro che per
semplificazione potremmo etichettare con la Germania della Merkel da
un lato e gli USA di Obama dall’altro. A partire dall’approfondimento
di questi due modelli di crescita e gestione delle risorse pubbliche
vorremmo ampliare la visuale sulla crisi e sulle strade che vengono
indicate come possibili indicazioni anticicliche di uscita dalla crisi
verso una nuova ripresa economica. Vorremmo capire quali sono i punti
di reale differenza tra i due modelli di politica economica che
sinteticamente rintracciamo tra quello della Germania improntato
all’austerity e alla salvaguardia dei conti pubblici a discapito degli
investimenti sulle risorse dedicate alle politiche di welfare, e che
prevalentemente usa alcuni indicatori economici come rigida guida
quasi religiosa per impostare il governo della società e del suo stare
in comune. E quello degli USA che dall’apparizione di Obama ha
invertito le dinamiche fondative del sistema neoliberista, imposto a
se e al mondo sotto la sua influenza anche con la forza e con
l’ausilio di dittature militari come nel sud America negli anni 70 e
80, e che oggi ha decisamente cambiato la rotta delle politiche
economiche a partire dall’utilizzo delle risorse pubbliche e di un
diverso approccio ai parametri come il deficit o lo spread, dando tale
centralità al ruolo dello Stato nell’economia da far ipotizzare un
nuovo impianto keynesiano per la crescita e lo sviluppo capitalista.

Un terzo modello a cui dedicare un ulteriore momento di
approfondimento è il caso dei cosidetti paesi emergenti, i BRIC che
stanno attraversando il corso della crisi fuori da questo binomio a
partire da tutt’altro contesto e che però stanno conoscendo un livello
di crescita esponenziale e di sviluppo complesso tale da
ri-significare lo stesso concetto di crisi globale, a testimonianza
che non si tratta evidentemente, dal crack della Leman Brother in
avanti, della fine del mondo, ma della decadenza di una parte ben
precisa del mondo.  Un altro tema sul quale vorremmo concentrare le
nostre analisi e riflessioni riguardo il contesto economico e sociale
che si respira e si tocca con mano nel nostro paese, a partire dalle
ripercussioni sul MdL come effetto materiale della crisi finanziaria e
della sua ricaduta sul tessuto produttivo e lavorativo – e anche
dell’effetto delle politiche adottate dal governo Monti per seguire le
strade di exit strategy dalla crisi a partire dalla Riforma del MdL tutte peraltro concordate con la UE – sono le liberalizzazioni di alcuni settori
produttivi e le proteste che si stanno susseguendo per contrastarle.
Dopo l’assordante e inaspettato silenzio sulla riforma delle pensioni
a partire dal blocco sociale pensionandi di riferimento (classe
52/53/54) peraltro ampliamente sindacalizzato che si è fatto carico
del costo sociale della riforma delle pensioni, il paese sta facendo i
conti nelle scorse settimane con la caparbia e dura protesta di
alcuni soggetti produttivi ben precisi che sul tema delle
liberalizzazioni stanno costituendo una protesta sociale forte e
decisa – dal movimento dei forconi alla lotta degli autotrasportatori
– sulla quale vorremmo interrogarci a partire da due piani di analisi
inizialmente distinti, due ordini del discorso, paralleli ma
complementari:

Uno riguarda la struttura produttiva: Sergio Bologna per primo aveva
individuato all’interno delle trasformazioni produttive che hanno
costituito il processo di ristrutturazione e trasformazione nel
passaggio di fase dalla grande industria fordista all’economia
post-fordista dei servizi e della conoscenza, proprio nel settore del
trasporto e della logistica, un ambito produttivo centrale,
strategico. In primis come settore privilegiato nella specifica
creazione di valore – centrale nell’economia postfordista – dove la
valorizzazione capitalistica passa dalla produzione materiale delle
merci alla valorizzazione della loro distribuzione e circolazione. E
però il carico di valore aggiunto nei profitti della grande
distribuzione è stato possibile per la nuova organizzazione del lavoro
che ne è conseguita. La riorganizzazione della molecolare struttura
delle sub-forniture ri-articolate dentro le trasformazione della
composizione sociale a lavoro – nei processi di esternalizzazione che
tra gli anni 80 e 90 hanno dato il via al cosi detto esercito delle
Partite IVA – è un tema che vorremmo analizzare oggi alla luce di un
dato sociale nuovo, al netto quindi dell’analisi generale sullo stato
dell’arte dell’economia globale e finanziaria, gettando lo sguardo sul
corpo sociale coinvolto, che porta con sé alcuni elementi di
innovazione e trasformazione radicale anche dell’apparente
rovesciamento del rapporto capitale/lavoro che si delinea nella classe
dei cosi detti padroncini, ovvero delle partite IVA. Su questo blocco
sociale di riferimento a cui sempre per primo Sergio Bologna con
Andrea Fumagalli avevano dedicato la propria analisi relativamente al
lavoro autonomo di seconda generazione, l’importanza appare quindi più
che evidente di dover ancora scandagliare e analizzare in profondità
la vicenda ampliamente annunciata ed intuita della nuova composizione
sociale al lavoro, in questo caso anche in rivolta. E su questo piano
se volete più politico vorremmo dedicare l’attenzione del secondo
elemento complementare alla comprensione dell’attuale fase, ovvero
concentrare il nostro focus sulla composizione sociale del primo
grande blocco dei flussi nella produzione postfordista o anche sul
primo grande sciopero selvaggio del lavoro indipendente nella crisi.
Vorremmo capire se e quanto può essere considerata una protesta
dettata più da esigenze specifiche o corporative o quanto invece
questo non sia altro che l’inizio per una nuova ricomposizione di
classe – delle nuove classi, o della nuova stratificazione di classe –
che potrebbe portare ad una nuova definizione della rappresentanza
sindacale di interessi produttivi emergenti ma anche alla radicale
messa in discussione dell’intera forma dell’organizzazione del lavoro
e della distribuzione della ricchezza sul territorio.

 

Bibliografia di riferimento:

 

Mediterraneo – F. Braudel Einaudi

Lotte operaie e sviluppo capitalistico – R. Panzieri Einaudi

La violenza del capitalismo finanziario – C. Marazzi Ombre corte

Il lavoro di Dioniso – M. Hardt e A. Negri Manifesto Libri

Il lavoro autonomo di II° generazione – S. Bologna e A. Fumagalli Feltrinelli

 

Testi consigliati:

 

Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II – F. Braudel Einaudi

La grande trasformazione – K. Polany Einaudi

Comune – M. Hardt e A. Negri Rizzoli

Il comunismo del capitale – C. Marazzi Ombre corte

Ceti medi senza futuro – S. Bologna Derive e approdi

Oltre lo stato assistenziale – Per un nuovo patto tra generazioni – G.
Esping-Andersen Einaudi

I fondamentali sociali delle economie postindustriali – G.
Esping-Andersen Einaudi

L’immateriale – A. Gorz – Bollati Boringhieri

#Stati Generali della Precarietà a Napoli

NAPOLI 17 – 18 MARZO

QUARTA EDIZIONE DEGLI STATI GENERALIDELLA PRECARIETA’

C.S.O.AOfficina 99 – via Carlo di Tocco – Gianturco – Napoli

Mentre a Roma si giocal’enorme partita della riforma del mercato del lavoro che vede tra i grandiesclusi i precar@ la Rete degli StatiGenerali della Precarietà torna a incontrarsi a Napoli per una serrata duegiorni di workshop e dibattiti che non possono che avere la precarietà cometema centrale.

Non certo la precarietà come strano animale daanalizzare, o la precarietà comeparola di moda con la quale infarcire astratti ragionamenti o vuote propostepolitico-sindacali, bensì la precarietàcome elemento caratterizzante delle vite di milioni di persone a partire dacoloro che animano gli Stati Generali della Precarietà e da chi le lotte le stafacendo portando alla due giorni le loro esperienze, la precarietà conosciuta nelle decine e decine di interventi neiluoghi di lavoro precario, la precarietà vissuta da coloro che sirivolgono ai Punti San Precario per agire legalmente contro i precarizzatori. E’ il Punto di Vista Precario

Per chi si muove nella precarietà, come la Rete degli SgP,è inevitabile respingere al mittente il pacco Fornero-Monti come scritto nellalettera aperta al governo e consegnata al Ministro Fornero dalle donne precariedi Roma. Gli SgP non possono che portare il punto di vista precario dichi non è rappresentato nei tavoli di consultazione, tra una politica che limortifica e un sindacato che non li conosce. I precar@ non hanno scelto la lorocondizione, ma sono il motore dell’economia e le prime vittime della sua crisie gli Stati Generali della Precarietà, non possono che portare il Punto diVista Precario di chi non è rappresentato nei tavoli di consultazione, trauna politica che li mortifica e un sindacato che non li conosce.

