Albano contro l’inceneritore: cariche e arresti

Sabato 14 Aprile è stata una grande giornata di partecipazione, di  mobilitazione e di lotta. Le strade di Albano si sono riempite di cittadini,  comitati di quartiere,  rappresentanti dei Comuni dei castelli romani, collettivi studenteschi e reti sociali che si battono su tutto il territorio laziale contro un piano regionale dei rifiuti basato su discariche e inceneritori. È stata la risposta migliore a chi da giorni dava definitivamente persa una battaglia che nonostante la sentenza del Consiglio di Stato ha dimostrato tutta la sua vitalità e determinazione a continuare il percorso fin qui intrapreso. Per tutto il corteo molti sono stati gli interventi e le testimonianze di chi vive intorno a Roncigliano: lo scempio del settimo invaso, l’allargamento della discarica, l’inquinamento delle falde acquifere. La volontà popolare lo ha ribadito ancora una volta: basta con discariche e inceneritori, né qui né altrove, differenziata subito e netta contrarietà al  piano regionale dei rifiuti proprio in questi giorni al centro del dibattito  con l’intervento dello stesso ministro Clini. Lo stesso che aveva anticipato la sentenza del Consiglio di Stato che sbloccava l’inceneritore di Albano.
Purtroppo prima che l’assemblea conclusiva del corteo iniziasse, le migliaia  di persone che man mano arrivavano a Piazza Mazzini, hanno trovato un ingiustificabile schieramento di forze dell’ordine, come sin dalla prima mattinata per tutte le strade di Albano. In prossimità di Villa Doria, quando il corteo continuava il suo percorso, è partita una  carica delle forze dell’ordine, tra l’altro creando panico e paura. Una  signora, a cui va tutta la nostra totale solidarietà, ha avuto una frattura alla caviglia. Oltre a numerosi contusi.
Come se non bastasse, l’ingiustificato nervosismo delle forze dell’ordine si è  manifestato anche a conclusione del corteo. Mentre quattro studenti, di cui due  minorenni, stavano tornando a casa, sono stati fermati e aggrediti dalla Digos  di Roma, con la giustificazione di un normale controllo. In realtà la reale intenzione era mettere in stato d’arresto uno dei due studenti minorenni, a loro  dire responsabile di aver lanciato pietre contro le forze dell’ordine e responsabile del ferimento di un agente.
Il tutto si è consumato sotto gli occhi increduli di tanti cittadini di  Albano. Un presidio spontaneo sotto il commissariato di Albano per richiedere  l’immediato rilascio dello studente, dopo pochi minuti si è trasformato in una nuova caccia ai manifestanti. Quasi trenta membri del nostro coordinamento sono stati accerchiati da blindati di Polizia e Carabinieri per poi essere identificati. Anche alcuni giornalisti presenti, hanno ricevuto lo stesso trattamento e alla fine la Polizia ha confermato l’arresto per uno dei due ragazzi minorenni fermati, in attesa del processo che dovrebbe tenersi mercoledì.
Inoltre è da sottolineare come la stampa, nella giornata di Domenica, abbia diffuso in modo uniforme le stesse notizie, prese direttamente dalle veline della Questura, riportando anche gli stessi errori.
Nessuno di noi ha mai pensato di fare una marcia di almeno 5 kilometri verso “la Nettunense”.
Solo chi non consoce il nostro territorio può scrivere queste cose! La risposta è chiara. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato il segnale è  quello di creare intimidazione e paura. Si cerca così di criminalizzare chi si batte a difesa del proprio territorio, dipingendolo come chissà quale pericoloso sovversivo. Oggi l’unica colpa che abbiamo avuto è stata quella di aver
manifestato ancora una volta con determinazione contro la devastazione  ambientale, a difesa della salute e dell’ambiente di tutti noi.
Continueremo a lavorare e ad informare la cittadinanza come sempre, attraverso ricorsi legali, assemblee, sit-in, per bloccare la folle costruzione dell’inceneritore di Albano.
LIBERI TUTTI!!

Coordinamento contro l’inceneritore di Albano

Breve video di una delle cariche

http://www.youtube.com/watch?v=-QBm7Epqj2g

LA UNICA LUCHA QHE SI PIERDE ES LA QUE SE ABANDONA!

Lo sgombero della neonata Fazenda Occupata dimostra per l’ennesima volta con quanto zelo le forze del disordine intervengano per stoppare i processi di autorganizzazione dal basso che spuntano come fiori di rara bellezza nei meandri della metropoli.
Mai abbiamo visto tanta potenza dispiegata contro chi devasta i territori, mai abbiamo visto una tale solerzia nel requisire i tanti mostri di abusivismo o i troppi edifici abbandonati e fatiscenti pubblici come privati. In questa città di palazzinari, di welfare precario, di case sfitte e gente senza case, di periferie nate e cresciute nel nulla, ancora una volta polizia e amministrazione a braccetto accorrono per interrompere un’esperienza di riappropriazione che allontana il degrado, ricompone le generazioni, rimette al centro il territorio e i bi-sogni.
Oggi con la scusa della crisi si preparano grandi affari a poco prezzo: quanto potrà guadagnare il solo Caltagirone dalla privatizzazione di Acea (che Alemanno continua a riproporre nonostante la vittoria referendaria) o dalla svendita del patrimonio pubblico?
Contro gli immensi profitti di pochi continuiamo a rivendicare il diritto a riappropriarci di un reddito per tutti/e… e poiché la libertà non cade dal cielo continueremo a strapparla metro dopo metro.
La lotta di tanti e tante contro la precarietà delle nostre vite e per la libertà di autodeterminare il nostro presente fuori dalla “nonlogica” dei profitti non si ferma davanti ai vostri blindati.
Con la stessa rabbia e lo stesso amore di sempre affianco agli occupanti e le occupanti della Fazenda
Laboratorio occupato e autogestito Acrobax

