Con i Riots la storia volta pagina!

Causati anche dall’esproprio di ricchezza verso banche e enti sovranazionali, i riots inglesi segnano il limite delle democrazie liberali, qualcosa di simile al passaggio storico dal Medioevo alla modernità: che cosa resterà in piedi?

Non si sottrae alle domande. Precisa più volte il suo pensiero. Anche se vive divisa tra New York e Londra, legge attentamente i giornali per capire cosa sta accadendo nella vecchia Europa, dove ha avuto la sua educazione sentimentale alle scienze sociali, prima di spostarsi in America Latina e successivamente negli Stati Uniti. Saskia Sassen è nota per il suo libro sulle Città globali (Utet), anche se i suoi ultimi libri su Territori, autorità, diritti (Bruno Mondatori) e Sociologia della globalizzazione (Einaudi) ne hanno fatto una delle più acute studiose su come stia cambiando i rapporti tra potere esecutivo, legislativo e giuridico sotto l’incalzare di una globalizzazione economica che sta mettendo in discussione anche la sovranità nazionale. Per Saskia Sassen, il capitalismo non può che essere globale. E per questo ha bisogno di istituzioni politiche e organismi internazionali che garantiscono la libera circolazione dei capitali e le condizioni del suo regime di accumulazione della ricchezza. Per questo ha sempre guardato con sospetto le posizioni di chi considerava finito lo stato-nazione. Come ha più volte sottolineato, lo stato-nazione non scompare, ma cambia le sue forme istituzionali affinché la globalizzazione prosegua, industriata, il suo corso. E allo stesso tempo ha sempre sottolineato come le disuguaglianze sociali siano immanenti al capitalismo contemporaneo. Ma l’intervista prende avvio dalle rivolte inglesi, a cui ha dedicato un articolo, scritto con Richard Sennet, e apparso sul New York Times. Articolo nel quale, fatto abbastanza inusuale per gli Stati Uniti, i due studiosi pongono la centralità della «questione sociale» per comprendere cosa stia accadendo nel Regno Unito, ma anche negli Stati Uniti e nel resto d’Europa.
La rivolta come reazione violenta alla disoccupazione; oppure come effetto del perverso fascino che esercitano le merci. Sono le due spiegazioni dominanti sulle sommosse che hanno investito Londra e altre città inglese. Qual è, invece, il suo punto di vista?
In ogni sommossa c’è uno specifico insieme di elementi che consentono allo scontento generale di convergere e prendere forma nelle azioni di strada. In Gran Bretagna ci sono tre grandi componenti che hanno provocato la rivolta a Londra, Birmingham, Liverpool, Manchester e altra città del Regno unito.
La prima componente è la strada, cioè lo spazio privilegiato da chi non ha accesso ai consolidati e codificati strumenti politici per la propria azione politica. Nelle rivolte inglesi è emersa una forte ostilità verso la polizia, incendi, distruzione della proprietà privata. Ad essere colpiti sono stati negozi o edifici gestiti, abitati da persone che vivono la stessa condizione sociale dei rivoltosi.
Il secondo elemento che ha funzionato come detonatore è la situazione economica, che vede la perdita del lavoro, di reddito, la riduzione dei servizi sociali per una parte rilevante della popolazione. Per me questo aspetto ha influito molto di più nello scatenare la rivolta più che l’uccisione di un giovane uomo di colore da parte della polizia. La disoccupazione giovanile è, nel Regno Unito, al 19 per cento. Una percentuale che raddoppia in alcune aree urbane, come quella del quartiere dove viveva il giovane ucciso..
Il terzo fattore sono i social media, che possono diventare uno strumento davvero efficace per far crescere una mobilitazione. E in Inghilterra c’è stata una successione davvero interessante nell’uso dei social media. Inizialmente Twitter e Facebook sono stati usati per informare su ciò che stava accadendo e per invitare la popolazione a scendere nelle strade. Ma la seconda notte, la parte del leone l’hanno fatta gli smartphone Blackberry, perché usano un servizio di messaggistica che non può essere intercettato dalle forze di polizia. La grande capacità dei social media di funzionare come strumento di coordinamento della rivolta è data dal fatto che la successione degli scontri appare come scandita da un preciso piano. I focolai della rivolta sono stati più di trenta, quasi che tutto sia stato pianificato e coordinato, appunto, con i social media..
Uno solo di questi fattori non spiegherebbe quattro notti di scontri, incendi, saccheggi. Presi insieme, ogni fattore ha alimentato l’altro. Inoltre, sono convinta che se usciamo da una espressione asettica come disagio sociale il disagio sociale ci troviamo di fronte a storie dove il dolore, la collera delle proprio condizioni di vita non cancellano la speranza per un futuro diverso. Queste sommosse rendono evidente una questione sociale che non può essere affrontata, come ha fatto David Cameron, come un fatto criminale.
Londra è una delle città globali da lei studiata. Una metropoli che vede una stratificazione sociale molto articolata. Città globale vuol dire povertà, precarietà nei rapporti di lavoro. Inoltre la crisi economica sta provando un impoverimento che non risparmia nessuno dei gruppi e classi sociali della popolazione, eccetto solo per quei top professional che non sanno bene cosa significa la parola crisi. Non potremmo dire che le rivolte inglese sono figlie del neoliberismo?
In tutte le città globali la povertà è una costante. Inoltre, ho spesso scritto che le dinamiche economiche, sociali e politiche insite nella globalizzazione hanno come esito una crescita di lavori sottopagati e dei cosiddetti working poors, i lavoratori poveri. Ci troviamo di fronte a una situazione dove il passaggio dalla disoccupazione a lavori sottopagati e dequalificati è continuo. Uno degli aspetti, invece, meno indagati delle global cities, e su cui sto lavorando all’interno del progetto di ricerca The Global Street, Beyond the Piazza, è il ruolo sempre più rilevante assunto dalla cosiddetta cultura di strada nel condizionare le forme di azione politica tanto a Nord che a Sud del pianeta.
