Workshop sui flussi metropolitani

Nel nuovo millennio, la condizione precaria è diventata strutturale, generale e esistenziale anche perché la produzione e l’organizzazione del lavoro sono diventati modulari e flessibili. Non abbiamo più un luogo di lavoro ma più luoghi di lavoro che vengono attraversati quotidianamente dalla stessa forza-lavoro. In tal modo, il lavoro si estende nomadicamente, si flessibilizza e si individualizza: è uno e trino. Il risultato è, appunto, la precarietà.

Lo sciopero precario è l’antidoto alla precarietà. Per questo lo sciopero precario deve intaccare, rompere, disarmare la produzione e il lavoro per flussi.

In molte aree del paese, soprattutto quelle metropolitane, il profitto è per ¾ generato dalla circolazione delle persone, merci, servizi comunicativi e immateriali. Se lo sciopero precario è sabotaggio dei profitti, è sabotaggio di tutti questi flussi. Facile a dirsi, difficile a farsi. In questo workshop, vogliamo iniziare a discutere di queste tematiche per cominciare a costruire un “sapere precario”. E vogliamo discuterlo a tutti i livelli: da quello materiale a quello immaginifico.

Non partiamo da zero. Partiamo da una nostra consapevolezza, una “potenza d’azione” che già si è materializzata con l’effetto “annuncio”: a partire dalle ultime MayDay, ad esempio, la grande distribuzione durante il I° maggio chiude i battenti, non perché siamo in grado di bloccare i punti vendita, ma perché minacciamo di farlo.

Intervenire sui flussi delle persone, delle merci, delle informazioni significa mettere in campo quelle pratiche in grado di incidere realmente sulla possibilità di creare momenti di blocco della produzione/circolazione: quei cacciaviti i grado di far saltare la catena di montaggio sociale nella quale tutti noi siamo inseriti e che sulla precarietà fonda la sua capacità di fare profitto.

Perfettamente inconciliabili: strumenti e strategie per sabotare lo pseudo-welfare familista

Generazione P
Sabato 16 aprile
ore 14-17

Nel quadro complesso della crisi economica che attanaglia ogni giorno le nostre vite viene riproposto un sistema di governance che utilizza la famiglia come unico ammortizzatore sociale, ovvero come luogo di sostegno e riproduzione del sistema stesso.
In mancanza di un “vero” welfare il governo italiano, che interpreta le direttive europee come un invito a rincarare la dose, attraverso il Piano Carfagna Sacconi, definisce un modello di conciliazione lavoro-famiglia in cui le donne (mamme se possibile) sono le uniche a farsi carico delle necessità familiari e quindi sociali.Viene proposta la conciliazione tra tempi di lavoro salariato e lavoro di cura in famiglia, senza considerare la realtà delle/dei precari/e e istituzionalizzando il fatto che il rapporto di moltissime donne italiane con il welfare è ormai stabilmente mediato dalla presenza delle donne migranti. Questa presenza ripropone su scala globale e rinnovata la questione della divisione sessuale del lavoro, rendendo il welfare non più solo un problema di prestazioni più o meno garantite, ma di rapporti di lavoro e precarietà.
La sussidiarietà tra pubblico e privato su cui si incentra il Libro bianco di Sacconi non solo punta allo smantellamento del welfare e alla delega del lavoro di cura alle donne ma decostruisce alla radice il concetto di Stato sociale stesso: il welfare perde la sua dimensione collettiva per tradursi in una sorta di assicurazione privatistica, sorretta dalla famiglia, dalla chiesa, dal volontariato, dal privato sociale, dal lavoro salariato delle donne, soprattutto, ma non solo, migranti. Tutto ciò si trasforma in un’ulteriore accelerazione della finanziarizzazione della previdenza, della salute, dell’istruzione.

Infatti il problema di trasformare stipendi sempre più magri e insicuri in risorse per la vita di figli, genitori e nonni, che è un problema sociale, è riproposto come “affare di donne”, anche quando il lavoro riproduttivo sia svolto non più solo gratuitamente ma in cambio di un salario. In questo senso vengono rafforzati i già ben strutturati ruoli sociali che ipotecano i progetti di vita di uomini e donne, deresponsabilizzando stato e imprese per tutto ciò che riguarda il tema del lavoro per la riproduzione sociale. La legge Bossi-Fini diventa uno dei pilastri di questo sistema nel momento in cui istituzionalizza la divisione sessuale del lavoro riproduttivo, mentre il tema della conciliazione non mette minimamente in discussione l’idea per cui la vita di cui si parla non è solo la cura degli altri, ma è soprattutto il mio/nostro tempo.

Partendo dall’inconciliabilità tra le nostre vite e questo modello vogliamo porci alcune domande:

Come rallentare e sabotare questo processo che ingabbia soprattutto le donne e privilegia soprattutto le imprese?

Come si passa dal riconoscimento, solo teorico, dell’enorme valore sociale del lavoro di cura svolto quasi esclusivamente dalle donne alla sua valorizzazione reale e alla piena condivisione del lavoro riproduttivo tra donne e uomini, dentro e fuori la famiglia?

Come si accede a diritti, e autonomia, senza passare per la subalternità alla famiglia e al lavoro produttivo?

Come riprenderci, donne e uomini, i nostri tempi e i nostri desideri?

Invitiamo tutte e tutti a discutere un nuovo Libro FUCKsia di desideri, aspirazioni e rivendicazioni che attacchi i privilegi e i profitti, e che si dia l’obiettivo di costruire strumenti effettivi per la liberazione di tempi e desideri di tutte e tutti, dentro e fuori il lavoro, dentro e fuori la famiglia.

