4 Settembre giornata di mobilitazione nazionale dei precari della scuola

Appuntamento a Roma dalle ore 15 sotto Il Provveditorato via Pinaciani 

Intervista a Massimo del Coordinamento Precari della Scuola

 Il Governo ha tentato di far credere all’opinione pubblica che poco più di 11mila assunzioni nella scuola rappresentano una novità nel quadro della crisi attuale? qual è la realtà attuale nel mondo della scuola? quali sono i punti critici del decreto e quali le vostre proposte?

1. La realtà, quella vera, è di dieci a uno. Voglio dire che le 11.000 assunzioni vanno confrontate con i 100.000 incarichi annuali che vengono assegnati non come supplenze, ma su cattedre vuote, e questo ogni singolo anno scolastico. Perché non assumere allora se i posti ci sono? Semplice, per poter licenziare. La scuola viene da un periodo di tagli fortissimi realizzati con la famigerata legge 133 e la cosiddetta riforma Gelmini. In questi anni cioè sono stati licenziati circa 100.000 precari, con l’impoverimento che ne consegue per la scuola pubblica, insieme all’aumento degli alunni per classe, il taglio delle ore, il licenziamento anche del personale ATA. I numeri della Carrozza sono persino inferiori all’ultimo piano assunzioni Gelmini, e sempre vincolati dal Tesoro e dalla riforma delle pensioni Fornero. Non accettiamo quindi la logica del “si salvi chi può”, del “siete l’unico comparto pubblico in cui si assume”: lo si fa perché la popolazione scolastica in Italia cresce e non si possono lasciare le classi scoperte e, soprattutto, perché su 1 assunto gli altri 9 sono pronti per essere licenziati. Le voci sul rinnovo del CCNL infatti sottobanco lasciano riaffiorare l’idea dell’aumento dell’orario di lavoro, che peggiora le condizioni di chi è dentro e permette di licenziare chi non è stabilizzato. Le richieste che facciamo sono quindi molto semplici: sui posti vacanti si deve assumere, non darli come supplenze mantenendo il precariato; la riforma Gelmini va ritirata. Solo così si può dare una speranza a chi ancora adesso si prepara per diventare insegnante: le nuove abilitazioni non possono essere fatte solo per finanziare l’università e poi lasciare i neo abilitati ad ingrossare un esercito che conta già 200.000 persone.

Lunedi 2 settembre si è svolta l’occupazione del provveditorato in via Pianciani a Roma, quali sono le rivendicazioni del coordinamento dei precari della scuola?

2. Lunedì 2 settembre come Coordinamento Precari Scuola abbiamo occupato il CSA di Roma innanzitutto per fare opera di contro-informazione. Era necessario far aprire all’opinione pubblica che le assunzioni di cui tanto si parla sono in effetti una briciola nel mare delle cattedre vacanti assegnate ogni anno ai precari. Abbiamo quindi chiesto di incontrare il Ministro Carrozza per avere un confronto pubblico proprio su questo, dopo che tre di noi l’avevano già intercettata in un tour promozionale dei provveditorati, chiedendole di incontrarla come lavoratori e ricevendo le solite risposte che non dicono nulla. Durante l’occupazione di lunedì intanto una delegazione è stata ricevuta dalla dott.ssa Novelli, la direttrice dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio, quello che si è segnalato nei media gli ultimi giorni per essere il fanalino di coda nell’espletamento delle procedure del concorso beffa. Tutto rimandato al 2014/2015. La Novelli, oltre al fastidio per pratiche che ha definito demodé quali le occupazioni, non potendo giustificare il clamoroso ritardo nel concorso, ha d’altro canto difeso in toto il piano politico del Ministero, ripetendo la solita litania sulle assunzioni “meglio questo che niente”. Per questo la giornata di lunedì, tutt’altro che essere un rituale ripetitivo, ha avuto il merito di svelare la falsità delle dichiarazioni propagandistiche e di rilanciare la mobilitazione a partire dal 4 Settembre, quando alle 15,00 davanti al Provveditorato ci sarà un presidio nel quale le nostre coreografie ribadiranno il rifiuto di essere usati e gettati via ogni anno, con la richiesta del ritiro dei tagli e delle assunzioni.

Quali sono le prossime tappe della mobilitazione? ci racconti l’appuntamento che è stato indetto domani davanti ai provveditorati in diverse città?

3. Lo stesso presidio avverrà in altre città di Italia, tutte con la stessa parola d’ordine. So ad esempio che a Ravenna sono state preparate magliette tipo calciatore, in cui il numero indica gli anni di precariato e altri elementi di carriera. Ieri una assemblea di lavoratori della scuola è stata fatta a Milano e adesioni ci sono anche da Napoli e altre città, mentre a Firenze alcuni colleghi precari hanno incontrato il Ministro Carrozza, che ha riservato loro un trattamento simile al nostro. Noi oggi vogliamo essere tanti. Far capire ai colleghi che il precariato non è casuale, né una ferrea necessità. La diminuzione delle assunzioni aumenta le potenzialità di licenziamento e questo è rischiosissimo a ridosso della discussione del rinnovo del contratto. Una contrattazione che avverrà dopo che gli ultimi anni hanno mortificato il potere d’acquisto dei salari, quindi in una situazione di forte ricattabilità dei lavoratori. Oggi pomeriggio dobbiamo essere tanti, per dire che non siamo disposti a essere usati e gettati via. Che noi lavoro e scuola pubblica li difendiamo.

Appello internazionale contro la criminalizzazione del movimento NoTav

Appello internazionale di docenti e intellettuali contro la criminalizzazione del movimento No Tav

Ringraziamo con calore tutte le firmatarie e tutti i firmatari, e in particolare Silvia Federici (della Hofstra University, New York) per aver promosso questo appello.

Pubblichiamo la traduzione italiana dell’appello e di seguito la versione originale.

Movimento NO TAV di nuovo sotto attacco

Da vent’anni nelle montagne del nord-ovest Italia, non lontano da Torino, un potente movimento è cresciuto, resistendo al piano del governo italiano di costruire una linea ferroviaria ad alta velocità che, oltre ad essere molto costosa ed economicamente inutile, distruggerebbe certamente l’ambiente montano. Più e più volte il movimento NO TAV, ormai ben conosciuto in tutta Europa, è stato oggetto di attacchi da parte delle forze dell’ordine e dell’esercito, oltre ad essere oggetto di una campagna denigratoria da parte dei politici di praticamente ogni colore. Tuttavia, così forte è stata la determinazione del popolo della Val di Susa e dei suoi numerosi sostenitori nel resistere a questo attacco alla loro terra e alle loro vite, che finora nessuna vera costruzione ha avuto luogo e tutto ciò che le aziende responsabili del progetto hanno raggiunto è stato quello di recintare migliaia di ettari di terra, appartenenti alla popolazione locale, con filo spinato e poliziotti.

È ormai generalmente riconosciuto, anche a livello dell’UE, che la costruzione della linea ad alta velocità sia inutile, al punto che alcuni  dei paesi partecipanti si sono già ritirati dal progetto. Tuttavia, il governo italiano ha ulteriormente intensificato il suo attacco contro la resistenza al TAV, con la piena militarizzazione della Val di Susa. Come hanno più volte denunciato gli abitanti di questa bellissima valle storica, situata vicino al confine con la Francia e centro della resistenza partigiana al Fascismo e al Nazismo negli anni ’40, nessuno sforzo è stato risparmiato per reprimere ideologicamente e fisicamente la legittima protesta dei residenti della valle, la quale dovrebbe sopportare ogni giorno le conseguenze del TAV. Il territorio della Val di Susa è già stato interamente ricoperto di gas lacrimogeni, e molti sono stati arrestati, feriti, e alcuni sono addirittura morti a causa della scandalosa determinazione del governo nel completare questo lavoro indipendentemente dalle sue conseguenze devastanti per la popolazione della valle.

Ora un nuovo violento attacco contro il movimento No Tav è in corso, il che richiede una risposta chiara da parte di tutti coloro che, dentro e fuori l’Italia, credono che la distruzione sistematica del nostro ambiente e la violazione dei bisogni e delle esigenze più elementari della gente siano crimini che riguardano tutti e tutte noi e che non dobbiamo tollerare.

Lunedì mattina, 29 luglio, la DIGOS – il ramo politico della polizia – ha fatto irruzione in decine di abitazioni a Torino e in Val di Susa. Dodici compagni e compagne sono stati costretti ad aprire le loro case agli agenti, che hanno poi proceduto nella ricerca di materiali compromettenti, presumibilmente legati alla loro protesta contro la recinzione dei terreni della valle con reti di filo spinato. Incaricata di cercare esplosivi e altre armi, la polizia ha fallito in questo obiettivo, ma ha sequestrato tutti i materiali audiovisivi e atti alla telecomunicazione che potevano trovare, chiaramente il vero obiettivo della ricerca. Come ha detto uno degli attivisti perquisiti: “Sono venuti per le armi, se ne sono andati con i computer e telefoni”.

L’operazione ha incluso il ristorante La Credenza – un nome che in italiano significativamente indica sia ‘fede’ che ‘dispensa’ – un luogo pubblico di incontro e di aggregazione per i No Tav in Val di Susa, dove si trovano anche i sindacati dei lavoratori e le associazioni politiche . Questo è un luogo dove ogni giorno le persone si incontrano per discutere di attualità, soprattutto in riferimento alla lotta, così come per condividere del cibo e un bicchiere di vino. Chiunque vada a Bussoleno, il cuore della lotta NO TAV, vi ci passa, per avere la possibilità di parlare con la gente locale, informarsi sugli eventi in corso e gustare un’ottima cena. Ma i magistrati lo dipingono come un luogo di cospirazione, per sostenere l’accusa che motiva l’operazione: coinvolgimento in “attacchi con finalità terrorista e sovversiva”.

Chiunque sia stato in Val di Susa o abbia seguito la lunga storia della protesta che la sua gente ha lanciato contro il TAV, sa che questa accusa è falsa, oltraggiosa, ed è un classico esempio di come incolpare le vittime. Non sorprende che le “prove” siano fabbricate.

In una delle case perquisite, è stata trovata una mappa della valle con dei marcatori di segno su di essa. La giovane donna che vi abita è un membro del Legal Team per il movimento, e la mappa è parte del materiale che doveva sottoporre alla difesa nei processi che sono già in atto nei confronti di alcuni dei suoi membri. Su di essa sono contrassegnati i luoghi dove nel 2011 diverse persone sono state brutalizzate dalla polizia. Ma, secondo gli inquirenti, la mappa dimostra l’esistenza di un movimento di guerriglia organizzato militarmente.