Nella due giorni napoletanasi continuerà il percorso nazionale iniziato nell’ottobre del 2010 a Milano contre workshop: Reddito, Punti San Precario, Comunicazione e un’assembleaplenaria finale nella giornata di domenica.

Reddito – laposizione degli SgP è chiara: reddito di base incondizionato. Al di sotto di un certo livello di reddito questo deve esseregarantito calcolandolo annualmente in base alla soglia di povertà relativa. Ilreddito di base come unico strumento contro il ricatto e per agevolare la libera scelta dellavoro. Salari minimi per legge. http://quaderni.sanprecario.info/media/San_Precario_Quaderno_1.pdf

Punti San Precario – un blob di cospirazione precaria che si sta diffondendo in moltecittà italiane. Più di uno sportello sindacale, più di uno sportello legale.Oltre il sindacato. Vere agenzie di conflitto e cospirazione precaria.

Comunicazione– strumento di contaminazione indispensabile per far passare i nostri contenutie condividere azioni, pensieri, sogni, lotte, immaginari.

CalendarioLavori

Sabato 17 – ore 11.30 inizio lavori prima dell’inizio dei  work shop ci sarà una introduzione alla due ggin plenaria – 13.30 pranzo – 15.00 ripresa lavori

Domenica 18 – ore 10.30 inizio lavori (plenaria) – 15.00 chiusura + pranzo

Ufficio Stampa: Paola Gasparoli 333 5446280

#Occupy Welfare >>> venerdì 16 marzo >>>

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#Occupy Welfare  >>> venerdì  16 marzo >>> Via Veneto, 56 dalle ore 16

Mayday! Mayday! Entro il 23 marzo il governo tecno/autoritario ha intenzione di approvare la Riforma del mercato del lavoro! Dopo quella sulle pensioni (parola che ora sparirà dalvocabolario!), anche i diritti sul lavoro già calpestati dagli ultimi 15 anni di politiche di flessibilizzazione realizzate in maniera bipartisan si apprestano ad essere cancellati senza colpo ferire.

Sindacati e forze politiche non ci rappresentano e certo non ci difenderanno dal default dei diritti. Tra “paccate” di soldi – che sono briciole! – sorrisi e mediazioni, gli incontri con il governo vengono definiti da CGIL, CISL e UIL “utili e costruttivi”. Per chi?

Cominciano a prendere corpo le proposte innovative del “paccoFornero”: il contratto dominante ovvero il solito apprendistato che piace tanto ai sindacati per i contributi a pioggia  sulla formazione professionale e alle imprese per la drastica riduzione dei salari. L’ ASPI (acronimo per Assicurazione Sociale per l’Impiego) che sostituisce le parziali indennità di disoccupazione e mobilità senza estenderne veramente la copertura a tutta la platea reale di beneficiari. Per chiudere, la ciliegina sulla torta, la flessibilità in uscita che suona veramente macabra di fronte alle centinaia di migliaia di posti di lavoro che si stanno perdendo nell’attualefase di crisi.

Con la lettera aperta al governo sul punto di vista precario, l’8 marzo è cominciata la campagna #occupywelfare: precarie e precari, con la complicità di San Precario, hanno occupato il ministero del lavoro riuscendo ad incontrare la Fornero. Da lì in poi per tutti i venerdì del mese di marzo scegliamo di continuare a portare il punto di vista precario sotto le finestre del ministero del lavoro.

Le parole della ministra, clandestinamente documentate attraverso il nostro materiale video durante l’incontro con le precarie, non ci accontentano! anzi si sommano alle offensive banalizzazioni che abbiamo sentito dal governo negli ultimi mesi: a chi chiede nuovi diritti e una vera redistribuzione della ricchezza  attraverso il reddito di base e incondizionato non si può rispondere con la solita demagogia dei sacrifici per tutti. Sappiamo che la crisi non è uguale per tutti, ne tantomeno un dispositivo neutro.

 

Cara Fornero la tua riforma sembra sempre più una dieta meditteranea di diritti per i precari e le precarie!