Lo sciopero precario e il welfare desiderabile

(Ovvero il conflitto sulla condizione precaria come costituente della libertà di scelta)
Condivisione aperitiva delle pratiche e delle traiettorie comuni di co-spirazione

Generazione P
Sabato 16 aprile
ore 18-20:30

Senz’acqua ‘a papera non galleggia
(proverbio napoletano)

La produzione dinamica del conflitto è sempre autonoma e biopolitica. Ma essa è sempre, più o meno consapevolmente, la base della produzione e riproduzione statica e formale del diritto. La dinamica continua della lotta di classe che oggi chiamiamo precarizzatori vs precarizzati è la prosecuzione di quel sotteraneo movimento costituente che determina da sempre la norma costituita. Questa ne rappresenta la sintesi parziale, una fotografia sinottica di un determinato picco di conflitto e accumulazione di forza, rispetto alla quale il conflitto si (ri)presenta continuamente come eccedente.

Ad esempio il welfare state fu prima di tutto, prima della sua stessa auto-definizione, dispositivo di regolazione autoritaria della forma moderna dello Stato e, insieme, archetipo d’una sintesi normativa del ciclo di rivolte, moti insurrezionali e pratiche del comune nell’età dell’industrializzazione. E così poi è stato per la genesi delle forme contemporanee di regolazione del conflitto capitale/lavoro, tutt’intorno ai tentativi di rivoluzione operaia e alla produzione di nuove soggettività, dal new deal rooseveltiano sintesi ultima del sangue sacrificale degli IWW e dal keynesismo europeo sorto accanto alla macina sociale nazifascista fino agli statuti scanditi dai nuovi cicli di lotte nei “Trenta Gloriosi” e alla loro stessa crisi dentro la sottrazione crescente alla disciplina produttiva.

Oggi, nel tempo della crisi della misura del valore, l’idea di un nuovo welfare è in verità forma del desiderio di un’altra società e si presenta come potenza dell’impossibile. Significa, dentro l’esplosione della condizione precaria, volere tutto e darsene la forza. Così presentiamo questo workshop sui nuovi diritti delle precarie e dei precari, sulle proposte e piattaforme politiche di rivendicazione degli Stati Generali della Precarietà, come articolazione d’un discorso sperimentale, provvisorio, a partire dalla discussione sulle pratiche de llo sciopero precario. E cioè a partire dalle forme del conflitto, nella sua più complessa accezione bio-politica, di co-spirazione dei corpi e delle loro differenze, di complicità dei desideri e della loro eccedenza, di costellazione dei punti e delle traiettorie di attacco ai dispositivi del profitto e dunque al potere sulle vite.

E’ solo in questa cospirazione, in questa complicità e nella composizione di questa costellazione che può avere significato materiale quel disegno che abbiamo già chiamato welfare metropolitano e del comune. Non un obiettivo, bensì il terreno fattivo dello sciopero precario.

Precarietà e territori

Tavolo di discussione su precarietà e territori

I territori, che vogliamo considerare sin da subito tra i beni comuni da difendere e su cui organizzarsi, subiscono l’attacco speculativo della rendita, dei capitali finanziari e delle cricche d’affari. La mano della speculazione che non subisce momenti di crisi si allunga sul ciclo di raccolta e smaltimento dei rifiuti, sulle grandi opere costose inutili e dannose, sui grandi eventi dall’expo 2015 alle Olimpiadi di Roma 2020 e persino sulle catastrofi di terremoti, alluvioni e smottamenti. Ogni giorno in Italia, spesso in deroga ai piani urbanistici che si vanno via via deregolamentando, si consumano 100 ettari di suolo (come 100 campi da calcio) per farne centri commerciali e case che non verranno vendute eppure oggi i piani casa del governo e delle regioni continuano ad agevolare il settore delle costruzioni che lamenta crisi concedendo ricchi premi di cubatura e facili condoni. Paghiamo dunque la crisi anche attraverso la nuova corsa al cemento, il caroaffitti, l’invivibilità delle nostre città. La precarietà investe tutti gli ambiti della nostra vita, abitiamo nella crisi.

Sottrarre terreno metro dopo metro alla rendita, significa difendere i territori dalla devastazione ambientale, dalla loro messa a valore dentro progetti che producono solo nuova precarietà. Significa conquistare dal basso il diritto all’abitare per tutti, il diritto alla salute e ad un ambiente sano, a spazi pubblici e sociali fuori dalla logica del profitto.

Dentro questa terza edizione degli stati generali della precarietà, con i movimenti e le soggettività che li attraverseranno, vorremmo consolidare alcuni elementi di riflessione collettiva e di rivendicazione.

Ragionare inoltre le pratiche, nella continua sperimentazione anche intorno alla proposta dello sciopero precario intendendo la vita sociale e la produzione di valore dei territori al centro dei processi di precarizzazione e lo sciopero come pratica comune per contrastare i profitti e affermare un punto di vista precario contro la precarietà che ci impongono.

Workshop su formazione, ricerca, scuola e università

Generazione P
Sabato 16 aprile
ore 14-16

Quindici anni di riforme del lavoro e dell’università hanno cambiato profondamente le condizioni di vita, studio e lavoro di un’intera generazione, avviando un processo di precarizzazione che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite.

L’università contro-rifomata appare (e come tale viene sempre più percepita) come una fabbrica di precarietà. Saperi ultra-nozionistici,  corsi di laurea specifici ma non specializzanti hanno totalmente dequalificato la formazione universitaria e la retorica della “formazione continua” nasconde (malamente) un sistema di sfruttamento di cui stage e tirocini sono lo strumento principale.

Lo studente e la studentessa non sono solo precari in formazione, pronti ad essere utilizzati “flessibilmente” nell’era della produzione “just in time” una volta usciti dall’università, ma rappresentano un esercito permanente di precari e precarie, da sfruttare come lavoratori e come consumatori (intere città nel nostro paese hanno un’economia basata sugli studenti). Un sistema così concepito ha trasformato la formazione in vero e proprio addestramento alla precarietà.