Allo stesso modo, bottiglie di birra presumibilmente trovate nell’area del cantiere vengono presentate come evidenza della presenza di bombe molotov, senza che vi sia alcuna prova che abbiano mai contenuto altro che birra. Anche le magliette nere sono state sequestrate, anche se è difficile immaginare che cosa potrebbero provare. Ma il significato dell’operazione di polizia viene fuori più sfacciatamente laddove i magistrati affermano che i perquisiti sono indagati come sospettati di “attacchi con finalità terroristica.”

In sintesi, l’obiettivo di questa nuova operazione è quello di aumentare l’attacco al movimento rappresentandolo, legalmente e attraverso i media, come un movimento “terrorista” – una mossa che ha evidentemente l’intento di spaventare i suoi sostenitori, scagliare l’opinione pubblica contro il popolo della Val di Susa e legittimare ogni violenza che lo stato ritiene opportuna per scatenarsi contro di loro.

Non pensiamo che questa operazione avrà successo. Gli abitanti della Val di Susa hanno combattuto i fascisti, hanno combattuto i nazisti e per 20 anni sono stati in grado di respingere il tentativo del governo italiano di distruggere le loro montagne, già attraversato da numerose linee ferroviarie e da una strada di recente costruzione. Tuttavia non dobbiamo sottovalutare la volontà del governo di schiacciare questo movimento. Questo fatto sembra essere l’obiettivo primario di questa operazione, dato che i rapporti indicano che, anche da un punto di vista capitalistico, il progetto TAV è destinato a rivelarsi economicamente irrealizzabile. Perché perseguirlo poi con così tanta ostinazione, fino al punto di calpestare la vita di migliaia di persone? Forse perché il governo italiano non può ammettere che quando la gente lotta in modo unito può vincere? O è che i profitti che le aziende private farebbero avrebbero più importanza del fallimento del progetto di portare alcun beneficio al paese nel suo insieme e inoltre superare così l’immensa agonia e la perdita inflitta al popolo della Val di Susa?

La politica in questi giorni ha un carattere surreale. Menzogne, distorsioni, discussioni motivate ​​esclusivamente dai più stretti motivi economici privati ​​sono all’ordine del giorno. Ma il carattere fittizio delle accuse mosse contro le vittime delle perquisizioni non deve ingannarci circa i danni che possono infliggere. Come minimo questi attacchi stanno costringendo un movimento a ri-incanalare le proprie energie dalla lotta contro il TAV  alla difesa di coloro sotto attacco.

Questo è il motivo per cui dobbiamo sostenere gli attivisti NO TAV sotto inchiesta, dobbiamo allargare il nostro sostegno per la lotta NO TAV e inviare un chiaro messaggio di protesta al governo italiano, chiedendo che cessi la persecuzione degli attivisti No TAV e che ponga fine al progetto del TAV stesso.

Si prega di firmare la dichiarazione-affiliazione seguente solo a scopo di identificazione:

Chiediamo con forza al governo e alla magistratura di:

* Terminare il suo uso arbitrario della legge per perseguitare gli attivisti No TAV;

* Cessare le indagini contro le dodici persone le cui case sono state perquisite;

* Fermare la militarizzazione della Val di Susa;

* Ascoltare la legittima protesta del popolo della Val di Susa e abbandonare il progetto TAV, che ha già causato tante sofferenze a tante persone.

Alexander Anievas, Research Fellow, Cambridge University, Uk

Dr. Dario Azzelini, Johannes Kepler Universität, Linz  (Austria)

Erika Biddle-Stavrakos, York University, Toronto. Canada

Prof. Dusan Bjelic, University of Southern Maine

Werner Bonefeld, University of York, UK

Michaela Brennan, Ann Harbor, USA

George Caffentzis, Professor Emeritus, University of Southern Maine, USA

Chris Carlsson, Shaping San Francisco, San Francisco, CA, USA

Irina Ceric, Osgoode Hall Law School, York University, Toronto

Harry Cleaver, Emeritus, University of Texas, Austin, USA

William T. Cleaver, Austin, Texas, USA

Mitchel Cohen, Brooklyn Greens, Green Party, Former Chair WBAI Radio. N.Y., USA

Laura Corradi, Universita’ della Calabria

Dan Coughlin, New York, USA

Laurence Cox, National University of Ireland Maynooth, Ireland.

Patrick Cuninghame, Sociology Lecturer, Universidad Autonoma Metropolitana, Mexico City

Massimo De Angelis, The commoner.uk, London, UK

Federico Demaria, Universitat Autònoma de Barcelona, Spain

Dagmar Diesner, The commoner.uk, London, UK

Salvatore di Mauro, editor, Capitalism, Nature and Socialism. USA

Anna Dohm, Interventionist Left Germany

Sara R. Farris, Goldsmiths, University of London

Silvia Federici, Emerita, Hofstra University, Hempstead, N.Y.

Jim Fleming, Autonomedia, New York

Michael Hardt, Duke Univerity, Durham, North Carolina

Dr David Harvie, University of Leicester, UK

Conrad M. Herold, Dept of Economics, Hofstra University, Hempstead, N.Y.

Yaiza Hernández Velázquez, CRMEP, Kingston University, London

John Holloway, Professor, Benemérita Universidad Autónoma de Puebla, Mexico

Brian Holmes, art and cultural critic, Chicago

Andrej Hunko, MP for the German Bundestag

Fiona Jeffries, Simon Fraser University, Vancouver, Canada

Lewanne Jones, Autonomedia, New York. USA

Nancy Kelley, HIRC of Harvard Law School, Cambridge, Massachussetts

Sabu Khoso, New York. USA

Peter Linebaugh, Toledo, USA

Federico Luisetti, University of North Carolina at Chapel Hill, North Carolina

Mari Lukkari, journalist, Finland

Caitlin Manning, California State University, Monterey Bay.

Barry Hamilton Maxwell, Cornell University, Ithaca, N.Y., USA

Massimo Modonesi, Coordinador del Centro de Estudios Sociológicos, Facultad de Ciencias Políticas y Sociales

Universidad Nacional Autónoma de México

Donald Monty Neill, Boston, USA

John Malamatinas, Cologne-Germany

Pablo Mendez, University of British Colombia, Vancouver

Cristina Rousseau, Doctoral Candidate, York University, Toronto.

Stevphen Shukaitis, University of Essex, UK

Marina Sitrin, CUNY Graduate Center, N.Y. USA

Konstantine Stavrakos, environmental lawyer, Toronto.

Alberto Toscano, London, UK

Kevin Van Meter, Team Colors Collective & University of  Minnesota (Graduate Student), Minneapolis, MN

Chris Vance, Vancouver, Canada

Dr Peter Waterman Institute of Social Studies, The Hague (retired)

John Willshire-Carrera, HIRC of Harvard Law SchoolCambridge, Massachussetts.

NO TAV movement again under attack

For twenty years in mountains of North West Italy, not far from Torino, a powerful movement has grown that has resisted the Italian government’s plan to build a high velocity railroad, which in addition to being very costly and economically useless would certainly destroy the mountain environment. Over and over, the NO TAV movement, now well-known throughout Europe, has come under attack by the police and the army, besides being the object of a smear campaign by politicians of almost every political stripe. However, so strong has been the determination of the people of Val di Susa and their many supporters to resist this assault on their land and their lives that so far no real construction has taken place and all that the companies in charge of the project have achieved has been to surround thousands of acres of land, belonging to the local population, with barbed wires and cops.

It is now generally recognized, even at the EU level, that the construction of the high velocity railroad is unnecessary, so that some participant countries have already withdrawn from the project. Nevertheless, the Italian government has even further intensified its attack on the resistance to the TAV trains, with the full militarization of Val di Susa. As the villagers of this beautiful historic valley, near the border with France, the center of the partisan resistance to Fascism and Nazism in the ‘40s, have repeatedly denounced, no effort has been spared to repress ideologically and physically the legitimate protest of the residents of the valley who would bear every day the consequences of the TAVS. Already the land of Val di Susa has been drenched with tear gas, and many have been arrested, wounded, and some have even died because of the government’s outrageous determination to complete this work regardless of its devastating consequences for the people of the valley.

Now a new violent assault on the No Tav movement is unfolding that demands a clear response by all those in and out of Italy who believe that the systematic destruction of our environment and the violation of people’s most basic needs and demands are crimes that affect us all and we should not tolerate.

On Monday morning, July 29, the DIGOS – the political branch of the police – has raided dozens of homes in Torino and in Val di Susa. Twelve comrades have been forced to open their houses to its agents, who have then proceeded to search for incriminating materials, presumably related to their protest against the enclosure of the land of the valley with hedges of barbed wire. Instructed to look for explosives and cutters, the police have failed in this goal, but they have confiscated all the audio-visual and telecommunication materials they could find, clearly the real objective of the search. As one of the activists raided put it: “They came for weapons, they left with computers and phones”.

The raid has included the restaurant La Credenza – a name that in Italian significantly means both ‘faith’ and ‘pantry’ – a public place of meeting and aggregation for No TAVS in Val di Susa, where workers’ unions and political associations are also located. This is a place where every day people meet to discuss current events, mostly relating to the struggle, as well as share some food and a glass of wine. Whoever goes to Bussoleno, the heartland of the NO TAV struggle, passes through it, to have a chance to talk to local people, check on current events, and have a great dinner. But the magistrates paint it as a place of conspiracy, to support the charge that motivates the raid: involvement in “attacks with terrorist and subversive intent.”

Anyone who has been in Val di Susa, or has followed the long history of the protest its people have mounted against the TAV knows this charge is false, outrageous, and is a classic example of blaming the victims. Not surprisingly the “proofs” are manufactured.

At one of the houses raided, a map of the valley was found with marker-signs on it. The young woman living there is a member of the Legal Team for the movement, and the map is part of the material that she was to submit to the defense in trials that are already taking place against some of its members. On it, the sites are marked where in 2011 several people were brutalized by the police. But according to the investigators, the map proves the existence of a militarily organized guerrilla movement.

Similarly, beer bottles presumably found on the construction site are presented as evidence for the presence of Molotov cocktails, no proof given that they ever contained anything but beer. Black T Shirts too were confiscated, though it is hard to imagine what they could prove. But the meaning of the police operation comes forth most blatantly where the magistrates state that those raided are investigated as suspects of “attacks with terrorist intent.”

In sum, the goal of this new operation is to escalate the assault on the movement by representing it, legally and through the media, as a ‘terrorist’ movement – a move obviously intended to scare its supporters, turn public opinion against the people of Val di Susa, and legitimize any violence the state will deem fit to unleash against them.

