Ma l’amor mio non muore, mai!


Lo avevamo immaginato e sentito nella densità della partecipazione alla giornata studentesca del 5 ottobre scorso e del resto tutte le condizioni sociali nel nostro piccolo paese sono ormai auto evidenti, nella crisi della rappresentanza e del suo dispiegamento nelle politiche di austerity, c’è una nuova generazione disponibile al conflitto, pronta a connettersi con le piazze europee che hanno assunto seppur con gradi di intensità distinti il piano politico comune del conflitto sociale esteso come orizzonte e prospettiva.

Noi ci avevamo scommesso e siamo certi di aver inteso bene. Il 14N è stato sopra ogni cosa il primo e riuscito sciopero sociale contro l’austerity  a carattere europeo, oltre che una giornata di grande partecipazione massiva e dislocata sui territori di molte città della penisola. Sciopero sociale che ormai ha reso evidente a tutti la subalternità dell’opzione sindacale ai movimenti e che le forme del conflitto sociale come blocco della produzione nella sua circolazione di merci, servizi, persone, il blocco dei flussi che reggono l’economia delle metropoli postfordiste, siano  le forme del vero conflitto che oggi sono le uniche in grado di paralizzare il paese ben oltre l’astensione tradizione dal lavoro formalmente riconosciuto. Ci indica che nella pratica della risignificazione e riappropriazione dello sciopero emerge una soggettività di cui parliamo ricorrentemente da alcuni anni, che c’è una nuova composizione sociale tra il mondo della formazione e la giungla della precarietà, tra la disoccupazione di massa e il lavoro nero, che comincia a prendere forma, la composizione sociale precaria, la base sociale per un’opzione politica del nuovo precariato sociale e metropolitano.

Una ricomposizione intergenerazionale potente, che sa districarsi dalle suggestioni tribali del neofascismo che si insinua nelle tensioni sociali, tenendo alla larga gli squadristi-crumiri quando tentano l’assalto alle scuole o provano a entrare nei cortei. Una classe pericolosa pronta e disponibile a costruire il proprio futuro come programma politico.
Torneremo in piazza presto annunciano gli studenti che hanno nel mentre moltiplicato le occupazioni delle scuole, assemblee, collettivi e spazi riappropriati. Abbiamo occupato insieme a loro e ai movimenti per l’acqua pubblica il Cinema America a Trastevere il giorno prima per dare senso al giorno dopo e siamo ancora qui più incazzati di prima nell’aver visto la brutalità della polizia alla quale la prossima volta solo l’autonomia e l’indipendenza delle lotte sapranno resistervi un minuto più di loro. Dovranno essere le lotte indipendenti a raccogliere le rivendicazioni di più diritti, reddito, spazi, welfare dal basso che in ogni dove sono risuonati, da Palermo, Madrid e Barcellona, da Napoli a Parigi come indicazioni costituenti, sarà solo la cooperazione indipendente tra le lotte che potrà rendere possibile incarnarle nelle pratiche della riappropriazione. E da li i movimenti avranno l’opportunità di non tornare più a casa e liberare finalmente il campo.

C’è da ricercare un ambito di organizzazione delle lotte, bisogna intuire le mosse dell’avversario che per mezzi e rapporti di forza spesso prevale. Ma si sbaglia e si va avanti, non è questo il problema, serve più astuzia nel confronto con lo Stato e servono pratiche nuove, se possibile diffuse, in ogni caso gli strumenti rimangono sempre attrezzi, il punto che rimane è sempre politico, dobbiamo ricercare quello che serve non ciò che è necessariamente dovuto. Si può fare meglio tutto, ma va bene anche così, si casca e da terra ci si rialza, a volte serve più creatività e tempestività, a volte è meglio coglierli di sorpresa e non andare dove loro ci aspettano, ma anche questo lo avevamo già intuito. Andiamo avanti guardando alle prossime mobilitazioni perché l’unico protagonismo che riconosciamo è quello delle lotte, la strada è ancora lunga ma non abbiamo il fiato corto, abbiamo imparato a stare anche in apnea se necessario e in ogni caso nessun rimorso.

Oltre la scarcerazione che salutiamo con gioia chiediamo l’immediato ritiro delle misure cautelari ai ragazzi e ragazze, compagne e compagni privati della loro piena libertà.

Nodo redazionale indipendente

Fornero a Napoli: l’ apprendistato si frantuma in una piazza contro l’austerity che reclama reddito garantito.

Chissà se il 12 novembre il Ministro Fornero ha pianto di nuovo a Napoli, lontana dai riflettori e dai taccuini dei giornalisti sempre pronti a banalizzarla come “professoressa” al comando del Ministero del Lavoro. Lunedì si è svolta la prima parte della conferenza “Lavorare insieme per l’occupazione dei giovani. Apprendistato e sistemi di formazione duale” per il lancio di un progetto che vedrà la collaborazione tra il Governo italiano e quello tedesco. Nel corso dell’incontro è stato presentato un progetto sull’apprendistato rivolto ai giovani dai 15 anni in su, un piano che combina un’improbabile formazione professionale e la precarietà sul lavoro, avviando un sistema di scambio tra i giovani e le imprese, sul modello tedesco.

La vetrina costruita era di grande effetto simbolico, andare nella capitale italiana della disoccupazione e del lavoro nero, ad affermare l’utilità del nuovo istituto dell’apprendistato. Questa dovrebbe essere secondo il governo tecnico la terapia alla disoccupazione giovanile che in Campania supera il 50% secondo il centro studi della Cgia di Mestre. Dati sulla disoccupazione giovanile che in Italia molto spesso nascondono lavoro nero e stage non retribuiti, altro che bamboccioni e choosy. Fredde statistiche che servono a legittimare innovazioni normative che in verità celano vecchie tipologie contrattuali fatte di sgravi alle imprese, salari da fame e anni di precarietà con il costante ricatto di un lavoro senza diritti offerto come un incentivo dal paternalismo delle imprese.

Il grido della piazza è stata forte e chiaro “Pusat è sord e jatevenne, reddito per tutti”. Reddito che è sempre più un’esigenza materiale oltre che una rivendicazione ricompisitiva dei diversi soggetti precarizzati dalla crisi. Reddito garantito universale e incondizionato avevevamo gridato con forza l’8 marzo del 2012 quando abbiamo occupato il Ministero del lavoro di Roma con l’azione di Occupywelfare sentendoci rispondere dal Ministro Fornero: “l’Italia è un Paese ricco di contraddizioni, che ha il sole per 9 mesi l’anno e che con un reddito di base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro”. Ieri una coalizione larga di 5000 persone tra precari, precarizzati e disoccupati ha sfidato le cariche della polizia frantumando i progetti di riforma di apprendistato.

Dalle immagini di una precarietà che si rivolta contro la governance italiana ed europea vogliamo partire per attraversare le prossime giornate internazionali di mobilitazione contro le politiche di austerity in Europa.


