Genova 2001 | Condanne a due giornalisti

L’APPELLO DI SOLIDARIETA’ A CHECCHINO ANTONINI E PIERO SANSONETTI, CONDANNATI A 8 MESI DI CARCERE DOPO GLI ARTICOLI APPARSI SU LIBERAZIONE E RELATIVI ALLA MATTANZA DI GENOVA 2001!

Martedì 10 febbraio, il tribunale di Roma ha condannato per diffamazione, a otto mesi, il cronista di Liberazione, Checchino Antonini, e il suo ex direttore, Piero Sansonetti. I fatti risalgono al 2005 quando l’allora capo della polizia, De Gennaro, attribuì ottimi voti, relativi al 2001, a due funzionari coinvolti nelle violenze di quell’anno al G8 di Genova. Gigi Malabarba, allora capogruppo al Senato di Rifondazione, denunciò quei criteri di valutazione e di selezione dei quadri di Ps ma fu a sua volta attaccato dalle dichiarazioni dei segretari di alcuni sindacati di polizia che facevano quadrato attorno al Viminale. Liberazione raccontò di quello scontro, tutto interno alla battaglia per verità e giustizia sui fatti di Genova. E per quel racconto si è trovata sulle spalle una denuncia, e poi una condanna. Dopo quasi dieci anni, guai a toccare Genova 2001.

Checchino Antonini e Piero Sansonetti sono stati condannati per aver svolto il proprio lavoro come hanno sempre fatto, senza mai aver derogato alla propria serietà professionale. La solidarietà con i due cronisti ci sembra doverosa. Perché serve oggi a tenere aperti gli spazi per il conflitto sociale, per il diritto di cronaca, per tutte le battaglie di verità e giustizia in quello che il  familiare di una vittima della strage di Brescia chiama il Paese dei comitati. Doverosa anche per non smettere mai di ricordare cosa è stato il G8 di Genova 2001, quali libertà fondamentali sono state lì violate e quali ragioni di libertà sono state gridate. Da tutti e da tutte noi.

San Paolo | Scuola occupata contro i tagli

I genitori, il personale docente e A.T.A. del 49° Circolo Didattico “Principe di Piemonte” di Roma hanno deciso di occupare la propria scuola per protestare e per informare sui provvedimenti governativi che hanno ormai portato la scuola pubblica al collasso. Infatti, si tratta di un processo, iniziato da circa 15 anni, in cui la politica scolastica dei vari governi

che si sono succeduti è stata caratterizzata prioritariamente da una

dotazione di risorse finanziarie sempre più esigua, fino ad arrivare al quasi completo azzeramento dei finanziamenti ministeriali; parallelamente si assiste ad un crescente finanziamento nei confronti della scuola privata in evidente contrasto costituzionale.

Noi riteniamo che la scuola pubblica statale rappresenti, in forza del dettato costituzionale, il luogo di formazione delle coscienze dei giovani cittadini del domani basato sul principio di uguaglianza e che, se privata degli strumenti/investimenti necessari, non può assolvere a tali compiti istituzionali.

Il mancato finanziamento per le supplenze e per il funzionamento amministrativo e didattico ha creato una situazione di tale caos ed emergenza da rendere impossibile il regolare svolgimento delle attività didattiche ed educative.

L’occupazione si svolgerà nei giorni 23-24-25 febbraio 2010, con le seguenti modalità:

martedì 23 febbraio

a.. dalle ore 8.30 alle ore 16.30 didattica alternativa con la partecipazione dei genitori nelle scuole Principe di Piemonte e L.da Vinci;

b.. ore 17.00 assemblea pubblica e attività con i bambini (ricami e pitture di protesta), nella scuola Principe di Piemonte

mercoledì 24 febbraio

a.. dalle ore 8.30 alle ore 16.30 didattica alternativa con la partecipazione dei genitori, nelle scuole Principe di Piemonte e L.da Vinci;

b.. dalle ore 17.00 eventi musicali ed artistici, danze popolari a cura dei genitori e degli insegnanti; lettura del brano “Il mondo salvato dai ragazzini” di Elsa Morante a cura di Bruno Crucitti (attore-regista), cena serale con assaggi dolci e salati preparati dai genitori e dagli insegnanti, nella scuola L.da Vinci;

giovedì 25 febbraio

a.. dalle ore 8.30 alle ore 16.30 didattica alternativa con la partecipazione dei genitori, nelle scuole Principe di Piemonte e L.da Vinci;

b.. dalle ore 17.00 lezioni dimostrative di yoga e tai chi e spettacolo di marionette a cura dei genitori e degli insegnanti, lezione di arte contemporanea per grandi e piccini a cura della prof.ssa F. D’alessio, musica e danze popolari, visione dei film “L’amore che non scordo” e “Essere e avere”, laboratori artistico-musicali con la partecipazione dell’Associazione Contro Chiave, nella scuola L.da Vinci.

