The show must go off. Ciao Matteo

Roma 8 Marzo. Oggi pomeriggio davanti al palalottomatica, moltissim* lavoratori e lavoratrici precarie dello spettacolo hanno manifestato per ricordare Matteo e denunciare le pessime condizioni di lavoro di chi, dovendo sostenere orari massacranti, permette allo show business di andare avanti a ritmi sempre crescenti. Molti dei presenti indossavano le attrezzature di “sicurezza” che sono costretti a comprarsi privatamente.

Oltre il danno la beffa: non bastava aver perso un compagno di lavoro, diversi colleghi di Matteo sono anche stati iscritti nel registro degli indagati.
Diversi striscioni sono stati appesi e volantini distribuiti agli avventori del concerto di stasera, è stato anche richiesto di poter leggere un comunicato dal palco prima dell’inizio del concerto.
Dopo anni di silenzio, anche dietro le quinte, lontano dai riflettori dello spettacolo che deve andare avanti a tutti i costi si stanno alzando delle voci per dire basta. Ad oggi tutti si stanno rifiutando di “sostituire” Matteo nelle mansioni che svolgeva anche per dire che non siamo solo pezzi di ingranaggi in un meccanismo infernale, ma che possiamo essere la sabbia che questi meccanismi li fa inceppare.

A questo link del blog nomortilavoro il testo del volantino distribuito davanti al palalottomatica

http://nomortilavoro.noblogs.org/post/2012/03/07/the-show-must-go-off-ciao-matteo/

#Occupywelfare contro il pacco Fornero

Roma, 8 marzo. Ministero del Lavoro Via Veneto 65.  Poco fa OccupyWelfare ha anticipato le mosse e con un blitz precario è entrato nel Ministero del Lavoro di Via Veneto per poter consegnare personalmente la lettera alla Fornero. Al momento decine di attivisti si trovano al piano della Fornero bloccati da una decina di agenti della Digos.

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Comunicato dopo l’incontro.

Con l’uscita della delegazione delle donne precarie di OccupyWelfare che ha incontrato la Ministra Fornero dopo l’occupazione del terzo piano del Ministero del Lavoro, si è conclusa l’azione di oggi: e quanto narrato dalla delegazione sull’incontro ha chiarito bene i termini e le ragioni immutate dell’iniziativa di OccupyWelfare. Le donne precarie di OccupyWelfare hanno messo sul piatto il reddito di base incondizionato come una forma per uscire dal ricatto e non rischiare un default dei diritti e delle persone. Hanno detto no ai sacrifici subito senza certezza di ammortizzatori sociali e di risposte concrete.Hanno anzi rifiutato l’indegno scambio fra vaghe promesse sul futuro e l’attacco che il “lavoro stabile” subisce invece sull’articolo 18. Servono risposte e scelte legislative che estendano e universalizzino le garanzie, non che le abbattano. La risposta della Fornero ricalca i luoghi comuni, le banalità e gli insulti delle ultime settimane (lavoro fisso monotono, precari perchè non preparati e così via): se vi diamo reddito voi non fate nulla per il paese, vi sedete e magiate pasta e pomodoro. Il tutto giustificato con la solita priorità di “salvare l’ Italia”. Anche OccupyWelfare lavora per il bene dell’Italia, a partire dalla sua realtà, quella della vita precaria. E perciò dà appuntamento a tutte e tutti per domani, 9 marzo, dalle ore 14, davanti al ministero in Via Veneto 56: per una vera Occupy, l’istituzione dello spazio pubblico di presa di parola e d’iniziativa comune delle precarie e dei precari, insieme alle precarizzate e ai precarizzati. #OccupyWelfare – Roma, via Veneto 56.

Comunicato Ribellule

Altri video e articoli

Blog San Precario sul Fatto Quotidiano

Repubblica Roma

Corriere Roma

Paese Sera

L’unità

Il Manifesto

Video Sole 24 ore

Video TMNews

Video Corriere della Sera

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Dalle ore 14 tutti/e sotto il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, via veneto n 56

Siamo alle fasi conclusive del progetto di riforma del mercato del lavoro che andrà in approvazione entro il mese di marzo. Il pacco Monti-Fornero è il punto di arrivo delle politiche di flessibilizzazione imposte negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi/Boeri – un esempio di “ingegneria normativa” improntata esclusivamente all’attacco di diritti acquisiti. Una prima dimostrazione viene dall’accanimento sull’art.18, che, pur tutelando ad oggi solo una parte dei lavoratori, rappresenta un deterrente importantissimo nei confronti dello strapotere delle imprese. Non a caso, i tavoli di “negoziazione” tra governo e sindacati non considerano la condizione di milioni di soggetti precarizzati dall’attuale crisi del capitale. Siamo noi lavoratori flessibili e generazioni precarie gli unici che andranno veramente in “default” se continueranno ad essere applicate le politiche di austerità imposte da Fondo Monterio e BCE, volute dai responsabili stessi della crisi, le banche. Il mercato del lavoro in Italia è ormai imperniato sulla tendenziale generalizzazione della precarietà. Il pacco Monti-Fornero non fa che normalizzare questa tendenza sotto la sferza e il ricatto della crisi. Invece, dal nostro punto di vista, ovvero di chi produce ricchezza ogni giorno nel nostro paese, c’è la necessità e c’è la volontà di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità. Non vogliamo più divisione e contrapposizione tra “garantiti” e precari, giovani e meno giovani, nord e sud, lavoro e non lavoro, nativi e migranti. Rifiutiamo la competizione al ribasso tra tutele differenziate e non siamo disposte e disposti ad accettare un livellamento verso il basso del salario come dei diritti. Pretendiamo una redistribuzione generale della ricchezza attraverso strumenti che non possono essere scambiati con i diritti che tutelano il lavoro subordinato. Vogliamo ammortizzatori sociali adeguati a questa necessità: l’indennità di disoccupazione copre solo il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – è erogata solo per una parte dei lavori ed è usata per creare sperequazione e clientelismo. Vogliamo rompere il silenzio sulla realtà di un sistema di welfare sempre più privatizzato e fatto gravare sulle spalle delle donne, che con il lavoro di cura gratuito permettono allo Stato di risparmiare circa 26 miliardi di euro. E’ questa una vera leva della precarizzazione, che fa perno sulle donne come primo soggetto di sperimentazione, accanto alla condizione migrante. Senza intervenire su questa realtà di fondo, non c’è lotta alle dimissioni “in bianco” o promessa sul diritto alla maternità che tenga. Vogliamo garanzie. Vogliamo che siano garantite tutele universali nel lavoro. Rivendichiamo libertà di scelta del lavoro. Difendiamo il lavoro esistente, dall’inizio della contrattualizzazione fino alla garanzie nella risoluzione del rapporto. Pretendiamo un limite al tempo di lavoro e il salario minimo orario; rigettiamo la privatizzazione dei controlli sulla sicurezza, quando giorno dopo giorno si allunga la lista insopportabile di vittime dello sfruttamento. Vogliamo la razionalizzazione delle forme contrattuali e l’estensione delle tutele nei contratti atipici e nel lavoro indipendente. Vogliamo un reddito di base e incondizionato, vero architrave di un welfare effettivamente universale che renda sostenibile un sistema pensionistico finora puntato solo ad una futura miseria. Sappiamo dove trovare le risorse: con un piano legislativo nazionale che le prenda dove ci sono, dai profitti, dalle transazioni finanziarie, dalla rendita, dalle speculazioni, dal pozzo senza fondo di spese militari inspiegabili come quelle per gli F35 e di grandi opere rifiutate dalle popolazioni come quella del TAV. Per questo nella giornata del 9 marzo, in concomitanza con la manifestazione nazionale e lo sciopero della Fiom, pensiamo sia necessario che le reti indipendenti di precari/e e precarizzati/e prendano parola, a partire dalla loro comune condizione di espropriati dei diritti di garanzie e di libertà. Invitiamo tutte/i ad animare #occupywelfare davanti al ministero del lavoro dalle ore 14 per riprendere parola, dare protagonismo e visibilità ai nostri desideri alle nostre rivendicazioni. Occupywelfare vuole costruire un processo indipendente, autoconvocato ed autorganizzato di mobilitazioni durante tutto il mese di marzo, contro il “pacchetto” Fornero.