 
Fornero :Il nostro apprendistato lo stiamo facendo nelle lotte contro  l’austerity!

Solidali e complici con i compagn@ di Napoli

Reddito per tutti!

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>>Comunicato Rete dei movimenti napoletani contro il vertice sulla Precarietà

 

>>Intervista a Mario dell’Area Antagonista campana 

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>> Streaming Conferenza Stampa ore 15.00 facoltà di Ingegneria

>> Corrispondenze di Radio onda rossa del 12 novembre

 Video

>>http://youmedia.fanpage.it/video/UKD9ZuSwA62rytXV

Riflession​i sul libro di Guy Standing “The Precariat. The new Dangerous Class”.

Qual’è la via d’uscita dall’inferno? Riflessioni sulla presentazione del libro di Guy Standing “The Precariat. The new Dangerous Class“.

 

Il precariato sperimenta le quattro A: acredine, anomia, ansia e alienazione (…). I precari vivono nell’ansia, uno stato di insicurezza cronico dovuto non solo a sintersi come sospesi a un filo, consapevoli che il più piccolo errore o malaugurato accidente può fare la differenza tra un tenore di vita accettabile e una vita sul marciapiede. Ma anche con la paura di perdere qual poco che
possiedono, in ogni caso percepito come ingiustamente inadeguato
” Guy Standing

Il percariato globale ci sta suonando la sveglia! Quel’è la via d’uscita dall’inferno? questa è la domanda che ci siamo posti il 9 novembre a Napoli durante la presentazione organizzata dai C.s.o.a.
Officina99 & Lab.Occ. Ska dell’ultimo libro di Guy Standing “The Precariat. The new Dangerous Class“.

La via d’uscita dall’inferno è un piano d’azione che rivendichi un “welfare del desiderio” che abbia al centro la rivendicazione di un reddito universale e incondizionato. Un piano d’azione che metta al centro della sua agenda il conflitto sociale. Dobbiamo essere sinceri e dirci che si è chiuso un importante ciclo di lotte per i movimenti contro la precarietà. Per questo dobbiamo passare da una fase di autorappresentazione della condizione di precarietà che ha segnato un’intera decade con importanti  mobilitazioni, “espressione di orgoglio della soggettività precaria” per dirla come Guy Standing, alla generalizzazione delle lotte contro i processi di precarizzazione che la crisi ha accellerato rendendo instabili anche i cosidetti lavoratori garantiti e praticando un livellamento verso il basso dei salari, in Italia tra i più bassi d’Europa. La crisi ha accentuato le dinamiche di frammentazione del lavoro, sia della sua forma giuridica, come estrema individualizzazione dei
rapporti di lavoro, sia delle conseguenti e molteplici narrazioni soggettive. Basta osservare il peggioramento degli indicatori sull’occupazione e sulle condizione economiche per comprendere la
gravissima recessione che sta vivendo il nostro paese. 8 milioni di cittadini italiani sono poveri, quasi il 14% dell’intera popolazione del nostro paese, il tasso reale di disoccupazione raggiunge il 20%, quella giovanile in alcune regioni sfiora il 50%, aumentano costantemente le ore di cassintegrazione, la durata media dei contratti a tempo indeterminato è di due anni ed oltre l’80% delle nuove assunzioni avviene con contratti precari, e questo non soltanto perchè i contratti a termine durano di meno e ricorrono più spesso. A questi dati, bisogna aggiungere un’altra importante area che è quella dell’economia sommersa. A partire dal 2008, a fronte di una
calo generalizzato dell’occupazione regolare, quella sommersa aumenta portando il livello di irregolarità nel lavoro a percentuali che superano il 12% .Oltre alla presenza strutturale nel nostro mercato del lavoro del sommerso, l’ulteriore spostamento di una quota importante di lavoro dai canali della regolarità a quelli dell’informalità testimonia come il sommerso abbia rappresentato negli ultimi quattro anni di crisi una sorta di camera di compensazione funzionale alle difficoltà occupazionali di un sistema in affanno. Lo stato di emergenza ha aumentato la ricattabilità di chi subisce i processi di precarizzazione ed impoverimento dei lavoratori. L’esercito di working poors in continua espansione non è formato unicamente da lavoratori con contratti atipici, ma anche da lavoratori con contratti a tempo indeterminato. Ormai la precarietà è una condizione esistenziale, strutturale e colpisce in modo generalizzato e trasversale le diverse figure del lavoro vivo.
In questo senso il reddito è uno strumento di ricomposizione sociale nella frammentazione delle diverse figure del lavoro e del non lavoro. Per questo dobbiamo essere irriducibili alla logica del sacrificio, ad una sorta di “austerity di sinistra” proposta dalle forze socialdemocratiche che si preparano a governare. La logica di questa narrazione è chiara: di fronte al Capitale che si presenta come il Grande Creditore, siamo tutti debitori, colpevoli e responsabili (M. Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato). La traccia di questo discorso è già presente nei patti sottoscritti dalla coalizione di centro-sinistra. Per votare alle primarie, infatti, si deve sottoscrivere l’appello di sostegno al centro sinistra e la carta di intenti firmata dai tre leader dei partiti: Pd, Sel, Socialisti. Nella carta i tre leader si impegnano alla lealtà verso gli accordi internazionali e all’approvazione di tutte le misure che dall’Europa vengono indicate necessarie per salvarsi. In una parola fedeltà al fiscal compact e alle sue conseguenze, continuità assolutà con i provvedimenti del tecno-governo Monti. Per questi motivi respingiamo con forza la proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito minimo garantito proveninte dalla coalizione di centro-sinistra, che pone al centro del provvedimento un “welfare condizionale”. Tale iniziativa prevede una trasformazione delle politiche sociali in senso condizionale, subordinando l’erogazione dell’indennità pubbliche all’assunzione di comportamenti prescritti dallo Stato.

Siamo consapevoli che nonostante diversi documenti comunitari e riferimenti normativi (Carta di Nizza, Carta sociale europea e due Risoluzione del Parlamento europeo del 6 maggio 2009 e del 21 Ottobre del 2010) l’Italia è uno dei pochi Paesi in Europa in cui non è previsto un
reddito di base come cardine del sistema di protezione sociale. Tra i 27 Paesi attualmente membri dell’Unione Europea la mancanza di una una forma di protezione sociale è circoscritta esclusivamente a Italia, Grecia e Ungheria. Il nostro paese ha un sistema di ammortizzatori sociali arretrato ed iniquo, che la riforma Fornero non ha minimamento trasformato: attualmente l’indennità di disoccupazione esclusivamente un quarto dei licenziati e la cassa integrazione (in particolare quella in deroga) crea sperequazione, clientelismo e riguarda solo una parte dei lavori.

 Ma non possiamo sostenere un autunno “caldo” di banchetti, con tutto il portato di interessi della campagna elettorale, in cui diversi partiti della sinistra, sindacati confederali uniti a realtà associative e di movimento racolgono firme per una legge di iniziativa popolare sul reddito minimo garantito. Tali iniziativa creano inoperose storture in grado di aumentare aspettative nei precari e confusione sociale nei territori.