No vendita Acea: DilloadAlemanno.it

E’ online www.dilloadalemanno.it, un sito da cui è possibile far sentire la propria voce e inviare con estrema semplicità una mail al Sindaco di Roma, all’Assessore al bilancio e all’Assessore ai lavori pubblici per chiedere l’immediato stop al piano di privatizzazione.
Invitiamo tutte e tutti ad aderire, a scrivere ad Alemanno e a diffondere quanto più possibile questo sito, in modo da inondare il Campidoglio di lettere di protesta.
Nelle prossime settimane sono previste numerose iniziative contro la svendita di Acea e dei servizi pubblici essenziali, a partire dall’assemblea cittadina di sabato 14 aprile, alle ore 10 al Cine Teatro Colosseo (Roma – Via Capo d’Africa 29/a).
Una vasta coalizione sociale fatta di movimenti e realtà associative, sociali, partiti e sindacati, ha avviato un percorso di mobilitazione per fermare il piano di vendita dei servizi pubblici essenziali e più in generale per bloccare l’approvazione del bilancio del Comune di Roma.

Video | Invito alla discussione, per la libertà di movimento!

Foto della Comune di Parigi 1871

Con alcune fondate ragioni riteniamo che il convegno sulla Libertà di movimento tenutosi il 7 Marzo scorso all’università Roma3 sia andato bene, oltre le aspettative e diciamo subito il perché. A volte parlare di repressione significa parlare delle sfighe, di quanto ci si sente attaccati, controllati ed intimiditi. Molto spesso la si mette su un piano della denuncia o delle volte della commiserazione collettiva. Bene, l’incontro sulla Libertà di movimento ha decisamente preso un’altra strada.

Guarda i video degli interventi del convegno

Con una certa gioia e necessaria porzione di umiltà abbiamo affermato alcune semplici questioni: prima di tutto e ne siamo orgogliosi, con desiderio e determinazione abbiamo rivendicato il nostro elementare compito, riportare le forme del conflitto sociale su di un piano pubblico mettendone in luce non la sola legittimità quanto la più ampia e utile dinamica costituente propria di quell’eccedenza sociale, di quella partecipazione popolare, che si dispone contemporaneamente come dispositivo di rottura ed elemento costituente, per la libertà di movimento e per la stessa indipendenza politica delle lotte. Crediamo fermamente che il conflitto sociale sia il motore della costituzione materiale, vero unico prerequisito reale per lo sviluppo costituzionale – che in alternativa diverrebbe semplice feticcio esterno alla realtà stessa, come spesso la politica e le istituzioni strumentalmente la intendono e lì nel feticcio costituzionale poi si concepiscono e si riproducono. Non ci sentiremo mai dei perseguitati perché abbiamo deciso e autodeterminato un percorso che ci vede in conflitto con loro, scelta lucida e politica che noi per primi dispieghiamo e rivendichiamo alla luce del sole, contro la precarizzazione e i precarizzatori, contro le lobby e le mafie, anche quelle targate antimafia.

 

Fondamentalmente l’assunto di fondo che ha promosso e sviluppato le tracce del ragionamento è partito dalla consistente convinzione materiale che noi siamo risolutamente in conflitto con loro, conflitto per e con il diritto di resistenza. Per resistere alla prepotenza dello Stato, alla boria delle truppe di occupazione nelle montagne della Val Susa lo scorso 3 luglio, così come alle cariche della polizia della recente Piazza San Giovanni di Roma del 15 Ottobre, prendendo poi queste giornate solo come ultimi due esempi del recente conflitto sociale, esempi che vedono peraltro nel loro epilogo giudiziario ancora vergognosamente carcerati alcuni compagni e alle misure cautelari altre ed altri, di cui il convegno ovviamente ha chiesto, già dalla sua introduzione, la loro immediata ed incondizionata liberazione.