We do not think this operation will succeed. The people of Val di Susa have fought the fascists, have fought the Nazis, and for twenty years they have been able to push back the attempt of the Italian government to destroy their mountains, already traversed by many railroad lines and a recently constructed highway. However, we should not underestimate the will of the government to crush this movement. This in fact appears to be the primary objective of the present operation, as reports indicate that, even from a capitalist viewpoint, the TAV project is turning out to be economically unfeasible. Why to pursue it then with so much obstinacy, to the point of stomping over the lives of thousands of people? Is it because the Italian government cannot admit that when people struggle in a unified way they can win?  Or is it that the profits that private companies would make would outweigh the failure of the project to bring any benefit to the country as a whole and outweigh as well the immense agony and loss inflicted on the people of Val di Susa?

Politics these days has a surreal character. Lies, distortions, arguments motivated solely by the narrowest of private economic motives are the order of the day. But the fictitious character of the charges brought against the victims of the raid should not deceive us about the damage they can inflict. At the very least these attacks are forcing a movement to re-channel its energies from the struggle against the TAV to the defense of those under attack.

This is why we need to support the NO TAV activists under  investigation, we need expand our support for the NO TAV struggle, and send a clear message of protest to the Italian government, demanding it ends the persecution of the No TAV activists and put an end to the TAV project itself.

Please sign the following statement –affiliation for identification purpose only:

We urge the Italian government and judiciary to:

*End its arbitrary use of the law to persecute No TAV activists;

*Cease the investigation against the twelve people whose homes have been raided;

*Stop the militarization of Val de Susa;

*Listen to the legitimate protest of the people of Val de Susa and abandon the TAV project, which has already caused so much suffering to so many people.

www.infoaut.org

 

Per la costruzione di coalizioni moltitudinarie in Europa – Toni Negri

Scusate se la prendo da lontano. Vorrei infatti chiedermi prima di tutto che cosa vuol dire “far politica oggi” e risalire poi al tema Europa. Far politica sul terreno dell’autonomia, vale a dire assumendo il punto di vista del soggetto sovversivo e di conseguenza analizzando le figure e i modi di agire del proletariato precario-cognitivo. Ritrovo infatti i bisogni e i desideri di questo soggetto come dispositivo centrale, virtualmente egemonico, nell’analisi dei movimenti della moltitudine dominata e sfruttata nella sua lotta contro l’ordine capitalista.

 

Ci sono due argomenti, meglio, due topoi che vanno assunti affrontando questo tema. Il primo è oggettivo, bisogna cioè chiedersi che cosa significa porsi dentro lo sviluppo capitalistico nella fase critica dell’egemonia neoliberale. Potremmo anche, probabilmente, cominciare ad interrogarci sui “limiti del capitalismo”, togliendo tuttavia di mezzo preventivamente ogni previsione catastrofica comunque questa si presenti ed ogni nostalgia di una tradizione attestata da troppo tempo su questa illusione. Il contesto capitalistico è oggi caratterizzato dal dominio del capitale finanziario che sta consolidando la sua azione dopo una lunga transizione, che risale almeno alla seconda metà degli anni ’70. L’abbiamo ampiamente seguita, questa evoluzione, e spesso anticipata nel nostro lavoro collettivo: vediamone dunque semplicemente le conclusioni. Il capitale finanziario è egemone, non lo si può più definire come facevano Marx e Hilferding, poiché esso si è fatto capitale direttamente produttivo: cerca oggi la sua stabilizzazione esercitando attività estrattive sia nei confronti della natura e delle sue ricchezze, sia nei confronti del biopolitico-sociale (cioè del welfare). Quando parliamo di consolidamento del potere del capitale finanziario ne parliamo ipotizzando (ed è una ipotesi che si avvicina ormai ad una verifica conclusiva) che la trasformazione del capitalismo abbia comportato (tra l’altro – ma l’osservazione è tanto limitativa dell’analisi, quanto importante per concentrare quest’ultima su quanto ci interessa) – abbia dunque comportato una assai profonda trasformazione delle forme territoriali e delle strutture istituzionali nell’assetto globale degli Stati e delle nazioni nel “secolo breve”. Questa trasformazione comincia all’interno dei singoli mercati nazionali dove, in ciascuno di essi, la struttura produttiva capitalistica è riorganizzata dopo la prima Grande Guerra (rispondendo al trionfo della rivoluzione bolscevica), secondo moduli contrattuali keynesiani. Nel secondo dopoguerra e dopo le “ricostruzioni”, questo modulo di organizzazione sociale e di comando capitalista comincia ad essere fragilizzato e talora a saltare sotto la pressione operaia: è allora che comincia la rivoluzione neoliberale a partire dalla fine degli anni ’70 con una straordinaria accelerazione all’inizio del XXI secolo. Essa riorganizza innanzitutto lo Stato secondo modalità fiscali nella gestione della crisi e nella governance del debito pubblico. Il procedere della mondializzazione che interviene in quel periodo e l’affermazione globale dei “mercati finanziari” spostano il controllo delle possibilità debitorie dello Stato dal potere pubblico alle strutture che organizzano il privato, dall’equilibrio dell’amministrazione interna  dello Stato all’equilibrio costruito sotto il dominio dei “mercati” globali.

 

È a questo punto che si dà una definitiva frattura fra il nuovo ordine capitalistico globale e i soggetti che vivevano nel precedente ordinamento capitalistico dei singoli Stati-nazione – in quell’ordinamento “riformista” del capitale, cioè, che avendo introdotto keynesianamente il movimento operaio nel contratto sociale, ne disciplinava i comportamenti secondo regole cosiddette “democratiche”. Se nello Stato fiscale, presto pervenuto alla crisi, il debito statale aveva assunto quel ruolo di anticipazione della spesa che prima aveva avuto l’inflazione (in senso opposto, come strumento di devalorizzazione della spesa) e se presto la fiscalità non è più sufficiente a sostenere il debito promosso dallo Stato – se dunque la struttura del debito muta e il neoliberalismo, facendo del mercato la regola dello sviluppo e dei “mercati” la giustizia del pianeta, impone la privatizzazione globale del debito…. dato tutto questo, la crisi capitalistica si presenta oggi come impossibilità di far agire all’interno dello sviluppo stesso qualsiasi elemento di mediazione, qualunque  struttura contrattuale, insomma il keynesismo in tutte le diverse accezioni riformiste che esso possa eventualmente assumere. D’altra parte, questo sviluppo (se riguardato dal punto di vista delle lotte del soggetto sovversivo) ci restituisce un modulo assai consistente di lotta di classe. Da un lato tutti coloro che possono partecipare all’”interesse” (cioè al profitto monetario – alla partecipazione alla pratica globale dell’usura dei mercati privati e/o semipubblici) costruito sul mercato finanziario; dall’altro lato tutti coloro che considerano l’esercizio della loro forza-lavoro reso socialmente utile dal loro “stare insieme” e quindi dall’esigenza (bisogno e desiderio) di essere garantiti nel corso della loro vita non dal perdurare della barbarie del privato possesso ma dal possibile godimento dell’accesso al comune. E non c’è “nessuna classe media” fra queste due realtà etiche.

 

Il secondo presupposto è soggettivo, ne abbiamo accennato le caratteristiche etiche – ora si tratta di studiarne (anche in questo caso riassumendo un lavoro collettivamente compiuto) l’ontologia della produzione. In essa si ricompongono dunque le modificazioni intervenute nella composizione della classe lavoratrice. Essa non è più (come da molto tempo si sa) “operaia” in senso esclusivo, tanto meno può essere qualificata come centrale nei processi di valorizzazione – la dimensione immateriale, intellettuale, cooperativa e la rete (come tessuto di ogni attività produttiva)  sono diventati gli elementi centrali della valorizzazione produttiva. La forza-lavoro si è dunque radicalmente modificata. Nessuna nostalgia della vecchia classe operaia. Impegno, invece, a ritrovarne le stigmate nel continuum della “disindustrializzazione”, determinata (non tanto dal capitale finanziario quanto) dall’automazione industriale e dalla sua espansione a tutto il sistema dei servizi produttivi (sicché anche l’operaio industriale è oggi lavoratore immateriale). La radicalità di questa modificazione è estrema. Altrove abbiamo definito l’insieme della forza-lavoro nella sua dimensione di soggetto sfruttato nello sviluppo del capitale finanziario come un composto da individui “indebitati, mediatizzati, securizzati, rappresentati”. In questo quadro lo sfruttamento avviene assumendo la società come totalità, investe e sussume l’intera società. È uno sfruttamento estrattivo. La qualità estrattiva dello sfruttamento significa che l’analitica “temporale” (quella marxiana, per esempio) delle figure e delle quantità di pluslavoro e di plusvalore, dev’essere rivista e analizzata secondo nuovi criteri. È qui infatti che il capitale finanziario si segnala come potente agente di un’”estorsione” compatta e massificata di plusvalore, come mistificatore di ogni assemblaggio di lavoro cooperativo e infine – in tal modo – come forza estrattiva del comune. Nel concetto di “estrazione” si modifica quindi quello di “sfruttamento”. “Estrazione” significa appropriazione di plusvalore attraverso una continua scrematura dell’attività sociale, la riduzione delle singolarità che cooperano nella produzione sociale (e che così esprimono comune) ad una massa che ha perduto ogni controllo di se stessa ed ogni autodeterminazione, la trasformazione dell’imprenditorialità capitalista in una funzione ormai incapace di organizzare il lavoro, immersa nel gioco finanziario e solo attenta alle cedole azionarie. Il concetto marxiano di sfruttamento sembra così pateticamente lontano – nella sua insistenza sulla temporalità della giornata lavorativa e dello sfruttamento individuale che in essa si misura. Se non fosse che la massa esiste solo nella logica del capitale finanziario (come il popolo in quella dei sovrani). Mentre la vita sfruttata è singolare. Da questo punto di vista, dunque, le soggettività implicate in questo sviluppo del capitalismo, espropriate come massa, sfruttate come singolarità, avvertono che la frattura sociale, meglio, la scissione del concetto di capitale si è data in maniera ormai piena. Al punto in cui lo sviluppo capitalistico è stato spinto dall’azione neoliberale, una qualsiasi mediazione interna allo sviluppo capitalistico (anche se imposta dalla moltitudine dei lavoratori bisognosi, insomma comunque essa si presenti, qualsiasi sia la forma in cui le singolarità sono rinchiuse nella massa espropriata) – ogni mediazione, dunque, è stata rotta. Assistiamo all’azzeramento del politico, meglio, del valore della composizione politica del soggetto antagonista: in questa prospettiva “la politica” è solo considerata una mediazione – e questa non potrà certo darsi con gli “esclusi”.