Non abbiamo nulla daperdere!  #occupywelfare un mondo di diritti da conquistare!

Fermiamo la riforma del mercato del lavoro!

 

 

Libertà di movimento – Convegno all’università Roma Tre

I movimenti sociali e i precari indipendenti a convegno all’università Roma tre:

L’interdizione delle lotte sociali tra la crisi della democrazia, la dittatura dei mercati e la fine della mediazione politica, verso la costruzione materiale dell’alternativa: reddito, beni comuni, autogoverno.

La nostra libertà non si compra, non si paga.  Si strappa! Nella crisi economica a cui corrisponde la crisi della politica e della sua rappresentanza formale, prende forma la crisi della democrazia e delle sue fondamentali basi. Quello che sta avvenendo politicamente in seno alla governance europea e globale nell’ultimi anni di crisi economica è degno di nota e di riflessione se ancora si hanno a cuore gli spazi di democrazia reale e di agibilità politica in questa piccola parte di mondo. Ancor di più dovrebbe interessare chiunque voglia ancora opporsi ed alzare la testa di fronte alla dilagante e sistematica svolta autoritaria intrapresa dal nostro paese negli ultimi anni, ancor di più oggi che la nuova fase del Prof. Monti comincia a mostrare, oltre gli orpelli accademici, il suo volto feroce e insieme competente, quindi, ancor più pericoloso dell’archiviato governo Berlusconi.

La penalizzazione delle lotte sociali, dell’agibilità politica dei movimenti indipendenti, il bavaglio mediatico imposto alle opposizioni, il controllo poliziesco sugli attivisti, l’uso arbitrario della legislazione speciale antiterrorismo, significano molto di più e rappresentano un tratto ancor più inquietante se considerati all’interno nel contesto politico e sociale più generale nel quale si ascrivono. Dei movimenti sociali si occupa l’antiterrorismo quando questi assumono forme radicali ed indipendenti per imporre una capillare prevenzione e un’imminente e feroce repressione, oscura e vendicativa, che prende forma, nella fine della mediazione politica, come prerequisito della gestione autoritaria della crisi e diviene il vero tema del nuovo millennio, una crisi globale, generale, sistemica.

Un trattamento già avviato da tempo dentro quel generale laboratorio repressivo che i poteri dello Stato e dei centri di comando hanno inteso attuare all’interno di una profonda svolta autoritaria, cresciuta culturalmente e sedimentata particolarmente in Italia proprio all’ombra della crisi economica che da qualche anno in forma epocale travolge e ridefinisce lo spazio politico ed il tempo economico. All’interno di questa dimensione globale si va costituendo ovviamente anche in Italia la forma dell’ ”eccezionalità sulla norma” nel senso specifico della sospensione dell’ordinamento che la sorregge, trasformando in prassi politicamente consolidata la gestione autoritaria della crisi economica, politica e sociale. Certo non sempre seguendo percorsi lineari a volte come nel caso nel nostro bel paese per strappi e forzature, nuovi equilibri e rafforzati assetti di potere, come nel caso appunto del nuovo governo dei “Professori”.

Ma se qualcuno avesse raccolto i numeri su arresti, denunce, fermi e torture subite, morti in carcere o in commissariato, processi, pestaggi, a partire ad esempio dal recente 2001 ovvero l’anno del Global forum di Napoli e del G8 di Genova e ripercorresse fino ad oggi il decennio vissuto, ci troveremmo a fare i conti con decine di migliaia di cittadini passati per questure, varie Bolzaneto, carceri e tribunali, leggi speciali e dispositivi di prevenzione. Dopo Genova ci fu l’11 Settembre: la guerra globale dispiegò le sue strategie, forme, dispositivi, dal Patriot act in poi. Le manifestazioni contro i conflitti globali fino ai movimenti degli Indignados e di Occupy che hanno riempito le piazze e subìto la repressione di tutti i governi di destra e di sinistra hanno visto moltiplicarsi, mentre covava negli anni una crisi economica senza fine, le spese miliardarie per mandare truppe prima in Afghanistan, in Iraq poi in Libia, domani chissà anche in Iran. Fedeli agli USA con le basi Nato e le fabbriche di armi pronte a colpire, con commesse miliardarie come quelle degli F15 per le quali l’Italia è indebitata attraverso la Vergogna di Stato, crogiuolo di mazzette, corruzione, fascisti e servizi segreti, dal nome di Finmeccanica.