 

E nel corso di queste settimane rileviamo una prima importante sentenza che rappresenta un esito non scontato dell’epilogo giudiziario di uno dei processi ai movimenti, sul tema del caro vita, quando il 6 Novembre del 2004 vennero prima indagati 105 attivisti poi rinviati a giudizio in 39, poi giunti a sentenza in 15, con l’accusa di concorso in rapina pluriaggravata, differenziando per alcuni anche il ruolo di organizzatori, come se il mondo fosse volontà e rappresentazione delle loro gerarchie e dispositivi di potere. Bene, dopo 8 anni di maxiprocesso il giudice ha stabilito non solo l’assoluzione per tutti e tutte ma anche perimetrato uno spazio giuridico ancora più importante, il fatto non sussiste, non è stata una rapina. E a questo punto, lo diciamo noi, è stata solo una minacciosa montatura, per la quale peraltro sono state già scontate settimane e mesi tra misure cautelari di arresti domiciliari e obblighi di firma – applicati per di più a distanza di mesi dal fatto contestato. Una minaccia a mezzo giudiziario che ha limitato molto l’iniziativa delle lotte, interdetto per alcuni anni lo spazio politico delle legittime pratiche di riappropriazione, inibendo e reprimendo per via preventiva, eventuali e possibili nuove iniziative.

 

E ora non bastano i commiati e i pietismi anche di coloro che dentro e oltre i movimenti si dolgono il petto, dopo aver fino a poco tempo fa intessuto relazioni con il Partito cosi detto Democratico che, mentre con una mano offre scorciatoie politicamente opportunistiche, con l’altra bastona e chiude i cancelli lasciando dietro le sbarre i nostri compagni e le nostre compagne Notav, con la pretesa cortese del mandante, Presidente Napolitano e dell’esecutore e repressore, Procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli.

E allora servono le alleanza ma serve chiarezza e intelligenza politica, serve cuore e passione, ma è fondamentale il cervello, collettivo e sovversivo, per l’utopia concreta, per affermare il comune tra di noi, di ciò che in comune coltiviamo per noi, per la libertà nell’indipendenza.

A presto nelle strade per rovesciare il potere.

 

Nodo redazionale Indipendente

 

Video | L’acqua, paradigma dei beni comuni – Convegno alla Fondazione Basso

Lunedì 26 marzo alle ore 16:30
c/o la Fondazione Lelio e Lisli Basso  – Issoco – Via della Dogana Vecchia 5 – 00186 Roma
L’acqua, paradigma dei beni comuni
Quando il ragionamento collettivo costruisce il superamento tra pubblico e privato e afferma il comune

Video degli interventi del convegno:

 

Leggi il testo dell’appello:

Oggi, in Italia, c’è un gran parlare dei beni comuni. E’ un tema che, chiaramente, si sta ponendo in altre parti del mondo e che, qui da noi, offre tanto uno strumento nelle mani di chi contesta un modello neoliberista tanto di chi di quel modello vuole essere alfiere.
Il bene comune così si allarga e allunga divenendo, alla fine, una coperta troppo corta.

Eppure in tutta Italia, nei territori dove l’attivazione è massima, si costruiscono percorsi e ragionamenti sperimentando direttamente una pratica e costruendo suggestioni.
Per noi questo è stato rappresentato dal movimento dell’acqua.

“C’è una campagna fatta dal basso, strada per strada, ci sono spazi di comunicazione guadagnati metro per metro, ci sono ragionamenti lunghi anni che conquistano e si diffondono veloci; l’acqua diviene un paradigma nella società italiana. Non solo tra cittadini ma anche nel dibattito pubblico. I beni comuni sfondano e divengono elemento semiotico riconosciuto, una linea. Forse una barricata.
Le persone dicono infatti con il loro voto che non sono più disposte a sacrificare tutto sull’altare del mercato; la religione neoliberista vacilla anche da noi.
I privatizzatori bipartisan, si trovano improvvisamente sconfitti e, con loro, anni di beni pubblici saccheggiati a man bassa, ricette in cui le persone sono divenute risorse umane, in cui il mercato del lavoro doveva essere flessibile fino a divenire precario, l’innovazione e la garanzia passava per le formule innovative del profitto privato.
Ma ancor di più accade: si forma un ragionamento collettivo sul superamento tra pubblico e privato e che afferma il comune.”

Questo lo scrivevamo in occasione dell’adesione alla campagna di Obbedienza civile lanciata dal movimento dell’acqua a novembre, quando era ancora in fase di ragionamento, oggi, invece, è partita e ha coinvolto già migliaia di persone.
Questo vuol dire che la convinzione che la battaglia sarebbe finita con il referendum è errata. Sia per chi sperava che quella fosse una vittoria definitiva, sia per chi sperava di poter aggirare la volontà popolare.

E’ in questa fase che noi vorremmo continuare quel ragionamento. Una fase in cui la crisi continua a scavare solchi profondi tra i mercati con i suoi sacerdoti e la precarietà dilagante di milioni di persone. La Grecia è li come esempio.
Ma, in generale , è evidente che la portata di questo discorso ha carattere internazionali. Questo è dimostrato anche dall’incontro dei movimenti dell’acqua a Marsiglia, in occasione del controvertice del FAME, dove nascerà la rete europea per l’acqua bene comune.

Ad ogni modo, dal nostro punto di vista, è giusto assumere che, in questo momento, i movimenti sono in una fase di osservazione, provando a comprendere dove si può concludere l’inadeguatezza rispetto allo scontro con i poteri forti e dove inizia, invece, una nuova alterità possibile. Un’alternativa fatta di trasformazione dell’esistente, di nuovi strumenti e modelli, di una nuova democrazia diretta, di autonomia ed indipendenza.