L’Italia è stata la prima ad applicare il doppio ciclo di laurea e mantiene un triste primato anche per quanto riguarda lo smantellamento di ogni forma di welfare.

Governi di diverso colore chiedono pubblicamente ai giovani di fare lavori umili e si stupiscono della permanenza a casa con i genitori maggiore della media europea.

Intorno alla falsa idea di “merito” si sono scritte vere e proprie contro-riforme e si stanno definitivamente smantellando le classiche forme di assistenza economica indiretta (servizi di diritto allo studio come case, borse, mense e agevolazioni su libri trasporti e cultura). Appare quasi superfluo ricordare come questo paese sconosca forme di sostegno economico diretto che in molti paesi europei consentono a intere classi sociali di emanciparsi e costruirsi un futuro.

I movimenti studenteschi degli ultimi anni hanno dimostrato che i luoghi della formazione possono essere ancora strumento per un’accensione delle rivolte e fungere da catalizzatore dei conflitti, nell’ottica di una ricomposizione sociale delle lotte.

Appare così fondamentale, all’interno degli stati generali della precarietà, costruire un workshop che analizzi potenzialità e limiti delle mobilitazioni studentesche. Che cerchi di analizzare il soggetto studentesco alla luce di un complesso di riforme che ne hanno stravolto la natura e la percezione sociale. Immaginando così le piattaforme e le rivendicazioni da cui partire per fare della popolazione studentesca strumento per l’accensione della rivolta precaria.

“The show must go on”: workshop dei lavoratori dello spettacolo, cultura ed editoria

Negli ultimi mesi le mobilitazioni di esponenti del mondo dello spettacolo e della cultura hanno riempito le pagine dei giornali. A mobilitarsi sono stati attrici e attori, registe e registi, sceneggiatrici e sceneggiatori, scrittrici e scrittori con una faccia e un nome da mettere in gioco. Il
motivo? I tagli – ingiusti e sconsiderati – alla produzione culturale nel nostro paese. Ma dietro tutte le quinte, fra i titoli di coda di un film, fra le pagine dei libri, ci sono persone che di questi tagli risentono quotidianamente.
Lavoratori animati (almeno all’inizio) dalla passione per il proprio lavoro,che vivono una condizione di disagio e precarietà così forte da invadere tutti i campi dell’esistenza. Persone spesso ai margini della realtà lavorativa per quel che riguarda il tipo di trattamento (cocopro, p.iva, interinali, stage, collaboratori a vari livelli) ma che sono in realtà la vera base su cui si fonda la produzione culturale, i reali produttori di profitto delle aziende del settore.
Con questo workshop vogliamo chiamare a raccolta i precari dell’editoria, dello spettacolo, della televisione, della radio, dell’informazione, dell’arte e dello sport, per mettere a confronto le realtà locali, e individuare, in maniera concreta e operativa, i nodi fondamentali della produzione culturale nelle nostre città. L’obiettivo sarà quello di far emergere i modi e i tempi di uno “sciopero precario”, attuabile anche per quella miriade di soggetti che hanno a volte scelto, altre volte sono stati costretti ad accettare, una flessibilità lavorativa – comunque sempre a
netto vantaggio delle aziende.
Dall’individuazione di questi nodi vorremmo partire per capire quali forme di cooperazione si possono trovare tra soggetti che vivono e sono abituati a ragionare in un’ottica competitiva, dell’uno contro tutti. Per uscire dalla frammentazione a cui ci obbliga la precarietà imposta, per acquisire consapevolezza e tornare protagonisti, incanalando in maniera costruttiva rabbia e frustrazione.
Quali strumenti comunicativi possiamo mettere in campo per superare la fidelizzazione che molte e molti di noi hanno rispetto al proprio lavoro, che spesso coincide con la nostra passione e la nostra creatività? Quali strategie per arginare l’abbassamento del costo del lavoro, per uscire da un orizzonte di totale ricattabilità? E quali pratiche di sciopero possiamo mettere in atto per respingere al mittente tutte le vessazioni, i ricatti e le umiliazioni a cui siamo sottoposti ogni giorno da datori di lavoro che spesso hanno la pretesa di dirigere non solo la nostra professionalità sotto tutti gli aspetti, ma anche il nostro tempo libero, la nostra vita?

La libertà sta nell’avere possibilità si scegliere. Cospiriamo insieme verso lo sciopero precario!

Per non dimenticare Antonio.

Scrivemmo queste due righe per ringraziare tutti coloro che nei giorni successivi a quel 17 gennaio 2006 si erano stretti intorno ad Antonio, ai suoi cari e ai suoi compagni, in quei giorni di profondo dolore.