 

Lettera aperta al governo sul mercato del lavoro

Caro Mario Monti e Ministri Tutti,

A marzo regalerete la riforma del mercato del lavoro mentre avete rimandato al 2013 il riordino del sistema iniquo e arretrato degli ammortizzatori sociali. Il pacco Monti-Fornero  è un passaggio fondamentale nelle politiche di flessibilizzazione realizzate negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi alias Boeri – e sono un esempio di “ingegneria normativa” che porterà a 47 il numero di tipologie contrattuali utilizzate nella giungla della precarietà. Tutto cambia perché niente cambi, soprattutto per i precari.

Attualmente l’indennità di disoccupazione copre il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – crea sperequazione, clientelismo e riguarda solo una parte dei lavori. L’articolo 18 tutela (per modo di dire) solo il 60% della forza lavoro e sommando finte partite iva e parasubordinazioni la percentuale scende. E’ la concezione stessa dei diritti e delle tutele ad essere parziale e minoritaria, quindi perdente. Serve invece un’idea ampia e convincente per unificare generazioni e lavori. I tavoli di negoziazione tra governo e sindacati non prendono affatto in considerazione la condizione di milioni di precari e precarie che quotidianamente producono ricchezza. Nelle mani precarie c’è invece la possibilità di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità: non più garantiti contro precari, giovani contro meno giovani, nord contro sud, lavoro contro non lavoro, italiani contro migranti. Non già profitti garantiti alle grandi lobby ma accesso al reddito di base incondizionato, ai servizi fondamentali e ai beni comuni.

Gli  Stati Generali della Precarietà vogliono rovesciare il triste destino di questo marzo per trasformarlo nel mese dell’attivazione e della cospirazione precaria. Dal Primo Marzo giorno dello sciopero migrante fino al 10 marzo gli Stati Generali della Precarietà apriranno in diverse città spazi di connessione, presa di parola e attivazione tra chi non si rassegna alla vita precaria, ma invece rivendica reddito di base incondizionato contro il ricatto della precarietà.

Nelle ultime settimane il Vostro governo ha portato avanti un’incredibile offensiva mediatica a colpi di insulti e mortificanti luoghi comuni (sfigato se sei precario monotono se hai il posto fisso) per giustificare una riforma che, come già avvenuto per quella previdenziale, asseconda le direttive dell’ortodossia monetarista di un’ Unione Europea che ha tradito chi la sognava come modello di coesione e solidarietà sociale, di diritti e libertà. E’ l’ennesima riforma che non parte dalle esigenze di chi nel mercato del lavoro si muove o di chi ne rimane fuori, tanto è vero che sulla mancanza di fondi per i cosiddetti ammortizzatori sociali Voi, e ancor di più i sindacati, avete messo una pietra tombale. Gli Stati Generali della Precarietà, non possono che portare il punto di vista precario di chi non è rappresentato nei tavoli di consultazione, tra una politica che li mortifica e un sindacato che non li conosce. Precari e precarie non hanno scelto la loro condizione, ma sono il motore dell’economia e le prime vittime della sua crisi.

Garantire un reddito di base incondizionato, in grado di sostituire gli attuali distorti ammortizzatori sociali, non necessita di cifre iperboliche ma è del tutto possibile, come si dimostra nel n. 1 dei Quaderni di San Precario http://quaderni.sanprecario.info/media/San_Precario_Quaderno_1.pdf. Un reddito di base incondizionato che venisse finanziato dalla fiscalità generale – ovvero dalla tassazione delle ricchezze – permetterebbe di diminuire quella parte del costo del lavoro rappresentata dai contributi sociali migliorando le retribuzioni (tra le più basse d’Europa), le opportunità e l’accesso al lavoro stesso liberando la precarietà dal ricatto come nessuna delle proposte sul tavolo governo-parti sociali. Il problema non è di sostenibilità economica bensì di volontà politica. Prendere le risorse necessarie dalla fiscalità generale rimette al centro la questione delle scelte politiche. Pochi esempi: dall’introduzione di una tassa patrimoniale sui patrimoni superiori ai 500.000 euro e dalla tassazione delle rendite finanziarie si possono stimare incassi pari a 10,5 miliardi di Euro, il giusto ripristino della progressività delle imposte in un paese dove la forbice tra ricchi e poveri si va allargando a dismisura porterebbe a reperire ulteriori 1,2 miliardi. Una razionalizzazione della spesa pubblica, solo nel campo della spesa militare (vedi i 15 miliardi per gli F35) e delle grandi opere del trasporto (vedi la Torino-Lione), potrebbe consentire un risparmio di quasi 6 miliardi.

E per finire lanciamo un marzo di cospirazione precaria a cominciare dal Primo marzo all’insegna dello sciopero migrante, perché i migranti molti ormai di seconda generazione sono quasi un decimo della popolazione italiana e rappresentano una percentuale ancora maggiore della popolazione attiva. La loro condizione di cittadini a tempo determinato sotto ricatto perenne per il permesso di soggiorno, oltre che essere umanamente bestiale e indegna, si ripercuote su tutto l’insieme dei lavoratori creando un dumping salariale pazzesco. Bisogna abolire la Bossi-Fini, che di fatto è una legge sul lavoro; la Turco-Napolitano e il reato di clandestinità. E’ tempo di garantire ai migranti cittadinanza e pieni diritti. Per continuare dal 2 al 10  con la settimana di attivazione contro la giungla della precarietà per il reddito di base incondizionato.

Si arriva poi al 17 e 18 a Napoli per nostro quarto appuntamento degli Stati Generali della Precarietà. Spazio di connessione e cooperazione tra reti che intervengono nella precarietà, nei luoghi di lavoro, nei territori, nei dibattiti, nelle assemblee, al di là di sindacati e partiti e sviluppando proprio per questo un forte punto di vista precario che non nasce dall’analisi della condizione precaria, ma dall’azione e dal protagonismo dentro il meccanismo della precarizzazione e che porterà, tra le altre, alla costruzione dello sciopero precario.

La ricchezza che il mondo precario esprime è un tesoro da difendere dalle grinfie di un futuro di fallimento e da un immediato presente di austerity, da un lavoro sempre più squalificato, sottopagato, demansionato e inaccessibile. Il miglior antidoto alla tecno-burocrazia del Vostro governo senza cuore e senza anima sono le intelligenze indipendenti che si liberano nella cospirazione precaria.

Voi potete continuare a far finta che non esistiamo e Vi assumerete questa responsabilità. Gli Stati Generali della Precarietà si assumono quella di riprendersi il futuro.

Cordialmente

Stati Generali della Precarietà

Ufficio Stampa: Paola Gasparoli 333 5446280  –  infoweb  www.sciperoprecario.org

La Valle non si vende la Valle si difende, per l’Indipendenza e la libertà!

Sabato 3/3/2012 h 15 Piazzale Tiburtino – Roma – Tutti in piazza

La Valle non si vende la Valle si difende!