Siamo convinti, quindi, che sia una fase di confronto e laboratorio, in cui le ricette precotte sono deisamente intutili . Per questo partiamo dai movimenti che pongono la priorità di questo tema.
Ma anche ponendoci domandae, per noi,  sostanziali: esiste un limite dei beni comuni?
E al bordo di questo confine che cosa inizia?
Per ultimo, qual’è dunque il terreno su cui i movimenti si incontrano trasformando le proposte di ragionamento in pratica costituente?

Siamo infatti convinti che esista una questione del comune, come superamento del pubblico e del privato, che ci interroga per la sua gestione ed autogestione, per la dinamica che può produrre nei territori e nel superamento della rappresentanza in drammatica crisi (Chi decide su cosa?).

Invitiamo, dunque, tutti/e a partecipare ala discussione sperando che sia solo la prima di un percorso più lungo. Proviamo a cimentarci nell’intento di fornire gli strumenti utili da mettere nella cassetta degli attrezzi da poter  utilizzare nella quotidianità in cui la resistenza diventi una definitiva riappropriazione collettiva del futuro.

– Introduce Valerio Balzametti (Laboratorio Acrobax)

– Marco Bersani (ATTAC/forum italiano movimenti acqua )

– Corrado Oddi (FP-CGIL/forum italiano movimenti acqua )

– Stefano Rodota’ (Prof. Emerito di Diritto Civile, Universita’ di Roma La Sapienza)

– Giacomo Marramao (Prof. Ordinario di Filosofia Politica, Universita’ Roma Tre)

– Gigi Roggero (Uninomade)

– Giulia Bucalossi (Punto San Precario Roma)

– Paolo Berdini (Urbanista)

– Don Sardelli

– Nicoletta Dosio (Comitato No Tav)

promuove
Loa Acrobax
Punti SanPrecario_Roma
www.indipendenti.eu

www.scioperoprecario.org

Video. Debito sovrano e diritto all’insolvenza (Fumagalli)

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Il governo precedente come l’attuale governo tecnico, pressati dalla sfiducia dei mercati e dalla speculazione finanziaria, hanno varato una manovra lacrime e sangue dopo l’altra in nome dell’emergenza. Ma i sacrifici che pretendono sono davvero così ineluttabili? Da dove viene questa crisi? Una panoramica sui sitemi di accumulazione finanziaria, per capire meglio chi sono, in realtà, questi fantomatici “mercati”.

Un momento di approfondimento con Andrea Fumagalli sulla crisi del neoliberismo e sul debito sovrano, con un duplice intento, quello di misurare per un verso le soggettività e le reti sociali indipendenti, le intelligenze di movimento, intorno alla riflessione teorica sulla crisi finanziaria, sul biopotere dei mercati, sul debito e il possibile default per poter individuare il moover politico e sociale della trasformazione, sul piano immediato e diretto dell’iniziativa di movimento e quindi anche delle proposte che ne scaturiscono come appunto quella al diritto all’insolvenza.

Navigazione

00:00 Introduzione sul diritto all’insolvenza

24:24 Perché tanta attenzione sull’Italia?

A’ l’è Düra, ma non drammatizziamo (Giorgio dal carcere)

da www.infoaut.org

Saluzzo, 30 marzo 2012

Gli articoli sui giornali locali che
hanno riportato il comunicato della sezione “ISOL”, la visita della delegazione,
la conferenza successiva a Saluzzo, infine il partecipato presidio di sabato 4
marzo hanno rotto la normale “routine” del carcere e ulteriormente innervosito
la direzione e il comandante che si arrampicano sugli specchi per difendere il
loro operato. Il presidio è stato sentito in tutta la prigione, i detenuti che
incontro quando vado a messa, appartenenti alla prima e seconda sezione ALTA
SORVEGLIANZA, il barbiere, il bibliotecario e lo spesino riportano che in tutte
le sezioni sono sei in totale, sono contenti e ringraziano per l’attenzione che
c’è intorno al carcere di Saluzzo. Andiamo avanti a piccoli passi.

Vi racconto uno spiacevole episodio successo nella nostra sezione “ISOL”
DOMENICA 18 MARZO. Da metà marzo scendo all’aria dalle 13 alle 15, sono l’unico
quasi sempre, gli altri preferiscono rimanere a giocare a carte o chiacchierare
nel corridoio che scendere ognuno divisi nel suo cortile/box. Quando risalgo
vengo a sapere quello che è accaduto. Appena “aperti” due giovani detenuti hanno
un acceso diverbio per futili motivi dovuti al nervosismo che si è venuto a
creare nel fine settimana quando si sono esaurite le sigarette e il tabacco.
Intervento delle guardie e chiusura in cella per tutti. Un detenuto, lo stesso
che aveva già subito una “ripassata” di botte a metà dicembre si rifiuta ed
insulta gli agenti, quasi tutti graduati, viene portato in ufficio lontano da
sguardi indiscreti e colpito con una nuova scarica di botte e calci.