I conflitti di strada sono parte integrante della storia moderna, ma erano sempre complementari alle forme politiche consolidate. Recentemente, invece, hanno assunto un ruolo più rilevante, perché l’occupazione dello spazio è espressione del potere dei movimenti sociali. Le sollevazioni dei popoli arabi, le proteste nella maggiori città cinesi, le manifestazioni in America Latina, le mobilitazioni dei poveri in altri paesi, le lotte urbane negli Stati Uniti contro la gentrification o le rivolte americane contro la brutalità della polizia sono tutti esempi di come la strada sia il veicolo del cambiamento sociale e politico.. Ma se questo appartiene al recente passato, possiamo citare anche le recenti mobilitazioni a Tel Aviv. In Europa parlate degli indignados, riferendovi alla Spagna. Ma tanto a Madrid che Tel Aviv abbiamo assistito a vere e proprie occupazioni delle piazze che sono durate giorni, settimane, sperimentando forme di organizzazioni e di decisione politica distanti da quelle dominanti nelle società. Quello che voglio sottolineare è che ci troviamo di fronte a forme di protesta che coinvolgono una composizione sociale eterogenea, dove ci sono disoccupati, ma anche lavoratori manuali di imprese che hanno conosciuto processi di downsizing e delocalizzazione, colletti bianchi, ceto medio impoverito. E sono forme di protesta che nascono e si consolidano al di fuori degli attori politici tradizionali (partiti, sindacati). Gli indignados di Madrid chiedono certo lavoro, servizi sociali, ma anche una profonda trasformazione del rapporto tra governo e governati. La piazza, la strada non sono dunque solo il luogo dove si avanzano rivendicazioni, ma anche lo spazio per rendere manifesto il potere dei movimenti sociali.
La crisi del neoliberismo ha caratteristiche drammatiche. Alcuni paesi hanno dichiarato bancarotta, altri sono arrivati sul punto di fallire (la Grecia); altri sono diventati sorvegliati speciali della Banca centrale europea che di fatto ha sospeso la loro sovranità nazionale. E le proposte per uscire alla crisi è un insieme di misure di politica economica e sociale che potremmo definire di liberismo radicale. Lei che ne pensa?
Nel mio lavoro di ricercatrice ho difficoltà ad usare il concetto di crisi per spiegare cosa sta accadendo in molti paesi, dagli Stati Uniti all’Europa. Ci troviamo in una situazione inedita, sotto molto aspetti. Ci sono certo paesi in forte difficoltà economica; altri però hanno tassi di crescita e di sviluppo impressionanti. Detto più semplicemente, stiamo assistendo a un imponente spostamento della ricchezza da una parte della società verso un’altra. E questo coinvolge le risorse finanziarie dello stato, del piccolo risparmio, delle piccole attività imprenditoriali. Una sorta di concentrazione della ricchezza nelle mani di una esiga e tuttavia ricchissima minoranza. E tutto ciò senza che tale concentrazione della ricchezza possa essere recuperata attraverso il sistema della tassazione. È questo il dramma che stanno vivendo alcuni paesi.
Non ci troviamo cioè di fronte a una realtà oscura, difficile da comprendere o ala risultato di una cospirazione o di un fenomeno che per interpretare serve la cabala. La tragedia che ci troviamo a fronteggiare è che questa situazione è l’esito non di un evento naturale, ma di un processo politico dove il potere esecutivo, anche quando composto da persone oneste e integerrime, ha favorito, con leggi e decisioni, la concentrazione e l’espropriazione della ricchezza da parte di una minoranza. La Citibank negli Stati Uniti è stata salvata dal fallimento dal governo con 7 miliardi di dollari. Soldi provenienti dal prelievo fiscale, che negli Usa è molto generoso verso i ricchi. Dunque è stata salvato con i soldi della working class e del ceto medio. Se ci spostiamo in Europa, la pemier tedesca Angela Merkel ha deciso di spostare una parte delle finanza statale per salvare alcune banche. In altri termini è lo stato, o alcuni organismi sopranazionali, che hanno favorito questo spostamento della ricchezza nelle mani di banche, imprese finanziarie. L’Unione europea è sì intervenuta per salvare la Grecia, ma solo perché il suo fallimento avrebbe messo in ginocchio banche e imprese finanziarie, che hanno fatto profitti attraverso il meccanismo del cosiddetto «debito sovrano». Non so se per queste imprese sia corretto parlare di crisi. Godono, tutto sommato, buona salute, visto che il potere esecutivo corre sempre in loro soccorso. Il risultato è l’impoverimento di buona parte della popolazione, che vede tagliati i servizi sociali e le pensioni.
Tutto ciò mostra i profondi limiti delle democrazie liberali. Siamo cioè di fronte a un profondo cambiamento nei rapporti tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario. E tra questi e l’economia. Qualcosa di simile, nella sua profondità, è accaduto nel passaggio dal Medioevo alla modernità, quando si formarono gli stati nazionali e furono gettate le basi dello stato moderno. Quello che serve è una adeguata prospettiva storica per analizzare la realtà contemporanea. Nel libro Territori, autorità, diritti sottolineo le analogie tra quel passaggio d’epoca e la situazione attuale. Oggi, come allora, è la forma stato che viene investita da un terremoto. Capire cosa resterà in piedi, e cosa diverrà macerie serve anche a intervenire politicamente affinché tale espropriazione di ricchezza possa essere fermata.