Andando ad analizzare alcuni nodi centrali della proposta di legge scopriamo che il sostegno economico (600 euro al mese) è più basso della soglia di povertà indicata dall’Istat. Occorre riflettere sull’evenienza che una prestazione così modesta possa comportare un effetto perverso a carico di lavoratori precariamente occupati: in casi di contrattazione diretta della loro condizione lavorativa, infatti, un rinvio al reddito garantito come risorsa complementare potrebbe diventare un escamotage per prospettare un mantenimento dell’occuazione nel sommerso con livelli di retribuzione ridotti. La conseguenza sarebbe l’istituzionalizzazione del”sotto-occupato” working poor (lavoratore povero) che non riuscirà a vivere con 600 euro al mese e dovrà accettare lavori al nero pur di non perdere il sussidio.  Sappiamo bene quanto il lavoro sommerso in Italia sia necessario in quanto camera di compensazione delle tantissime aziende che con la crisi avrebbero chiuso. Altro che dalla flex-security alla security-flex! Un’ulteriore perplessità  deriva dall’erogazione ancorata alla disponibilità al lavoro, legata alla “congrua offerta” (meccanismo
sanzionatorio predisposto dalla Strategia Europa per l’Occupazione) e quindi alla condizionatezza al lavoro precario e intermittente proposto dai centri per l’impiego che oltre ad essere inadeguati nel
realizzare le politiche formative/di orientamento e di inserimento lavorativo, ricevono esclusivamente offerte di lavoro con basse qualifiche professionali.
Negli ultimi anni le fallimentari leggi regionali per il reddito (impropriamente definite reddito di cittadinanza o reddito garantito) sperimentate  sia in Campania che nel Lazio si sono frantumate dietro le mediazioni politiche e le burocrazie incapaci.

Molto probabilmente la stessa fine farà il progetto di legge di iniziativa popolare che verrà ulteriormente modificato dal prossimo governo, costretto in ogni caso a produrre una legge di assistenza sociale come indicato da anni dalla governance europea.
In questo momento la rivendicazione di reddito deve essere intesa come dispositivo di rottura anti-capitalista e di attacco ai profitti ma anche come riconoscimento della produzione sociale permanenete continuamente appropriata dal capitalismo finanziario in forma di
rendita privata. Quindi non come strumento di neo-regolazione redistributiva della ricchezza o di lotta contro la povertà che ci farebbe cadere dalla” trappola dalla precarietà” alla “trappola del welfare to work” ( o del “labourfare”)  impementando attreverso la condizionatezza il controllo
sociale sulle nostre vite. Pensiamo al welfare to work, nella forme in cui è stato introdotto negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia e in Germania. I disoccupati vengono costretti a scegliere se accettare uno dei posti di lavoro designati oppure rinunciare all’indennità. Riprendendo le
riflessioni di Guy Standing nel Regno Unito: “Il workfare realizzato nel Regno Unito può solo portare ad un’aumento del precariato (…) Il workfare non ha neppure una ricaduta positiva sulla spesa pubblica. Anzi, è pittosto costoso, sia sul piano amministrativo sia in generale, dal momento che i posti di lavoro in offerta sono a bassa produttività. L’esigenza principale a cui assolve è quella di falsificare il livello della disoccupazione operando una riduzione fittizia, senza creare quindi dei posti di lavoro, ma con il solo risultato di scoraggiare i disoccupati dal richiedere gli assegni assistenziali. In Germania sulla stessa traccia si inseriscono l’ aiuto sociale Hartz IV ed ai mini-job che sono diventati paradagmi della riforme del mercato del lavoro in atto in Europa.

 

Non è un caso che il 12 e il 13 novembre si svolgerà a Napoli la conferenza “Lavorare insieme per l’occupazione dei giovani. Apprendistato e sistemi di formazione duale” per il lancio di un progetto che vedrà la collaborazione tra il Governo italiano e quello tedeisco. Nella capitale italiana del lavoro nero e della disoccupazione i ministri andranno a raccontare che l’apprendistato è la nuova terapia per risolvere i probemi strutturali del mercato del lavoro.

Prenderanno parte all’incontro: il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali italiano Elsa Fornero, il Ministro federale del Lavoro e degli Affari Sociali tedesco Ursula von der Leyen, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca italiano Francesco Profumo e il Direttore Generale per la Cooperazione Internazionale e Europea per l’istruzione e la Ricerca Volker Riecke.

 

A partire dalle mobilitazioni che si svolgeranno a Napoli in questi giorni che culmineranno nella giornata euro-mediterranea di sciopero sociale del 14 novembre pensiamo sia necessario costruire uno spazio di cooperazione delle lotte indipedenti partendo da una comune rivendicazione strategica: “Basic Income Strategy“, un piano di azione comune che contro le politiche di austerity, per ottenere un reddito di base, universale ed incondizionato per tutti i soggetti, nativi e migranti, che vivono in Europa.

Un piano d’azione che porti i precari e le precarie a diventare “a new dangerous class”.

Da agora99 al 14N. La Basic income Strategy

 Dal 1 al 4 novembre del 2012 ha avuto luogo a Madrid “Agora99”, un incontro dei movimenti sociali europei sui temi del Debito, dei Diritti e della Democrazia. In tale meeting il basic income è stato al centro del piano rivendicativo delle reti e dei collettivi che lottano contro l’austerity. Nell’incontro sono stati analizzati le politiche in atto nei diversi Paesi euromeditterranei. I processi politici trans-nazionali ed europei in atto, vogliono fare della povertà e della precarizzazione una variabile strategica del mercato del lavoro dietro il ricatto del debito, come sta accadendo in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Le riforme del mercato del lavoro attuate negli ultimi mesi in questi Paesi seguono le indicazioni imposte dalla Troika: ulteriore flessibiliazzione, facilità di licenziamenti e taglio dei salari.