Pur essendo un ragazzo che fa palestra ed incassa “bene” quando è arrivata
giovedì la delegazione con Vattimo, Artesio e Biolè erano ben visibili i segni
sul volto e sul corpo. Nei giorni precedenti nonostante le proteste il
comandante aveva cercato di minimizzare, spingendosi a dire che il ragazzo si
era picchiato da solo. Dopo la visita della delegazione, il giorno dopo lo hanno
convocato per raccogliere la testimonianza e fatto refertare in infermeria. In
questi casi il detenuto cerca di farsi assistere dall’avvocato, che per ogni
istanza va pagato se no ti trascura o ti consiglia il silenzio che è sempre
meglio per il tuo futuro processuale.

Aldilà di frasi fatte in prigione c’è gente informata dei fatti che
raccontano problemi e speranze. E’ difficile aspettarsi da un detenuto che ha
dieci anni alle spalle scontati e che ne ha 28 da fare, che “spera” di avere il
primo permesso fuori per vedere la moglie ed i due bambini oramai ragazzi, che
si esponga quando un solo rapporto punitivo può precluderti ogni speranza.

L’attacco telematico di alcune settimane orsono di anonymous in cui è stato
attaccato il site del ministero di grazie e giustizia ha comportato a Saluzzo il
blocco della spesa per due settimane della “spesa” per i detenuti (risulta che
abbia colpito tutte le carceri italiane). Pur essendo la “spesa” uno dei momenti
importanti e delicati, non ho sentito un solo detenuto lamentarsi contro
anonymous, ma tutti contro la direzione, che non sistemi manuali vecchia maniera
avrebbe potuto garantire comunque lo stesso il servizio. E’ stato sicuramente un
attacco ben calibrato che ha colpito in profondità il sistema informatico del
ministero.

Alcune lettere che ricevo (ne approfitto per ringraziare) sono intrise di un
certo vittimismo: “poverino, tieni duro, che brutte cose ti stanno facendo”.
Ebbene questo è un modo sbagliato di porsi. Alessio, Maurizio, Marcelo, Luca e
Juan si trovano in forme diverse nelle mie stesse condizioni. Isolamento e
sovraffollamento, silenzio e rumore creano “stati d’animo” diversi e molto
soggettivi. Sdrammatizzando, ora c’è qualcosa di diverso nella mia vita, poco
avvezza alle novità e al nomadismo, che ha sempre preferito il fresco della
montagna e guardato con sospetto al rito del sole in spiaggia, il mare
considerato come una bacinella d’acqua o poco più. Non per niente da vent’anni
passo in tenda i primi 10 giorni di agosto ai duemila metri della valle
argentera, tra la val di susa e la val chisone. Eppure da quando è entrata in
vigore l’ora solare, dalle 13 alle 14, il sole “batte” in un angolo del cortile
d’aria, faccio la “tintarella” su un tappetino di fogli di giornali e una
bottiglia di plastica come cuscino, l’asciugamano è vietato, il capoposto
afferma che nemmeno il giornale sarebbe consentito all’aria dell’isolamento,
secondo lui, si potrebbe arrotolarli e dargli fuoco. Mah. (c’è solo cemento
dappertutto e una porta di ferro e i segnali di fumo stile apache non sono
capace di farli). La novità di oggi venerdì 30 marzo: un agente seduto su una
sedia posizionata a controllarmi davanti alla mia aria per tutta la durata della
stessa. Ha ricevuto l’ordine dal capoposto.

A differenza di qualcuno che è caduto dal ramo come un fico secco,
l’operazione scattata il 26 gennaio dagli “organi competenti” era prevedibile.
Come comitato di lotta popolare di Bussoleno, da settembre in avanti ci
siamo adoperati a preparare il terreno perché i nostri militanti e gli attivisti
del movimento prendessero in considerazione tale ipotesi con possibilità senza
inutili isterismi e paure, ben sapendo che per come è fatto il movimento NO TAV,
nel suo essere una comunità popolare in lotta variegata e trasversale, nulla era
scontato. Non volevamo cadere nella trappola lotta/repressione/ghetto, che con
il ricatto e la paura indebolisce fino ad ammazzarle le lotte, ma fosse invece
parte integrante, anzi una spinta propulsiva alla lotta, che ne rafforza la
mobilitazione.

Scontato, per noi, soggettività militanti che innocenza e colpevolezza sono
categorie dannose e distorte, che essere in attesa di giudizio o condannati poco
cambia. Dopodiché, da qualche parte che non siano le nostre granitiche certezze
bisogna partire per aprire contraddizioni e costruire consenso ad una battaglia
di libertà contro il carcere. Altrimenti accettiamo il terreno della finzione
dello “scontro totale” che necessita di ben più approfondite analisi e
riflessioni. Ma in quel caso perché fare gli “uccel di bosco” e poi costituirsi
usando l’alibi del gesto personale? Lì non serve più la continuità, ci si
inchina di fronte all’individuo, questa si massima personalizzazione
possibile.