e’ passato un po’ di tempo, troppo poco…
un mese all’incirca dalla morte di Antonio. Da quel saluto collettivo che gli abbiamo dato direttamente dalla sua casa, dal suo spazio sociale, dal suo rifugio. Abbiamo dato vita ad una manifestazione pubblica del nostro dolore, abbiamo reso palpabile i nostri umani e profondi limiti di uomini e donne di fronte al dolore della finitezza umana.
Abbiamo incrociato molti sguardi in quell’ex cinodromo che per qualche ora e’ sembrato sospeso dentro un alone magico ed irriproducibile. Ci siamo stretti in tanti intorno ad Antonio senza convenevoli e senza molta retorica.
“…una cosa cosi’ si fa’ per i vivi e non solo per il morto…” e forse e’ proprio cosi’. vivi ma piu’ fragili poiche’ ancora tremendamente presi da gioia, pianto, riso, dolore, passione e miserie di questo mondo. Gli abbiamo dato un saluto enorme di profonda partecipazione insieme a tutte quelle compagne e a quei compagni che hanno voluto abbracciarlo senza rinunciare, nel produrre rito e simbolo, ai propri riferimenti culturali e politici. Abbiamo anche in questa occasione noi tutti tentato di affermare forme di vita altre rispetto a questo modello di societa’ della guerra globale che rifiutiamo in ogni suo aspetto. Anche li’ abbiamo chiuso il potere in un angolo, nessuno e’ venuto a celebrare la morte di Antonio. Non abbiamo avuto bisogno di chi ci somministrasse il rito attraverso forme laiche o ecclesiastiche di potere. Eravamo un cerchio ed anche Antonio ne faceva parte. Un cerchio di uomini e donne che non vogliono soccombere allo stato di cose presenti. Eravamo diverse generazioni a ricordare un ragazzo dalla storia molto particolare di questa italietta di magistrati zelanti e carceri speciali. Antonio era nato dentro una di queste carceri, figlio di militanti rivoluzionari che hanno pagato insieme ad altre migliaia di compagni la vendetta dello stato contro l’emergenza sociale e sovversiva di quegli anni. Una storia particolare che ha reso un clima unico intorno alla vita di Antonio cosi’ difficile e particolare. Una storia fatta di movimento, passioni, lotte, e tarde ore la notte. Una storia di vita coraggiosa e forse piu’ vissuta di tante altre indecise e superficiali. Antonio era estremamente generoso, ma soprattutto umano, oltre il bene ed il male, era pieno di contraddizioni, come ognuno di noi e non le nascondeva. Le porgeva con grande sincerita’ senza sfuggire le sue insicurezze, senza ammantarsi mai di chissa’ quale sovraumana dote, ma sempre affrontando la realta’ dentro quell’umano crinale di contarddizione e di limite.
E Antonio e’ morto lavorando e questo per noi dice molto. L’amore per lui diventa rabbia e desiderio di trasformazione. Antonio e’ morto svolgendo un pericoloso lavoro. come tanti altri ce ne sono. Faceva il pony a lunga percorrenza e tra una stressante chiamata e l’altra ha fatto un incidente mortale. Antonio e’ morto sul lavoro come all’incirca un migliaio di persone l’anno. e cosi’ la fredda statistica ha aggiunto il nome di un nostro fratello… e a questa mortifera consolazione non ci vogliamo piegare e rassegnare. Ora vogliamo trovare la forza che ancora ci sfugge per andare avanti, ma con quell’ enorme consapevolezza che sebbene pesi come un macigno puo’ darci essa solamente l’energia necessaria per affrontare aldila’ delle parole, la quotidianita’ nella sua complessita’.
Ora siamo solo sicuri che ci aiutera’ quell’alchimia che abbiamo nei nostri corpi, quell’alchimia che trasforma l’amore in rabbia e il rispetto in azione. Ora sentiamo piu’ forte di prima quella spinta propulsiva che per tanto tempo abbiamo condiviso con antonio. Ora a partire anche da come e’ morto, vogliamo saper rilanciare con quella lucidita’ che ancora ci manca, la capacita’ di riannodare le fila di un ragionamento che vogliamo continuare a tessere in questa metropoli di solitidini.

mandiamo un abbraccio forte a franca e a paolo, cosi’ come a tutte le compagne e i compagni che abbiamo incrociato in questi giorni.

quelli di Acrobax…

Qui di seguito il link alla pagina di Indymedia ed alle centinaia di commenti di vicinanza e solidarietà.

http://italy.indymedia.org/news/2006/01/968832_comment.php#1002331

Roma, 14 dicembre. Riprendiamoci il futuro!

“Mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno

mai il loro potere; perché esse sono il mezzo per giungere al significato, e

per coloro che vorranno ascoltare, all’affermazione della verità. E la

verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese.”


Giovani e studenti senza futuro, precari, senza casa, cassaintegrati, immigrati, ricercatori e personale della scuola e delle università, popolazioni devastate dai rifiuti, dalla TAV, dalle basi militari, dalle inutili grandi opere, hanno finalmente preso parola, stanchi dei giochi di palazzo e di un potere che ormai si attorciglia su se stesso incapace di dare risposta a chi è stanco di essere sfruttato, cancellato, emarginato.

Cosa vi aspettavate dai bamboccioni? Era ovvio che prima o poi avrebbero fatto i capricci! Cosa vi aspettavate da coloro ai quali si dice che non avranno mai una pensione e se l’avranno non raggiungerà la soglia di povertà? Cosa vi aspettavate da chi vive senza una casa o con un mutuo che l’obbligherà ad indebitarsi per il resto della sua vita senza neanche sapere come lo pagherà? Cosa vi aspettavate? Una piazza del popolo sorridente e piena di palloncini e fischietti con i quali avete assopito i lavoratori italiani negli scorsi decenni?

Una nuova soggettività dentro la crisi sistemica della globalizzazione economica capace di ricostruire se stessa e ricomporsi sul terreno delle lotte, ha espresso la sua rabbia. Non saranno le inutili chiacchiere di chi si illude di rappresentare questa moltitudine che riusciranno a fermare la sua rabbia. Fino a che siamo rimasti sul tetto, fino a che ci si suicida, fino a che si sta su una gru la nostra volontà di essere ascoltati, di rivendicare il nostro diritto, si tramuta nel vostro pietismo. Giornali, tv e politicanti vari fanno la fila per salire su tetti e farsi intervistare.

Ma a quanto pare è quando si scende dal tetto e si occupano le strade e le piazze, è quando si esce fuori dalla logica della vostra falsa pietà e si rivendica la dignità che allora vi spaventate. Siamo scesi dai tetti,  abbiamo ripreso il cammino nelle strade, ed abbiamo urlato più forte. I nostri corpi si sono mossi ed in movimento hanno agitato i vostri giorni tristi, la vostra politica calcolatrice, il vostro pietismo necessario ai vostri fini politici.