Consiglio di Circolo

Comitato dei Genitori

Insegnanti del 49° Circolo Didattico di Roma

http://roma.repubblica.it/dettaglio/scuola-ricamo-e-poesia-per-protestare-contro-i-tagli/1867843

Centocelle | Recuperata una scuola abbandonata

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La notizia dell’occupazione della scuola Grossi, abbandonata da circa due anni nel quartiere di Centocelle e circondata dai lavori della metro C che la rendono quasi invisibile, è arrivata al Campidoglio nel pieno della riunione della Commissione sul Piano Casa del Comune di Roma che, nonostante il dilagare dell’emergenza abitativa (42.000 domande di casa popolare), ancora una volta decide di rimandare un serio intervento sull’edilizia pubblica ma anche sul recupero del patrimonio esistente.

IL PIANO CASA. Alla notizia dell’occupazione Alemanno & Co. provano a mandare a monte una discussione difficile con l’opposizione e con i movimenti per il diritto all’abitare che mentre occupano sono anche lì, a discutere col Comune, a proporre emendamenti, a strappare case popolari, a mostrare le enormi lacune del Piano Casa che la giunta vorrebbe approvare in tutta fretta.

Ma alla fine la discussione continua, nonostante l’accusa di sabotaggio che alcuni soci del sindaco riservano ai movimenti.  Buon per loro, visto che, ad esempio, i membri della commissione, che evidentemente non leggono i giornali, vengono a conoscenza della lista delle caserme dell’esercito in dismissione: un’importante risorsa che potrebbe garantire il diritto all’abitare a Roma.

Ma evidentemente non ne vogliono proprio sapere di stornare risorse dalla speculazione edilizia e ai centri commerciali per recuperarle al patrimonio abitativo. Si mantengono nel vago impegno di destinare una parte degli introiti della vendita delle caserme per l’edilizia residenziale. Tanto, testuali parole, questo piano casa risolverà l’emergenza abitativa e a Roma non ci sarà più bisogno di più di  case popolari. Da ora in poi, è questo il nuovo credo, housing sociale, cioè edilizia sovvenzionata destinata a redditi più alti. Sembra tanto la versione capitolina del “la crisi è finita, ottimismo” di più alti livelli istituzionali.

LA SCUOLA. Nel frattempo nella scuola sono arrivate tutte, le famiglie e le persone che per mesi sono state al freddo nella tendopoli di Viale del Policlinico e poi di Lungotevere dei Cenci, a far visita ad Antoniozzi, assessore alla casa. Finalmente c’è un posto. Si vocifera che la scuola debba diventare una ASL, che lunedi dovrebbero cominciare i cantieri. Ma poi voci istituzionali confermano che ancora non ci sono i soldi, la Regione potrebbe stanziarli giovedi. Qualcuno deve aver messo in giro delle notizie positive in viste delle elezioni…

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La scuola è in un forte stato di abbandono, è chiusa da due anni. Qualcuno già ci dorme, sporadicamente. Gli occupanti lavorano per chiudere gli spazi sensibili, dove ci sono ancora materiali utilizzati quando la scuola era in funzione. Ci sono le lavagne scritte, libri, dischi, giochi per bambini. Non deve sparire nulla. Iniziano le pulizie in vista della notte. Ma si dormirà a metà, con un occhio vigile per un possibile sgombero. Non sarebbe il primo e non sarà l’ultimo. Vedremo se questo edificio tra le centinaia che marciscono vuoti nella capitale dovrà rimanere una discarica. Vedremo se queste persone potranno realizzare questo lusso: il diritto ad avere una casa.

NEWS

L’occupazione è sotto sgombero dalle ore 15 di sabato 20 febbraio.