Da quando tirano forti i venti della crisi si sente che qualcosa scricchiola,
c’è fragilità nel meccanismo ben oliato della riproduzione e dell’accumulazione
del comando capitalista sulla società. Quando Caselli a Torino, non a Palermo
ripete in continuazione la cantilena “mi sento solo”; quando i politicanti di
ogni sorta si ubriacano a suon di frasi fatte “siamo in democrazia, difendiamo
il vostro diritto a manifestare” senza disturbare troppo, perché nulla deve
inceppare il “sistema” in cui ingrassano i padroni, speculatori, devastatori,
sindacalisti vari, meschini individui, supposti amici e veri nemici. Quello che
accomuna un nostro ex alleato a Venaus nel 2005 Pecoraro Scanio, in pensione a
48 anni a quegli spaventapasseri bipartisan di Ghiglia ed Esposito.

Uno strano disgusto è quello provato dalla scenetta della maglietta sulla
Fornero con quel trombone di Diliberto che si smarca. Meno normale una Ministra
Fornero che dal suo punto di vista, di classe, dice “non ci hanno chiamato al
governo a distribuire caramelle” e si assume le sue responsabilità. E’ invece
penosa la signora che indossava la maglietta che per due giorni si è rinchiusa
in casa per la vergogna a piagnucolare. In questa storiella sta tutto lo schifo
di un certo modo di fare politica e sindacato a base di tarallucci e vino, pane
e democrazia, compromesso e mediazione, perché siamo tutti sulla stessa barca.
La signora lasci perdere t-shirt, video e foto, rispolveri qualche libro
novecentesco su chi è amico e chi è nemico, chi sta da una parte e chi sta
dall’altra parte della barricata.

Non ci si lasci imbambolare da Napolitano, non è sopra le parti, è parte del
problema. Alla retorica della democrazia come status quo per non cambiare mai
bisogna contrapporre la forza della partecipazione come diversità ed alterità al
quadro dominante. Lavoriamo perché prima o poi, non qualcuno ma pezzi

importanti di una nuova composizione di classe gliene chiedano il conto. Non
mi piace il gioco d’azzardo, però, siamo ambiziosi, aspiriamo nel nostro piccolo
a far saltare il banco.

A’ l’è Düra.

 

GIORGIO

Assemblea 5/3/2012 h17 sul diritto alla casa, per la nuova occupazione a boccea

A tre giorni dalla riapertura degli spazi di via Boccea 506 continua il presidio permanente.

Venerdì mattina siamo entrati in questi spazi abbandonati da oltre 15 anni dall’amministrazione e dalla proprietà.

In un quartiere come Casalotti dove la carenza di servizi e di luoghi di partecipazione va a braccetto con il costante aumento del prezzo degli affitti e dei mutui, uno spazio come questo viene utilizzato esclusivamente per speculazioni finanziarie.

Le amministrazioni di ogni ordine e grado usano la crisi per giustificare le loro inadempienze: non ci sono i soldi per il prolungamento della metropolitana, per le case popolari e per gli asili nido ma trovano i fondi per regalare appalti e posti di lavoro ad amici e parenti.

In queste giornate i cittadini e le realtà associative del territorio hanno condiviso la nostra iniziativa contribuendo alla pulizia e sistemazione degli spazi e partecipando attivamente alle iniziative. Da parte di tutti l’augurio e’ quello che una risorsa così preziosa non torni nello stato di abbandono in cui lo abbiamo trovato venerdì mattina.

Per questo abbiamo deciso di continuare a presidiare questi spazi e promuovere nella giornata di giovedì 5 aprile un’assemblea pubblica per immaginare e progettare insieme il loro futuro.

Vogliamo dimostrare che e’ possibile soddisfare esigenze collettive e bisogni individuali attraverso un percorso di partecipazione dal basso in cui i cittadini possano determinare il miglioramento della propria qualità della vita con soluzioni alternative alle logiche del profitto e della speculazione .

L’appuntamento per tutti e tutte è giovedì 5 aprile alle 17.00 in via Boccea 506.

 

Casa per tutte e tutti.

Giustizialismo e satrapia sono i due volti del comando, solo l’Indipendenza paga!

E’ in corso nel cuore dell’Europa fino alle sponde del Mediterraneo un nuovo processo costituente, che si dispone dal basso come nuda vita, contro la governance neoliberista, nel pieno di una guerra civile asimmetrica, dove le genti in lotta si confrontano contro i carri armati, dall’Egitto alla Grecia, dalla Tunisia all’Inghilterra. Siamo nella transizione di un paradigma, dalla guerra convenzionale tra Stati, alle odierne e asimmetriche guerre civili non convenzionali. Gli eserciti (del neoliberismo) contro i nuovi poveri
(del neoliberismo).

Nella crisi della misura del valore, nella crisi complessiva del processo di valorizzazione, si rompe anche il piano-sequenza
della politica come mediazione. La crisi della rappresentanza relega la governance al ruolo di una nuova poliziewisenschaft, in un progressivo distacco dalla realtà, dalla sua costituzione materiale, dalle leve concrete della precarizzazione. In Italia il parlamento vive da anni prevalentemente in funzione delle sue strategie mirate alla cooptazione e al controllo sociale.
Nel mentre affina le sue mappe per dare corpo all’accelerazione di un processo neo autoritario le cui origini in Italia sono note a tutti.