Nel workshop sul basic income si è articolata la rivendicazione di reddito universale e incondizionato come salario estensivo e co-estensivo che corrisponde a tutte le forme della produzione sociale (affettiva, reticolare, immateriale, cognitiva) ben oltre i perimetri formalmente segnati dal comando capitalista e dall’espropriazione dei dispositivi di cattura e sfruttamento globali della rete e della nuova organizzazione del lavoro. Reddito, quindi, per far saltare i dispositivi del biopotere e della sua governance. Reddito come riappropriazione del welfare dal basso, nell’abitare come nei servizi. Reddito garantito come quota parte forfettaria di ciò che ci viene continuamente espropriato dalle nuove forme della captazione di valore, attraverso la precarizzazione delle nostre vite. Reddito come riappropriazione  delle infrastrutture di produzione dei beni immateriali, che infatti mediano oggi la comunicazione, la socializzazione e le attività sociali in forma condivisa. Centinaia di attivisti provenienti dal Nord e dal Sud Europa, paesi con condizioni welferistiche completamente diverse, hanno evidenziato l’importanza di costruire uno spazio di cooperazione delle lotte indipedenti partendo da una comune rivendicazione strategica: “Basic Income Strategy“, un piano di azione comune contro le politiche di austerity, per ottenere un reddito di base, universale ed incondizionato per tutti i soggetti, nativi e migranti, che vivono
in Europa. Un reddito universale e incondizionato per contrastare il processi di precarizzazione ed impoverimento, per unificare le migliaia di vertenze in Italia che riguardano il mondo del lavoro e del non lavoro, per porre fine al ricatto delle produzioni nocive come mostrano in maniera emblematica la vicenda dell’lva, dell’Alcoa e tante altre.In questo modo sarebbe possibile porre fine al ricatto in cui territori e vita sono scambiati per il salario e la scelta obbligata è quella tra morire di inquinamento o morire di fame. Il lavoro che puzza di morte per noi non sarà mai un bene comune.  In tal senso la moltitudine precaria e precarizzata rivendica reddito universale e incondizionato dal ricatto del lavoro, precario, instabile, impoverito. A cominciare dalle giornata della prossima settimana che culmineranno con l’appuntamento del 14 novembre dove i movimenti sociali euromeditterraei in maniera coordinata proveranno a realizzare delle prove tecniche di sciopero sociale.

In queste date vogliamo costruire le nostre alleanze e complicità, partendo dalle iniziative di lotta che cercheranno di mettere in campo un processo sociale reale  che incida ma vada anche oltre i momenti di precipitazione sperimentando  nuove pratiche di sciopero per riprenderci il reddito e per riscrivere il nostro futuro. Ed è per questo che non bastano scelte tattiche e costruzione di sommatorie politiche, ma bisogna costruire spazi di cooperazione di lotte indipendenti capaci di generalizzare il conflitto sociale, unico motore di trasformazione su cui investire in un piano orizzontale, autorganizzato, questo sì, a vocazione maggioritaria. Costruire quotidianamente l’alternativa radicale che vive nell’autonomia e nell’indipendenza dal sistema, questa è la vera utopia concreta da cui ripartire!

 

#14N la riappropriazione, la trasformazione, la cospirazione..Riprendiamoci lo sciopero per riprenderci il reddito.

http://titanpad.com/ep/pad/view/A99Income/latest

questo il pad prodotto con il Workshop sul basic income

http://bambuser.com/v/3113718

link al video del Workshop

www.agora99.net

 

Join The Invasion! #14N invadiamo la città

Il 14 Novembre scenderanno in piazza in tutto il paese migliaia di studenti, precari, lavoratori, disoccupati, rispondendo all’appello europeo dei movimenti internazionali che dal basso hanno spinto all’indizione unitaria del primo sciopero sociale transnazionale formalizzato poi dalla CES in uno sciopero europeo coordinato dalle centrali sindacali, che qui in Italia, è stato raccolto anche dalla CGIL. Adesione del sindacato Camuffo giunta con una vergognosa e meschina proclamazione di quattro tiepidissime ore di sciopero e manifestazioni dislocate. Questo dopo mesi di silenzio o di qualche moderato ululato alla luna, dopo anni di reiterate politiche di austerity dettate dalla Commissione europea, nella piena voragine della crisi finanziaria dentro i nuovi processi della valorizzazione capitalistica che nella crisi tenta di trovare la sua nuova misura sulla nostra pellaccia precaria. I sindacati nel tentativo di co-gestire d’imperio la crisi, il risanamento del debito cosi detto sovrano, complici attivi del disegno neoliberista, si presentano oggi in difesa della loro retorica e del ruolo di filtro e tappo del conflitto sociale. Del resto non ci pare d’intravedere grandi spazi di avanzamento e di lotta anche nel mondo del sindacalismo di base, troppo spesso impegnato più nell’auto-rappresentazione delle proprie organizzazioni e molto meno nella disponibilità al conflitto per la ricomposizione sociale di quel precariato metropolitano, sempre più lontano dalle mediazioni speculari al ribasso che la logica sindacale riproduce. Sindacati che non possono e non vogliono difendere i precari, perché  nn fanno tessere, perché non li riguarda più l’elemento della contrattazione collettiva tradizionalmente costituita, non ne difendono la vita e i suoi bisogni. Sono, siamo i precari di una nuova composizione sociale in tendenza maggioritaria, segnata nella sua esistenza dall’esclusione e frammentazione sociale e spesso dal lavoro nero.

Negli interstizi della precarietà, del sindacato, non se ne vede l’ombra. Purtroppo nemmeno nel mondo del lavoro tradizionalmente inteso oggi indebolito, precarizzato, attaccato in ogni dove, è presente un’opzione sindacale realmente conflittuale che sappia rappresentare degnamente spunti reali di insubordinazione sociale e operaia che negli ultimi mesi pur taluni sussulti e fiammate di rabbia li aveva espressi. Oltre agli studenti autonomi per fortuna già scesi in piazza lo scorso 5 Ottobre, pensiamo al mondo del lavoro, alla lotta di Taranto e del Sulcis quest’estate, ma anche alle tante vertenze nella Fiat e in Fincantieri, o dell’indotto dei trasporti e logistica del nordest o come a Piacenza i lavoratori dell’Ikea. C’è una disponibilità al conflitto sociale nel nostro piccolo paese. Non c’è invece, ancora, un soggetto autonomo e indipendente del nuovo precariato sociale per dargli nel corpo, più testa e più gambe. Potremmo dire forza, densità, più potere per il contropotere, parole attualissime in giro per il mondo, almeno nuovamente, dal 2011 in avanti, almeno in ciò che e’ risuonato nell’ultimo incontro internazionale di Madrid  pochi giorni fa che del toma la huelga aveva già assunto la sua parola unificante  per la giornata del 14 novembre. 