Con l’acuirsi della crisi economica e del suo impatto sociale, nei termini di crescente disoccupazione, precarietà, mancanza di elementari forme di welfare adeguate alle trasformazioni sociali, produttive e lavorative, nello spazio comune odierno, nella riproduzione delle forme di vita peraltro sempre più precarie e sempre più ai margini della libera scelta e della decisione politica, la repressione più o meno pubblicamente, colpisce ormai sempre più ampi settori sociali, dagli studenti in lotta ai lavoratori in sciopero con migliaia di precettazioni, dalle cariche della polizia sui blocchi stradali di cassaintegrati e disoccupati, agli sgomberi e agli sfratti delle case, agli ultras, assunti già da diversi anni come cavie sociali nel grande laboratorio della repressione, ai bloggers con le politiche liberticide di controllo e di censura nella rete. Fino ai precari devoti del Santo protettore, come quelli coinvolti dall’inchiesta su San Precario quando nella giornata nazionale per il reddito garantito del 6/11/2004 furono messe in campo azioni pubbliche di riappropriazione e autoriduzione in librerie e supermercati di Roma, furono indagati 105 attivisti di cui 15 oggi sono in attesa di giudizio e rischiano a breve di pagare la denuncia della precarietà e del caro vita che in quel giorno si voleva segnalare, con una sentenza pesante ed esemplare per la scelta arbitraria e strumentale della Procura di Roma d’imputare agli attivisti rinviati a giudizio il pesante e sproporzionato reato di rapina pluriaggravata.

O come in Val di Susa dove la determinazione popolare e radicale, gentile ma determinata a non indietreggiare di un solo metro, deve oggi fare i conti con un ignobile manovra a tenaglia, tra la criminalizzazione mediatica, la mistificazione “tecnica” e la retorica strumentale del governo che insieme ai sindacati utilizza il tema della crisi per avallare lo scempio del Tav con la devastazione, lo sperpero di risorse e il danno ambientale enorme che porta con se. La tenace resistenza No-Tav deve oggi fare i conti con una normativa d’emergenza varata a inizio anno che decreta l’inviolabilità del non-cantiere ritenendolo sito di interesse strategico nazionale, con la diretta ed esplicita minaccia di arresto per chiunque violi le disposizioni. Così come  in questi giorni il Movimento No-Tav deve fronteggiareun’ignobile inchiesta firmata dal Procuratore-capo di Torino, Giancarlo Caselli, che a tutt’oggi tiene tra misure cautelari e carcerazione preventiva, reclusi decine di attivisti e attiviste, nostri fratelli e sorelle di lotta, di cui chiediamo l’immediata scarcerazione.

E poi ancora il sovraffollamento delle carceri, di cui la stragrande maggioranza della popolazione è ancora in attesa di giudizio vivendo spesso una condizione detentiva disumana, all’applicazione infame del pacchetto sicurezza del Governo Berlusconi e delle leggi razziste che con gli illegali e famigerati CIE contribuisce a rendere nauseabonda l’aria che si vuol far respirare. Si arriva fino agli ultimi giorni del 2011 e alle ultime provocazioni solo dopo una lunga ed interminabile trafila di episodi e storie di quotidiana repressione ed intimidazione del dissenso contro quell’opposizione sociale che in questo paese, a tratti e seppur in forma discontinua e spontanea ha avuto comunque la capacità di porre al centro del dibattito “La Democrazia “ ed il fallimento della rappresentanza politica di segnare anche solo parzialmente il clima politico di questo paese. Il 14 dicembre del 2010 e del 15 Ottobre del 2011 sono lì a confermare quanto diciamo.

Urgono quindi spazi di confronto e di discussione.

Oltre l’indignazione è necessaria l’attivazione, il protagonismo sociale, l’iniziativa politica. È necessario aprire una vasta ed ampia campagna informativa che quantifichi la dimensione del processo autoritario in corso e ne denunci le condizioni, i metodi e le responsabilità politiche. È altrettanto necessaria una campagna comunicativa, una decisa presa di parola, che dia voce alla libertà di opporsi e di resistere, alla libertà di vivere e di non sopravvivere, al diritto naturale e profondamente radicato nell’uomo di pensare liberamente e di lottare per la condivisione dei beni comuni. Questo a cominciare non dal disperato e isolato urlo contro la repressione, ma attraverso un discorso politico che sia in grado non solo di misurare la miseria del presente ma anche e soprattutto di tracciare le vie della ricchezza del possibile, che mentre resiste con determinazione allo scempio che stiamo vivendo, sia in grado d’indicare le vie dell’alternativa, contro tutti i dispositivi di controllo, repressione ed interdizione.