Il 23 febbraio si è tenuta un’assemblea pubblica in cui i neo-occupanti hanno spiegato le loro ragioni alla cittadinanza di Centocelle

IL COMUNICATO STAMPA DI QUESTA ASSEMBLEA. Verso il consiglio comunale sul piano casa. I movimenti che dal 23 dicembre presidiano l’assessorato alla casa del Comune di Roma e che venerdì scorso 19 febbraio hanno censito, occupandolo, uno stabile di proprietà pubblica in via degli Eucalipti nel VII municipio, indicono per domani martedì 23 febbraio alle 17 un incontro generale degli inquilini resistenti, degli occupanti senza titolo e per necessità, degli sfrattati, degli abitanti degli alloggi in dismissione, di chi non ce la fa a pagare il mutuo, dei precari e delle precarie con redditi insufficienti per accedere al mercato degli affitti, dei migranti e degli studenti che pagano cinquecento euro a stanza. L’assemblea si svolgerà all’interno dell’ex scuola “Tommaso Grossi” in via degli Eucalipti 14, edificio occupato in concomitanza con lo svolgimento delle commissioni congiunte casa e urbanistica sul “piano casa”, dove i movimenti hanno dato battaglia sostenendo i propri emendamenti e proposte. Di fronte ad una filosofia di fondo della delibera di giunta che guarda più agli interessi dei costruttori che all’emergenza abitativa e che anzi, usa colpevolmente quest’ultima, per mettere mano agli ambiti di riserva e alle aree agricole, i movimenti proseguono il censimento dal basso degli stabili vuoti pubblici e privati e ne chiedono l’utilizzo ed il recupero.

L’edificio di via degli Eucalipti, destinato ad ospitare un presidio socio sanitario con un consultorio, grazie anche alle lotte dei cittadini e delle cittadine di Centocelle e all’impegno del presidente del VII municipio, è presidiato da un centinaio di nuclei familiari in emergenza abitativa, anche del quartiere. Gli occupanti non hanno nessuna intenzione di vivere nella struttura, chiedono solamente il riconoscimento del loro diritto alla casa che ad oggi risulta negato.

Non esiste nessuna contrapposizione tra il diritto alla salute e il diritto alla casa.

I movimenti, con l’assemblea di martedì 23, intendono ribadire la propria contrarietà ad un piano casa inadeguato che cancellerà nella quasi totalità i circa 42.000 nuclei familiari in graduatoria da anni insieme alle tantissime persone che vivono in situazioni di emergenza. Contro un Piano insufficiente e ancora una volta guidato dagli interessi della rendita immobiliare piccola e grande, per coltivare l’idea di un’altra città possibile, da costruire e conquistare insieme invitiamo i cittadini e le cittadine del VII municipio, le reti sociali, gli studenti, le associazioni e i centri sociali della città a partecipare numerosi/e. Per costruire una forte mobilitazione giovedì 25 febbraio in Campidoglio, in occasione della discussione in consiglio del “piano casa”.

Essendo per il riuso e per l’utilizzo del patrimonio esistente piuttosto che per nuovo cemento, salutiamo positivamente la trasformazione della scuola “Tommaso Grossi” in una struttura pubblica destinata alla tutela della salute e non intendiamo intralciare questo processo. Sappiamo che il cantiere per l’inizio dei lavori non è immediato e che ci sono tutti i tempi di una mediazione che impedisca uno sgombero forzoso dei nuclei in emergenza abitativa che adesso presidiano la scuola. Chiediamo a tutti e tutte di adoperarsi per trovare soluzioni civili senza manganelli e forza pubblica, di non utilizzare strumentalmente una vicenda drammatica come questa per fare campagna elettorale e di batterci insieme sia per accelerare l’apertura della ASL che per il diritto alla casa per chi ha occupato per necessità.

Usiamo tutta la nostra intelligenza per organizzarci in difesa dei nostri diritti e non fidiamoci più di chi, soprattutto a ridosso delle elezioni, fa promesse che poi non mantiene. Alemanno prima di essere eletto promise 40mila case popolari, stiamo ancora aspettando!