da Il Manifesto del 17 agosto 2011
Intervista di Benedetto Vecchi a Saskia Sassen

Dagli Stati generali della precarietà!

Contro l’austerity verso lo sciopero precario – Reddito x tutti!

PROTAGONISTI FINALMENTE. DA SETTEMBRE

dal manifesto del 30/7/2011, pag. 15

Siamo i precari e le precarie che hanno dato vita agli Stati generali della precarietà e da gennaio stanno lavorando alla preparazione di uno sciopero precario, uno sciopero dentro e contro la precarietà che dimostri che se ci fermiamo noi si blocca il paese. Ci siamo riuniti a Genova per discutere dei mesi passati e per decidere insieme il cammino da percorrere d aqui in avanti. Provenivamo da tutta Italia e da Barcellona, dove Democracia Real Ya sta da mesi animando le lotte delle acampadas nelle piazze della città. La precarietà è sempre al centro della scena politica. Ma non i precari, che sono spesso chiamati a mobilitarsi per le cause più giuste, come giustizia, democrazia, diritti del lavoro garantito, beni comuni, ma mai per agire in prima persona e collettivamente per migliorare le proprie condizioni. Noi vogliamo diventare finalmente protagonisti.
Ci rivedremo il 24 e il 25 settembre a Bologna per la Costituente dello sciopero precario, una grande assemblea aperta a tutti i lavoratori e le lavoratrici, nativi e migranti, così come a movimenti, sindacati, attivisti che vogliono partecipare al percorso verso lo sciopero precario. Insieme vogliamo far valere la forza dei precari contro chi dalla precarietà estrae profitti. Vogliamo costruire legami tra persone che sono allo stesso tempo unite dalla comune condizione di precarietà e separate dalle divisioni che fanno la forza delle imprese. Vogliamo discutere insieme di come riprendere in mano e rinnovare la pratica dello sciopero nell’era della precarietà. Saremo a Barcellona il 17 e 18 settembre per partecipare all’incontro europeo di preparazione della giornata di mobilitazione globale del 15 ottobre, quando scenderemo in piazza contro le politiche di austerity, a partire dalla legge di bilancio appena approvata e contro la gestione autoritaria e bipartisan della crisi che i poteri finanziari e i governi trasversali del neoliberismo ci vorrebbero imporre nel silenzio. In autunno lanceremo una campagna popolare di respiro europeo per il diritto al reddito incondizionato e di base, che ridia voce alle rivendicazioni delle generazioni precarie.
Da settembre continueremo il cammino anche lanciando i Laboratori cittadini per lo sciopero precario, che nei mesi scorsi hanno cominciato a lavorare in diverse realtà locali. Saremo anche a Roma il 10 settembre per partecipare all’incontro della rete Roma bene comune e a Milano l’1 e 2 ottobre al seminario sul welfare promosso da Uninomade. Entrambi gli appuntamenti saranno occasioni per ampliare il dibattito su welfare e beni comuni. E continueremo a impegnarci testardamente a coinvolgere i precari e le precarie, a contaminare la società con il punto di vista precario, ad ascoltare i sogni e i bisogni dei nostri fratelli e delle nostre sorelle precarie, a mantenerci aperti alla partecipazione e al contributo di tutti e tutte.
Negli ultimi mesi abbiamo intrapreso il cammino verso lo sciopero precario con le mobilitazioni per il diritto all’insolvenza, la partecipazione allo sciopero dei migranti e alle battaglie contro il razzismo istituzionale, la Mayday di Milano, l’agitazione dei precari dell’editoria al Salone del libro di Torino, l’attività dei Punti San Precario, le giornate di piazza contro Brunetta, l’occupazione del teatro Valle a Roma. Da Genova, e con nel cuore la straordinaria mobilitazione popolare in Val di Susa in difesa dei beni comuni, ripartiamo con la voglia di continuare a lavorare in maniera autonoma e indipendente per affermare il punto di vista precario e verso lo sciopero.
Ribadiamo le nostre rivendicazioni: un reddito di esistenza incondizionato; un nuovo welfare basato sui diritti e sull’accesso a servizi e beni comuni materiali e immateriali; il diritto all’insolvenza per chi non è in grado di pagare la crisi e si trova strozzato dal taglieggio di stato; la rottura del legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, che sulla pelle dei migranti fa vedere la faccia transnazionale della precarietà. Diciamo basta alle aziende che sfruttano il lavoro precario per mantenere alti i profitti anche in una fase di crisi. Non possiamo essere noi a pagare. Diciamo basta a un welfare che ci abbandona e non risponde alle nostre esigenze. Ci ribelliamo a chi vuole farci piegare la testa ma anche a chi ci prospetta soluzioni populiste e irrealizzabili. Siamo convinti e convinte che sia sempre di più tempo di sciopero precario. Ci vediamo a Bologna.
* Dagli Stati generali della precarietà, riuniti a Genova il 23 luglio 2011