Quindi a partire da una seria battaglia contro la precarietà e la precarizzazione che sia in grado di porre al centro dell’iniziativa di movimento il tema del reddito garantito, di base e incondizionato, proprio come conditio  per la vera libertà, come trampolino verso la libera attività umana, come dispositivo materiale di partecipazione e democrazia reale e radicale, come risposta non solo alla precarizzazione ed all’esclusione sociale, ma come via di costruzione di una società altra, i cui diritti e garanzie siano finalmente ancorate all’esistenza umana. All’intelligenza e alla partecipazione sociale, alla cooperazione e alla condivisione e non più al compianto lavoro, che con buona pace dei sindacati e partiti, è ormai sempre più precario, sempre più sfruttato, latente, peraltro a servizio dello sviluppo e della crescita  per l’accumulazione di pochi sulle spalle di molti, ormai troppi, per rimanere tutti schiavi, in silenzio e sorridenti.

 

Interventi

– Introduce e modera Rafael Di Maio – Laboratorio Acrobax

– Movimento Notav – Gianluca Pittavini – redattore di infoaut.org

– Prof. Luigi Ferrajoli: la crisi del potere formale nelle macerie della democrazia

– Prof. Giacomo Marramao: il ruolo nello Stato moderno nella crisi, la nuova polizeiwissenschaft

– Prof. Giovanni Russo Spena: Lo stato di eccezione, l’assolutismo liberista e la democrazia costituzionale

– Patrizio Gonnella, associazione Antigone

– Comitato Madri: Il potere e la vita, delle Madri di Roma città aperta

– Avv. Marco Lucentini: L’interdizione delle lotte sociali nella crisi

– Avv. Simonetta Crisci: Una panoramica dei processi giudiziari ai movimenti

– Prof. Andrea Fumagalli: il basic income come via per la vera libertà

– Cristian Sica – Laboratorio Acrobax – PsP-Roma: per un modello alternativo, reddito e beni comuni

– Bruno Papale – Coordinamento cittadino di lotta x la casa: Le lotte sociali come spazio di autonomia

– Studenti Roma3: condivisione dei saperi e libertà di movimento

Libertà x i NoTav – Libere tutte Liberi tutti!

mercoledì 7 marzo, ore 15
Fac. Lettere – Unirversità Roma3

Aula Verra

 

A proposito delle lotte in Val di Susa – un invito alla discussione

di Toni Negri

Era ora che Occupy arrivasse anche in Italia. Avevamo assistito nell’estate e in autunno all’agitazione dei “centro-socialisti” che avevano ripetuto i soliti riti, chiamandosi ora “indignati”. Il 15 ottobre la stampa indipendente, riconoscendo l’innocenza dei “centro-socialisti”, si era permessa di gettare accuse di illegalità e violenza su compagni che sarebbero scesi dalle montagne. Continuando nella medesima rappresentazione, Caselli (giudice peraltro cortese) era stato spinto a verificare quelle accuse con un rastrellamento nazionale. Ma Occupy è ancora lì. Potente, nella vallata e un po’ ovunque in Italia.

Quali sono le caratteristiche principali che questa nostra Occupy ha mostrato (senza dimenticare che ha costruito queste capacità – segno dell’universalità del movimento – già prima che l’Occupy americano o gli “indignados” spagnoli e tutti gli altri nascessero)? Al nostro interesse se ne presentano tre, di queste caratteristiche.

La prima è il radicamento democratico dell’iniziativa politica. Questo radicamento maggioritario nel territorio, l’orizzontalità e il pluralismo delle forze singolari che confluiscono nel movimento, la definizione consensuale di un interesse comune che sta alla base della durata del progetto di resistenza, un’apertura mai negata al confronto ed alla discussione – bene, questi comportamenti costituiscono una formidabile forza del movimento. Esso ci mostra che il comune è anche uno spazio, l’occupazione di un luogo non solo come fondamento per la partecipazione democratica ma anche come occasione di rapporto fra i corpi, di costruzione consensuale di esperienze e di obiettivi, di condivisione di valori e di verità.