IL COMUNICATO STAMPA DEL 20 FEBBRAIO. “I movimenti per il diritto all’abitare non mollano”. La commissione casa del Comune di Roma riunita oggi, ha visto la partecipazione dei movimenti, che hanno ribadito, argomentandola puntigliosamente, una valutazione negativa degli indirizzi del “piano casa” deliberato dalla Giunta di Alemanno. Gli emendamenti proposti sono stati tutti respinti, se si escludono alcune “concessioni” che non modificano però la ratio del provvedimento, tutto sbilanciato verso l’housing sociale e tiepidissimo sul capitolo dell’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) in sovvenzionata.

La necessità di dare risposte a chi ha atteso per anni in graduatoria (42mila persone), agli inquilini sotto sfratto o alle prese con le dismissioni, a chi vive nei residence o nelle occupazioni, alle nuove generazioni precarie, ai migranti che lavorano in questa città, agli studenti fuorisede, rimane lettera morta.

Per questo i movimenti hanno deciso di proseguire nel censimento dal basso degli stabili vuoti pubblici e privati.

Intorno alle 14.30 di oggi i nuclei che hanno occupato il 4 dicembre via del Policlinico e dal 23 dicembre presidiano l’assessorato alla casa dopo aver lasciato lo stabile di proprietà della Bnp/Paribas, hanno trovato un tetto all’interno dell’ex scuola media “Tommaso Grossi” nel VII municipio.

Nelle prossime ore è previsto un incontro con il Presidente del municipio Mastrantonio. In questo passaggio i movimenti intendono conoscere i motivi del mancato utilizzo della struttura pubblica e se ci sono progetti in essere. La proposta sarà di usare lo spazio per l’emergenza abitativa se non c’è diversa destinazione.

Di fronte al fatto che l’amministrazione tenga in poco conto la necessità di definire un piano in grado di affrontare e programmare seriamente il superamento delle emergenze, alla fretta con cui si vuole chiudere la partita proponendo strumenti deboli e inefficaci, nonché subalterni agli interessi dei costruttori, portando in consiglio comunale, presumibilmente, giovedì prossimo 25 febbraio la discussione sulla delibera.

Induce i movimenti a lanciare per lo stesso giorno una manifestazione in Campidoglio e invitiamo tutta la città, le forze politiche sensibili, le associazioni, le reti e i centri sociali a partecipare. Ricordiamo ancora come Veltroni chiuse la discussione sul Prg, sarebbe auspicabile che l’attuale giunta e l’attuale sindaco non utilizzassero i manganelli e la forza pubblica per zittire il dissenso. A cominciare dall’occupazione in corso nel VII municipio.

Movimenti per il diritto all’abitare

INFO. www.coordinamento.info | abitarenellacrisi.noblogs.org

Val di Susa: riparte il no alla Tav

I manifestanti hanno bloccato la circolazione sull’autostrada A32 Torino-Bardonecchia

Valdi Susa, scontri per l’Alta velocità Un «No Tav» rimasto ferito: è grave

L’uomo ha un ematoma cerebrale post-traumatico. Ferrero:«Vergognoso pestaggio». Pdl:«Irresponsabili»

Z63

TORINO – Sono ancora serie ma stabili le condizioni del giovane anarchico che mercoledì sera è rimasto ferito negli scontri fra manifestanti e polizia in località Coldimosso, in Val Susa, durante la mobilitazione contro il nuovo sondaggio preliminare alla realizzazione dell’alta velocitá Torino-Lione. Alcuni No Tav poi hanno bloccato l’autostrada A32 Torino-Bardonecchia, all’altezza di Chianocco, dove stava transitando la trivella utilizzata per il carotaggio di Coldimosso. Il camion che trasporta il macchinario è stato circondato.

IN OSPEDALE – Nella tarda serata il ragazzo, a cui è stato diagnosticato un ematoma subdurale, è stato trasferito all’ospedale Molinette di Torino dove si trova ancora ricoverato in prognosi riservata nel reparto di neurochirurgia. Il giovane, che è sempre stato vigile e cosciente, è stato sottoposto a una tac alla quale ne seguirà una seconda nella tarda mattinata di giovedì e al momento i medici non ritengono necessario sottoporlo a un intervento chirurgico. E nella notte, dopo un blocco dell’autostrada Torino-Bardonecchia, la protesta si è spostata nel capoluogo piemontese, in particolare in via Girodano Bruno, dove alcune decine di persone si sono riunite per un picchetto bloccando l’uscita dei camion della distribuzione del quotidiano La Stampa. I manifestanti sono stati fatti allontanare, senza tensioni, dalla polizia e il presidio si è sciolto intorno alle 2 e 30. Sui muri sono state lasciate alcune scritte come «sbirri e giornalisti infami», «no tav», «Calabresi assassino».