 

Dobbiamo dunque concludere che la dialettica operaista che sempre teneva presente un rapporto antagonista tra sviluppo capitalistico e lotta di classe operaia e ad essa imputava ogni sviluppo, è terminata? È possibile, con tutta probabilità è avvenuto. Infatti la relazione delle singolarità che costituiscono moltitudine è divenuta del tutto intransitiva nel rapporto di capitale. Il neoliberalismo ci impone questa verità. La valorizzazione capitalista nasce infatti dal fatto che la moltitudine di singolarità è ridotta a massa – è resa “transitiva” in quanto capitale variabile ma non può più esprimersi come classe – neppure all’interno del capitale, come la dialettica “socialista” esigeva. Affermare questo non significa che la concezione marxiana dello sviluppo sia obsoleta o la metodologia operaista ormai desueta; significa solo che il metodo va innovato, che le “armi della critica” vanno adeguate alla nuova situazione complessiva e che “far politica oggi” è concetto che non può esser legittimato, per esempio, semplicemente dal ricorso all’inchiesta operaia – modulata sul couplet composizione tecnica e composizione politica – ma che i temi del potere e del contropotere, della guerra e della pace, del potere costituente e dell’insurrezione, insomma, del programma comunista, vanno riproposti – in prima linea.

 

Mi ripeto. Già da tempo è stato teorizzato che l’”uno si è diviso in due”. Questo significa che non c’è più misura fra capitale e soggetto sfruttato, antagonista, che non vi è più mediazione possibile. Vi può essere mediazione solo forzosa. Questo comporta crisi, inefficienze, limiti della forma politica del capitalismo oggi dominante, di quella “democratica” in particolare, sempre più evidenti. Se l’azione politica del primissimo e primo movimento operaio (tra l’’8-‘900) ha cercato alternativamente per la sua azione un modello riformista e/o uno insurrezionale; se la seconda grande epoca del movimento operaio – quella dell’operaio fordista – ha consolidato nella forma contrattuale (e riformista) il suo progetto, oggi non vi è più nulla di questo che possa essere nuovamente percorso. Alcuni autori hanno con grande intelligenza sottolineato che il capitalismo neoliberale ha perduto ogni caratteristica democratica da  quando le istituzioni  della democrazia non son più riuscite a trattare, ad incidere sulle questioni economiche – hanno cioè permesso al neoliberalismo di estrarle dalle regole della democrazia. È un altro modo di dire che l’”uno si è diviso in due”. La sovranità è stata allora tolta agli Stati-nazione per essere trasferita verso il potere globale dei “mercati”. Ma questa conclusione non conclude nulla, è essa stessa implicata nel processo della crisi e la estremizza piuttosto che risolverla. È ormai banalmente ripetuta dai più e finisce per mistificare l’impotenza dei soggetti e per vanificare le lotte contro il capitale finanziario.

 

Finora abbiamo visto come il concetto di composizione politica di classe operaia sia venuto meno, come sia stato azzerato dalla nuova figura dei movimenti finanziari e politici del capitale – e in ogni caso come esso non possa funzionare (la diciamo grossa) “ontologicamente”, e cioè nella realtà storica determinata: perché ormai privato di ogni transitività. “Come fare politica, oggi”, non significa dunque giocherellare fra composizione politica e tecnica ma ridefinire radicalmente che cos’è “politica”. Tra poco vedremo quale sia la fragilità dello stesso concetto di composizione tecnica. La metodologia classica dell’operaismo non funziona dunque più. Bisogna modificarla. E farlo tenendo presente che la nostra autocritica non significa che non ci possiamo più chiamare marxisti; forse significa che non ci chiameremo più post-operaisti; probabilmente ci diremo solo comunisti – alla nostra maniera, facendo del marxismo un dispositivo vivente per adeguarlo alla critica del nostro mondo. Per cominciare cioè ad uscire da quella condizione di azzeramento della politica.

 

Sulla questione del presupposto soggettivo dobbiamo quindi ora ritornare, armandoci di una nuova metodologia che lavori essenzialmente sulle maniere di far crescere, indipendentemente dal rapporto di capitale (non-transitivamente dunque), la nuova soggettività sociale sfruttata. In essa non saranno più riconoscibili composizione tecnica o composizione politica, conseguenti l’una dall’altra, ma piuttosto una composizione semplificata ed una consistenza reale che cercheremo ora qui di definire, descrivendo l’azione che è possibile, a questa soggettività, di produrre.

 

In primo luogo dobbiamo tener presente che quel soggetto separato, azzerato dal punto di vista politico, è comunque un soggetto che si è riappropriato di capitale fisso, in tutta la fase di trasformazione del capitalismo fra crisi dello Stato fiscale e consolidamento dello Stato del capitale finanziario. In che cosa consiste precisamente questa riappropriazione? Consiste specificatamente nel far proprie, nell’afferrare, nel rendere protesi corporee e mentali, linguistiche e/o affettive, cioè nel ricondurre alla propria singolarità alcune capacità che prima erano solo riconosciute proprie delle macchine con le quali si lavorava, e nell’incorporare queste caratteristiche macchiniche, farne attitudini e comportamenti primari dell’attività dei soggetti lavorativi. Nel distacco storico che si era affermato tra oggettività del comando (e del capitale costante) e soggettività della forza-lavoro (soggetta al capitale variabile) – si dà, da parte delle singolarità, una riconquista di capitale fisso, un’acquisizione irreversibile di elementi macchinici sottratti alla capacità valorizzante del capitale – per dirlo brutalmente, un furto continuato di elementi macchinici che arricchisce di capacità tecnica il soggetto, meglio, come si è detto che il soggetto lavorativo incorpora. Con ciò si mostra quanto il lavoro immateriale sia corporeo, della sua capacità di assorbire con rapidità e virtuosità stimoli e potenze macchiniche.

 

Ora, ogni riappropriazione è destituzione del comando capitalistico. Questo processo di appropriazione da parte dei lavoratori immateriali è infatti molto forte, efficace nel suo svilupparsi – esso determina crisi. Ma non si darebbe crisi se considerassimo che essa nasce spontaneamente dai processi di riappropriazione e di destituzione. Non è così. La crisi ha bisogno di uno scontro, di una realtà politica che si muova per la distruzione non più semplicemente del rapporto di sfruttamento ma della condizione forzosa che lo sostiene. In effetti quando si parla di riappropriazione da parte del soggetto antagonista, non si parla semplicemente della modificazione della qualità della forza-lavoro (che deriva dall’assorbimento di porzioni di capitale fisso), si parla essenzialmente della riappropriazione di quella cooperazione che nella ristrutturazione capitalista della produzione era stata incentivata e poi espropriata – e che rappresenta il dramma essenziale di questa fase critica. Quando si dice recupero di capitale fisso, riappropriazione – lungi dall’esprimersi in termini macchiati di economicismo – l’analisi entra piuttosto su quel terreno della cooperazione che è oggi regolato in termini biopolitici dal capitale: destituire il capitale di questa funzione significa recuperare alla forza-lavoro autonoma capacità di cooperazione. Ma poiché la società civile e la cooperazione produttiva sono oggi dominate dalle funzioni monetarie – e le funzioni monetarie fanno capo direttamente al capitale finanziario – riappropriazione di capitale fisso e destituzione del comando capitalistico sulla cooperazione ci portano immediatamente all’interno di quanto è oggi più decisivo nella struttura del comando capitalista: la sfera monetaria. Se qui si dessero significanti, sarebbero significanti che rivelano il comune. La moneta si incontra e si scontra con le caratteristiche comuni della cooperazione. E allora la resistenza, la lotta e l’autodeterminazione del soggetto lavorativo qui assumono immediatamente caratteristiche politiche, poiché si scontrano con le dimensioni finanziarie (monetarie) del controllo sociale. Il welfare è il terreno privilegiato di questo scontro.

 

In secondo luogo, oltre a destituire il comando sulla cooperazione e a incorporarsi parti di capitale fisso, la nuova forza-lavoro, ovvero quella classe politica antagonista, socialmente ricomposta nella cooperazione, si trova a costruire luoghi comuni. Forse li desidera, comunque vuole costruirli. Luogo comune: che cosa significa? Immediatamente, un senso di orientamento nel contesto proprio della mobilità e della flessibilità incorporate alla forza-lavoro (cooperante). E, in seconda battuta, che cosa sono dunque i luoghi comuni, meglio, gli insiemi istituzionali dentro ai quali il soggetto antagonista vuole riconoscersi? Si tratta essenzialmente di livelli strutturali dell’organizzazione dello stare insieme, spesso il contesto sociale della città, meglio della metropoli – come luogo di incontro e di costruzione comune di linguaggi e di affetti, come piena virtualità di associazioni produttive. La metropoli sta infatti diventando, sempre di più, il luogo dove la resistenza all’estrazione capitalista del plusvalore dall’attività comune ed allo sfruttamento delle singolarità moltitudinarie, è divenuta possibile – forse un luogo di desiderio. La metropoli è certo divenuta centrale nell’accumulazione capitalista perché lì, nella metropoli, l’intransitività del rapporto capitalista ha raggiunto il più alto livello di realizzazione e di espressione, e come tale va governato dal capitale. Ma d’altra parte la metropoli si è fatta eminentemente luogo di incontro e di riappropriazione proletarie. Ogni istanza di contro-potere non può prescindere da luoghi, da spazi nei quali svilupparsi, affermarsi, sostenersi. Se nel primo momento che abbiamo considerato (quello della riappropriazione di capitale fisso) la singolarità veniva nel medesimo tempo riconoscendosi nel comune – ed il comune (nel caso, l’insieme dei servizi di welfare) diveniva l’oggetto delle sue istanze di riappropriazione – se questo avviene nella metropoli, cioè a partire da moltitudini che vengono ricomponendosi e prendendo forma in luoghi comuni – lo scontro allora si definisce immediatamente come lotta di un proletariato moltitudinario contro il capitale finanziario. Qui l’azione moltitudinaria, volta a difendere, a ricostruire, ad appropriarsi del welfare, si incardina sulla riscoperta di soggettività attive, di quelle singolarità che costituiscono la moltitudine – perciò si esprime nella richiesta del diritto di cittadinanza – che è politicamente “diritto alla città”. Diritto cioè garanzia di godimento della città, di cooperazione nella città, di governo della città, di lavoro nella città. La questione del reddito garantito di ogni cittadino diviene quindi un elemento che integra questa costruzione del politico. E se la richiesta di reddito riconosce la funzione produttiva di ogni cittadino, non è tuttavia questa la cosa fondamentale: fondamentale è piuttosto che ogni singolarità (cioè ogni lavoratore ed ogni cittadino) trovi e fissi nella sua pretesa soggettiva al reddito, una domanda di potere politico adeguata alla costruzione della moltitudine. Reddito garantito e diritto alla città sono un solo obiettivo politico. Se nel primo luogo comune che abbiamo costruito, la singolarità moltitudinaria si realizzava nel comune (nel governo del welfare), qui il comune è moltitudinario e si esprime attraverso le singolarità (nel diritto soggettivo alla città, all’accesso al comune) – così si afferma la nuova maniera di far politica oggi.