Ora è facile per voi trasformarci da precari, disoccupati, senza futuro, in black block, facinorosi, frange estremiste. La vostra miopia è pari alla vostra indifferenza verso le questioni sociali, ed è pari alla vostra astuzia per gli affari di famiglia.

Il passaggio da precario a facinoroso è tutto qui: finchè vi facciamo pietà non vi facciamo paura, è quando vi facciamo paura che non vi facciamo più pietà!

In queste ore stiamo assistendo ad un patetico tentativo di interpretare la giornata di ieri attraverso gli stereotipi e le categorie del passato che è miseramente destinato a fallire. Ieri si è affacciata nel panorama politico una nuova generazione del dissenso, non un gruppo di provocatori e di violenti. Que se vayan todos c’era scritto sui nostri striscioni e nei volti dei tanti giovani ribelli che ieri hanno costruito la cartolina da mandare in giro per il mondo di una Roma meticcia, Indipendente e Ribelle.

I movimenti quando si manifestano hanno come sbocco naturale l’autorganizzazione, il processo attraverso il quale possono costruire la propria storia e la propria identità, chiunque stupidamente cerca di “cavalcare” tali esperienze al massimo può svolgere un ruolo di “calmieratore” appositamente ricercato e voluto da chi, per conto dei padroni e del potere, gestisce l’ordine e regola i conflitti.

I movimenti indipendenti frutto delle contraddizioni e delle trasformazioni sociali e di classe debbono e possono trovare le proprie strade, i percorsi, immaginare una nuova fase del conflitto e dell’organizzazione sociale. Alla nuova soggettività in rivolta dovrebbe rimanere la capacità e la curiosità di confrontare le proprie idee, le proprie lotte sui livelli di un nuovo conflitto sociale che può e deve costruire la propria storia travalicando l’esistente e spazzando via le forme più o meno istituzionali della politica, così come le banalizzazioni attraverso gli stereotipi del passato che ad uso e consumo dei media ripropongono vecchi accostamenti con gli anni 70 che furono. La distanza dai partiti, dalle istituzioni, l’indipendenza e l’autonomia, è questo che fa paura e si deve criminalizzare, isolare e neutralizzare. Una nuova generazione precaria si affaccia dopo anni di trasformazioni del tessuto produttivo, dopo gli ultimi due decenni dove ogni istanza sociale e rivendicazione di nuovi diritti ha trovato davanti a sé il muro di gomma del potere, chiudendo ogni termine di mediazione, ogni spazio di avanzamento sociale.

Grida e rivendicazioni per troppi anni inascoltate producono la rabbia che ieri si è espressa. Cosa vi aspettavate? L’Italia è il penultimo paese in Europa per occupazione giovanile ed il 44% dei giovani occupati sono precari. Uno dei pochi paesi dove non vi è nessuna forma di protezione sociale per i disoccupati. Uno di quei paesi con il più alto tasso di mortalità sul lavoro e dove il lavoro nero è prassi di sfruttamento. Un posto in cui se sei disoccupato e ti dai fuoco forse ti fanno un trafiletto sul giornale locale. Un posto in cui la violenza alle donne, spesso in famiglia, è diventata prassi quotidiana. Uno di quei posti dove le carceri esplodono, con i morti sempre più giovani per mano delle forze dell’ordine, con veri e propri lager in cui stipare vite umane solo perché aventi un altro passaporto. Un posto in cui si muore di cancro perché si vive vicini ad una discarica, in cui il territorio è solo un altro luogo di affari e macerie, in cui si abbandonano città storiche all’incuria e alle macerie in attesa di una nuova cricca che dovrà fare i suoi affari per ricostruirla. Un luogo, il più ricco del mondo, in cui il patrimonio culturale va di pari passo al degrado delle periferie. Un luogo in cui per farsi ascoltare bisogna salire su tetti, sulle gru, occupare isole o piloni senza avere poi,  come sempre, una soluzione ai problemi posti.

Ieri richieste chiare, necessarie come quella per il diritto alla casa, al reddito garantito, all’accesso alla cultura, alla formazione e alla libera condivisione dei saperi, ad un altro mondo in costruzione si sono espresse ed è per questo e contro questo che il potere politico vuole criminalizzare un mondo intero, un pezzo intero di società.

Queste parole, questi sogni e questi bisogni ieri hanno incendiato le barricate romane. Non i professionisti della violenza, ma quella fetta di società che subisce la vostra idea di comando e di mondo, ieri ha vomitato in massa, riempiendo di significato uno dei giorni più orribili di questo paese, a prescindere da come è andata in Parlamento. Il rigetto è nato nella pancia di questo paese schifosamente distrutto dalla politica di palazzo e dagli affaristi.

LA CRISI NON LA PAGHIAMO, LA CRISI VE LA CREIAMO è questo il nuovo confine, la strada del non ritorno tra chi vorrebbe proporre ulteriori sacrifici a difesa dell’attuale sistema economico proponendo fantomatici governi di transizione e chi si organizza giorno per giorno a difesa dei propri diritti e si ritrova con le nuove soggettività espressione di questa crisi epocale, nella mobilitazione gioiosa cosi come nella rabbia spontanea.

Chi riesce a seguire i mille rivoli attraverso cui si può esprimere questa nuova soggettività diffusa, così come si espressa nella giornata di ieri può contribuire a costruire una nuova stagione di conflitto. Chi si affanna a mettere bandierine o ad elargire commenti idioti sui “teppistelli”, “borgatari”, “ultras”, è destinato, pur sopravvivendo, a scomparire nel naturale flusso della storia.