Uno scheletro della politica di palazzo come Fassino dice che il movimento NoTav è cambiato e non sa quanto è vero… non immaginano neanche questi signori quanto la lotta possa far crescere la consapevolezza delle proprie ragioni e la determinazione nel continuare ad affermarle anche man mano che il prezzo della resistenza cresce: notav in carcere, notav in ospedale, notav portati via di peso, calpestati e inseguiti fin nelle proprie case. Non immaginano neanche lor signori chiusi nei palazzi quanto la determinazione di quel popolo resistente abbia risvegliato le coscenze e le emozioni di tanti e tante che non possono assistere in silenzio alla miseria del presente, allo scippo di democrazia, all’ingordigia dei potenti nel divorare risorse, territori e umanità per i loro meschini profitti.

Come la battaglia per l’acqua bene comune ha centrato bene nello slogan “si scrive acqua si legge democrazia” così la ventennale lotta no tav ha affermato le sue ragioni e ora naturalmente si spinge oltre per evidenziare e contrastare quel gap di democrazia che ha ormai reso le istituzioni di ogni ordine e grado la mera interfaccia degli interessi privatistici di speculazione sulle risorse pubbliche e i beni comuni come appunto l’acqua o i territori.

 

El pueblo unido funziona sin partido!

Questo è il vero elemento che turba il sonno dei governanti non già la violenza il cui livello e la cui intensità rimane ben al di sotto di quella violenza che si dà nel sociale e nella quotidianità fatta di povertà galoppante, precarietà esistenziale e disgregazione sociale. Abbiamo letto sui giornali frasi del tipo “la drammatica sequenza” con riferimento al video del giovane con la barba rossa che “aggredisce un poliziotto inerme dietro la sua armatura” ma sappiamo bene che chi legge non è stupido anche perchè viviamo sulla nostra pelle la vera violenza: quella degli sfratti per morosità incolpevole, dei licenziamenti immotivati, del lavoro squalificato, svilito e sottopagato, quella dell’arroganza dei potenti che anche e soprattutto nella crisi trovano sempre nuove occasioni di speculazione e sfruttamento.

 

Quella che viene sbattuta in prima pagina come inaccettabile violenza mette il potere tutto di fronte all’irrimediabilità di una crisi della rappresentanza non più reparabile. Lo ammettono ormai gli stessi partiti che addirittura parlano di slittamento delle elezioni amministrative e perchè no anche di quelle politiche, il cui svolgimento sarebbe inutile e vanificato dall’egemonia dei tecnici su ogni velleità della politica rappresentativa.

Da Napolitano in giù tutti si sperticano in appelli alla coesione sociale sapendo bene che nel momento in cui la si invoca è già irrimediabilmente perduta.

Incrinata in maniera profondissima a partire proprio dal primo articolo della Costituzione laddove la coesione sociale fu affidata al lavoro: pensate per un attimo a cos’è il lavoro oggi e forse inizierete a capire perchè di coesione sociale davvero non si può più parlare.

Bisognerà che si comincino ad abituare lor signori: l’era del fair play e del consenso incondizionato al capitalismo e ai suoi dogmi non c’è più, l’era dell’Unione EUropea come panacea di tutti i mali dell’italietta tanto meno.

 

Nel nostro paese il trucchetto di sedare ogni dissenso rispetto alla gestione dell’austerity con l’inconfutabilità della ragione e dei tecnici rischia di infrangersi sulle Alpi della Valle di Susa.

 

Da Chiomonte ad Atene, da Bussoleno a Barcellona, da Giaglione al Cairo…

Resisteremo un giorno più di loro!
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Qualche settimana fa si è svolta un’operazione repressiva con decine di arresti e denunce nei confronti di attivisti/e NO TAV in tutta Italia. Da quel momento la solidarietà continua a esprimersi in molteplici forme, dal Nord al Sud del Paese: nessuna/o è sola/o, non ci sono buone/i e cattive/i. Un corteo di 80 mila persone si è riversato nella valle, da Bussoleno a Susa, per dire che il movimento NO TAV non si arresta e non ha paura. Il giorno dopo parte l’allargamento dei cantieri, attraverso l’esproprio militare delle terre valsusine. La resistenza dei NO TAV è immediata. Un compagno, Luca, per impedire l’avanzamento delle ruspe, si arrampica su un traliccio. Inseguito da un carabiniere rocciatore, cade, rischiando la vita: è tuttora ricoverato in ospedale in gravi condizioni. I giornali e i media screditano e minimizzano l’accaduto, insultando il coraggio e la determinazione di Luca. La risposta della Val di Susa è determinata, con blocchi e barricate che vengono immediatamente ricostruite non appena vengono sgomberate. Ancora una volta in tutta Italia la solidarietà si fa sentire con manifestazioni spontanee, presidi, blocchi stradali e ferroviari.
Queste sono solo le ultime pagine di una lotta che va avanti da 23 anni.
Di fronte all’attacco dello Stato nei confronti del movimento No Tav, di fronte alla repressione di ogni forma di conflitto, al di fuori del “consentito”, tanto il 3 luglio in Val di Susa quanto il 15 Ottobre a Roma, è necessario reagire. La lotta contro il Tav fa paura ai poteri politici, economici e giuridici, perché ne mette in discussione la loro stessa essenza. Si vuole reprimere l’autorganizzazione, il rifiuto della delega, la molteplicità e la radicalità di azioni e pratiche. Si vuole colpire tanto il dissenso e il contrattacco nei confronti dei poteri costituiti, quanto la condivisione di esperienze di vita che generano forme di cospirazione e di complicità sociale.
Anche attraverso Il TAV e la politica delle grandi opere il capitalismo vuole imporre ancora una volta l’idea di un mondo sottomesso alle leggi del profitto e dello sfruttamento affaristico dei beni comuni. La Val di Susa fa paura perché la lotta contro il Tav esprime la possibilità concreta di un cambiamento reale allo stato di cose presenti: determinarne il seguito spetta a tutti e tutte noi!

IL TAV E’ OVUNQUE, LOTTIAMO OVUNQUE CONTRO IL TAV

TUTTI/E LIBERI/E!

Sabato 3 marzo, ore 15:00, corteo NO TAV, partenza da Piazzale Tiburtino

Daje Luca, Sempre no Tav, a sarà düra!

Assemblea No Tav di RomaVisualizza altro

Pizzo del Prete: un fortino nella campagna romana.

Sabato 25 Febbraio. Via di Castel Campanile, campagna incontaminata vicino al litorale a metà strada tra Ladispoli e il lago di Bracciano: sulla collina di Pizzo del Prete, che domina la grande e stupenda vallata che dovrebbe accogliere la nuova Malagrotta romana, è stato piantato in terra il primo palo di un “fortino” che verrà costruito pezzo dopo pezzo da chi intende resistere al progetto del Prefetto Pecoraro che ha individuato proprio in questa valle la destinazione della nuova discarica della capitale.

È difficile immaginare un luogo più bello di Pizzo del Prete. Lo spettacolo è suggestivo. Giungendo sul posto, l’immagine è da cartolina in movimento. Una verdissima e morbida collina, segnata da un enorme “NO” di tela che accoglie chi arriva. Tante sagome nere brulicano sul profilo mentre si dirigono verso un trattore pieno di bandiere che se ne sta, immobile, sulla sommità ed ha tutta l’aria di non volersi proprio muovere da lassù. Centinaia e centinaia di persone, poco prima di andarsene, si sono prese per mano e hanno formato un cerchio fino a circondare il “no”. Un aereo sorvola l’area, bassissimo in atterraggio verso Fiumicino. Dall’alto, i passeggeri hanno avuto il privilegio di osservare un grandissimo no-logo umano su sfondo verde. In basso, il trattore viene circondato da un cerchio di gesso, come ulteriore linea di resistenza. Nel cerchio, l’atmosfera è elettrica: c’è la forte sensazione di essere in tanti e di far parte di un momento significativo, quasi un atto fondativo di un percorso che molto probabilmente sarà lungo.