 

Nel neoliberalismo, nello Stato consolidato della trasformazione del comando di capitale, il tessuto del comune è organizzato dalla moneta ed espropriato dalla Banca. È così che, procedendo dal basso, si propone per noi, per le nostre lotte di emancipazione sociale e di libertà, il tema Europa. Ricostruire l’orizzonte europeo significa dunque battersi per la riappropriazione del welfare e per l’ottenimento di un reddito di cittadinanza, eguale per tutti e più che decente, riconoscendo nella BCE il nemico da battere, il potere da spossessare. È qui che si da, a fronte degli attacchi dei “mercati” (quanto avvenuto nella crisi ce lo ha mostrato) un’occasione unica di spostare il discorso politico  dalle condizioni asfissianti del dibattito all’interno dei singoli Paesi-nazione ad una prospettiva rivoluzionaria. Ma di più – proprio se non si può tornare indietro (e la crisi lo ha dimostrato, e la sua soluzione lo affermerà ancora più duramente) l’Europa è un’occasione rivoluzionaria. Se non si può tornare indietro, occorre andare avanti – e per andare avanti c’è una sola strada: lottare, insistendo su welfare e reddito di cittadinanza, per rifondare quell’istanza democratica del comune che ci è stata strappata via dall’attuale governance europea, egemonizzata dal neoliberalismo. Il tema Europa si pone dunque direttamente contro la Banca, riconoscendo che la lotta moltitudinaria, la lotta del proletariato sociale contro la Banca non rinnega il processo di unificazione europea ed i risultati raggiunti (fra i quali la moneta unica) ma si pone piuttosto l’obiettivo del governo della moneta, della costruzione della moneta del comune. Questa è però solo una premessa, quasi un anticipo ideologico di un’azione comunista da riprogrammare.

 

Di nuovo chiediamoci dunque: perché l’Europa? Perché siamo “europeisti” anche dopo che del neoliberalismo abbiamo direttamente subito la repressione feroce, l’austerità orribile e ne abbiamo fatto l’oggetto del nostro odio? E dopo aver implicitamente riconosciuto che l’Europa rappresenta nel quadro istituzionale presente, il più completo esempio di consolidamento dello Stato neoliberale? All’interno della “sinistra” molti, la maggior parte di quelli che non aderiscono alla socialdemocrazia, ora (dopo aver a lungo lottato contro il processo di unificazione europea, duramente ammaestrati dalla crisi economica e avendo appreso che indietro non si torna) – ora, dunque pensano che la sola maniera di ricostruire l’Europa preveda la riformulazione del contratto costitutivo, da parte degli Stati-nazione europei, esigono dunque che questi si ricostruiscano come soggetti sovrani della contrattazione. Si tratterebbe di ritornare (temporaneamente?) agli Stati-nazione, di restaurare una sovranità nazionale (protetta dall’Europa dentro e contro la globalizzazione?) e così di riconquistare potere sulla moneta. E poi… poi si vedrà. Il sovranismo è duro a morire e ci sono ancora socialisti disponibili, fin dal 1914, a ripetersi nel difendere la sovranità nazionale oltre ogni vergognoso limite! Subordinatamente, in maniera più pacata, si sostiene la possibilità di riaprire un rapporto – quasi contrattuale – fra i vari Stati europei, quasi sovrani, dopo che essi abbiano riconquistato una maggiore autonomia sovrana – quelli che il fiscal compact e gli altri diabolici accordi monetari hanno eliminato:  insomma, di ricostruire l’Europa in due tempi. Uno, cancellazione degli accordi sulla BCE; due, ricomposizione attorno ad un accordo tipo Bretton Woods, dove a comandare sia un indipendente “Bancor” – moneta convenzionale che flessibilmente accompagni le diversità delle situazioni europee e guidi i movimenti di aggiustamento delle bilance e dei budget all’interno dei singoli paesi e fra tutti. Patetici progetti. Comunque ci riguardano solo parzialmente, come per definire uno sfondo. Per noi il problema non si risolve ritornando indietro: pensiamo infatti che l’Europa sia il contenente minimo per un’azione politica rivoluzionaria che si collochi nella globalizzazione. Lo spazio (proprio in seguito alla globalizzazione) è ritornato ad essere una dimensione politica essenziale, primaria. È solo costruendo e consolidando la forza di un ordinamento in uno spazio determinato fra soggetti che cooperano, che la legittimità (quella sovrana, certo, ma anche quella) rivoluzionaria, si afferma. Non c’è alternativa. L’Europa è questo spazio – dove il proletariato moltitudinario nel quale ci riconosciamo può insorgere, trasformando non lo spazio (anche quello, forse: ne parleranno altri) ma la struttura di potere che lo ordina. L’Europa e la moneta europea costituiscono un ambito di virtuale autonomia all’interno della mondializzazione. Senza l’Europa non vi è possibilità di governare, limitando la pressione immane dei mercati globali e dei poteri multinazionali. Europa è quella dimensione spaziale che rappresenta una possibilità di sopravvivenza politica e di azione autonoma delle moltitudini europee, a fronte della pressione delle forze sovrane, già assestate su dimensioni globali – configurantesi ormai come sezioni continentali del potere globale.

 

Quanto è avvenuto sulla scacchiera globale in quest’ultimo trentennio, dalla fine della guerra fredda, va fortemente sottolineato per chiarire che la proposta di una lotta che si proponga un progetto di democrazia radicale in Europa, è tutto tranne che un sogno. Se è vero, infatti, che la potenza dei mercati è immane, è altrettanto vero che il peso e i condizionamenti dell’alleanza e della subordinazione atlantica è divenuto, nella continuità, sempre più fragile e in prospettiva instabile. È dal declino della potenza americana che l’inizio del XXI secolo è stato caratterizzato – con due conseguenze maggiori. La prima è il conflitto latente fra USA e Cina – esso sta maturando ed ha una prima conseguenza che ci interessa: avere estraniato il potere americano dall’Europa e fatto registrare il forte indebolimento (da non sottovalutare) del potere americano, non solo in Europa ma sull’intera dimensione mediterranea. Gli USA non hanno mai voluto un’Europa unita, tranne come alleato durante la guerra fredda. Dopo la “caduta del muro” di Berlino hanno continuamente osteggiato l’unificazione e la Gran Bretagna ha sempre rappresentato il cavallo di Troia di questo sabotaggio. Ora la situazione è profondamente mutata e, all’indebolimento della leadership, si aggiunge per la Casa Bianca la necessità di sostenere più efficacemente gli interessi americani nel Pacifico e di costruire laggiù un fronte strategico per l’egemonia asiatica. Come si vede, la “provincializzazione di Europa” non porta solo guai! La seconda conseguenza è ben più importante: si lega allo sviluppo delle primavere arabe lungo il Mediterraneo e nel Medio Oriente (un vero 1848). Per ora sembra impossibile identificare una soluzione politica al conflitto fra moltitudini arabe e le strutture autoritarie (militari e/o plutocratiche) che le controllano e le stringono in una gabbia di miseria e ignoranza medievali. In quella situazione, la lotta di classe sta riprendendo i suoi diritti – naturalmente se di lotta di classe si parla nei termini in cui noi ne abbiamo fin qui parlato, come lotte di moltitudini di singolarità, come lotte che sono insieme di emancipazione dalla povertà e di liberazione dei soggetti. Il tema di un’Europa unita da un progetto di democrazia radicale-comunista trova nel movimento d’oltre Mediterraneo una sua base d’appoggio – anche il viceversa è da costruire.

 

In terzo luogo – o meglio, è questo il terzo presupposto che sta alla base del ragionamento sulla soggettività che abbiamo cominciato a sviluppare all’inizio di questo intervento (tanto tempo fa!) – si tratta di consolidare, anche noi, in istituzioni i movimenti fin qui descritti. Si tratta non solo di costruire contropoteri diffusi ma di coalizzarli per produrre potere costituente. Si tratta di ricomporre l’insieme delle forze plurali che lottano per il reddito e per la difesa/espansione del welfare, attorno ad un telos, ad una finalità comune. A noi sembra che quando si sia assistito alla lunga vicenda delle primavere arabe e delle insorgenze occupy (ed alle tragedie che stanno contrassegnando la pur indomabile – talora aperta, talora sotterranea – continuità delle prime ed al ristagno – sia pur talora potentemente riflessivo – che tocca le seconde) – bene, non si può allora non pensare – se ancora si possiede un minimo di responsabilità teorica, prima ancora che politica – alla necessità di un lavoro di costituzione di una forza che sappia – tutti insieme – affrontare il nemico. La consapevolezza di un passaggio strategico è stata probabilmente acquisita: sarà necessario costruire piattaforme che organizzino la continuità delle lotte e il loro progresso. Far divenire istituzione le lotte significa imprimere loro un telos, incorporato ad ogni momento organizzativo. Sia chiaro che dicendo questo non si intende parlare di “rifondazione” della “sinistra” (“rifondare” e “sinistra” sono state ridotte a parole di merda) né si allude a possibili rapporti con forze parlamentari della vecchia sinistra. Siamo comunisti, non abbiamo nulla a che fare con la socialdemocrazia nella quale riconosciamo una variante ideologica del dominio capitalista. Noi siamo un’altra cosa, e ci definiamo al di là del socialismo. Cominciamo dunque per ora a sviluppare in Europa coalizioni di forze in lotta, dentro l’Europa, contro la sua Costituzione e le politiche della Banca Centrale e cerchiamo di dare loro forma istituzionale. Come una volta dicevamo, nel costruire organizzazione: “chi non ha fatto inchiesta, non parla”, cominciamo a dire: “chi non ha costruito coalizione, in Europa non parli”. Questo è probabilmente un modo per far diventare tendenza, in Europa quelle forme nuove che la moltitudine insegna, di costruire ed occupare spazi liberati – perché moltitudine è moltitudine di soggettività che si ritrovano in uno spazio comune. Credo comunque che per qualificare la costruzione di coalizioni, in questa fase, sia sufficiente affermare un punto: la volontà di distruggere la proprietà privata, di dissolvere nel comune la proprietà pubblica e la sovranità che la colora, e di costruire e di gestire democraticamente il governo del comune.