Quella forza che abbiamo respirato, certamente a tratti, come dimensione sociale diffusa nella lotta No TAV in Val di Susa e in qualche giornata di rabbia e insubordinazione precaria, come nell’ottobre dell’anno scorso e nel dicembre del precedente. E già, una data utile da ricordare quella del 14 dicembre 2010 quando un’ondata di movimento studentesco scosse alle fondamenta la governabilità – il potere della ricomposizione del precariato, per l’appunto, si gridava, tutti insieme facciamo paura! – e che però troppo in fretta si volle congelarlo con strette di mano presidenziali e letterine a Napolitano di cui il movimento non ne sentiva certo il bisogno. Non a caso l’anno seguente seppur nella complessità della giornata del 15 Ottobre un elemento risulterà evidente a tutti e che oggi ancora si deposita nel dibattito del movimento. In quella piazza non c’eravamo tutti, non eravamo più gli stessi, e qualcuno si è trovato da un colle ad un altro di Roma, perdendo per intero un anno politico a capire come rimettere insieme i cocci ormai frantumati dell’ennesimo errore che i movimenti avrebbero commesso, questa volta con l’etichetta degli indignados: declinare la responsabilità storica della fase odierna, ovvero di farsi carico nelle macerie del neoliberismo dell’intelligenza e della rabbia di chi la crisi la sta pagando da anni, pensando che la sinistra di governo e le primarie di massa invertissero le politiche di dominio e di comando che stiamo invece subendo nella piena continuità di governi di destra, tecnici e di sinistra, in ogni angolo della comunità europea. Noi vogliamo andare avanti, senza la paura del futuro da costruire con le nostre mani, con lo spirito dell’umiltà e con lo sguardo trasparente, con la migliore attitudine alla ricomposizione sociale, quel tutti insieme facciamo paura! Può tornare a rimbombare la sua eco nel centro di Roma, lì dove lo Stato non ci vorrebbe, lì dove dobbiamo saperci misurare consapevoli del livello alto dello scontro, politicamente, storicamente, culturalmente ben oltre quindi la contrapposizione estetica, con chi peraltro prepara piani da sempre per fermarci, picchiarci e condurci delle volte nelle patrie galere. Lasciamogli il “primato maschio”dello scontro militare se necessario. Li coglieremo di sorpresa, con l’intelligenza collettiva. Saranno accerchiati da una moltitudine che si farà corpo in un’agile massa critica che assedierà il fortino dei tecnici e banchieri che per difendersi dovranno ancora una volta blindarsi, con i loro eserciti, con i cannoncini e le baionette. Tutti insieme famo paura!

Invaderemo le strade e rivendicheremo reddito riappropriandoci dello sciopero come sciopero sociale come blocco della produzione socialmente prodotta nella metropoli, perché siamo noi che produciamo la ricchezza e siamo sempre noi che paghiamo il debito e la crisi tutti i giorni. Solo noi possiamo riappropriarci delle forme del conflitto all’altezza dei tempi, nella riappropriazione e nel desiderio collettivo, chi l’ha detto che non c’è.

Nodo redazionale indipendente

Ri_Pubblica – Difendere i beni comuni, riprenderci il futuro.

Qualche mese fa alcuni comitati, realtà sociali, collettivi, cittadini/e hanno immaginato uno spazio pubblico di discussione,  all’interno del quale, camminare insieme per comprendere le reciproche differenze e, soprattutto, per cercare i nessi e il senso condiviso delle battaglie sui beni comuni nel territorio di Roma.
A questo spazio abbiamo dato il nome di Ri_Pubblica e qui ci siamo incontrati unendo le battaglie per l’acqua, quelle sui rifiuti, sui saperi, sulla difesa del territorio con l’ambizione di superare la semplice sommatoria di singole esperienze ed individuare delle possibili azioni su nodi comuni.

Dal nostro primo incontro siamo cresciuti e ci siamo arricchiti di consapevolezza e conoscenza che sono frutto di una processo di riconoscimento e di ricerca di una prospettiva comune. Le sequenze del nostro processo non sono state lineari ma, inaspettatamente, ricche come solo i processi sociali sanno essere!  Siamo arrivati ad un punto che, forse, non avevamo intravisto all’inizio del nostro percorso.  Siamo arrivati alla prima tappa di Ri_pubblica.

Da giovedì 15 a domenica 18 Novembre: saranno quattro giorni di approfondimento, autoformazione e dibattito su dei temi che attraversano in modi diversi tutte le nostre lotte, ovvero Democrazia, Finanza, Territorio e Saperi. Delle lenti con cui analizzare la mercificazione e la finanziarizzazione dei beni comuni e la progressiva e crescente esclusione dei cittadini nelle decisioni che li riguardano. Delle chiavi per proporre prospettive alternative per il nostro futuro, in connessione con le mobilitazioni contro la crisi che, dal 14 Novembre, si attiveranno in tutta Europa.

Discuteremo di questi temi in un’occupazione temporanea di uno dei tanti spazi vuoti e abbandonati di questa città, un gesto simbolico che allude alla necessità di riprendersi degli spazi collettivi, di sottrarre pezzo per pezzo la nostra città al profitto ed alla speculazione. Un primo passo comune per intraprendere la strada della ripubblicizzazione contro la crisi di questo sistema.

Si tratta di un processo aperto, in continuo divenire, per questo invitiamo tutte e tutti a contribuire, sostenere, partecipare e diffondere, perchè niente è scritto e tutto è da conquistare.

Per riappropriarci insieme del nostro territorio, delle nostre risorse, dei nostri saperi: Ri_Pubblica!

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Agorà99

Introdurre e proporre la presentazione del prossimo meeting che si terrà a Madrid dall’1 al 4 novembre significa, continuare un ragionamento aperto su quell’orizzonte di conflitto che nei territori europei si sta dando ormai da parecchi mesi. Le cartoline e le immagini che intravediamo da lontano nei paesi limitrofi al nostro evidenziano come impulsi di originalità, che stanno pervadendo e contaminando esponenzialmente lo scenario politico, fa della cooperazione sociale in lotta, un’anima viva contro la governance europea dominato dalla Troika.

La peculiare ondata di movimento in Grecia, da sempre caratterizzata da un’inconfutabile opposizione sociale contro l’assunzione indiscussa del “modello Merkel” e delle sue politiche di austerity, è arrivata ultimamente anche in Spagna e Portogallo. Gli assedi in massa ai palazzi del potere delle settimane scorse, come quelli a Piazza Syntagma, hanno ampiamente dimostrato come la crisi della rappresentanza politica e la critica alla governance europea, sedimentata anche in terra spagnola dal movimento 15M nei due anni precedenti,  si stiano trasformando nell’apertura di un nuovo processo costituente. Una fase che in loco trova la sua forza nella straordinaria eterogeneità con cui la rabbia individuale sta diventando “inteligencia colectiva”, ma che, oltretutto, ha l’attitudine analitica di capire come solo nel terreno europeo delle lotte sia possibile instaurare meccanismi e dispositivi in grado di trasformare gli attuali rapporti di forza senza tornare indietro nella storia riproponendo nostalgiche visione sovranistiche e statalistiche.

Quanto detto però non è da confondere con sterili dinamiche di voler determinare una risposta globale ad una crisi globale solo enunciando connessioni o presenziando meeting internazionali come quello di Madrid. Non si tratta quindi di scimmiottare i movimenti europei o peggio ancora di usarli formalmente per poi riposizionarsi a casa propria dove meglio conviene nella magia puzzolente della macchina elettorale. Si tratta al contrario di contaminare il nostro paese con lo spazio politico dei conflitti europei a partire però dalle lotte e dai conflitti fin’ora troppo spesso frammentati e separati che si stanno dando nel nostro paese per allargare uno spazio di generalizzazione del conflitto sociale, cogliendone semmai le tendenze e le rivendicazioni più avanzate che guardano alla ricomposizione sociale come quella del reddito universale ed incondizionato, inteso però non come dispositivo di mediazione al ribasso di una logica tutta regolativa interna allo sfruttamento e alla precarizzazione del dominio capitalistico quanto al contrario come riconoscimento continuo e progressivo della produttività sociale permanente di cui siamo portatori dentro le nuove leve della valorizzaizone capitalistica, al cospetto delle nuove frontiere della sottomissione del lavoro vivo al capitale.