FERRERO, VERGOGNOSO PESTAGGIO – Paolo Ferrero, portavoce nazionale della Federazione della sinistra, move una dura accusa alla polizia: «Mercoledì sera è avvenuto un selvaggio e vergognoso pestaggio da parte delle forze dell’ordine ai danni del movimento No Tav della Val di Susa». «In seguito al pestaggio di polizia sono state ferite diverse persone, finite per questo in ospedale – continua Ferrero -. Il loro unico torto era difendere la loro valle dall’ennesima grande opera che tra qualche ano scopriremo essere fatta solo per distribuire profitti e tangenti» Secondo il portavoce della Federazione della sinistra «è indegna di un paese civile la militarizzazione della Val di Susa che il governo sta mettendo in atto, come si vede anche da quest’ultimo episodio. Se c’è in parlamento qualche esponente sinceramente democratico faccia un’interrogazione urgente al ministro degli interni Maroni».

Dal corriere.it | Al momento sembra l’articolo più decente. Almeno non c’è scritto che un ragazzo è grave dopo cariche di alleggerimento.

Crisi, conflitto, democrazia

img6594Le violente cariche di Mercoledì scorso 10 Febbraio 2010 davanti alla Prefettura di Roma hanno rappresentato l’ennesimo, gravissimo episodio di violenza poliziesca ed istituzionale. Di fronte alle cariche gratuite e ad un accanimento che ci ricorda le pagine buie di Genova 2001, nessuno può tacere. In gioco c’è la difesa delle legittime resistenze alla crisi e con esse degli spazi collettivi di agibilità democratica. Il rischio è che prevalga l’idea che dall’emergenza si esca con la sospensione dei diritti, la limitazione delle tutele, delle manifestazioni, del dissenso. Che la vera risposta alla crisi diventi la crisi della democrazia: un rapido declino verso l’autoritarismo e lo stato di polizia.

Il crescente numero di posti di lavoro a rischio, la crisi dei redditi, la devastante precarietà abitativa e sociale, la costante perdita di diritti in sempre più larghi settori di società, i meccanismi securitari e di controllo che indicano nel diverso e nel migrante le minacce da combattere, disegnano il panorama di una crisi profonda, di una caduta libera che sta trasformando il volto stesso del nostro paese. La risposta governativa alla crisi è il sostegno incondizionato a coloro che l’hanno generata, banche e grandi imprese, senza adeguati interventi a difesa dei posti di lavoro, misure reali per la garanzia dell’occupazione, dei redditi, del diritto alla casa. In un contesto in cui il tasso di disoccupazione supera ormai l’8.5% , dato sottostimato per via della casse integrazioni che ancora contengono il bacino della disoccupazione senza le quali avrebbe già superato il 10%, l’Italia e la Grecia, sono gli unici due paesi in Europa a non avere nessuna forma di protezione sociale e redistribuzione di  reddito per i disoccupati e i precari.

Una sudditanza istituzionale e politica verso i poteri forti e il loro denaro, mascherata con la giustificazione delle insufficienti risorse pubbliche, che continua a svuotare le tasche di tante donne e tanti uomini che provano a sopravvivere ai licenziamenti, alla cassa integrazione, al lavoro interinale, agli sfratti, allo sfruttamento e alle deportazioni.
L’assenza di risposte e provvedimenti reali, genera fenomeni di resistenza diffusa, lotte, spinge chi è costretto a sopportare condizioni di vita sempre più difficili e precarie ad organizzarsi, ad unirsi per reclamare una via d’uscita alla crisi, per riconquistare diritti.
Vite che non accettano di essere sacrificate sull’altare del mercato, che vogliono rimanere aggrappate al presente per immaginare ancora un futuro diverso e migliore. Storie a cui si risponde sempre più spesso con l’uso della forza pubblica, con l’oscuramento e la repressione.