 

Lo spazio europeo è allora, forse, un territorio privilegiato di sperimentazione moltitudinaria nella costruzione di istituzioni del comune. Lo dico con molta prudenza ma anche con molta speranza: perché è ben vero che l’Europa è stata provincializzata e che il proletariato europeo ha perduto la sua battaglia di emancipazione che per alcuni secoli aveva condotto contro l’impero neoliberale dal capitale…. e però gliene abbiamo dato tante ed abbiamo ancora la forza di dargliene.

Gli audio e i video del seminario

 

Precari della scuola occupano l’ufficio scolastico regionale a Roma

 

 

 

 

 

Oggi, lunedì 2 settembre, un gruppo di precari della scuola ha occupato i
locali dell’USP di Roma. È stato srotolato uno striscione da una delle
finestre dello stabile, con su scritta l’eloquente frase: “Questo è il
nostro Stato”. L’azione è volta a denunciare l’esiguità del contingente di
personale della scuola assunto a tempo indeterminato, solo 11.000
assunzioni, a fronte di un vero e proprio esercito di lavoratori precari
che contribuisce in maniera consistente al funzionamento della scuola
statale (più di 100.000 sono i contratti a tempo determinato che il
Ministero della Pubblica Istruzione stipula ogni anno) e a richiedere il
ritiro di tutti i tagli imposti alla scuola, a partire dalla Gelmini e, su
questa base, l’assunzione a tempo indeterminato su tutti i posti liberi e
vacanti in organico di fatto e di diritto. Siamo stanchi di essere prima
usati e poi gettati via come rifiuti da uno Stato che dimostra di non avere
alcun interesse né per la nostra dignità, né per il nostro lavoro e né
tantomeno per le sorti dell’istruzione pubblica.

Invitiamo tutti a partecipare al presidio dei precari della scuola che il 4
settembre alle 15.00 avrà luogo di fronte all’USP di Roma, in via Pianciani.

Dobbiamo rifiutare con forza lo “stato di lavoratori usa e getta”, siamo
tanti, facciamo sentire la nostra voce!

Coordinamento Precari Scuola di Roma

3285312437
3398240024
3288694299

Avvisi a i/le naviganti (1) per Sovvertire il presente

*Passignano dal 5 all’8 Settembre 2013

Cominciamo a dire: Europa.

Individuiamo, con più precisione, l’oggetto specifico del nostro lavoro – piuttosto, lo spazio d’analisi a partire dal quale produrre lavoro politico. Cominciamo dunque a dire: Europa. Perché? Per il semplice fatto – semplice e duro come un sasso – che la struttura centrale del comando si è ormai definitivamente fissata altrove dal piano nazionale e da ogni corrispettivo livello istituzionale repubblicano – piuttosto a Francoforte che a Berlino. E’ dunque sull’asse che stringe le lotte e le resistenze di classe e moltitudinarie al comando monetario europeo che intendiamo soffermarci, nella nostra discussione. Si discuterà dunque di cosa significhi assumere l’Europa come spazio specifico e punto focale delle lotte per la democrazia e per il comunismo. Non sarà facile collocarsi a quell’altezza concettuale e politica: crediamo, però, che se riusciremo a stabilire una propedeutica per l’approccio al tema lotte/Europa, molte cose nei prossimi anni diventeranno più chiare e, forse, facili da fare. Nella nostra esperienza la definizione del luogo da cui parlare, è sempre stata fondamentale per ricostruire movimento.

Che cosa vuol dire lottare contro la Banca Centrale? Portare la nostra esperienza e la nostra teoria a rispondere a questa domanda – attraverso la lotta metropolitana sui temi del reddito e del comune, attraverso la costruzione di istituzioni del comune – bene, questo è quanto cominceremo a fare a Passignano e continueremo a fare poi. Naturalmente si tratterà di parlare di politica in maniera nuova. Di politica: e cioè di tutti gli strumenti (anche di leggi) utili a costruire un programma di lotte sull’Europa, subordinandogli ogni iniziativa. Se diciamo: “in maniera nuova” è per sottolineare la nostra sete di conoscenza comune, il desiderio di costruire concetti che afferrino il reale e capovolgano il dispositivo di comando. Perciò formazione, non potrà più essere – se mai qualcuno l’avesse pensato – sinonimo di una qualsivoglia tradizione: ma lavoro comune per imparare a guardare il mondo.

Sia chiaro: nell’attuale panorama istituzionale europeo, il livello della rappresentanza può essere solo riconosciuto come impedimento oggettivo allo sviluppo dei movimenti. La discussione sulle prossime elezioni europee finisce così con l’essere corruttiva del punto di vista sovversivo che urge e pressa il presente. In questa fase intendiamo separare radicalmente composizione tecnica e composizione politica delle moltitudini. Delle istituzioni esistenti (e delle competizioni elettorali) possiamo produrre solo critica. Quel resto di socialismo europeo che affoga nella morsa del pareggio di bilancio, non saremo certo noi a salvarlo. Delle forze tecnocratiche, dei passacarte di Francoforte e dei sacerdoti della Troika, come del contro effetto nazionalista che le loro politiche inevitabilmente produrranno nelle prossime scadenze elettorali possiamo solo dire: ecco il volto del nostro prossimo avversario.

In questo contesto, e solo a partire dal livello europeo, intendiamo certo porre in questione lo scenario italiano. Ancora una volta: è di critica, che si tratta. Leggere la rottura dei poteri istituzionali in Italia attraverso le lenti della critica radicale del diritto repubblicano, proporre una via di fuga dallo scontro tra gli alti gradi della magistratura e i vertici della rappresentanza politica, decostruire l’ideologia di tutte le soluzioni giudiziarie messe a servizio della mediocrità stessa della politica e delle sue istituzioni. La soluzione non si trova tra i banchi di Montecitorio, né siederà tra gli scranni del Parlamento Europeo. Ma dentro la crisi istituzionale che si apre, i movimenti possono subentrare duramente con un discorso chiaro e senza ambiguità – anche a partire dal dibattito “a sinistra” – e porre in evidenza senza inchini e salamelecchi un tema fondamentale, ovvero la trasformazione e ridefinizione della carta costituzionale. L’Italia è stata una repubblica fondata sul lavoro. L’Europa sia il continente di una democrazia assoluta fondata sul lavoro vivo, sulle donne e gli uomini che producono saperi, cura di sé, forme di vita. Ogni generazione ha diritto alla sua costituzione.

Per noi si tratta di costruire strumenti di lotta che rivendichino questo diritto. Allora innanzitutto dobbiamo individuare le nuove enclosures nell’economia della conoscenza ed abbatterle; riappropriarci del comune; definire una legge di stabilità del reddito universale di esistenza come premessa anticapitalista del riconoscimento della produzione permanente di cui siamo portatori; rivendicare come reddito quella produzione di valore che viene estratta dalla rendita finanziaria. Questo è il nostro costruire concetti: definire un potere costituente per salvaguardare, dentro il dispositivo formale, una strategia incrementale del conflitto.

Come si vede, non crediamo affatto che le figure della rappresentanza politica, in qualunque forma e in qualsiasi luogo siano prese in considerazione, possano oggi essere utili a risolvere i nostri problemi. Avrebbero il solo effetto di spostare l’attenzione critica e militante su elementi secondari e spesso opportunistici – comunque decentrati rispetto alla realtà ed al programma specifico dell’élite egemonica europea. Quello che ci interessa è piuttosto confrontarci con la nuova consistenza del governo capitalista, come contropotere espresso dal nuovo proletariato. Abbiamo bisogno di identificare sul livello europeo punti di scontro nella misura e nella dimensione di Rio o di Taksim. Su questo terreno convocare alla discussione tutte le forze – sì proprio tutte – che in Italia hanno vissuto gli anni del disfacimento della democrazia postbellica, ci sembra necessario e utile: non certo per costruire scenari elettorali. Chi sente il bisogno di esercitarsi in piccole tattiche e minuscole strategie per le elezioni europee non troverà nulla di interessante nella nostra discussione. E neppure coloro che pensano di rievocare attraverso un logoro sindacalismo di base, vecchi fantasmi gruppettari: le moltitudini europee non difettano di organizzazione. Le forme di vita e i conflitti che attraversano le metropoli sono ricchissime di capacità politica. Si tratta di non disperderla, di leggerla e interpretarla.

https://europassignano2013.wordpress.com/

Hub Meeting Round 2 – 13/15 Settembre, Barcellona

Quest’anno, in Turchia, Egitto e Brasile lo sciopero metropolitano è stato utilizzato come uno strumento dalle molte persone che stanno reclamando nuovi diritti ed una democrazia reale, riaffermando la propria presenza globalmente. Il 15 Ottobre 2013vorremmo essere un territorio abitato e condiviso da molti, costruito collettivamente una volta che le proposte per attaccare la corruzione ed il capitalismo finanziario – non solo simbolicamente ma anche materialmente attraverso pratiche specifiche – siano state definite. Crediamo che ciò possa avvenire solo se le molteplici reti, movimenti sociali e processi che in questo comune ciclo di lotte stanno sfidando l’arroganza del potere finanziario si radunino e discutano queste tematiche. Perciò la nostra proposta è di costruire, assieme, un meeting con giornate di lavoro per indirizzare l’implementazione di nuove forme di protesta sociale nella settimana dedicata alla lotta contro il debito e l’austerità del 15 Ottobre. Ci piacerebbe invitarvi a preparare queste giornate con noi, che saranno la 4a edizione dell’Hub Meeting.

Obiettivo: 

Lavorare alla costruzione dello sciopero sociale per la settimana del 15 Ottobre, 2013, dove “sciopero sociale” significhi uno sciopero generalizzato al di fuori della struttura laburista tradizionale dei sindacati ufficiali, ecc. Il nuovo paradigma dell’espropriazione della ricchezza comune, basato sul processo di finanziarizzazione dell’economia e la limitazione dell’accesso alla conoscenza/informazione richiede nuove forme ed azioni antagoniste. L’azione deve incidere sui flussi ed i processi delle cose che creano valore per colpire il nemico. Bloccare attività, scuole, università, mezzi di trasporto, ecc. potrebbe essere un punto di partenza per la costruzione di nuove istituzioni oltre il mercato del lavoro, per la cittadinanza universale. Inoltre, la gente che vive da precaria, i migranti senza documenti, i pensionati, gli studenti, i disoccupati, gli stagisti…sono gruppi in sé, e sono precisamente coloro che sono più colpiti dalle condizioni materiali dell’esistenza, che non possono partecipare agli scioperi ordinari. Dobbiamo essere capaci di ideare forme di azione mobilitazione inclusive ed aperte, che promuovano l’emancipazione e la partecipazione ad esse. Questo meeting servirà ad organizzare azioni che possano venire replicate in luoghi differenti, e condividere meccanismi e metodi per creare azioni, partecipare ad esse e diffonderle, prendendo in considerazione le specifiche caratteristiche di ogni territorio. L’intento è di costruire un nuovo tipo di immaginario per definire nuove relazioni umane, economiche e sociali che aiutino a trasformare i rapporti di potere tra governi, poteri finanziari e società.
Con amore,

http://hubmeeting20a.wordpress.com/

Summertime: le lotte per il reddito e di diritti non si sgomberano! Omnia sunt Communia!