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Nelle vicinanze un borgo medievale, sito archeologico segnalato da cartelli turistici già dall’Aurelia. E sulla collina di fronte, un’azienda agricola, biologica, con gli animali più svariati, compresi i cervi e tutt’intorno a pascolare le pecore che vorrebbero sostituire con la monnezza. Un posto da fiaba, insomma. Lo sarebbe anche oggi se non fosse per le numerose camionette di forze dell’ordine che ne hanno invaso il piazzale. Eppure anche loro non osano avvicinarsi alla collina del no e del trattore, ma lo osservano da qui in lontananza.

Intorno ci sono poche case sparse, alcune isolate sulle colline nei dintorni, altre ammassate in piccole frazioni sulla strada da cui si arriva. Siamo in una delle zone più incontaminate intorno a Roma, forse proprio questo il motivo della scelta del prefetto. Pochi abitanti, poche rogne. Niente di più sbagliato. Non c’è una casa che non abbia uno striscione contro la discarica ed oggi è presente un sacco di gente, segno che anche dai comuni e dalle frazioni più distanti della zona circostante il problema è davvero sentito.

Un presidio partecipato, così come le manifestazioni che si sono svolte nei mesi scorsi contro il piano rifiuti della Regione Lazio, anche detto il piano discariche e inceneritori. Nel tempo la Regione ha annunciato i siti più svariati per sostituire Malagrotta, che sembrava dover chiudere, stavolta sul serio e definitivamente, il 31 dicembre scorso. Da questi paesi minacciati e dai loro dintorni sono scesi in piazza decine di comitati – ovviamente Malagrotta ma anche Corcolle, Riano, Allumiere, Palidoro, Cerveteri, Fiumicino, Ladispoli, Valcanneto – con un messaggio chiarissimo: un’altra discarica non si deve fare, da nessuna parte.

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Le condizioni di Malagrotta del resto non lascerebbero spazio a subbi. Un comitato da anni si batte per la chiusura della discarica, accusata di essere causa di gravi danni alla salute e di inquinamento del territorio circostante: in particolare nelle falde acquifere sarebbero presenti quantità di piombo arsenico e alluminio superiori ai limiti di legge, come evidenziato in un recente studio dell’ISPRA. La Procura inoltre ha aperto un’inchiesta per “omicidio colposo” per quattro morti di tumore tra gli abitanti della zona.

Il sistema dei rifiuti della capitale è Malagrotta-centrico. Questa discarica, dal nome paradossale – il visitatore infatti viene accolto dal cartello “città dell’industria ambientale” – e di proprietà dell’ormai celebre avvocato Manlio Cerroni, il monopolista della mondezza, è l’unica a ricevere i rifiuti di Roma da 30 anni. Ce ne sono altre due molto grandi nei paraggi, a Guidonia e ad Albano, ma ricevono i rifiuti dei comuni circostanti. A Malagrotta invece arrivano ogni giorno 4500 tonnellate di rifiuti dai cassonetti di tutta la città.

In teoria i rifiuti dovrebbero essere conferiti in impianti di trattamento meccanico biologico (TMB), per separare l’organico (quello che può finire direttamente in discarica) da ciò che può essere bruciato negli inceneritori (carta e plastica sostanzialmente). Due impianti di TMB sono di proprietà di Manlio Cerroni e si trovano all’interno dell’area di Malagrotta, altri due sono di proprietà dell’AMA (a Rocca Cencia e sulla Salaria). Questi impianti forniscono la materia prima agli inceneritori, che bruciano rifiuti per produrre energia elettrica. Nel Lazio gli inceneritori sono tre attualmente: uno a San Vittore, uno a Colleferro e quello di Malagrotta di proprietà dell’avvocato.

Il problema è comunque che queste linee riescono a trattare solo una minima parte dei rifiuti, quindi la maggior parte finisce in discarica come “tal quale”, cioè rifiuto indifferenziato, arricchendo Cerroni che viene pagato “tanto al chilo” e guadagna in questo modo tre volte dai rifiuti. La prima per il loro smaltimento in discarica, in monopolio e da 30 anni, la seconda per la vendita dell’energia prodotta dall’inceneritore di Malagrotta e la terza per la produzione di energia da biogas (estratto dai rifiuti interrati in discarica).

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Con il piano rifiuti la Regione Lazio vorrebbe risolvere il problema con la realizzazione di un quarto inceneritore ad Albano, dove esiste già una discarica molto grande che raccoglie i rifiuti dei Castelli, al cui interno alcuni invasi sono stati chiusi per irregolarità dalla magistratura e riaperti d’imperio dalla Polverini. Anche il comitato NoInc di Albano si è mobilitato quindi in solidarietà con gli altri comitati. Una solidarietà che è la prova che non ci troviamo di fronte ad un atteggiamento Nimby (not in my back yard, non nel mio giardino), ma ad una messa in discussione dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti, ponendo l’accento sulla raccolta differenziata come elemento fondamentale di un diverso trattamento dei rifiuti compatibile con la salute e l’ambiente.

Discariche-inceneritori e raccolta differenziata si escludono a vicenda. O si cambia completamente il ciclo dei rifiuti e la filosofia che c’è alla base della gestione attuale, oppure si continua ad investire nel modello discariche e inceneritori.

La politica ha già dato la sua risposta: in nome dell’ennesima emergenza, ha una volta di più delegato un prefetto, Pecoraro, nominato in fretta e furia dal governo i primi di settembre, appena 3 mesi prima della chiusura annunciata di Malagrotta, a trovare un sito definitivo (individuato in Pizzo del Prete). Qui i lavori non dureranno però meno di 36 mesi, e perciò si è resa necessaria l’individuazione di altri due siti di smaltimento provvisorio a Riano Flaminio e Corcolle (Tivoli).

Malagrotta alla fine non ha chiuso neanche stavolta, una nuova proroga ha sfidato ancora le sanzioni dell’Unione Europea verso la Regione Lazio. Ora una calma apparente concede altri 6 brevissimi mesi di tempo per trovare nuove soluzioni che a giudicare dal comportamento delle istituzioni non si ha nessuna voglia di risolvere: Regione, Comune e Prefettura già mettono le mani avanti e accollano ai comitati la responsabilità di non voler risolvere la questione, visto che rifiutano le nuove discariche solo per non farsi avvelenare la terra, l’acqua e l’aria. Il classico rimescolio delle carte, diventato ormai la specialità della politica.

Eppure la chiusura di Malagrotta è stata annunciata da anni. Un periodo in cui nulla è cambiato, nonostante ci sarebbe stato tutto il tempo di trovare l’alternativa. Anzi, di applicarla. Perché l’alternativa esiste, e si chiama raccolta differenziata, oggi ferma al 20% e ad uno sparuto tentativo di porta a porta nel primo municipio. Eppure Roma ha conosciuto la differenziata fino al 1980, sempre per mano di quel Manlio Cerroni oggi Re di Malagrotta, fin quando non si è deciso di aprire una mega discarica, fin quando qualcuno ha deciso di sviluppare ben altri profitti.

Comunque evolva la situazione, ciò che stupisce e sorprende di queste manifestazioni non è tanto il numero di comitati e di paesi coinvolti, ma è proprio la loro unità. Si capisce subito infatti che non siamo di fronte ad un No alla discarica sotto casa propria, ma ad un No a tutte le discariche, a tutti gli inceneritori, No al Piano della Regione e No ad un sistema che da 30 anni gestisce la monnezza a Roma come in molte altre parti d’Italia.