Ed ora dunque è il tempo, di mettere insieme le forze, di riprendere il cammino…

Rete degli indipendenti * Acrobax Project * Coordinamento Lotta per la Casa

Immagini della manifestazione del 14 dicembre a Roma

Forze dell’ordine si accaniscono sui manifestanti:

Prese di parola:

Anonimo manifestanteSanprecario.infoDal presidio di ChiaianoMondo del lavoroCobasInfoautPrecaria.org – “I tamburi di piazza del popolo

News:

DenunceHanno detto – Agenzie stampa

Prima del 14 dicembre

QUE SE VAYAN TODOS!

Il paese nell’abisso

Sull’orlo del baratro. Questa è la foto del nostro paese, della sua economia, della gestione delle sue poltiche economiche e sociali, delle proposte per affrontare i prossimi mesi, della quotidianità di migliaia di persone.

Uomini e donne che si trovano a sopportare la crisi che, da due anni a questa parte, è divenuta la narrazione del potere; la sua arroganza e i suoi muscoli sono rappresentati dalle mimetiche per strada, i manganelli alle manifestazioni, le porte chiuse in faccia delle istituzioni, ogni mediazione negata.

Chi rimane in questo paese si deve accontentare delle briciole: cassa integrazione, qualche bonus e tante parole. Chi rimane sono migliaia di giovani con contratti precari e nessuna garanzia, i più anziani con contratti indeterminati che diventeranno velocemente precari.

Lo stato sociale viene eroso giorno dopo giorno, taglio su taglio, infamità su infamità. La disoccupazione è arrivata a percentuali allarmanti, la crescita è ferma ad un decimo delle previsioni, il debito è inversamente proporzionale. Queste sono le macerie che dovremo portare sulle spalle

Que se vayan todos

Che succede il 14 Dicembre?

Si vota la fiducia di un governo responsabile in buona parte di tutto questo.

Si vota non per quell’ometto che rappresenta l’Italia peggiore e il peggioramento dell’Italia; si vota per un governo che ha demolito le garanzie nel lavoro, che taglia lo stato sociale, che chiude gli occhi davanti alla crisi. Un governo che sta distrugendo la formazione e la cultura e che somiglia tanto all’argentina degli anni ’90. E allora come dall’altra parte dell’oceano accadde qualche anno fa vogliamo dichiarare il nostro “Que se vayan toso”, “se ne vadano tutti, oggi”. Chi ha le responsabilità di questa situazione se ne faccia carico e vada via.

Governo di unità nazionale: lacrime e sangue

Ma il 14 vorremmo anche che un messaggio fosse chiaro. Un messaggio alle ipotesi di governo di unità nazionale, di solidarietà nascosta dietro ad una pretesa di moralità e legalizzazione istituzionale. Non siamo disponibili alle lacrime e sangue mentre le imprese si fanno scudo dietro alla crisi licenziando e precarizzando, ad una risposta per cui far pagare milioni di cittadini e cittadine precarizzando, ancor più la nostra vita; le proteste di questi ultimi mesi di lavoratori, migranti e studenti non sono uno spot elettorale ma rappresentano la richiesta di una trasformazione delle politiche economiche e sociali, la richiesta di garanzie sociali che garantiscano diritti e redditto per tutti/e.

Ci difenderemo dalla violenza del mercato, subdola, quotidiana e costante.

Esploda l’indipendenza: la nave dei folli.

Proviamo ad immaginare una narrazione che ci traghetti, in un tempo ed in uno spazio. Da sponda a sponda.

Una nave su cui imbarcare tutti i nostri sogni e desideri; tutte le nostre immaginazioni e analisi. Una stiva con molte storie di giovani e meno giovani, di migranti e nativi, di precarietà e diritti, di sfruttamento e ribellione, di partenza ed arrivo. Una nave dei folli.

Perhè la follia è il nostro stato per rivoltare la pazzia dello Stato fatto di politicanti e forti poteri imprenditoriali che con le parole descrivono un cielo sereno e celeste e che, in realtà, è solo un fondale che nasconde un buco nero: il futuro.

Ed è questa porzione temporale che non possiamo immaginare, semplicemente perchè si costruisce qui ed ora, nel presente.

E questo nostro presente è fatto di precarietà, di diffidenza, di battaglie collettive trasformate in grida solitarie; chi riesce con le unghie e con i denti a garantire diritti erosi giorno dopo giorno, parola dopo parola, ipocrisia dopo ipocrisia lo fa spesso nella solitudine, sotto la minaccia del tribunale e del manganello. Mentre le parole strumentali creano un sipario che nasconde le nostre vite.

Nasconde, dietro parole forgiate nel tempo del “moderno e post-industriale”, una tensione reazionaria, un ritorno agli ’50 (fate voi se del ‘900 o dell’800), senza reti né di salvataggio, né di solidarietà, né di lotta. Costruiscono paure sociali, capri espiatori su cui scaricare frustrazione quotidiane.

Ma la paura, quella vera, ce l’hanno loro: perdere il controllo, il profitto, il potere.

Per questo trasformano noi in pazzi che accettiamo di lavorare in condizioni di merda, con paghe irrisorie, spesso a rischio della vita stessa; noi che paghiamo affitti e mutui da capogiro; noi che facciamo ipotecare dal ghigno beffardo di qualche centinaio di amministratori delegati il sorriso di milioni di persone.

Ci trasformano in pazzi ancor più quando prendiamo parola, alziamo la testa, ci organizziamo. E a quel punto ci ospedalizzano, ci mettono in quarantena, ci rinchiudono perchè lontani dalla loro idea di democrazia e società civile.

Ed allora noi ci imbarchiamo: una nave dei folli che prendono in mano la propria condizione e rivendicano nuovi diritti. Che costruiscono la propria indipendenza come un percorso da conquistare.

Costruiamo il nostro vascello che si allontanerà dai porti del capitale e dello sfruttamento ed approderà in un territorio di conflitto e rivendicazione. Sogni che si fanno forza collettiva e indipendenza. Battaglie reali che conquistano metro dopo metro un’uscita dalla crisi che il sistema neoliberista ha costruito e continua perpetrare e, soprattutto, che vuole farci pagare.