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Siamo i precari e le precarie che hanno dato vita agli Stati generali della precarietà e da gennaio stanno lavorando alla preparazione di uno sciopero precario, uno sciopero dentro e contro la precarietà che dimostri che se ci fermiamo noi si blocca il paese. Ci siamo riuniti a Genova per discutere dei mesi passati e per decidere insieme il cammino da percorrere d aqui in avanti. Provenivamo da tutta Italia e da Barcellona, dove Democracia Real Ya sta da mesi animando le lotte delle acampadas nelle piazze della città. La precarietà è sempre al centro della scena politica. Ma non i precari, che sono spesso chiamati a mobilitarsi per le cause più giuste, come giustizia, democrazia, diritti del lavoro garantito, beni comuni, ma mai per agire in prima persona e collettivamente per migliorare le proprie condizioni. Noi vogliamo diventare finalmente protagonisti.

Ci rivedremo il 24 e il 25 settembre a Bologna per la Costituente dello sciopero precario, una grande assemblea aperta a tutti i lavoratori e le lavoratrici, nativi e migranti, così come a movimenti, sindacati, attivisti che vogliono partecipare al percorso verso lo sciopero precario. Insieme vogliamo far valere la forza dei precari contro chi dalla precarietà estrae profitti. Vogliamo costruire legami tra persone che sono allo stesso tempo unite dalla comune condizione di precarietà e separate dalle divisioni che fanno la forza delle imprese. Vogliamo discutere insieme di come riprendere in mano e rinnovare la pratica dello sciopero nell’era della precarietà.

Saremo a Barcellona il 17 e 18 settembre per partecipare all’incontro europeo di preparazione della giornata di mobilitazione globale del 15 ottobre, quando scenderemo in piazza contro le politiche di austerity, a partire dalla legge di bilancio appena approvata e contro la gestione autoritaria e bipartisan della crisi che i poteri finanziari e i governi trasversali del neoliberismo ci vorrebbero imporre nel silenzio. In autunno lanceremo una campagna popolare di respiro europeo per il diritto al reddito incondizionato e di base, che ridia voce alle rivendicazioni delle generazioni precarie.

Da settembre continueremo il cammino anche lanciando i Laboratori cittadini per lo sciopero precario, che nei mesi scorsi hanno cominciato a lavorare in diverse realtà locali. Saremo anche a Roma il 10 settembre per partecipare all’incontro della rete Roma bene comune e a Milano l’1 e 2 ottobre al seminario sul welfare promosso da Uninomade. Entrambi gli appuntamenti saranno occasioni per ampliare il dibattito su welfare e beni comuni. E continueremo a impegnarci testardamente a coinvolgere i precari e le precarie, a contaminare la società con il punto di vista precario, ad ascoltare i sogni e i bisogni dei nostri fratelli e delle nostre sorelle precarie, a mantenerci aperti alla partecipazione e al contributo di tutti e tutte.