Un vecchio slogan dei medio-attivisti spagnoli recita copiar, pegar, poder modificar! ed è proprio qui l’intrinseca natura con cui dovremmo approcciarci al prossimo incontro di Madrid. Un incontro che pretende generalizzare le lotte contro le politiche di austerity individuando le linee di frattura e i punti di contatto dentro le lotte si organizzano.

Non è, quindi una casualità che siano tre i nodi principali con cui si articolerà l’incontro: debito, diritti e democrazia – caratteristiche comuni attraverso le quali ricercare una narrazione comune che miri a creare nuove pratiche di conflitto nell’attuale contesto di crisi e di austerity. Un debito che noi non abbiamo creato, un debito che non è legittimo e il cui rifiuto implica il non voler sottostare al dominio della tecnocrazia neoliberista. Vogliamo il superamento reale del ricatto, della crisi, del debito della precarizzazione per costruzione spazi reali di democrazia radicale che sia la base della potenza sociale che attraverso il conflitto dobbiamo e possiamo voler praticare.

 

Incontro con Dario Lovaglio (attivista del movimento 15M)

Giso Amendola (Uninomade)

Andrea Bonadonna (CSOA Askatasuna)


LOA Acrobax

Venerdi 26 h20,30

 

 

FAQ Agorà99

http://99agora.net/2012/07/incontro-europeo-debito-democrazia-e-diritti/

La repressione ai tempi dell’austerity


 Il 23 marzo 2012, in pieno giorno a Casalbertone un gruppo di neofascisti, provenienti dalla sede di Casapound in via Orti di Malabarba tentava di assaltare lo spazio sociale Magazzini Popolari Casalbertone, venendo comunque respinti nonostante i numeri assolutamente sfavorevoli agli attivisti degli MPC. Di lì a poco, in un pomeriggio infrasettimanale, una settantina di neonazisti si radunava in via Orti di Malabarba, a pochi metri dall’ingresso della locale caserma dei Carabinieri, con caschi, mazze e pietre ben visibili.

La scelta degli antifascisti di muoversi in corteo è stata la necessaria risposta per denunciare lo squadrismo che ciclicamente torna a manifestarsi in città, grazie alle evidenti contiguità politiche, che nonostante la retorica elettorale, lega da decenni esponenti dell’attuale amministrazione cittadina e la ex giunta regionale di Renata Polverini: ruoli di responsabilità e ben remunerati nelle municipalizzate e nei servizi locali, quasi 12 milioni di euro per il palazzo di via Napoleone III in cui Casapound ha la sua sede, legittimazione politica per le iniziative revisioniste e di sapore nazistoide che vengono messe in piedi.

Gli incidenti che ne sono seguiti sono stati la conseguenza della legittima autodifesa all’attacco mosso al corteo da parte dei fascisti, e qualsiasi immagine o video reso pubblico nelle ore seguenti mostra chiaramente l’accanita resistenza dei pochi compagni contro una ben più nutrita e organizzata squadraccia, per altro sotto lo sguardo logicamente passivo delle forze dell’ordine, che anzi nelle ultime battute hanno mosso una carica alle spalle degli antifascisti.

Oggi, ottobre 2012, riceviamo una serie di denunce che vedono coinvolte entrambe le parti, in un tentativo maldestro di mettere sullo stesso piano chi si è difeso con chi pratica sistematicamente la violenza squadrista e la propone come macabro immaginario, vecchia tradizione della Roma bene che dai “mostri del Circeo” porta alle scuole della Cassia e dei Parioli, per ora unico luogo di fermentazione dell’estrema destra neonazista.

Quello della radicalizzazione dei movimenti di estrema destra è ormai un fenomeno europeo: in Grecia, nell’est europeo, l’ondata populista solo apparentemente deideologizzata degli anni Novanta e dei primi anni Duemila si sta traducendo in una pressione sempre più violenta delle organizzazioni neonaziste contro attivisti di sinistra, migranti e nel tentativo di cavalcare la legittima rabbia dei cittadini colpiti dalle misure di austerità: se chiunque può riconoscere sui media mainstream la pericolosità di Chrisi Avgi (Alba Dorata) in Grecia, al centro di sempre più frequenti casi di omicidio e sostenuta elettoralmente dalle forze dell’ordine, ci sembra conseguente dover rivendicare il diritto di resistenza dei movimenti sociali.

Nell’epoca del governo tecnico, il fascismo ritorna nell’Europa meridionale come collettore delle tensioni sociali, sia nelle strade che nelle tornate elettorali: con preoccupazione abbiamo osservato la crescita di Chrisi Avgi in Grecia, le alte percentuali di Marine Le Pen alle presidenziali francesi, l’ormai tristemente consolidato regime ungherese di Viktor Orban. Abbiamo sempre rivendicato la nostra pratica antifascista, nel ricordo di Renato Biagetti, nostro compagno ucciso nel 2006, ma anche nella consapevolezza di essere presenti e attivi in un territorio che ha in sé i simboli delle Fosse Ardeatine e di Porta S.Paolo: siamo antifascisti non per odio, ma per dignità, diciamo da queste parti.

E’ per questo che portiamo sulle spalle il peso di una continua repressione: é di pochi giorni fa l’assurda condanna di due nostri compagni di Acrobax “colpevoli” di essere stati indicati da noti attivisti di destra della locale sede del PDL come aggressori in un fatto avvenuto ormai 6 anni fa. In questa fase, la criminalizzazione dei movimenti sociali, delle piazze, si esprime sia nella logica, in certi termini quasi scontata in questo paese, degli “opposti estremismi”, che appiattisce le differenze in nome di una pacificazione in cui appunto è possibile anche la legittima partecipazione alla vita pubblica di gruppi nostalgici e xenofobi, di ispirazione orgogliosamente repubblichina, con vecchi attrezzi dello stragismo ancora attivi al loro interno, sia in quella della repressione violenta delle piazze: nell’anno che ci separa dalla giornata dell’indignazione del 15 ottobre 2011, ben poche sono state le occasioni di scendere in piazza in un paese senza incorrere in divieti, cariche e denunce. La sistematicità di condanne pesanti (anche fino a 5 anni) per chi è stato arbitrariamente rastrellato in Piazza S.Giovanni, e le misure cautelari che ad aprile hanno limitato la libertà di 12 persone in tutta Italia, ci sembrano il triste preludio ad una sempre maggiore stretta della agibilità del dissenso, ora che nuovamente l’intero pianeta, stretto nella morsa delle scelte draconiane degli organi sovranazionali che governano la vita pubblica dei cinque continenti, sta tornando in piazza: dal Cile alla Grecia, fin nella lontana Cina della produttività spinta oltre le umane possibilità, qui in Italia lo scorso 5 ottobre.