Affermiamo la nostra carnevalesca follia per sovvertire la natura mortifera di un sistema.

Akaroma

akaroma@inventati.org

Che cos’è AKAROMA?

 

Un’opera nomade di ricerca e inchiesta sulla città, un viaggio a tappe tra le forme e i processi di trasformazione dei territori, una mappatura delle relazioni sociali che li attraversano, dei conflitti che ne derivano e delle contraddizioni su cui si fondano.

“Roma, una città più volte morta e più volte rinata, il posto ideale per assistere alla fine del mondo, per vedere se tutto finisce oppure no..”[da“Roma“, Fellini,1970]

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# Zero | L’altra Ostia

L’altra Ostia from akaroma on Vimeo.

Ostia, frazione di roma sul mare, un territorio vissuto da 80 mila persone, una città-satellite pianificata solo in parte: un lungomare di oltre venti kilometri con villini e palazzine di epoca fascista, e verso l’interno borgate e complessi-dormitorio, tessuti insediativi spesso discontinui e frammentari. volevamo capirci di più! se roma sembra poi così vicina o è così lontana. volevamo sapere come si vive in questa città-nella-città. tre storie in una. tre diversi luoghi. tre voci per raccontare la sua complessità. l’altra ostia.

# Uno | La Minga – Storie di autorecupero

La Minga – Storie di Autorecupero from akaroma on Vimeo.

La “Minga” è una parola di origine peruviana, il cui significato è traducibile come “lavoro collettivo”. Tale forma di lavoro, nata ai tempi dell’impero Inca ed ancora praticata dalle comunità latinoamericane, si caratterizza per i suoi fini di utilità sociale quali la costruzione di infrastrutture ed edifici pubblici.

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San Precario: il 25 novembre una nuova apparizione per il reddito garantito

san-precarioSan Precario ha annunciato una nuova apparizione in occasione della maniestazione che si terrà giovedi 25 novembre sempre alla Regione Lazio.

Questo perché solo a Roma oltre 4000 persone tra precari e disoccupati sono in attesa di ricevere il reddito minimo garantito per il quale la Regione Lazio ha chiuso le graduatorie nel settembre 2009. A distanza di oltre un anno la situazione è la seguente:

– nessuno dei benificiari ha ancora ricevuto un euro del contributo promesso,
– i 15 milioni di euro stanziati dalla legge regionale per il primo anno sono ancora bloccati e
– risultano addirittura cancellati i secondi 15 milioni previsti per i prossimi due anni di erogazione.

Il 16 novembre scorso quasi duecento persone tra gli aventi diritto al reddito garantito hanno manifestato sotto la regione Lazio per chiedere l’immediata erogazione del contributo a chi lo attende da più di un anno e lo stanziamento di nuove risorse per una legge che negli anni a venire dovrà avere un ruolo importante nel garantire la sopravvivenza dei tanti e tante colpiti dalla crisi, dalla disoccupazione e dal carovita.

La protesta rumorosa e determinata ha immediatamente ottenuto di far salire una delegazione che ha incontrato i responsabili amministrativi della regione i quali non hanno fatto altro che confermare i nostri timori rispetto ad una volontà politica della Polverini e del suo governo di affossare questa legge incastrandone il funzionamento e cancellandone le risorse. I funzionari hanno parlato del 15 dicembre come data ultima per la consegna delle liste da parte di tutte le province, solo dopo quella data daranno il via alle erogazioni.

La provincia di Roma ha però già consegnato le graduatorie definitive e non si capisce perchè 4.000 persone debbano ancora aspettare oltre un mese dopo aver atteso invano per più di un anno.

Non possiamo più aspettare, vogliamo subito:

LO SBLOCCO DEI FINANZIAMENTI INTANTO PER I BENEFICIARI  DELLA PROVINCIA DI ROMA e
il RIFINANZIAMENTO DEI FONDI  NECESSARI A COPRIRE IL BISOGNO DI REDDITO GARANTITO PER I PRECARI E I DISOCCUPATI GIUDICATI “AMMISSIBILI” IN TUTTA LA REGIONE LAZIO

MANIFESTAZIONE DEL 25 NOVEMBRE ORE 9.30 che dalla metro San Paolo arriverà sotto le finestre della Regione Lazio.

***

Roma, 16 NOV. Miracolo a Roma: San Precario appare alla Regione Lazio e promette lotta per assicurare il reddito garantito, restituire agli aventi diritto i loro crediti e moltiplicarli ancora.

Questa mattina la sede della Presidenza e della Giunta della Regione Lazio è stata oggetto della protesta rumorosa e determinata d’una folta rappresentanza delle e dei 4000 riconosciuti aventi diritto al reddito minimo garantito dalla stessa Regione ma che dal settembre 2009, data limite della presentazione delle domande, finora non hanno visto un centesimo, nonché delle altre e degli altri 115 mila richiedenti nella regione Lazio, oltre 70 mila nella sola Provincia di Roma.