Martedì 16 febbraio 2010
Ore 17.00
presso la Provincia di Roma (Palazzo Valentini – Sala della Pace – via IV Novembre)
ASSEMBLEA PUBBLICA

Hanno già dato la propria disponibilità a partecipare:

Luigi Nieri (Assessore Regione Lazio), Pancio Pardi (Palramentare), Massimo Rendina (ANPI), Ivano Peduzzi (Consigliere Regionale), Gianluca Peciola (Consigliere Provinciale), Massimiliano Smeriglio (Assessore Provincia di Roma),

Promuovono:
Lavoratori Eutelia, Precari Ispra, Lavoratori Italtel, Autoconvocati Sirti, Cassintegrati Alitalia, Lavoratori Telecom, Coordinamento Precari della Scuola, Comitati per il Reddito, Movimenti per il Diritto all’Abitare , Rete Romana Contro la Crisi

Trenta volte ciao, Valerio

verbanoIl 20 Febbraio 2010, in Piazza Sempione (nel quartiere Montesacro), ci si ritroverà a ricordare Valerio Verbano.

Dalle 20:00 il concerto dei 99 Posse, Assalti Frontali, Colle Der Fomento, Rancore, Empatia Venefica.

“Sono tanti i motivi per i quali, dopo trent’anni, non ho smesso di cercare il colpevole. E tra tanti, ce n’è uno che è proprio una tortura. Quando questo ragazzo è comparso davanti ai miei occhi, non aveva il passamontagna. Potrei ancora identificarlo”.

Trent’anni fa veniva ucciso nella sua casa Valerio Verbano, davanti gli occhi della madre Carla, per mano dei fascisti dei Nar. Valerio era uno studente del liceo Archimede, attivo nelle campagne di controinformazione che ricostruivano i legami tra settori dello stato, eversione nera e poteri forti. Una passione per la libertà e la giustizia sociale che ha pagato con la vita.

Un anniversario dal forte valore simbolico che, ancora una volta, vogliamo vivere come occasione collettiva di difesa della memoria storica, battaglia di verità e giustizia. Ma anche come occasione di lotta e di movimento. Non è un caso che negli ultimi anni si sono moltiplicati i progetti culturali, sportivi e di aggregazione dedicati a Valerio, per fare della memoria uno strumento di trasformazione del presente.

Ricordare oggi Valerio, significa continuare a lottare per una società più libera, contro la paura e l’egoismo, per nuovi diritti di cittadinanza, contro un modello sociale fondato ancora sullo sfruttamento. Significa concretamente strappare spazi alla speculazione, affermare il diritto alla casa, contrastare la precarietà di vita e di lavoro, aprirsi a una società multiculturale, praticare autonomia e indipendenza.

Ricordare oggi Valerio significa valorizzare i percorsi avviati in questi anni nei nostri quartieri, nelle scuole e in tutta la città. Per queste ragioni abbiamo pensato a un calendario di iniziative che prova ad esprimere tutta la ricchezza e la complessità di questo filo rosso della memoria.

Si inizia giovedì 18 febbraio, alle 17, all’Astra 19 di via Capraia, con la presentazione del libro scritto da Carla Verbano; si prosegue sabato 20, alle 16, con un corteo cittadino che attraverserà i luoghi di vita di Valerio ma anche le vertenze del territorio, per poi concludersi a piazza Sempione con un grande concerto, in cui si esibiranno – tra gli altri – 99 Posse e Assalti Frontali. Un luogo scelto non a caso, che ha visto una grande esperienza di autogestione, produzione culturale e contrasto della speculazione, il centro sociale Horus, al centro di una vertenza ancora viva, nonostante lo sgombero dello scorso novembre. Infine, lunedì 22 febbraio, giorno dell’anniversario, ci saranno due appuntamenti: la mattina, al liceo Archimede, organizzato dalle reti studentesche cittadine; il pomeriggio, dalle 16, il presidio “Un fiore per Valerio”.

A distanza di trent’anni, vogliamo proseguire il percorso di lotta e di passione per la vita di Valerio, non per odio ma per dignità.

Valerio vive.

Le compagne e i compagni di Valerio

Contro la crisi, siamo tutti sullo stesso tetto!