E si va ben oltre il no. É evidente già da quelle poche case intorno a Pizzo del Prete: accanto agli striscioni “no alla discarica”, “no all’inceneritore”, sventola l’immancabile bandiera della campagna Rifiuti Zero (Zero Waste). Qui emerge la proposta alternativa, la forza di un movimento che parla la stessa lingua, porta avanti le stesse parole d’ordine a prescindere da quello che sarà il sito definitivo della discarica. Un movimento che cresce costantemente. La sua forza sembra essere stata proprio questa: mettere da parte le differenze, non accettare nessuna concessione, nessuna compensazione; scegliere fin dall’inizio un nome e un’identità comune, non di partito ma di prospettiva, che toglie i singoli comitati dall’isolamento, offre un senso di appartenenza e permette a chi si avvicina a questo movimento di capirne al volo obiettivi e finalità.

“E’ appena cominciata”, gridavano dal cerchio sulla collina. Sarà dura, verrebbe da aggiungere, ma in ogni caso ne sarà valsa la pena.

Verso Francoforte 19/05/12 – contro la Troika per l’insurrezione del Comune!

Comunicato stampa del gruppo preparatorio della conferenza internazionale contro l’impoverimento della politica troika, Frankfurt am Main, 26 Febbraio 2012

I movimenti stanno pianificando le proteste di massa contro la politica europea la povertà per la Conferenza internazionale d’azione a Francoforte sul Meno.

400 attivisti provenienti da diversi paesi europei hanno concordato
durante il fine settimana in una conferenza internazionale in azione
Francoforte un’agenda comune per le proteste a livello europeo contro
le misure di austerità. Il fulcro delle proteste saranno le giornate
internazionali di azione di 17 a 19 Maggio a Francoforte. Occupazione
programmata degli impianti e delle strutture centrali a Francoforte,
blocchi di massa della BCE e altre banche su 18 Maggio nonché una grande
dimostrazione europeo il 19 Maggio.

La resistenza e l’azione diretta sarà orientata principalmente
contro le strutture che hanno promosso le misure di austerity del governo
federale tedesco, che sono dettate dalla Troika, dalla Banca centrale europea,
dalla Commissione europea e dal Fondo Monetario Internazionale, come in Grecia e in
altri paesi.

La grande affluenza alla Call per l’opposizione al Parlamento europeo e la povertà della politica
sta crescendo in Germania e su scala europea, insieme, le reti transnazionali a maggio a Francoforte tenteranno di imprimere un
segno inequivocabile di solidarietà con l’Europa della crisi, come
ha detto il gruppo preparatorio della Conferenza di azione: “Con
le azioni massicce,  sarà decisiva la protesta concentrata sul quartier
generale della BCE.”

Christopher Little interventista della sinistra: “La mattina del 18 maggio
migliaia di attivisti bloccheranno il quartiere bancario di
Francoforte, nessun dipendente delle banche dovrà andare al
lavoro “.

Alexis Passadakis di Attac: “Il Patto Fiscale e la cosiddetta ESM
sono elementi chiave in soccorso alla trasformazione autoritaria dell’Europa – in altre
parole.  Il governo federale è la forza trainante di questo processo d’impoverimento della politica e dello smantellamento della
democrazia”.

Paola Rudan, un attivista del gruppo Connessioni Precarie (SGP) Bologna:
“I movimenti sociali in Italia, stanno contrastando il potere finanziario, come  qui a Francoforte le nostre lotte contro la precarietà possono
essere effettuate non solo a livello nazionale ma globale. La manifestazione contro la BCE è politicamente importante per
noi perché segna il legame tra la crisi finanziaria e gli attacchi contro
le condizioni di vita e di lavoro in tutta Europa.

Sono poi intervenuti:

Thomas di Occupy Francoforte

Martin Behrsing, Forum sulla disoccupazione in Germania

ed altri…

http://www.european-resistance.org/~~V

Per informazioni e interviste:

* Alexis Passadakis, Attac, Tel. (0170) 268 4445
* Martin Behrsing, disoccupati Forum Germania, tel 0160 – 9927 8357
* Christopher KLein, IL, telefono 0172 – 900 6161
* Thomas, Occupare FFM, thomas.occupy @ yahoo.de
* Paola Rudan, connessioni precarie, Bologna, 0039 328 951 0427

Russia, l’insurrezione di ceti medi senza futuro

Era l’inizio del 2000 quando il primo presidente della Federazione Russa Boris Yeltsin decise di lasciare la carica e passare tutto il potere a Vladimir Putin. Boris Yeltsin è ricordato per la terapia shock che lui e il suo team di economisti misero in campo all’inizio degli anni ’90. E’ ricordato per le massiccie e ingiuste privatizzazioni, che hanno aiutato molte persone, parte della vecchia burocrazia sovietica, a diventare estremamente ricche e potenti. Sarà anche ricordato come un “democratico” difensore del parlamento quando gli ufficiali filo-sovietici volevano impedire il crollo dell’URSS.
E anche come un dittatore quando Yeltsin diede ordine ai tank di sparare sul parlamento nel 1993. Il parlamento voleva farlo decadere per le misure economiche che lui e altri economisti neoliberisti, noti come “Chicago Boys”(avevano tutti studiato negli USA come allievi di Milton Friedman) avevano messo in campo. Gli anni 90 saranno anche ricordati per l’estrema povertà, l’altissima attività criminale e la recessione economica, specialmente nel settore industriale. Yeltsin è anche responsabile della prima guerra cecena e delle sue vittime. E stato un alcolista, un vizioso e un manipolatore. Ma all’inizio i Russi lo hanno visto come una nuova speranza per un paese democratico e libero nel quale volevano vivere. Ma quando minacciò i suoi sostenitori di far bombardare il parlamento, la società Russa venne sommersa dall’apatia totale. Enormi manifestazioni di migliaia di persone divvennero storia dal 1993.
Ed ora, dopo 18 anni di indifferenza una nuova generazione di persone ha deciso di nuovo di riprendersi le strade. Ma chi sono? che tipo di futuro vogliono? Proviamo a vedere.

La fase dal 2001 al 2008 può essere considerata un periodo di crescita economica. Ma molto è dovuto all’alto prezzo del petrolio più che alle decisioni del governo. Durante questa fase Vladimir Putin ha costruito la sua gerarchia nell’establishment. Alla fine aveva preso i suoi contorni e dei suoi amici, vecchi partner d’affari e colleghi dell’ex KGB. Era un periodo di stabilizzazione nell’elite e nell’economia. Le persone confrontando con i caoitici anni 90 erano soddisfatti con l’era Putin. Ma durante i 2000 non fu fatto un solo passo per ricostituire l’economia e la crisi finanziaria del 2008 ha provato che l’economia russa è completamente dipendente dall’esportazione di materie prime. Ha provato che l’assunzione di un modello capitalistico come lo abbiamo è di tipo periferico come nel caso di alcuni paesi Latinoamericani.