Dunque, solo una rappresentanza di molte e molti che a loro volta sono solo una parte della moltitudine che, ogni giorno, in ogni aspetto della propria condizione economica sociale e civile, reclama reddito, ma che è tagliata fuori dalle ristrettezze della legge regionale, che pure non viene applicata.
Ma chi, cosa, come ha promosso questa prima, simbolica rappresentanza d’una protesta che è soltanto al suo principio? E chi altri, se non San Precario? Il quale tramite le sue devote e i suoi devoti aveva la settimana scorsa, in una prima assemblea di chi è ormai da un anno in credito di migliaia di euro con la Regione, annunciato la sua apparizione proprio per questa mattina e proprio davanti all’ingresso dell’istituzione presieduta dall’ex sindacalista Renata Polverini. Una che di miracoli ne ha promessi non pochi, senza compierne nemmeno uno. E che anzi non solo non ha ancora sbloccato i fondi 2009/2010 pur stanziati per l’erogazione del reddito minimo garantito dalla Legge 4/2009 regionale, ma ha anche cancellato quelli che avrebbero dovuto finanziarne l’applicazione per i prossimi anni. Ma chi è in disoccupazione, cioè sfruttata e sfruttato nella clandestinità e nell’invisibilità, e chi soffre i peggiori rigori della precarietà imposta al lavoro e alla vita della moltitudine produttrice di ricchezza, sa di non poter contare su nessun santo in Paradiso, al di fuori di San Precario: l’unico nel quale potersi riconoscere e condividere la verità, la vita e la via – quella che infallibilmente porta ad alzare la testa e a lottare.
La Regione, cioè chi la amministra, davanti all’apparizione del Santo è apparsa molto preoccupata: così ha concesso subito un incontro, ma cercando di nascondere le proprie responsabilità politiche. Così una delegazione è stata ricevuta, ma soltanto da due funzionari, un tecnico e un referente della segreteria politica dell’assessore al Lavoro Mario Zezza. Le devote e i devoti di San Precario si sono sentiti spiegare che la Regione, anche se si affretta a tornare a far promesse sui suoi debiti, ha deciso di permettersi il lusso di aspettare l’ultimo giorno utile per mobilitare i soldi che pure sono già stanziati per gli aventi diritto al reddito minimo, ossia il 15 dicembre che è la data ultima per la consegna della documentazione dettagliata da parte delle Province: anche se dalla Provincia di Roma la Giunta Polverini ha già ricevuto ampia documentazione di ben 3mila e 600 su 4mila dei riconosciuti. E allora ? Dovranno aspettare. Il 15 dicembre, dunque? No, il 15 gennaio: perché la Giunta vuole addirittura esagerare, coi lussi che si concede, e si regala un altro mese da cattivo pagatore nei confronti di chi è nullatenente. E poi? E poi, il nulla: la cancellazione dei 15 milioni già previsti per finanziare la legge nei prossimi anni, è confermata.
San Precario, però, vede e giudica. E ha giudicato molto male questo livello delle risposte della Regione Lazio. A partire dagli interlocutori scelti per esporsi alla sua ira. Dunque, è stato preteso un incontro con l’assessore Zezza, quanto meno. Il Santo e soprattutto la potenza diffusiva della sua devozione fanno paura: il confronto è stato fissato per l’inizio della prossimo settimana. Il Santo, comunque, per bocca delle sue devote e dei suoi devoti ha avvertito scribi e farisei della Giunta Polverini: quell’incontro sarà pure il primo, e così anche l’ultimo. Ossia: il maltolto dovrà essere restituito subito, entro Natale. Parola di Santo. E solo per cominciare: perché San Precario dice che non una sola precaria, non un solo precario può restare senza soddisfazione. Non soltanto debbono tornare le risorse sulla legge ma vanno anzi aumentate, così come i limiti posti per il diritto all’erogazione del reddi to. E poi è chiaro che al Santo una parola come “minimo” non piace affatto…
Le devote e i devoti sanno cosa fare: la lotta è solo cominciata. E, assessore o non assessore, un primo miracolo c’è già: la lotta si moltiplica, il Coordinamento di Lotta per il Reddito Garantito ricomparirà con il Santo questo venerdì 19 all’assemblea dei Movimenti Uniti contro la Crisi alle 17 al cinema teatro occupato Volturno, per tornare alla Regione in tante e tanti, diversi ma solidali, con la manifestazione del 25 novembre.
Roma, 16 novembre 2010
Coordinamento di Lotta per il Reddito Garantito
(Devozione Romana di San Precario)


I precedenti. Martedi 9 novembre si è svolta presso l’ex cinema Volturno una partecipata assemblea pubblica dei beneficiari, secondo la Legge Regionale n 4 del 2009, del Reddito Minimo Garantito (RMG). Dalla data termine di presentazione delle domande (settembre 2009) fino ad ora non è stata comunicata nessuna risposta. Nell’attuale contesto di crisi economica è necessario che i fondi stanziati a copertura della Legge Regionale n 4 del 2009 siano immeditamente versati a favore dei primi beneficiari, i quali rappresentano, peraltro, soltanto una minima parte degli oltre 115 mila soggetti che in tutto il territorio regionale  hanno presentato la domanda. Per questo chiediamo fin da subito un ulteriore stanziamento di fondi per tutti i precarie e i disoccupati non menzionati nelle prime graduatorie.

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Dopo aver analizzato le inadempienze amministrative e gli estremi ritardi da parte della Regione Lazio nell’erogazione del reddito minimo, si è comunemente deciso di non voler piú denunciare la situazione in maniera individuale come è avvenuto fin ad ora, ma di costituire un coordinamento di precari e disoccupati che insieme rivendicano un proprio diritto, quello del reddito garantito.
Invitiamo tutti i beneficiari, gli inclusi e gli esclusi dalle graduatorie pubblicate dalle provincia di Roma e dalle altre provincie del Lazio a partecipare alla manifestazione che si terrà martedì 16 novembre alle ore 10 davanti alla sede della Regione Lazio, via Cristoforo Colombo n.212.
Coordinamento di Lotta per il reddito garantito

Altri miracoli di San Precario e iniziative dei fedeli:

3 novembre | Aprono i Punti San Precario

San Precario gioca alla Lotteria: Win For Rights, Vinci i tuoi diritti!

29 marzo | Miracolo al Seggio: precari votano San Precario

10 marzo | Fedeli di San Precario chiedono soldi dei Monopoli

San Precario ama i bamboccioni

Primavera 2010 | Corsi Professione Precario