La seconda caratteristica sta nel rifiuto della rappresentanza politica. Questo rifiuto discende direttamente da quanto detto qui sopra, meglio, dall’intensità e dalla qualità dei processi di partecipazione democratica. Vi sono rappresentanti eletti nella vallata che hanno riguadagnato legittimità attraverso la partecipazione. È la partecipazione al movimento il fondamento di legittimità di ogni istituzione del comune. Anche questo fa parte di quegli aspetti universali che Occupy propone. Ora, questo rifiuto è, evidentemente, innanzitutto destituente della rappresentanza politica in quanto detentrice di sapere (expertise), di potere (decisionale) e di sovranità (monopolio legittimo della violenza). Ma questo rifiuto è anche costituente, in quanto produttore di un nuovo sapere (nella fattispecie, l’equilibrio fra fattori di vita e di produzione nel territorio e i capisaldi della sua storia e della sua riproduzione), di un nuovo modello di decisione (non solo partecipato ma virtuosamente costruttivo, affettivo, solidale), di un nuovo esercizio della resistenza – un’attività adeguata/commisurata al fine da perseguire contro l’idiota, eccezionale armamentario della repressione. Il filosofo direbbe “immanenza contro trascendenza”; il politico, “democrazia contro potere reazionario”; il moralista, “autonomia contro totalitarismo”. E’ attraversando queste esperienze che il legame con l’Europa sarà costruito, in maniera molto più efficace, certo, che attraverso un nuovo buco alpino che puzza di amianto e di rendite finanziarie – perché in Europa, e non solo, ovunque il movimento Occupy sta costruendosi alla ricerca di nuovi modelli democratici di accesso al comune, di partecipazione democratica e di gestione politica autonoma. Il federalismo non è questo?

Terzo punto (ma ce ne sarebbero tanti altri sui quali poter intervenire e sui quali incitiamo la discussione): perché tanta ferocia poliziesca e repressiva, fin dalle prime fasi dello scontro; perché tanta perseveranza “tecnica” nel consolidare dispositivi speculativi e dissipativi del denaro pubblico; perché, ora, addirittura il tentativo di “monetizzare” la nocività dell’intrapresa e di nascondere con il denaro la mala parata? Forse in ballo c’è qualcosa di troppo importante, un elemento simbolico primario, la capacità di far passare come “tecnica” un’operazione nata come speculativa, per imporre come necessario al bene della nazione o addirittura alla costruzione dell’Europa (e chi più ne ha più ne metta) una decisione stolta capitalistica. Bisogna difendere un principio, il principio della detenzione capitalistica del sapere: la tecnica è capitalistica. Ebbene, no. Il sapere delle popolazioni della valle è più saggio del sapere dei tecnici e questa volta lo è davvero. Ma è questo che non deve apparire, anche in una situazione in cui tutto ormai lo dice. Se non passa questa grande opera, potrebbero non passarne altre. Dopo la politica prodiana, dopo quella berlusconiana, anche la “tecnica” dei tecnici si squaglierebbe. Per il governo, per il partito di Berlusconi e per quello di Repubblica (a proposito, a quando le dichiarazioni dei redditi della casta giornalistica?) e per tanti altri gazzettieri televisivi, vincere in Val di Susa è tanto importante quanto mettere nella testa di tutti che la tecnica (dei tecnici, cioè banchieri) è il vero sapere.

Qualsiasi persona calma e tranquilla che non viva nel ricordo ossessivo degli anni ’70 come certi nostri dirigenti sembrano vivere, sa che trattare è possibile ed evitare radicalizzazioni inopportune e pericolose è utile. Ma per farlo bisogna che la politica in Italia rinasca e non può rinascere che dalla presa di parola di coloro che, resistendo, aprono a tutti la speranza di una nuova partecipazione democratica. Riunificare tutte le resistenze, portare la Valle in Italia dopo che governi corrotti e governi tecnici hanno voluto invadere la Valle, è ora essenziale. Discutiamo, discutiamo, discutiamo… e il nostro amato presidente che per vizio antico non ama discutere ed infierisce sulla piaga, ricordi che Budapest e Praga sono lontane molti secoli, che chi vuole rinnovarne i fasti non è solo vecchio ma bacucco e che la democrazia vive oggi nei corpi dei giovani.