Contro la crisi,
siamo tutti sullo stesso tetto!
Il 10 febbraio 2010 in Prefettura si affronterà il tema del lavoro. Lo faranno gli enti locali, il governo e parti sociali individuate per l’occasione. Come dire: un tavolo non si nega a nessuno. Ne sono stati fatti sull’emergenza abitativa, sull’immigrazione, sulla sicurezza e ora anche sul lavoro. In questo quadro il sindaco ha sparato le sue cifre: 100mila posti di lavoro, ripetendo un proclama che suonava pressappoco così alla vigilia della sua elezione, 40mila casa popolari. Nello stesso tempo Alemanno non ha detto una parola in difesa dei lavoratori delle aziende in crisi.
Le parole non si sono tramutate in fatti e temiamo che anche sul tema lavoro si andrà nella stessa direzione. Demagogia tanta concretezza zero.
Non sappiamo cosa diranno le parti sociali che siederanno al tavolo e per questo abbiamo deciso di mobilitarci e invitiamo tutta la città che soffre la crisi a farlo.
Alle 15 di mercoledì 10 febbraio saremo in piazza SS Apostoli con gli inquilini resistenti, con i precari, con i disoccupati, con i cassaintegrati, con gli sfrattati, con chi non arriva a fine mese, con chi non ha un reddito, con i lavoratori in lotta dell’Eutelia e di altre decine di aziende che minacciano licenziamenti.
Roma contro la crisi e dentro la crisi deve diventare visibile e rompere con l’idea di città che ci vogliono propinare, dove la strada maestra immaginata dalla rendita ci condanna all’emergenza permanente e alla cementificazione selvaggia, dove l’unica prospettiva di lavoro è legata ad un pacchetto edilizio e ad eventuali possibilità occupazionali legate ad esso. In una città che sta subendo un aumento esponenziale della cassa integrazione ordinaria e straordinaria oltre che della disoccupazione non abbiamo bisogno di proclami elettorali in vista delle prossime regionali.
Non ci stiamo! Invitiamo tutti e tutte a mobilitarci per sostenere le proposte dei movimenti e delle reti sociali in lotta. Insieme con i migranti impegnati con i cittadini e le cittadine italiani/e in una battaglia senza precedenti contro il razzismo e la xenofobia, rivendicando diritti primari continuamente negati.
Se la città è di chi la abita, è arrivato il momento che questa voce inascoltata prevalga su quella dei costruttori, delle banche, degli speculatori come Bonifaci, Caltagirone, Santarelli, Toti, Mezzaroma. Gli amministratori devono segnare un significativo cambio di passo nella tutela della città come “bene comune” e nella difesa della qualità della vita nella sua interezza.
Saremo in piazza per rivendicare un reale piano anticrisi che passi attraverso la difesa, qui ed ora, dei posti di lavoro; la realizzazione di un piano straordinario di case popolari; un finanziamento adeguato alla legge regionale per il reddito che permetta di coprire le 120mila domande depositate e garantire a tutti i disoccupati e precari oltre all’erogazione monetaria anche il reddito indiretto (casa, trasporti, tariffe e formazione) previsti dalla legge.
Saremo in piazza con i migranti deportati e costretti alla fuga da Rosarno, abbandonati dalle istituzioni per le strade di Roma, per chiedere la realizzazione di un piano straordinario di accoglienza.
La mobilitazione del 10 febbraio deve diventare il punto di partenza verso una mobilitazione nazionale, che imponga al Governo misure economiche e di welfare mirate su chi paga la crisi e non più a sostegno delle banche e delle imprese.
Mercoledì 10 febbraio 2010
Dalle ore 15.00
Piazza SS Apostoli sotto la Prefettura
MANIFESTAZIONE
Prime adesioni: Rete Romana Contro la Crisi, Lavoratori Eutelia, Precari ISPRA, Lavoratori Italtel, Movimenti per il diritto all’abitare, cassintegrati Alitalia, autoconvocati Sirti, lavoratori telecom, Coordinamento Precari Scuola, Comitati per il RedditoContro la crisi,
siamo tutti sullo stesso tetto!
Il 10 febbraio 2010 in Prefettura si affronterà il tema del lavoro. Lo faranno gli enti locali, il governo e parti sociali individuate per l’occasione. Come dire: un tavolo non si nega a nessuno. Ne sono stati fatti sull’emergenza abitativa, sull’immigrazione, sulla sicurezza e ora anche sul lavoro. In questo quadro il sindaco ha sparato le sue cifre: 100mila posti di lavoro, ripetendo un proclama che suonava pressappoco così alla vigilia della sua elezione, 40mila casa popolari. Nello stesso tempo Alemanno non ha detto una parola in difesa dei lavoratori delle aziende in crisi.