Se l’austerity è governo della paura, solo la nostra determinazione

può permetterci di riprendere parola sulle nostre vite.

Nodo redazionale indipendente

 

 

Comunicato stampa sui fatti di Casalbertone del 23 marzo – Libertà di movimento per tutti gli antifascisti

Nell’attuale contesto di campagna elettorale sembra evidente che i neofascisti di Casapound, nel tentativo maldestro di ripulirsi l’immagine, riescano anche a legittimare il lavoro degli zelanti magistrati su quanto accaduto a marzo a Casal Bertone. Il comunicato stampa dei “ribelli del terzo milennio”, pubblicato a seguito della comunicazione di conclusione delle indagini notificate in questi giorni a sei compagni antifascisti e nove esponenti di CasaPound Italia, “appoggia” pienamente l’operato di magistratura e questura.

Non avevamo dubbi sulle collusioni che persistono tra questa organizzazione neofascista e gli apparati di polizia. Ma gli abitanti del quartiere di Casal Bertone conoscono bene i fatti, visto che il loro territorio negli ultimi anni è stato oggetto di tentativi poco riusciti di insediamento sociale e politico di un fantomatico Circolo Futurista. Ma quando non si hanno né contenuti né consenso sociale l’unico strumento rimane la provocazione. Ed è così che sono andati i fatti.

Il 23 marzo 2012, nel primo pomeriggio a Casal Bertone un gruppo di neofascisti, provenienti dalla sede di Casapound in via Orti di Malabarba, tentava di assaltare lo spazio sociale Magazzini Popolari. Tale iniziativa oltre ad essere stata preventivamente organizzata, vista la presenza di caschi e bastoni, vedeva la copertura visibile dei carabinieri. Nonostante i numeri sfavorevoli i compagni presenti in quel momento nella sede dei Magazzini Popolari, prontamente allertati dai residenti del quartiere, sono riusciti a respingere il gruppo dei neofascisti. Poche ore dopo si riunisce un’ assemblea pubblica davanti ai Magazzini Popolari che decide di denunciare quanto avvenuto realizzando una manifestazione che ha attraversato il quartiere raccogliendo, durante il percorso, la solidarietà degli abitanti del quartiere, infastiditi dall’ennesima provocazione e dalla militarizzazione del territorio. Tutti a Casalbertone, infatti, conoscono il lavoro quotidiano dei Magazzini Popolari e della Rete sociale. La scelta degli antifascisti di muoversi in corteo è stata la necessaria risposta per denunciare lo squadrismo che ciclicamente torna a manifestarsi in città. E infatti di lì a poco, sottolineiamo in un pomeriggio infrasettimanale, una settantina di neonazisti si radunava in via Orti di Malabarba, a pochi metri dall’ingresso della locale caserma dei Carabinieri, con caschi, mazze e pietre ben visibili. Durante il percorso il corteo antifascista viene attaccato ed esercita una legittima resistenza per le strade del quartiere di Casal Bertone.

Negli ultimi anni sono evidenti le contiguità politiche che legano esponenti dell’attuale amministrazione cittadina e della ex giunta regionale di Renata Polverini con attivisti di CasaPound. Basti pensare ai ruoli di responsabilità assegnati ai neofascisti “impresentabili” nelle municipalizzate e nei servizi locali balzati agli onori della cronaca. Nel contesto di spending review e di taglio dei servizi socio-assistenziali il comune di Roma ha speso 12 milioni di euro per acquistare il palazzo di via Napoleone III in cui “i ribelli” hanno la loro sede. La scelta di coinvolgerci in questa iniziativa repressiva, oltre a cercare di delegittimare attraverso la declinazione degli opposti estremismi il diritto di resistenza degli attivisti delle lotte sociali della città, diritto che rivendichiamo in pieno di fronte alla violenza squadrista che torna ad affacciarsi a Roma come ad Atene, Budapest e nelle altre capitali dell’Europa schiacciata tra crisi e misure di austerità, rimette al centro del dibattito la questione della restrizione dei margini di libertà: per gli attivisti come per l’intera società.

Nella nuova fase del governo tecnico è sempre più difficile scendere in piazza senza incorrere in divieti, denunce, intimidazioni fisiche e giudiziarie: lo abbiamo sperimentato nelle piazze studentesche dello scorso 5 ottobre, lo vivono sulla loro pelle i centinaia di attivisti che ancora scontano dei provvedimenti cautelari per aver manifestato contro la macelleria sociale dell’austerity, lo hanno subito gli operai dell’Alcoa, costretti in una “gabbia militare” ogni qualvolta vengono a Roma per reclamare un futuro. Ci sembra urgente riprendere in mano il tema della libertà di movimento e per questo proponiamo di incontrarci in assemblea cittadina il 30 Ottobre alle ore 18 presso i Magazzini Popolari Casalbertone via Orero 61. Sono invitate a partecipare tutte le reti, i collettivi e le soggettività antifasciste di Roma.

Prime adesioni: Magazzini Popolari Casalbertone, Loa Acrobax Project, Palestra Popolare Valerio Verbano, Coordinamento cittadino di lotta per la casa, All Reds Rugby Roma, Assemblea cittadina degli studenti medi in mobilitazione, Laboratorio Filosofico “SofiaRoney.org”, Assemblea Giovani al Centro, Collettivo fuorilegge giurisprudenza rm3, Laboratorio Aion lettere rm3, Ardita San Paolo

Uninomade 2.0 al Teatro Valle Occupato

SEMINARIO, Roma, 27-28 ottobre 2012 

 Il marchese di Condorcet e Thomas Jefferson conoscevano bene la forza e l’importanza delle Costituzioni. Eppure, entrambi concordavano sul fatto che nessuna Costituzione potesse essere considerata eterna. Anzi, ogni generazione – sostenevano questi padri del costituzionalismo moderno – avrebbe diritto a scrivere una nuova costituzione. Sapevano bene, Jefferson e Condorcet, che le costituzioni nascono da precise mediazioni storiche, traducono equilibri contingenti, e che il rapporto tra qualsiasi “diritto costituzionale” costituito e processi costituenti non può mai essere chiuso definitivamente.

Oggi la crisi ha riaperto ancora una volta lo spazio costituzionale, lo ha nuovamente investito trasformandolo in uno spazio di critica e di lotta politica. L’attacco neoliberale ha radicalmente disarticolato l’unità del sistema costituzionale, con un’iniziativa che si è collocata esplicitamente su un piano di sfida costituente: una vera e propria “rivoluzione dall’alto”, che ha preteso l’adeguamento delle stesse costituzioni “formali” al nuovo comando politico finanziario.

Davanti a questa sfida, la sinistra ha mantenuto una posizione semplicemente reattiva, difensiva: lo slogan della “difesa della Costituzione” non basta a nascondere l’incapacità di fare i conti con la fine di quegli equilibri costituzionali, con la destrutturazione profonda della cittadinanza democratica e con la rottura tradizionale mediazione tra capitale e lavoro incorporata nelle costituzioni welfaristiche del Novecento.