Negli ultimi mesi abbiamo intrapreso il cammino verso lo sciopero precario con le mobilitazioni per il diritto all’insolvenza, la partecipazione allo sciopero dei migranti e alle battaglie contro il razzismo istituzionale, la Mayday di Milano, l’agitazione dei precari dell’editoria al Salone del libro di Torino, l’attività dei Punti San Precario, le giornate di piazza contro Brunetta, l’occupazione del teatro Valle a Roma. Da Genova, e con nel cuore la straordinaria mobilitazione popolare in Val di Susa in difesa dei beni comuni, ripartiamo con la voglia di continuare a lavorare in maniera autonoma e indipendente per affermare il punto di vista precario e verso lo sciopero.

Ribadiamo le nostre rivendicazioni: un reddito di esistenza incondizionato; un nuovo welfare basato sui diritti e sull’accesso a servizi e beni comuni materiali e immateriali; il diritto all’insolvenza per chi non è in grado di pagare la crisi e si trova strozzato dal taglieggio di stato; la rottura del legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, che sulla pelle dei migranti fa vedere la faccia transnazionale della precarietà. Diciamo basta alle aziende che sfruttano il lavoro precario per mantenere alti i profitti anche in una fase di crisi. Non possiamo essere noi a pagare. Diciamo basta a un welfare che ci abbandona e non risponde alle nostre esigenze. Ci ribelliamo a chi vuole farci piegare la testa ma anche a chi ci prospetta soluzioni populiste e irrealizzabili. Siamo convinti e convinte che sia sempre di più tempo di sciopero precario. Ci vediamo a Bologna.

*Dagli Stati generali della precarietà, riuniti a Genova il 23 luglio 2011

 

Genova 10 anni dopo.

Quelli che camminano verso lo sciopero precario.

Genova 10 anni dopo.

E ti vengono i brividi sulla pelle.

E te la senti dentro, nella testa, nelle gambe, negli occhi, sia che c’eri, sia che non c’eri.

Si perché il laboratorio occupato e autogestito Acrobax nasce l’anno dopo Genova 2001. Nasce dall’entusiasmo dei social forumprecari nel dare vita al laboratorio del precariato metropolitano. Riappropriarsi per la prima volta, e da allora per decine di altre, di uno spazio pubblico vuoto e destinato all’abbandono e/o alla speculazione.

Risignificare l’ormai ex cinodromo della capitale come spazio di aggregazione sociale e politica delle lotte contro la precarietà lavorativa e di vita.

Oggi, dieci anni dopo Genova 2001, è ancora attraversato da quanti in quelle giornate c’erano e continuano a portarsele dentro, ma anche da tanti che non c’erano e si nutrono di quella memoria che abbiamo voluto ingranaggio collettivo.

Per questo ancora una volta torneremo a Genova nelle stesse giornate di quel maledetto G8 del 2001.

Per ricordare ma anche rilanciare, perché in questi 10 anni non ci siamo mai fermati.

Spinti dalla necessità e dal desiderio, vogliamo sostenere e costruire il processo verso uno sciopero precario che, il prima possibile, si metta di traverso a precarizzatori e profittatori affermando il diritto ad un’esistenza libera dal loro ricatto sui nostri territori, i nostri diritti, le nostre vite.

Perché oggi come dieci anni fa siamo di fronte ad un punto di non ritorno, per la profonda crisi che ci si avvita intorno e che senza dubbio scopre il fianco di un capitalismo che sempre più svela il suo volto più ferocemente repressivo anche nei confronti delle popolazioni di cui fino ad oggi aveva potuto comprare il consenso. Oggi il velo si comincia a squarciare, sono solo piccoli strappi per il momento ma che si possono allargare e già si comincia a vedere oltre. Quello che in queste ultime settimane ha fatto il popolo No Tav ha già nel conflitto e oltre il conflitto cominciato a costruire un altro mondo possibile: fatto di autodeterminazione, indipendenza, di rispetto del territorio e dei beni comuni, contro i profitti e la rendita di pochi, per il diritto all’esistenza di tutti.

Così come uno spartiacque è stato per noi il voto referendario per l’acqua bene comune e contro il nucleare. Perchè quei quesiti referendari pongono una questione che ha che fare con la gestione delle risorse idriche, ma anche con la trasformazione dello spazio della partecipazione politica, delle forme di organizzazione sociale dal basso.

Dallo scorso autunno una moltitudine precaria, che fino ad oggi non sembrava avere reali capacità di ricomporsi e cospirare, sta invece dicendo e praticando delle cose molto chiare: lo ha fatto il 14 dicembre a Roma, nelle battaglie contro il business della mondezza, nelle battaglie dei precari e delle precarie, con il referendum dei mille comitati in difesa dei beni comuni vinto proprio nella sfida dell’indipendenza da partiti e sindacati, messi all’angolo di queste battaglie di massa per la loro irreversibile e decennale compromissione con le politiche di liberalizzazioni e privatizzazioni selvagge che hanno arricchito lobby e rendite privando di senso tutti i nostri diritti sul lavoro e ben oltre il lavoro.