Durante questa fase solo una volta le autorità si sono sentite minacciate.
Nel 2005 prese piede la “monetarizzazione dei benefit”. Molti pensionati e militari erano economicamente devastati da queste riforme. Migliaia di persone, per lo più quei pensionati prendevano parte a manifestazioni in tutto il paese. Ma di nuovo la protesta si depotenziò fino a finire. Questo è accaduto perchè le pensioni vennero aumentate in proporzione ai benefici persi dalle persone. Le autorità lo fecero per prevenire la crescita della protesta. Ea la prima volta che il governo Putin fu veramente spaventato dalla sua stessa gente. Dopo ci sono state alcuni tentativi di produrre battaglie politiche. Cittadini extraparlamentari, movimenti di destra e di sinistra non hanno mai portato più di un migliaio di persone in strada per protesta. Solo la cosiddetta “Marcia Russa”-una specie di manifestazione che viene annualmente messa in piedi dall’estrema destra e dai neonazisti dal 2005, porta un paio di mila persone. Ma non hanno nessuna proposta sociale. Solo populismo, xenofobia, intolleranza. Tutto questo fino alla fine del 2011. Poi ci sono state le elezioni del 4 dicembre…
Molta gente che potremmo chiamare cittadinanza attiva, così come differenti tipi di attivisti di ONG sapevano dei vari brogli che sarebbero avvenuti alle elezioni. Molti di loro si sono proposti come osservatori nei distretti elettorali per controllare il voto. E’ andata a finire con un paio di video su Youtube, dove si vede varia gente mettere schede con il segno sul partito di governo “Russia Unita” nell’urna. E sono accadute anche varie storie divertenti nella sera dello stesso giorno. Una è andata in onda alla televisione nazionale. Durante il telegiornale l’annunciatore dichiarava che secondo conteggi preliminari Russia unità arrivava al 58,99%, il Partito Comunista al 32,96%, i liberl-democratici al 23,74%, “Russia giusta” al 19,41%, Jabloko (Mela in russo, partito democratico russo) 9,32%, i patrioti Russi 1,46%, “La giusta causa” 0,59%. E’ solo matematica, ma la somma arriva a 146%…in analogia con lo slogan “siamo il 99%”, i dimostranti russi ora usano “Siamo il 146%”.
Circa 300 persone si sono raccolte in una delle piazze centrali di Mosca per protesta con le elezioni la sera stessa. Molti di loro erano noti attivisti politici. La manifestazione è stata brutalmente dispersa dalla polizia. Non molta gente è scesa in strada il 4 dicembre perchè il risultato ufficiale sarebbe stato annunciato il giorno dopo.
Il 5 dicembre, liberali indipendenti e altri gruppi politici hanno organizzato un appuntamento che sarebbe stato cruciale in quel momento. Le autorità autorizzarono solo 300 persone a partecipare ed effettivamente era il numero di persone che gli organizzatori si aspettavano. Ma arrivarono circa 8 mila persone. La zona era affolatissima. Ci fu un piccolo scontro con la polizia quando la manifestazione arrivò al termine. La gente voleva marciare senza autorizzazione fino alla commissione elettorale centrale ma non ci riuscirono. Sembra che pochi gruppi di persone fossero pronti a scontrarsi quella notte. la maggior parte della gente, compresi molti giovani che erano alla loro prima manifestazione politica, erano riluttanti o semplicemente impauriti dal prendere parte all’azione. circa 300 persone vennero arrestate dalla polizia. Alcuni di loro sono stati detenuti per 15 giorni.

La sera del 6 dicembre circa 1000 persone si sono raccolte in piazza Triumfalnaya. due giorni prima le elezioni gli attivisti pro-Putin erano stati portati a Mosca da tutto il paese e si erano stabiliti a Mosca dal 2 dicembre.
Tutti loro erano a piazza Triumfalnaya il 6 dicembre. circa 500 membri del cosiddetto movimento “Nashi” (“i nostri) cercavano di mostrare alla società russa che c’erano ancora dei giovani che supportavano i progetti di Putin. Ma alla fine a tutti loro erano stati dati dei soldi per partecipare alla protesta. Questo è risaputo rispetto le organizzazioni giovanili a favore del cremlino. Il sito naziwatch (naziwatch.noblogs.org) mostra come anche tifosi di estrema destra fossero presenti tra i Nashi, aggressivi e pronti a difendere il “lato oscuro”. Alcuni di loro sono stati pagati 80 euro a sera. Sono avvenuti un paio di fronteggiamenti durante la protesta. La gente sputava in faccia agli attivisti procremlino, alcuni membri della “Putin-Jugend” sono stati anche picchiati. Sono state bruciate bandiere pro-kremlino e ci sono stati scontri con la polizia.

Il 10 dicembre ha avuto luogo una manifestazione storica, con circa 80.000 persone.E’ stata la prima volta dai primi anni 90 che un così alto numero di persone si radunava. La polizia  non ha reagito a cose che avrebbero immediatamente creato attenzione, come striscioni provocatori ecc. Il raduno è andato avanti in maniera pacifica e tranquilla. Niente di speciale è stato però detto dai comizi.

Il raduno successivo ha avuto luogo il 24 dicembre. Circa 100.000 persone si sono radunate sul viale Sakharov. E’tutto andato seguendo lo stesso schema, ma con due differenze. Primo-quasi tutti i politici e un paio di star del “glamour” che volevano giocare il “gioco della Rivoluzione” sono state fischiate dal pubblico. Ksenya Sobchak, una sorta di Parsi Hilton russa era tra loro. E’ la figlia del defunto Anatoly Sobchak, in passato sindaco di San Pietroburgo. E in quel periodo Vladimir Putin fece parte del suo staff. Sobchak è noto per la sua corruzione. Si dice che un gran numero di inchieste per reati siano state aperte nei confronti di Putin e Sobchak. circa 10-12 casi, ma naturalmente nessuno, dopo che Putin è divenuto presidente, ha più sentito parlare di queste. Così, si potevano vedere in piazza, il 24 dicembre, anche gente come Ksenya Sobchak, che prendeva parola per raccontare come anche le loro vite fossero sconvolte dal sistema di corruzione. Molto divertente…Si avrebbe avuto un secondo problema dopo che i nazionalisti hanno tentato di salire sul palco. Ma alla fine non ci sono riusciti.

Dopo questo raduno, il presidente Medvedev ha iniziato a parlare di riforme. Putin ha dichiarato che le proteste erano il frutto della sua politica era pienamente soddisfatto di ciò. La retorica è cambiata molto. Il primo giorno le autorità volevano usare la forza. Dicevano che la minoranza delle persone protestava veramente e che la maggior parte voleva solo divertirsi e infrangere la legge. Ma quando migliaia di persone si sono raccolte la polizia ha dovuto lasciarli fare, rinunciando a riprendere il controllo delle manifestazioni o interromperle. C’è un detto popolare sulla polizia al momento: se ci sono 300 attivisti, li sfondiamo, se ce ne sono 10.000, guardiamo, se sono 500.000, siamo dalla loro parte.

Queste proteste sono state completamente organizzate via Internet, ma il problema ora è che alcuni liberali che hanno fatto parte del sistema negli anni ’90 e che successivamente hanno perso le loro posizioni ora vogliono guidare le proteste nonostante la maggior parte delle persone che partecipano non si fidi di loro. Le persone si sono riunite contro le elezioni e il regime di Putin ma sono anche molto scettici rispetto alla cosiddetta opposizione extraparlamentare i cui membri sono particolarmente filo-occidentali con frequentazioni continue dell’ambasciata statunitense.

L’altra questione è che viviamo in un’era post-ideologica. La maggior parte delle persone hanno paura anche di parlare di politica, di discutere differenti punti di vista. Vogliono solo vivere come in Occidente o in Nord Europa. Non capiscono che le persone sono anche escluse dai processi decisionali. Non vogliono la rivoluzione, non vogliono la violenza, non vogliono altro che stare in una piazza per un paio di ore, gridare slogan e comportarsi come Gandhi o Luther King. Si ispirano a loro, ma ciò potrebbe avere conseguenze disastrose poichè gente come Putin non cederanno mai il potere come ha fatto, ad esempio Pinochet (anche se questo fu grazie alle pressioni americane). Putin sa che molto probabilmente potrebbe avere lo stesso destino di Slobodan Milosevic. Non ha dove ritirarsi, a parte, forse, gli Emirati Arabi Uniti.

La terza questione è che anche i nazionalisti vogliono una “fetta della torta”. Neonazisti, razzisti, forze conservatrici, nazionalisti radicali-tutto loro ora provano a mascherarsi da “nazionalismo civile”. Sono ispirati in questo dall’esempio di alcuni paesi europei dove partiti di estrema destra si definiscono nazional-democratici e la questione della migrazione sembra essere la sola importante per loro. Ma sembra che vengano anche considerati come una forza residuale dalla maggior parte dei partecipanti alle manifestazioni politiche.