Però la particolarità del momento che sta attraversando il nostro bel paese, caso politico unico nel laboratorio della crisi e della decadenza globale, vive un passaggio delicato che si apre su un vero campo di forze, su una tensione polare che de facto produce uno scenario di guerra civile, politica e culturale. Lo abbiamo già letto e scritto nel dibattito di questa rivista. Si chiude una fase politica insieme all’apertura ad un nuovo ciclo economico, che ora s’incardina nella grande crisi, in quel
precipuo processo di transizione, dalla centralità dell’industria all’economia della conoscenza. Ma ovviamente l’unicità non sta in sé nella fine di una stagione politica che potremmo definire, berlusconiana. Anzi, per chiudere
questa fase si sta disponendo una preoccupante filosofia dell’emergenza autoritaria, della critica allo stato di eccezione rovesciata di segno e si fa sempre più strada l’ipotesi del paradosso dei paradossi, che sarebbe quello del ripristino dell’equilibrio istituzionale attraverso fondamentalmente un golpe eversivo. Interno ed esterno agli apparati dello Stato. Non è l’idea del defunto ministro K, ma quella di autorevoli esponenti dell’intellighenzia italiana. Il vuoto supposto della forza sociale di un processo costituente
viene riempito con la richiesta dell’ordine per il ripristino dell’ordine, formalmente democratico. I “grandi progetti” di far fuori il Cavaliere con i riti propiziatori di palazzo o con i dispositivi giudiziari a tratti alterni a
quelli morali, sono andati ben oltre le ipotesi più fantasiose che potevamo immaginare. In definitiva per la terza volta la Repubblica Italiana fa ricorso, per supplire alla mediocrità della politica, alla via giudiziaria. Prima, con
lo stato di emergenza e le leggi speciali evocate ed applicate per annichilire la spinta rivoluzionaria nel decennio caldo che è seguito in Italia al maggio francese, poi per disarcionare una classe politica corrotta nello scandalo tangentopoli, ora per reprimere l’asse di potere del Cavaliere divenuto un imbarazzante Nerone che con la sua lira sta lì a cantare le storielle mentre
ormai Roma brucia da anni, dopo averlo peraltro tutelato e protetto per anni nel suo conflitto di interessi. In ogni caso, per scelta, l’opposizione preferisce portare l’acqua con le orecchie agli apparati piuttosto che organizzare non dico la rivolta ma almeno un’opposizione sociale credibile. Quindi si apre un’enorme prateria che nemmeno il sindacato più grande d’Europa pensa di poter
condurre al cambiamento politico. In Italia e nella UE la crisi economica è soprattutto politica e culturale, e non riguarda l’intero sistema globale, riguarda invece precisamente il blocco occidentale e il patto atlantico che lega dalla fine della seconda guerra mondiale, gli interessi degli USA a quelli della Comunità europea (e sì, perché vista da una certa angolatura del pianeta, il sistema capitalistico non è in crisi ovunque. In Cina o in Brasile la cosi detta crescita è infatti a due cifre). Non è la fine del mondo, ma di una parte
del mondo in cui l’Italia è integrata. Le guerre civili e le catastrofi ambientali divengono però le somme del neoliberismo, quello sì globale. Le immagini delle rivolte assumono un contorno sfumato nei confini delle geografie politiche, culturali, finanche antropologiche della nuova modernità. Il vento del sud è un vento di libertà, certo, contro la tirannide della classe politica
corrotta e venduta al mercato. Ma le differenze dei diversi orizzonti dei conflitti oggi non ci permettono riduzioni semplicistiche e banali. Dalle rivolte nel cuore dell’Europa e del mediterraneo si aprono sicuramente nuove prospettive. Ma le rivolte al centro del sistema di accumulazione finanziaria come quelle di Londra, Roma, Parigi, Atene, segnalano la novità nel cuore dell’innovazione e del decantato benessere (Do you remember welfare state?).

L’irrompere di un nuovo protagonismo sociale dei movimenti contro l’austerity, contro il piano capitalista dell’exit strategy dalla crisi, ovvero da quella stessa crisi che il piano capitalista ha provocato, è il nodo politico centrale che spaventa i potenti e che comincia a far paura. E lì nel punto più avanzato della contraddizione, nei suoi perimetri formali, che si accumula forza per il cambiamento dopo due decenni di egemonia del pensiero neoliberista. Ormai in massa territori si ribellano contro le grandi opere del comitato di affari delle speculazioni finanziarie e delle devastazioni ambientali. Da una punta all’altra della penisola riemerge con più forza ancora,
l’oscenità del conflitto sociale, fino a quella piazza del popolo e al fascino della sua lotta. E’ necessario quindi organizzarci. Immaginare una rivolta costituente nel nostro paese. Cominciare a dare seguito e spazio costruttivo alla rabbia della generazione precaria, bloccare ad oltranza questo paese, dare spazio ad uno sciopero, sociale, civile, ad uno sciopero precario! E insieme costruire la
piattaforma del possibile e non quella del presente, del desiderio e non quella della legge. Riprendiamoci la parola Libertà e lasciamo ad altri le regole.
Dobbiamo reinventare l’intelaiatura e lo schema delle così dette istituzioni, dobbiamo rifondarle. Abbiamo bisogno delle istituzioni del comune, per la nuova “regolazione” dal basso che parta dall’attacco ai profitti per generare e
riconoscere quella ricchezza socialmente prodotta dalla moltitudine precaria, permanentemente al lavoro, tra produzione formale ed informale, materiale ed immateriale, senza reddito adeguato e diritti riconosciuti.