Questo è il messaggio che viene ignorato e lo Stato fa di tutto per continuare ad imporre la propria volontà, anche attraverso l’utilizzo massiccio di forze dell’ordine come vere e proprie truppe di occupazione, imponendo con la violenza e con lo stato di eccezione permanente, il governo del territorio contro la conflittualità sociale che vi può esplodere. E’ stato così 10 anni fa a Genova, dove eravamo 300.000 sovversivi e accade ancora oggi gridando ai black block in Val di Susa o continuando a colpire con denunce e arresti chi si batte tutti i giorni nelle lotte sociali.

Finalmente prove tecniche di ricomposizione di un popolo largo che, molto spesso a partire da quell’elemento unificante che è il territorio, afferma la propria indignazione e la propria indisponibilità a proseguire sulla strada del “cosiddetto” sviluppo, anche con posizioni radicalmente critiche nei confronti del neoliberismo e delle politiche di austerity. Perché un movimento intero dopo aver detto i suoi “No, ora basta” carichi di proposte sta scegliendo la strada della sovranità popolare esercitandone dal basso la materialità costituente. Lo fa nella Valle ribelle, lo fa attraverso i referendum, lo fa tutti i giorni resistendo nella precarietà di vita e di lavoro, lo fa occupando le case e difendendo i territori dalla devastazione delle speculazioni e delle grandi opere… perché ancora, 10 anni dopo un altro mondo non solo è possibile, ma anche praticabile!

Con Carlo, Antonio e Renato nel cuore

L.O.A. Acrobax Project

***

GENOVA, DIECI ANNI DOPO

Sabato 23 Luglio 2011 si terrà a Genova una manifestazionale nazionale, nata dall’appello “voi la crisi, noi la speranza”, dieci anni dopo il GB del 2001, al termine di una serie di giornate di iniziative nel capoluogo ligure.

Su Genova, e su questi dieci anni, molte cose si possono e si devono scrivere, discutere, dialettizzare – come sta accadendo nel moltiplicarsi delle iniziative in molte città, e come avviene nella quotidianeità delle nostre lotte e delle nostre vite.

Ma, a prescindere da qualsiasi valutazione, dieci anni dopo riteniamo categorico ed ineluttabile essere ancora nelle strade di Genova.

Per per quelli che  stanno partecipando al percorso di preparazione della manifestazione e per quelli a quel percorso non stanno partecipando, perchè impegnati in altre lotte o perchè magari allontanatosi dall’attivismo.

Per quelli che a Genova c’erano, e per chi quando veniva ammazzato Carlo erano ancora alle elementari od alle medie.

Per quelli che Genova hanno provato a dimenticarla, senza poterci riuscire.

Per quelli che Genova sembra un avvenimento lontano e leggendario, e per quelli che si sentono ancora addosso la rabbia ed anche la frustrazione

Per quelli che hanno trovato il senso di quella storia e di questi anni e magari pensano di aver sempre avuto ragione, e per quelli che ancora si sentono confusi, e per quelli che pensano di aver sbagliato ma non hanno rimorsi.

Per quelli che oggi lottano in Val di Susa, o sul proprio posto di lavoro o contro una discarica, e per quelli che si sono persi per strada

Per quelli che il 23 luglio già riempivano le strade di roma di rabbia e indignazione, e per quelli che per anni hanno avuto paura incontrando una divisa.

Per tutti noi, tornare a Genova si deve, riempire ancora le vie di quella città con i nostri corpi, i nostri desideri e le nostre paure, la nostre rabbia e la nostra memoria, le nostre storie e le nostre contraddizioni.

A Carlo Giuliani, ragazzo.

MANIFESTAZIONE NAZIONALE GENOVA 2011
www.genova2011.org

PULLMAN DA ROMA (partenza sera 22)

infoline: 06.96049359 – 329.9565127

MARTEDI’ 19 LUGLIO

dalle ore 19 alle 23 @ Generazione_P. Rendez-Vous
via Alberto da Giussano, 59 – pigneto
APERITIVO E CENA A SOSTEGNO DELLE SPESE DI VIAGGIO
E PER LA RACCOLTA DELLE PRENOTAZIONI

Alcune delle iniziative di questi giorni (ci spiace se ne abbiamo persa qualcuna)

20 luglio – città dell’altra economica

20 e 21 luglio – forte prenestino

21 luglio – teatro valle

20 luglio – centro sociale spartaco



Una scelta chiara e limpida come l’acqua. Sui Referendum del 12 e 13 Giugno

Noi votiamo SI per la difesa dei beni comuni e contro il nucleare!