La spiegazione è molto semplice. La maggior parte dei dimostranti rappresenta la nuova classe media che è emersa durante il potere di Putin. Sono anche chiamati classe innovativa o creativa. Molte di queste persone hanno stipendi ragguardevoli. Possono comprare una macchina, possono viaggiare all’estero almeno due volte l’anno, hanno l’iPhone e denaro da spendere. Non sono colpiti da povertà, ma sentono che qualcosa sta avenenedo nel paese. Oggi sono imprenditori con un buon profitto, domani i loro guadagni potrebbero essere presi da funzionari corrotti. Potrebbero schiantarsi durante uno dei loro viaggi a bordo di aerei fatiscenti.

Potrebbero anche morire in un attacco terroristico nella metro di Mosca o in un aeroporto. Sono stanchi di pagare tangenti ai funzionari ad ogni occasione- quando vengono fermati sull’autostrada o se vogliono mandare i propri figli all’asilo. Sono anche irritati dagli immigrati perchè sono esclusi dalla società. Le tensioni interetniche stanno crescendo e cresce l’aggressività verso la classe media delle persone che vengono dal Caucaso del Nord, o che condividono principi islamici fondamentalisti. Così la nostra classe media è unita da due questioni: corruzione e xenofobia. Alcuni politici scaltri come Alexey Navalny, blogger famoso e conosciuto per le battaglie contro la corruzione hanno iniziato a strumentalizzare questa tendenza della gente. si definisce un nazional-democratico preoccupato per le politiche migratorie e non ha risposte per i problemi sociali. Uno dei suoi slogan è “Basta sfamare il Caucaso”. Intende le donazioni in denaro che arrivano dalla capitale federale a regioni che non producono nulla e sono completamente dipendenti dagli stanziamenti del Cremlino.

I compagni hanno preso parte alle proteste? che ruolo hanno avuto?
Bene, alcuni hanno criticato seriamente le manifestazioni. C’è anche un’opinione diffusa come “Questa rivoluzione è sbagliata e non vogliamo prendere parte”. In qualche maniera questa gente esclude se stessa dal processo storico e preferisce stare a casa a scrivere documenti polemici che nessuno leggerà mai. Alcuni gruppi neo-marxisti che ricordano le piccole sette hanno iniziato ad agire differentemente. Molti di loro provano a prendere parte alle proteste e diffondere la loro propaganda ma hanno sbagliato nel diventare parte dei Comitati che si sono autorganizzati subito dopo le proteste. Molti degli attivisti non vogliono sedere con liberali o nazionalisti di destra perchè effettivamente è solo il sentimento anti-putin a unire le forze politiche coinvolte. Gli anarchici provano anche loro a diffondere contenuti durante le proteste, ma sono i più disorganizzati.

Dall’altra parte dobbiamo ammettere che i compagni al momento non hanno nulla da offrire alla gente che è scesa in strada. Libere elezioni, le dimissioni di Putin e meno corruzione-questi sono i punti principali promossi dai comizi ed è effettivamente quello che la gente vuole. Il discorso di un compagno che chiede un sistema educativo gratuito, cure mediche gratuite, tassazione progressiva o proponendo altre questioni sociali confliggerebbe con i discorsi dei liberali. I liberali non vogliono agire su queste questioni perchè all’occorrenza proporranno la stessa agenda di questo governo. Ed ora nessuno sa come i liberali andranno a risolvere la questione della corruzione. Così in questa circostanza la cosa migliore da fare è stare da una parte, accumulare forza, partecipare alle manifestazioni ma attendere il momento di esplosione. Non è il caso di costituire partiti di estrema sinistra perchè non è proprio il momento. E questo obiettivo-unire i militanti di sinistra in una struttura operativa- è già fallita in passato dopo numerosi sforzi. Forse, allora è meglio aspettare il momento in cui inizieranno i cambiamenti veri. E allora, se la tensione salirà in un processo rivoluzionario, si costituirà un soggetto rivoluzionario, un partito o un movimento che saprà raccogliere membri e numeri. Sono posizioni che possiamo trovare in Lenin o Che Guevara.
Crediamo fortemente che dopo febbraio arriva ottobre. Il nostro tempo non è arrivato. e questo è un corso naturale della storia.

Le future elezioni presidenziali ci saranno il 4 marzo e saranno seguite da imponenti proteste. E’ sicuro. Sembra certo che Putin vincerà al secondo turno le elezioni presidenziali. E’ il primo a preoccuparsi di elezioni “regolari”. Ha ordinato webcam da piazzare in tutti i seggi elettorali. Ma è anche certo che il voto verrà falsato e qualsiasi voto a favore di Putin aumenterà l’attenzione e incoraggerà la protesta. Allora, la cosa più sicura da fare da parte sua sarà di simulare un’elezione democratica, non vincendo al primo turno, facendo credere alle persone che la democrazia in Russia esiste, con una competizione corretta. E’ovvio che a competere con Putin sarà il leader del “Partito Comunista”, che non ha nulla di sinistra e comunista. Il leader del partito Genady Zuganov ha già vinto le elezioni nel 1996, ma ebbe paura del potere e ha ceduto la sua posizione al primo presidente della Russia-Boris Yeltsin. Da allora ha svolto una grottesca opposizione. Lui e il suo partito vengono usati per screditare la sinistra e i movimenti. Così anche se Zuganov vincesse le elezioni grazie al voto di protesta (quando la gente vota per chiunque non sia Putin) sarebbe il primo a cedere dietro le quinte il passo a Putin e congratularsi con lui sulla televisione nazionale.

In ogni caso tutti aspettiamo le elezioni di marzo. Anche i liberali più pacifici lanciano richiami alle barricate, perchè sarà l’ultima occasione per chiunque per abbattere Putin e cambiare il corso della storia. Altrimenti, ci aspettano altri 6 anni di regime autoritario.

Vladimir Petrov

Sulla sostenibilità, costo e finanziamento di un reddito di base incondizionato in Italia.

Questa relazione si divide in due parti. La prima stima il costo dell’introduzione di un reddito di base incondizionato (RBI) pari a 7200, a 8640 euro e 10.000 euro l’anno, utilizzando sia i dati Istat che i dati Caritas. La seconda parte analizza le fonti dei possibili finanziamenti. Seguirà una breve conclusione. Da leggere con cura e maneggiare prima dell’uso. Materiale copy-left: Quaderni San Precario, Bin-Italia. Andrea Fumagalli

Apri la relazione completa in formato PDF

Anche ieri notte l’Egitto è sceso in piazza

Dopo la partita di calcio a Port Said tra Port Said e al-Ahly (una delle squadre più seguite in Egitto insieme a al-zamalek, come Roma/Lazio per intenderci) ci sono stati scontri.
I racconti riportano che a  fine partita con la vittoria del Ahly la sicurezza interna abbia fatto uscire i tifosi del Port Said e poi chiuso lo stadio con le transenne. Dopo sono iniziati gli scontri con gli Ultras del Ahly.