Il 16 agosto, in una Roma silenziosa e con poche presenze, hanno sgomberato Communia a San Lorenzo.

Occupazione nata con la cooperazione di giovani precari e disoccupati, all’interno di un percorso progettuale chiamato Ri-pubblica, nella prospettiva di una riappropriazione immediata di spazi, nella difesa di diritti collettivi e dei beni comuni.

Un’occupazione nata nei giorni dello tsunami tour, in cui centinaia di persone hanno occupato a scopo abitativo in tutta Roma decine di edifici dismessi di cui è sempre piena una città in cui crisi fa rima con nuova speculazione.

Communia è uno spazio fisico ma, come molte occupazioni, è e rimane uno spazio del pensiero critico e dell’attivazione politica dal basso. Rappresenta un nodo pulsante di una nuova consapevolezza e di una nuova comunità nella città di Roma e in altre parti di Italia. Quella di chi si riconosce portatore di un interesse collettivo che si oppone a e si batte contro la speculazione e i profitti sulle nostre vite fatte di precarietà, finanziarizzazione, disoccupazione di massa e tagli ai servizi pubblici. Non a caso negli ultimi mesi, proprio li, si riuniva la Piattaforma per il Reddito di base e i diritti, nella rivendicazione di nuove possibilità e nuove aggregazioni.

Proprio questo spazio orizzontale di incontro tra precari, disoccupati, cassaintegrati e studenti è stato messo sotto osservazione, come ci racconta il messaggero di domenica 18 agosto, addirittura dall’intelligence italiana per il rischio che da quella assemblea pubblica si potessero produrre iniziative conflittuali. Che c’entra l’intelligence? Hanno già modificato la Costituzione con un ritocchino anche all’articolo 17 sulla libertà di riunione? Cos’è questa
ansia nei confronti del conflitto sociale che pure si plaude quando in altri paesi ha la forza di svelare la mediocrità dei governi?

In un contesto politico di estrema debolezza istituzionale in cui il governo delle “basse intese” sta vacillando, l’accordicchio che permette al PD e al PDL di governare dalla fine del 2011 in questi ultimi giorni estivi è messo seriamente a dura prova.

Le rivendicazioni del reddito di base e incondizionato, dei diritti dentro ed oltre il lavoro, delle redistribuzione della ricchezze e di un nuovo welfare sono i temi su cui potrebbero svilupparsi i maggiori dispositivi di mobilitazione e di consenso contro le politiche di austerity nei prossimi mesi.

Sarà mica per assecondare il desiderio di Letta Nipote per un autunno di ri-conciliazione che faccia finalmente superare agli italiani la logica dell’amico- nemico con un grande abbraccio ecumenico? Ma come un amante deluso il povero Letta, respinto dagli italiani che non lo hanno mai voluto, si scatena contro gli oppositori politici. Dalle accuse di terrorismo contro il movimento NoTav colpito anche da lunghi e numerosi arresti in carcere come ai domiciliari, dalle accuse di infiltrazione mafiosa nel grande e popolare movimento No Muos, fino agli sgomberi agostani di Communia a Roma e dell’ex scuola Belvedere a Napoli.

Ma uno sgombero non può cancellare l’esperienza che si è creata e tutti insieme continueremo a cospirare, a respirare insieme. Per noi organizzarsi per rivedicare diritti, costruire spazi di autotutela e mutualismo, praticare conflitto e resistenza non sono pericoli ma anzi l’unica possibilità di vivere e non sopravvivere.

La scusa dell’inagibilità dell’edificio è stata funzionale allo sgombero ma, soprattutto, a soddisfare gli appetiti voraci di chi è abituato a speculare, in questo caso la proprietà. Ma la condizione di Roma è ormai insostenibile, la necessità di riappropriarsi di spazi e diritti è impellente e non sarà un’operazione svolta alla chetichella a spaventarci e per questo saremo solidali e attivi per sostenere e proseguire questo percorso.

Omnia sunt Communia!

Piattaforma per il Reddito e i Diritti

Renoize ’13. L’orizzonte è la trasformazione! 30 Agosto Parco Schuster ore 18

Questo è il sesto anno di Renoize, un’iniziativa musicale e culturale nata per ricordare l’assassinio di Renato Biagetti. Da sempre lo facciamo a parco Schuster, a San paolo, nel territorio in cui Renato viveva.

Ma Renoize è un’iniziativa collettiva, patrimonio di tutta la città di Roma che vuole costruire gli ingranaggi collettivi della memoria, vuol far vivere i sogni e le passioni di Renato. Ma è anche qualcosa di più.

Perchè abbiamo imparato in questi anni trascorsi che abbiamo bisogno di una quotidianità in movimento, di energie che si liberano tutti i giorni, di battaglie che costruiscono legami, di sogni sfrontati che vogliono una realtà diversa e altra per riuscire ad andare oltre al ricordo e dare gambe e fiato alla memoria. Una prospettiva comune.

Per questo, l’anno scorso, abbiamo voluto parlare di Genova 2001 e del G8, di quello che aveva significato, dei suoi contenuti e dei suoi messaggi, delle ondanne arrivate a 10 anni di distanza e l’intimidazione che davano per le attuali lotte.

Quest’anno vorremmo invece, prenderci uno spazio di condivisione per parlare non di qualcosa che è già accaduto, ma di quello che vorremo accada; un momento collettivo per parlare della nostra metropoli, della crisi e di come reagire e cosa immaginare insieme, insomma, delle nostre vite.

Perchè sono necessari spazi pubblici, parlare collettivamente e non rimanere schiacciati nelle proprie solitudini. E’ un momento per uscire dalla violenza della precarietà contro le nostre vite, dall’oppressione quotidiana esercitata dalle speculazioni che ci hanno portato nella situazione di oggi, dai meccanismi della paura con cui ci governano e dei rigurgiti di odio che questo produce che siano fascisti, razzisti o omofobi.

Vorremo dunque discutere dell’autunno, della stagione che si aprirà, di quello che potremo fare insieme.

Quest’anno l’orizzonte pensiamo sia la trasformazione dell’esistente.

Perchè non c’è futuro senza memoria e, noi, dalla memoria vogliamo costruire il nostro futuro.

Aspettiamo tutti e
tutte il 30 Agosto alle 18 a Parco Schuster

No MUOS: quando cade una rete, vince una lotta. “Macari ‘cca ava essiri dura”

Il MUOS è un sistema di comunicazione militare statunitense ad altissima frequenza composto da tre trasmettitori parabolici basculanti che hanno un diametro di 20 metri. Per l’istallazione di questo apparato si prevede un totale di 2059 mq di cementificazione all’interno di una delle aree verdi più belle della Sicilia, la riserva naturale Orientata “Sughereta” vicino Niscemi. Lungo il fascio delle antenne MUOS il campo elettromagnetico rimane sopra i limiti di legge (L.36/2001) per oltre 135 km ed è conclamato che le esposizioni a lungo termine a campi elettromagnetici ad altissima frequenza possono produrre insorgenze tumorali agli organi riproduttivi e leucemie. La pericolosità dell’installazione è dovuta all’estrema vicinanza con la popolazione residente, un comprensorio di oltre 300’000 abitanti che comprende Gela, Licata, Vittoria, Caltagirone, Niscemi, Butera, Riesi, Mazzarino, Acate, Mazzarrone, Piazza Armerina, San Cono, Mirabella Imbaccari, Chiaramonte Gulfi, San Michele di Ganzaria e Vizzini e che tale comprensorio è già stato definito Area ad Elevato Rischio di  Crisi Ambientale (AERCA) dallo Stato Italiano per le 46 antenne NTRF che gli USA hanno già innalzato da oltre venti anni.

Nonostante ciò, le istituzioni nazionali e regionali si sono piegate alla politica difensiva degli USA e della NATO, lasciando che le loro strutture militari proseguissero nella costruzione di una delle opere più pericolose tra le tante con cui già hanno colonizzato la Sicilia e tutta Italia. 

Lo Stato italiano e la Regione Siciliana, svendendo la salute di centinaia di migliaia di persone, ancora una volta cedono al ricatto politico ed economico di chi, fin dagli anni di Comiso e Sigonella, vuole apporre sulla Sicilia la propria bandierina in un processo di militarizzazione internazionale che non sembra avere fine ma anzi trova sempre nuovi pericolosi nemici.

I Comitati No Muos di tutta la Sicilia non accettano lo scacco dato ai siciliani da parte del Governatore, personaggio da Opera dei Pupi, il democratico-megafonista Rosario Crocetta, che su Niscemi e Gela aveva costruito il proprio feudo elettorale anche con la promessa di fermare la costruzione delle antenne, ma che di fatto ha permesso la prosecuzione dei lavori di devastazione e saccheggio.

È in questo spirito che nei mesi passati diverse anime del movimento No Muos, insieme ad esponenti degli altri movimenti di lotta territoriale, come i No Tav, i No Ponte, i No Dal Molin, e le vecchie anime del movimento siciliano che anni fa iniziarono le lotte anti militarizzazione contro le basi americane di Sigonella e Comiso, hanno costruito un percorso di avvicinamento e formazione verso la grande manifestazione nazionale del 9 agosto 2013.

I siciliani, abbandonati dalla politica dei partiti e delle istituzioni hanno così deciso di alzare la testa e di riprendersi, anche con la forza, ciò che gli è stato tolto: la riserva naturale orientata della Sugherete, un’area bellissima e vastissima, caratterizzata dai caldi colori della terra siciliana, da arbusti e profumi della macchia mediterranea e da enormi sughere che sembrano voler resistere a tutto anche loro.