Domenica e lunedi si svolgeranno in Italia i referendum. Tra questi, i due quesiti per l’acqua che abbiamo promosso all’interno del comitato promotore. Ma dietro questa singola sigla, e la formalità che ne deriva, ci sono decine di realtà, sparse su tutti i territori d’italia, centinaia di persone, uomini e donne, cittadini e cittadine che si sono attivate per far vivere una battaglia ben più larga per qualità e ben più lunga come tempo.

Per noi è chiaro che sia uno spartiacque, ma non contro o per quel governo. Per noi è chiaro che se i cittadini si esprimeranno per il si vorranno mandare un messaggio chiaro a tutti. Perchè questi quesiti referendari parlano la lingua dei diritti: per tutti e per tutte e non assimilabili a bisogni da dover comperare.
Infatti, un anno fa, quando abbiamo iniziato a raccogliere le firme (e ne sono arrivate tantissime, come mai nella storia della Repubblica italiana) dicevamo che l’acqua è un bene comune, un simbolo della nostra vita costretta alle regole del mercato, dicevamo che in quella battaglia si trovavano le istanze che non sono rappresentate dagli eletti del Parlamento.

In quell’affermazione stava non un accusa o espressione di anti-politica; in quell’affermazione c’era una ripresa della parola. La scelta di decine di persone di prendere in mano la propria espressione, di usare la propria voce, in prima persona.
Noi, quel popolo che va sotto il nome di “popolo dell’acqua”, che va dalle parrocchie ai centri sociali, poniamo oggi un’istanza riguardante l’acqua in una modalità di partecipazione diretta, una presa di responsabilità collettiva perchè vogliamo porre una nuova questione del bene pubblico come bene della collettività che poco ha a che fare con le gestioni stataliste o di spartizione di poltrone.
Poniamo una questione che ha che fare con la gestione delle risorse idriche, ma anche con la partecipazione alla vita politica, alle sue forme di organizzazione e con quella profonda divisione che si è aperta all’interno della società del nostro paese.

Poniamo una questione che ha a che fare con la salute delle generazioni future, con la possibilità di sfruttare risorse energetiche alternative, siamo il paese del sole, del vento, del mare, per questo siamo contro la costruzione delle centrali nucleari.

Non siamo orfani di nessun partito e non siamo alla ricerca di Padri o Madri putativi.
Siamo figli e figlie dell’indipendenza e dell’autonomia delle nostre idee e dei nostri percorsi.
Ed è per questo che con migliaia di persone ci siamo riconosciuti e abbiamo condiviso un ragionamento molto avanzato; perchè i cittadini e le cittadine sanno comprendere molto bene qual’è la loro condizione e non sono sprovveduti o immaturi come spesso le dirigenze politiche, tutte, tendono a rappresentarli.
Abbiamo notato, in questi mesi, quali difficoltà, più o meno coscienti, ci siano da parte dei grandi media e da molta parte delle organizzazioni politiche classiche nel saper comprendere chi siamo, a darci uno spazio se non di riflesso. Noi quello spazio ce lo siamo comunque preso per le strade, con centinaia di banchetti ed iniziative, con parole e azioni, con confronti e relazioni. Un tessuto sociale nuovo si è ricomposto e organizzato.

Oggi poniamo una volta di più una domanda di democrazia reale, di libertà dalle necessità del profitto e dalle logiche di clientela.
Ugualmente abbiamo dato delle risposte chiare e limpide come, d’altronde, è l’acqua.

E’ attivo Scioperoprecario.org

Immagina se un giorno i call center non rispondessero alle chiamate, se i trasporti non funzionassero, se le case editrici che sfruttano il lavoro precario fossero bloccate, se le fabbriche chiudessero, se la rete ribollisse di sabotaggi, se gli hacker fermassero le reti delle grandi aziende, se ci prendessimo la casa che non abbiamo, gli spazi che ci sono negati. Immaginate se noi precari e precarie incrociassimo le braccia, diventassimo finalmente protagonisti e dimostrassimo quanto siamo forti: il paese si bloccherebbe.

Eppure si sa, noi non possiamo scioperare: siamo soggetti a ricatti troppo grossi, siamo sottomessi al volere delle aziende, siamo addirittura i datori di lavoro di noi stessi, siamo ricattati dal contratto di soggiorno per lavoro e dal razzismo istituzionale. Non vorremo davvero osare ciò che nessuno riesce nemmeno a immaginare…

Eppure… eppure vogliamo riprenderci il diritto allo sciopero. È ora di passare all’attacco per dimostrare che la precarietà può fare male non solo a chi la subisce ma anche a chi la sfrutta. Lo sciopero precario, per la prima volta, colpirà i profitti delle aziende che ci precarizzano e sfruttano, che peggiorano ogni giorno le nostre condizioni di vita. Lo sciopero precario sarà il momento in cui l’intelligenza, i saperi, i trucchi e gli sgami di precari e precarie si rivolteranno contro chi li precarizza. Sarà lo sciopero dei precari ma soprattutto uno sciopero che nasce nella precarietà e si rivolge contro la precarietà. Vogliamo far sapere al paese che possiamo far male, colpire i profitti, creare un problema a chi ci sfrutta. Pretendiamo di essere ascoltati e vogliamo riprenderci il futuro.