Gli Occupy nordamericani e europei, per non dire delle primavere nordafricane, pur nelle loro grandi differenze, si sono invece tutti collocati su un terreno completamente diverso da quello della “difesa” degli equilibri costituzionali esistenti. Sono stati tutti movimenti che hanno esercitato una rottura di quegli equilibri. Hanno avuto caratteristiche destituenti rispetto ai contesti costituzionali dati, e, contemporaneamente, hanno aperto un’agenda costituente: costruzione di contropoteri democratici qui e adesso, nuova affermazione di eguaglianza e libertà, non contenuta e non contenibile in nessun ordine costituzionale “dato”. Il fatto che questi movimenti siano riusciti a manifestare solo parzialmente le loro potenzialità, o, in altri casi, abbiano incontrato la reazione feroce delle élites conservatrici, non toglie nulla alla chiarezza con cui si sono collocati su un terreno costituente e non rappresentabile. Tale irriducibilità anzi, per questi movimenti, non è stato un obiettivo da proclamare, un programma cui tener fede: semplicemente, essi si sono mostrati costitutivamente inconfigurabili, così come è la cooperazione sociale che essi esprimono.

Con il seminario del 27 e 28 ottobre, vogliano discutere appunto della costituzione. E non solo e non tanto della costituzione italiana, quanto della rottura delle mediazioni costituzionali classiche, dell’esaurimento delle “costituzioni del lavoro” del Novecento. Della fine di quel modello di welfare e di cittadinanza. Vogliamo rilanciare la critica del diritto, a cominciare dalla critica del diritto pubblico e costituzionale, ma anche sporgerci al di là, verso quell’orizzonte costituente pur contraddittoriamente aperto dai movimenti. E farlo soprattutto guardando alla dimensione europea, dove è sempre più evidente come non esista nessuna costituzione data che possa recepire le istanze di eguaglianza e libertà avanzate dalla radicalità dei movimenti. Vogliamo discutere dell’urgenza in Europa di un’ipotesi costituente, oltre ogni possibile “aggiornamento” delle mediazioni costituzionali esistenti, in cui ancora paiono adagiarsi le sinistre europee.

Vogliamo anche dare sostanza, cominciare ad articolare questo orizzonte costituente. Immaginare che cosa può essere oggi una Dichiarazione dell’irrinunciabile, dell’inalienabile. Non si tratta di appiattirci sul linguaggio dei diritti – spesso tanto pomposo quanto impotente – o di scimmiottare le dichiarazioni del Settecento. Ma di cominciare a formulare i punti programmatici, emersi dalle lotte, che segnano, i nuovi “principi indisponibili” del lavoro vivo: il reddito, la libertà di movimento, il welfare del comune, la riappropriazione della moneta, la libertà della cooperazione sociale dai dispositivi parassitari che la attraversano, la lotta al debito, il diritto all’insolvenza, la libertà dai dispositivi di controllo e securitari, il diritto alla salute in tutte le sue dimensioni biopolitiche…

Infine, vogliamo affrontare la questione, continuamente affermata oggi dalle lotte per i commons, degli usi e dell’accesso al comune. Le lotte di quest’anno hanno elaborato pratiche inedite. È già un fatto politico che esistano una pluralità di usi del diritto, a tutti i livelli:

  • la scrittura di una istituzionalità autonoma proposta dallo Statuto del Teatro Valle;
  • la giurisprudenza delle sentenze, in particolare quella del cinema Palazzo;
  • delle delibere, come nel caso dell’ex Asilo Filangieri;
  • l’appello agli articoli della Costituzione nel referendum sull’acqua;
  • il diverso uso del diritto amministrativo fatto dai comitati cittadini dell’acqua;
  • le politiche dei “nessi amministrativi” nei municipi;
  • l’uso che risignifica politicamente alcune normative esistenti (dagli usi civici all’acquisto di microlotti di terreno attorno al cantiere in Val di Susa).

Queste lotte, che hanno fatto riemergere parole in qualche modo “antiche” come uso e accesso, hanno però anche reso evidente che “uso” e “accesso” non si radicano oggi in nessun presupposto oggettivo, ma all’interno di pratiche inedite attraversate dalla produzione di nuova soggettività. Che in altri termini, il tema dei commons si apre sullo sfondo del comune, come produzione di una cooperazione sociale finalmente libera dallo sfruttamento.

Dalle lotte sui commons, emerge anche come l’unità – tradizionalmente presupposta – dei sistemi costituzionali sia oramai in frantumi. Il diritto si produce sotto il segno dell’eterogeneità, non più dell’omogeneità che caratterizzava l’antica tradizione “pubblicistica” del Popolo e del Sovrano, mentre i processi di governo si svolgono in una dimensione di “opacità” e pongono in discussione i modelli classici di divisione dei poteri. Ma proprio l’irriducibile pluralità delle fonti giuridiche – sentenze, delibere, statuti, usi civici, norme costituzionali – e la rottura della loro tradizionale gerarchia, può essere oggi l’occasione di una politica federativa delle lotte.

In ultimo, ma è il punto cruciale: le lotte sull’uso e dell’accesso ai commons, riaprono – finalmente! – la questione della proprietà. La riapertura di un’istanza costituente oggi si gioca principalmente su questo: spodestare la proprietà dal centro che pretende di occupare nella regolazione della cooperazione sociale. L’immaginazione costituente che il nostro seminario vuole mettere in moto, accoglie dalle lotte e rilancia l’urgenza di superare l’arbitrarietà del “terribile diritto”.

PROGRAMMA

Teatro Valle Occupato (www.teatrovalle.it)
Via del Teatro Valle 21, 00186 Roma

Sabato 27 ottobre, ore 10.00 – Prima sessione
VERSO UN ORIZZONTE COSTITUENTE

Introduzione: Sandro Mezzadra, Giso Amendola, Teatro Valle Occupato
Relazioni: Ugo Mattei, Toni Negri

 

Sabato 27 ottobre, ore 14.30 – Seconda sessione:
GLI USI DEL COMUNE

Introduzione: Teatro Valle Occupato
Relazioni: Massimilano Guareschi e Federico Rahola, Paolo Napoli
Discussione

 

Domenica 28 ottobre, ore 10.00 –  Terza sessione:
PER UNA NUOVA DICHIARAZIONE DELL’IRRINUNCIABILE E DELL’INALIENABILE

Introduzione: Sandro Mezzadra, Giso Amendola
Relazioni: Michael Hardt, Raul Sanchez Cedillo
Discussione

 

Interventi programmati (da distribuire nelle due giornate): Alessandro Arienzo, Peppe Allegri, Giovanni Giovannelli, Maria Rosaria Marella, Costanza Margiotta, Marco Silvestri, Michele Surdi, Benedetto Vecchi.

da www.uninomade.org