La costruzione di una manifestazione nazionale non è mai semplice. Soprattutto quando vanno superate le differenze e le diffidenze interne, quando il movimento si caratterizza per diverse scelte di intervento. Ma la necessità di una risposta forte ha spinto tutti a fare un fronte comune. Così, mentre in tutta la Sicilia Orientale, ogni giorno venivano occupati, a partire proprio da Niscemi, Comuni e Palazzi di Città, come Modica, Ragusa, Caltagirone, Gela e altri piccoli centri urbani limitrofi, a Niscemi, presso il presidio No Muos di contrada Ulmo, è stato organizzato un campeggio resistente attraversato da centinaia di persone provenienti da tutte Italia ed esponenti delle diverse anime del movimento.
E proprio dal campeggio, 8 compagni nel pomeriggio del 7 agosto, sono partiti e hanno scavalcato le odiose reti della base per arrampicarsi su 5 delle 46 antenne che già esistono in quel obbrobrio desertificato che gli yankee hanno creato in uno dei più bei posti della nostra terra.

Le forze del dis-ordine nulla hanno potuto contro questa forma di lotta ferma e risoluta, e mentre i compagni e le compagne sulle antenne si apprestavano a passare la notte appesi ai tralicci, da fuori le reti gli abbiamo tenuto compagnia, disturbando quelle esigue forze militari che lo Stato Italiano, come al solito suddito e complice, ha messo alla mercé degli USA. Nella notte, al presidio sono stati organizzati blocchi stradali e picchetti per impedire che alla base potessero arrivare mezzi pesanti, rinforzi alle forze dell’ordine, o reparti dei Vigili del Fuoco attrezzati con gru per tirare giù i compagni e le compagne dalle antenne, come se il tentato omicidio di Luca Abba’ non avesse insegnato nulla a questo Stato di polizia.

Il 9 pomeriggio, il corteo è partito sotto il sole cocente d’agosto determinato ad andarsi a riprendere e liberare chi resisteva da 24 ore sulle antenne. Il serpentone di gente era multicolore e, come sempre nel movimento No Muos, “multi-anime”, dal Comitato Mamme No Muos, agli esponenti degli spazi sociali autorganizzati siciliani, fino ad arrivare ai movimenti pacifisti storici dell’isola.

Nonostante ciò, la determinazione collettiva era quella di portare la protesta fin sotto le reti, senza paura di dover resistere. L’obbiettivo era quello di creare un corridoio per consentire ai nostri compagni e compagne di  scendere dalle antenne e tornare insieme in sicurezza.

Arrivata la manifestazione sotto le reti le sparute ed esigue forze dell’ordine presenti nella base, evidentemente incapaci di gestire una situazione del genere, erano atterrite dalla gente che risaliva il sentiero e si schierava davanti il cancello di accesso alla base pronta ad entrare. Incapaci di mediare o comprendere che un corteo di oltre duemila persone non possa essere fermato da trenta soggetti disorganizzati, seppur muniti di caschi e manganelli non regolamentari, il primissimo gruppo davanti al cancello ha fatto partire una breve, quanto immotivata carica, rientrata senza esiti per noi.
I compagni siciliani hanno deciso di rispondere all’arroganza della polizia andando avanti a volto scoperto, in maniera forte e determinata ma non violenta e così gli uomini della celere hanno potuto ripiegare nella base senza subire attacchi nonostante la loro violenza gratuita ed immotivata.

Dopo la “farsa della carica”, nascosti dietro i loro scudi, hanno provato ad inseguirci mentre circondavamo un lato della base. Da distanza di sicurezza, e tenuti a distanza di sicurezza, ci hanno osservanti mentre facevamo saltare il primi 3 metri di rete ed entravamo nella base. Nella loro totale impotenza ed incompetenza, non hanno saputo meglio che farsi male da soli, cadendo miserabilmente a terra. Ovviamente, i terror-giornalai hanno pensato bene di parlare di un militare ferito a seguito degli scontri, fortunatamente ci sono i referti medici che testimoniano la sua “caduta accidentale in servizio”.

Dopo i primi metri di rete altre decine e decine di metri sono caduti e sono stati scavalcati da tutti i manifestanti, dalle Mamme No Muos, da anziani signori che, muniti di sedia, si sono accomodati sulla quella che è sempre stata la loro terra dicendoci “Viremmu stu bellu spettaculu!”.

Siamo arrivati sotto le antenne, determinati ed uniti, sotto gli occhi impotenti e spauriti di circa trenta ominidi di varia estrazione tra carabinieri, poliziotti e guardia di finanza che non potevano fare altro che constatare la morte della loro azione repressiva dinnanzi alla determinazione di oltre duemila persone. Così abbiamo vinto. Ci siamo ripresi le nostre compagne e i nostri compagni, ci siamo ripresi la nostra terra, ci siamo ripresi la nostra dignità.  Oggi tutti noi dobbiamo ripartire da questa vittoria, consapevoli del fatto che la lotta No Muos cammina a fianco di tutte le altre lotte di resistenza, dalla lotta No Tav, alle lotte No Inc, No Grandi Navi, fino alla rinata No Dal Molin perché solo unendo le lotte dei territori, portandoci reciproca solidarietà, questa nostra resistenza ci porterà fino alla vittoria.
I Siciliani sono riusciti a riprendersi ciò che è loro da secoli ridendo in faccia ad uno Stato impotente e miserabile, che svende la salute di 300.000 persone ai propri Padroni a Stelle e strisce.

Insieme, uniti nelle lotte, vinceremo.

“Macari ‘cca ava essiri dura”

da Niscemi nodo redazionale indipedente

Recensione di A sara dura!

Centro sociale Askatasuna (a cura di), A sarà düra. Storie di vita e militanza no tav, DeriveApprodi, Roma 2012

E’ una storia molto più profonda di quanto avremmo immaginato. E’ una questione di vita e di morte, di vivere meglio e morire serenamente, sapendo di averci provato”

Ai compagni di Askatasuna va il merito con questo libro di proporre al movimento una riflessione sugli strumenti metodologici e teorici che abbiamo a disposizione per definire, raccontare e promuovere i percorsi di lotta.

Riprendendo in mano gli attrezzi della ricerca sociale hanno definito un possibile campo sul quale muoversi guardando ai futuri possibili per nuovi orizzonti di conflitto.

Partendo dall’“inchiesta”, proposta di lavoro immancabile in ogni ambito militante dell’ultimo decennio come bussola nella navigazione “a vista” in cui siamo costretti dalle profonde ridefinizioni nel plurisecolare divenire “classe” da parte dei subalterni, gli autori dalle prime pagine la riprendono come strumento che “produce conoscenza” (p.11), inoltrandosi nel complicato terreno della “conricerca”.

Questa pratica che “è costruzione di conoscenza e al contempo governo della conoscenza, inteso come indirizzo, scelta, decisioni, sottese da fini di parte” (p.17), abbandonata dagli ambienti antagonisti da almeno tre decenni, rappresenta uno scarto ulteriore nel lavoro epistemologico dell’inchiesta: è il farsi pratica rivoluzionaria da parte di un sapere altrimenti a rischio sussunzione anche negli ambiti accademici e scientifici ufficiali. La conricerca mette questo sapere al servizio delle lotte, produce soggettività, o in parole più semplici “fa prendere coscienza”. Delle condizioni proprie e della controparte, “di classe”. Con la nettezza che li contraddistingue i compagni torinesi definiscono anche il campo dei saperi utili alle lotte rispetto ai saperi che favoriscono il sistema capitalistico nella “sua stabilizzazione e il suo sistema di dominio” (p.33). Così propongono di distinguere tra una funzionalità delle scienze sociali e pedagogiche alle lotte rispetto a quelle economiche o giuridiche, dalle quali il capitalismo riproduce se stesso. Su questo potremmo anche non essere d’accordo perché una critica al sistema economico e alle sue forme politiche, allo Stato e alle forme del diritto passa necessariamente attraverso un impegno teorico dentro queste discipline. Ma è giusto che nella definizione dell’orizzonte di conflitto proposto dai compagni ci si nutra anche di scarti netti.

La conricerca si realizza nel momento in cui permette di indicare il “soggetto” come colui che “definisce e sostiene un punto di vista, assume una posizione di parte, si differenzia e costruisce una sua autonomia praticando una contrapposizione” (p.21) e coerentemente gli autori del libro riconoscono nella figura del militante il centro della narrazione della lotta no tav. La centralità che viene data al militante è rappresentativa delle posizioni più salde e articolate, dell’incontro di aspettative individuali e collettive intorno ad un processo di conflitto. Non a caso quindi le interviste, non solo quelle pubblicate (le altre sono consultabili sul sito www.saradura.org), sono state raccolte tra gli attivisti più noti del movimento, tra quelle figure che nella loro biografia politica hanno attraversato i momenti fondativi della lotta no tav o i passaggi più importanti della sua storia recente. Questo anche a scapito di una rappresentatività degli intervistati, che a parte poche eccezioni fanno parte di una generazione anagraficamente compresa tra i 40 e i 70 anni.

Gli spunti per una riflessione politica sono molti, ma va sicuramente sottolineato lo sforzo di proporre all’attenzione del lettore, specie se coinvolto in prima persona in processi di attivismo collettivo, la questione della cooperazione come momento costitutivo del comune: il commoning ovvero il processo di definizione dello stato della proprietà di quei beni “che sono stati socialmente riappropriati”(p.226) è una delle suggestioni più potenti che ci viene dalle pagine del libro, sgombera il campo dalle banalizzazioni sull’abusato tema dei “beni comuni” e orienta in avanti il dibattito nello schieramento antagonista.

Muovendosi lungo alcuni assi contenutistici (Contesto, Soggetto, Processi, Mezzi e capacità, Fini) il libro diventa una bussola importante per orientarsi nell’esperienza no tav dentro un quadro storico e sociale coerente. La Val di Susa è un territorio alpino utilizzato da oltre 30 anni come corridoio per le merci da e verso la Francia. E’ già saturata da arterie stradali ad alto scorrimento e trasformata nel suo tessuto economico da che era una propaggine periferica dell’industria torinese agli investimenti turistici dell’Alta Valle (pp.213-226). Per distinguere i contorni della composizione politica che anima il movimento bisogna partire da qui e dal lavoro di lungo periodo svolto da singoli e comitati nel corso degli anni. Per capire la sua forza e l’attrazione che ne deriva dobbiamo cogliere il valore della costruzione di forme organizzative, non date naturalmente ma elaborate con la cura e l’attenzione di chi ha realizzato intorno ad un progetto di lotta “qualcosa di più della somma delle sue differenze” (p.257).

Saper costruire relazioni forti che vanno oltre la comunità locale, trascendere il confine tra legalità e legittimità portando alla condivisione di pratiche al di la della sola e non scontata spontaneità, guardare ad un orizzonte anticapitalista dentro un rinnovato quadro sociale praticando forme di cooperazione che guardano ad alternative di futuro. Sono queste le indicazioni che ci arrivano dalla lettura di questo volume, oltre che naturalmente, dall’esempio quotidiano della lotta no tav.

a cura del nodo redazionale indipendente