Per saperne di più SCIOPEROPRECARIO.ORG

Dopo la narrazione l’esplosione

workshop sulla comunicazione e lo sciopero precario

Volturno Occupato
domenica 17 aprile
ore 11.00

Invitiamo tutte/i a immaginare e rendere concrete le idee, tracce, forme, slogan, format e media delle campagne comunicative per lanciare e accompagnare lo sciopero precario.

Chiederemo a ogni workshop tematico del sabato di raccogliere e discutere le proprie parole chiave, linguaggi, immaginari, e le possibili pratiche di comunicazione da sviluppare. Queste saranno la base di discussione del nostro workshop.

Lo sciopero precario ha bisogno di comunicazione e di media sociali. Ha bisogno di spot, video, volantini, di uso della rete, di un vademecum su come scioperare senza subire vendette, di forme di partecipazione nella rete e che dalla rete straripino nelle strade e nei luoghi di lavoro e produzione. Ha bisogno di luoghi in cui mettere in comune il sapere dei precari e delle precarie.

Invitiamo grafic*, giornalist*, fumettar*, hacker, regist*, scrittrici e scrittori, speaker radiofonici, informatic* a partecipare con idee e proposte, e con voglia di fare comunicazione precaria.

Crisi economica, precarietà del lavoro e conflitto sociale

proposto dai lavoratori e dalle lavoratrici autoconvocati/e

Generazione Precaria
Sabato 16 aprile
ore 11-13

Gli effetti dell’attacco padronale e governativo alle condizioni di lavoro e al reddito (dal Collegato Lavoro al Piano Marchionne, dalla destrutturazione dei contratti di lavoro allo statuto dei lavori), i limiti delle risposte sindacali, la costruzione dello sciopero denerale unitario e dal basso e le nuove modalità del conflitto sociale.

Verso lo sciopero del sapere precario

Generazione Precaria
Sabato 16 aprile
ore: 14-16

15 anni di riforme del lavoro e della scuola hanno cambiato profondamente le condizioni di vita, studio e lavoro di un’intera generazione, avviando un processo di precarizzazione che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite.

L’università contro-riformata è una fabbrica di precarietà. Saperi ultra-nozionistici, corsi di laurea specifici ma non specializzanti hanno totalmente dequalificato il mondo della formazione e della ricerca.

Il processo di precarizzazione diffusa ha portato a un sempre maggiore assoggettamento dei saperi alle linee guida stabilite da un’élite economica e politica. L’università è uno di quei luoghi dove agisce un dispositivo di governamentalità, di addestramento alle esigenze del modello di produzione.

La studentessa e lo studente sono un esempio concreto delle differenti forme di quell’esercito permanente d’individualità precarie. La stessa precarizzazione che sempre di più colpisce i ricercatori, che si ritrovano sottoposti a condizioni di lavoro insostenibili.

Appare così fondamentale, all’interno degli stati generali, costruire un workshop che ponga centralità a quali siano le pratiche per lo sciopero precario che il mondo della formazione e della ricerca possa mettere in campo per mettere in crisi questo paradigma di sfruttamento e valorizzazione.

Workshop su informatica, hacking e reti digitali

Generazione Precaria
Sabato 16 aprile
ore 14-16

Hacker, informatici, nerd e geek contro la precarietà. Uno degli ambiti dello sciopero precario è quello della comunicazione e delle information technologies. Stiamo parlando di un settore, quello dei flussi di informazione, che è cruciale per i profitti. Ma che è anche cruciale per il livello di precarizzazione che crea e impone a lavoratori e lavoratrici desindacalizzati e con rapporti di lavoro sempre più individuali.

È un mondo in cui le reti di protezione sono sempre più deboli ma anche un mondo dal quale negli ultimi anni sono nate forme di sabotaggio, di intervento creativo e capaci di fare male: netstrike, hacking, comunicazione guerriglia sono solo alcuni esempi. Vogliamo continuare a inventare forme di intervento nelle reti digitali che diventino uno sciopero nella precarietà e contro la precarietà. Per questo vogliamo scambiarci idee e confrontarci tutte/i insieme agli Stati Generali.

Immaginatevi se per un giorno si intasassero i call center e i server informatici, se la rete ribollisse… Chiamiamo tutte/i a mettere insieme le condizioni perché uno sciopero precario si realizzi anche con le armi dell’informatica.