Gli Ultras hanno un ruolo cruciale negli avvenimenti della rivoluzione, sono ragazzi dall’età media che va dai 16/17 ai 24/25 circa, sono sempre in prima linea, sono molto uniti fra di loro, hanno i loro cori che ovviamente non sono solo da tifoseria da stadio, ma di lotta e rivendicazione.
Sono gli stessi ragazzi che erano in prima linea insieme agli altri durante gli scontri di Mohammad Mahmud, e si incontrano in ogni angolo della città dai cortei alle manifestazioni ai presidi.
Quando hanno aperto i cancelli e li hanno fatti uscire dallo stadio c’erano ormai oltre 70 morti e circa mille feriti.
I feriti gravi sono rimasti negli ospedali di Port Said i feriti lievi sono tornati dalla trasferta al Cairo intorno alle 03.30 ora locale.
Ad attenderli c’erano circa mille persone, tra familiari e ragazz* e le ambulanze per i soccorsi. Uno dei cori più urlato è stato: “Ya negib haohom ya nmut zayohom= O gli rendiamo giustizia o moriamo come loro”.
I racconti dei feriti sono agghiaccianti. Molti erano soltanto feriti e nel ricevere i primi soccorsi dalle ambulanze di Port Said sono stati presi e massacrati fino alla morte.
Sono state usate pochissime armi da fuoco, per lo più spari per aria e la maggior parte di loro è stata pestata selvaggiamente a morte, alcune foto atroci sono la testimonianza di ciò che raccontano.

Migliaia di persone hanno atteso l’arrivo del treno degli ultras del Al Ahly, per accogliere i feriti e i superstiti, di seguito il video

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Ieri notte manifestazione di solidarieta’ appoggiata anche dagli UWN (ultras white knights), i tifosi dello zamalek, l’altra squadra del Cairo, che appena saputo quello che succedeva a Port Said hanno dato fuoco allo stadio al Cairo e sono scesi in strada: gli ultras delle due squadre, insieme a migliaia di altri attivisti che respingono la questione posta nei termini di “violenza tra tifoserie”.

E’ chiaro che quello che e’ successo ha altre ragioni, non vorrei ripetere cose gia’ ovvie, ma ricordo che le tifoserie del Al Ahly e dello Zamalek sono un fenomeno particolare che li vede riconosciuti come eroi della rivoluzione, in quanto hanno rappresentato una forza organizzata in grado di resistere alla brutalita e alle continue violenze che la piazza rivoluzionaria ha subito.

Gli ultras, gemellati in chiave “rivoluzionaria” sono sempre nelle prime linee delle delle barricate e hanno cominciato ad identificarsi in maniera forte come i difensori della piazza. Come dicono alcuni di loro “abbiamo fatto sognare la gente egiziana che insieme a noi ha capito che dopo tanti anni di soprusi indiscriminati da parte delle forze di Mubarak era possibile rispondere e respingere la violenza poliziesca”.
Per questo adesso vengono accolti come eroi dalle migliaia di persone che poco o nulla sapevano fino ad un anno fa di questi gruppi di giovanissimi abituati a scontrarsi con la polizia.
Per questo quello che e’ successo viene visto da molt@ come una vendetta verso “l’esercito popolare della rivoluzione”.

In questo momento ci sta’ un corteo che e’ andato verso il ministero degli interni e piazza tahrir mentre per domani sono previste diverse manifestazioni che in maniera forte continuano a chiedere la testa di Tantawi…

I tifosi di queste squadre hanno continuato in questo anno a portare dentro lo stadio le rivendicazioni della piazza, scandendo cori e ricordando i morti ammazzati oltre alle persone imprigionate nelle carceri egiziane.

Di seguito alcuni link:

Una coreografia con le facce degli arrestati per i quali chiedono la liberazione:

“Freedom for ultras”

http://www.youtube.com/watch?v=mosHc3fAwCE&list=UUNIupLY7xOXQAXIjv91h8bg&index=41&feature=plcp

Un articolo, in inglese, che cerca di analizzare il fenomeno degli ultras egiziani oltre la semplice classificazione di Hooliganismo:

“The Ultras White Knights: Football hooliganism or social movement?”

http://thedailynewsegypt.com/football/the-ultras-white-knights-football-hooliganism-or-social-movement.html

Infoaut sui fatti di ieri:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/3889-egitto-73-morti-nella-carneficina-dello-stadio-di-port-said

Nel frattempo ieri sera sia l’esercito anche i fratelli musulmani (che fino ad oggi non sono certo stati la prima fila della piazza) hanno cominciato a puntare il dito verso altri responsabili, nella polizia.
Di seguito anche la loro :

Muslim Brotherhood blames police for Port Said disaster. Brotherhood spokesperson launches a scathing attack on the interior ministry in the wake of the deadly clashes following the Masry-Ahly football match in Port Said

http://english.ahram.org.eg/NewsContent/1/64/33478/Egypt/Politics-/Muslim-Brotherhood-blames-police-for-Port-Said-dis.aspx

Mentre lo SCAF si e’ affrettato correre ai ripari dopo aver permesso il massacro ha mandato due aerei per recuperare i morti e i feriti “assicurando” che i responsabili saranno puniti. 50 disgraziati sono stati arrestati a port said e probabilmente tutta la gogna per quello che e’ successo sara’ riservata a loro.

Come gia’ noto, nessun responsabile per le centinaia di morti ammazzati in questo anno e’ stato individuato e la sete di giustizia della piazza si fa sentire in maniera forte. Il capo della polizia di port said e’ stato arrestato ma sicuramente i veri mandanti del massacro sono ancora spasso.
A.C.A.B., non il film, sta’ diventando una sigla riconosciuta e rivendicata dalla piazza, non sappiamoo quanto e in che modo questo arricchisca il processo rivoluzionario ma sicuramente ne fa’ parte a pieno titolo.
non a caso il 25 gennaio, giornata della polizia, era stata scelta come data per occupare la piazza che ha cambiato un pezzetto di mondo.

Non a caso il 25 di quest’anno l’esercito ha cercato di rivendicare quella giornata come giorno della rivoluzione e della polizia, come a dire che tutt@ sono dalla stessa parte.

Lo streaming dalla piazze del cairo che mentre scriviamo sono in rivolta:

http://www.ustream.tv/Egypt

Gli Ultra, la Piazza e la Rivoluzione
http://invisiblearabs.com/?p=3906

questo invece e’ di oggi dalllo stesso blog
Non é solo Calcio
http://invisiblearabs.com/?p=4274

questo invece in inglese, un buon articolo su aljazzera dello stesso periodo

Egypt’s ‘Ultras’ pitch in at Tahrir protest
http://www.aljazeera.com/indepth/features/2011/11/201111284912960586.html

Sugli arresti No Tav. Liberi tutti, liberi subito!

Comunicato del Laboratorio Acrobax

Ancora una volta in questo Paese in crisi economica, sociale e ambientale da anni, la repressione si scaglia, e con accuse gravissime, contro chi lotta in difesa dei territori, dei beni comuni, di chi sogna e si impegna per un mondo migliore per tutti!

Lo scorso 3 luglio eravamo in decine di migliaia in Valle per sostenere il movimento di resistenza popolare contro il TAV.

Una lotta decennale dalla quale abbiamo imparato che è possibile e necessario praticare e costruire resistenza e sovranità popolare dal basso, ribellandosi agli sporchi interessi delle lobby e del neoliberismo.

Quello che fin’ora ha portato il progetto del TAV è stata un’occupazione militare, un continuo sopruso, una grande opera imposta, dagli interessi economici e politici di questo Paese, ad una popolazione e a una montagna che non la vuole!

La nostra totale solidarietà va a tutto il Movimento NoTav , a tutti gli spazi che sono stati perquisiti e a tutti i compagni che sono stati privati della loro libertà personale!

Fino alla scorsa settimana anche il nostro compagno Giorgione, arrestato durante le mobilitazioni del 24 agosto scorso in Val di Susa, è stato tenuto dallo stesso GIP agli arresti domiciliari e ora è sottoposto all’obbligo di dimora nella provincia di Roma.

Mobilitiamoci in tutta Italia per l’immediata scarcerazione di tutti! La Valle non si arresta!

Non un passo indietro

Sempre NOTAV

Liberi tutti, libere tutte.

L.O.A. Acrobax Project

Links

notav.info

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