Dobbiamo insorgere per un diritto comune, una nuova “magna charta” a partire dalla forma
materiale della costituzione, per la sovranità e l’autogoverno, oltre il nuovo
welfare, possiamo e dobbiamo necessariamente costruire e cooperare per un nuovo
modello di società!

In gioco c’è qualcosa in più di una riforma.

Dobbiamo riscrivere la nostra costituzione, cioè ridare forma alla forma, per diffondere e sostenere l’utopia necessaria.

Rafael Di Maio

*articolo uscito per Loop n° 13 Aprile/Maggio 2011

 

 

 

La riappropriazione non è reato. Reddito e diritti per tutti!

ll 6 novembre 2004 dopo mesi di mobilitazioni e riunioni in tutta Italia veniva organizzata a Roma una grande manifestazione per la richiesta di un reddito garantito per tutti e tutte.

Gli stessi movimenti che organizzarono quella manifestazione realizzarono anche delle azioni simboliche sul carovita e sull’accesso a beni e servizi per una vera redistribuzione della ricchezza. L’iniziativa effetuata al supermercato Panorama nella zona di Pietralata fu trasformata immediatamente dall’allora Governo Berlusconi, dal Ministero dell’Interno, dal centro-sinistra e dai media in nuovo episodio di “esproprio proletario”, per l’ennesima volta veniva riesumata la cartina di tornasole degli anni ’70 e il terrorismo e la risposta a quella giornata fu un’ accusa di concorso in rapina pluriaggravata per 105 persone.

Mercoledì 28 Marzo 2012, una sentenza del Tribunale di Roma assolve tutti gli imputati di quel processo perchè il fatto non sussiste. Non esiste la rapina perchè quell’azione era una dichiarazione della crisi che sarebbe venuta, dell’aumento della povertà della società italiana e della progressiva sottrazione di diritti e garanzie. Era un’azione politica per affermarel’impoverimento di tutti noi, precari, disoccupati, migranti, cittadini e cittadine, lavoratori a tempo indeterminato, donne e uomini di questo paese. Non certo un’iniziativa di una banda di criminali.

Allora entavamo in quel supermercato parlando di shopsurfing, del nostro paniere precario e della necessità di avere nuovi diritti di cittadinanza, nuove garanzie sociali. Oggi, purtroppo, la precarietà è generalizzata grazie ai governi di centrodestra e centro sinistra, ha travalicato  i muri dei posti di lavoro – anche quelli cosiddetti garantiti – e ha travolto le vite di milioni diitaliani di tutte le età, diventando un vero e proprio sistema di controllo disciplinare.

La crisi sta trascinando via gli ultimi residui di diritti e la nuova riforma del mercato del lavoro è un lampante esempio di come la stessa ricetta venga riproposta con ancora più vigore. Ma quest’assoluzione dimostra, di fronte alla fine di ogni mediazione sociale, l’unica capacità rimasta ai poteri forti: quella di reagire con criminalizzazione e ordine pubblico cercando di isolare e additare i movimenti sociali,  i precari che i organizzano o chi si batte per la difesa deibeni comuni come portatori di violenza e sopraffazione.
La verità è che in Italia come nel resto dell’Europa che conosciamo da troppi anni c’è un’indicazione conservatrice e fortemente ideologica che propaganda la soluzione del mercato come unica possibile soluzione e via d’uscita, che sacrifica la vita di tutti/e noi per l’esclusiva produzione di profitti.

Oggi diciamo che è ora di trasformare questo paese rimettendo al centro le pratiche di conflitto contro le politiche di austerity. Le lotte contro i processi di precarizzazione si caratterizzano ancora una volta come lotte per la libertà. Per questo non ci fermeremo ma anzi rilanciamo nuove mobilitazioni contro il caro-vita, le politiche di austerity e la riforma del mercato del lavoro. La chiusura di questo processo afferma il carattere persecutorio nei confronti delle opposizioni sociali, così come sta avvenendo attualmente nei confronti del movimento no-tav, che vede rinchiusi nelle carceri i compagni e le compagne a cui vengono applicate restrizioni da carcere speciale come il 41 bis. A loro va il nostro pensiero e la richiesta immediata ed incondizionata della loro liberazione.

Oggi splende anche il sorriso di Antonio, nostro fratello imputato di quel processo e morto nel mentre per la precarietà del lavoro, che afferma beffardamente: “il Re è nudo”.

Laboratorio Acrobax