Le parole non si sono tramutate in fatti e temiamo che anche sul tema lavoro si andrà nella stessa direzione. Demagogia tanta concretezza zero.
Non sappiamo cosa diranno le parti sociali che siederanno al tavolo e per questo abbiamo deciso di mobilitarci e invitiamo tutta la città che soffre la crisi a farlo.
Alle 15 di mercoledì 10 febbraio saremo in piazza SS Apostoli con gli inquilini resistenti, con i precari, con i disoccupati, con i cassaintegrati, con gli sfrattati, con chi non arriva a fine mese, con chi non ha un reddito, con i lavoratori in lotta dell’Eutelia e di altre decine di aziende che minacciano licenziamenti.
Roma contro la crisi e dentro la crisi deve diventare visibile e rompere con l’idea di città che ci vogliono propinare, dove la strada maestra immaginata dalla rendita ci condanna all’emergenza permanente e alla cementificazione selvaggia, dove l’unica prospettiva di lavoro è legata ad un pacchetto edilizio e ad eventuali possibilità occupazionali legate ad esso. In una città che sta subendo un aumento esponenziale della cassa integrazione ordinaria e straordinaria oltre che della disoccupazione non abbiamo bisogno di proclami elettorali in vista delle prossime regionali.
Non ci stiamo! Invitiamo tutti e tutte a mobilitarci per sostenere le proposte dei movimenti e delle reti sociali in lotta. Insieme con i migranti impegnati con i cittadini e le cittadine italiani/e in una battaglia senza precedenti contro il razzismo e la xenofobia, rivendicando diritti primari continuamente negati.
Se la città è di chi la abita, è arrivato il momento che questa voce inascoltata prevalga su quella dei costruttori, delle banche, degli speculatori come Bonifaci, Caltagirone, Santarelli, Toti, Mezzaroma. Gli amministratori devono segnare un significativo cambio di passo nella tutela della città come “bene comune” e nella difesa della qualità della vita nella sua interezza.
Saremo in piazza per rivendicare un reale piano anticrisi che passi attraverso la difesa, qui ed ora, dei posti di lavoro; la realizzazione di un piano straordinario di case popolari; un finanziamento adeguato alla legge regionale per il reddito che permetta di coprire le 120mila domande depositate e garantire a tutti i disoccupati e precari oltre all’erogazione monetaria anche il reddito indiretto (casa, trasporti, tariffe e formazione) previsti dalla legge.
Saremo in piazza con i migranti deportati e costretti alla fuga da Rosarno, abbandonati dalle istituzioni per le strade di Roma, per chiedere la realizzazione di un piano straordinario di accoglienza.
La mobilitazione del 10 febbraio deve diventare il punto di partenza verso una mobilitazione nazionale, che imponga al Governo misure economiche e di welfare mirate su chi paga la crisi e non più a sostegno delle banche e delle imprese.
Mercoledì 10 febbraio 2010
Dalle ore 15.00
Piazza SS Apostoli sotto la Prefettura
MANIFESTAZIONE
Prime adesioni: Rete Romana Contro la Crisi, Lavoratori Eutelia, Precari ISPRA, Lavoratori Italtel, Movimenti per il diritto all’abitare, cassintegrati Alitalia, autoconvocati Sirti, lavoratori telecom, Coordinamento Precari Scuola, Comitati per il Reddito
tettoIl 10 febbraio 2010 in Prefettura si affronterà il tema del lavoro. Lo faranno gli enti locali, il governo e parti sociali individuate per l’occasione. Come dire: un tavolo non si nega a nessuno. Ne sono stati fatti sull’emergenza abitativa, sull’immigrazione, sulla sicurezza e ora anche sul lavoro. In questo quadro il sindaco ha sparato le sue cifre: 100mila posti di lavoro, ripetendo un proclama che suonava pressappoco così alla vigilia della sua elezione, 40mila casa popolari. Nello stesso tempo Alemanno non ha detto una parola in difesa dei lavoratori delle aziende in crisi.
Le parole non si sono tramutate in fatti e temiamo che anche sul tema lavoro si andrà nella stessa direzione. Demagogia tanta concretezza zero.
Non sappiamo cosa diranno le parti sociali che siederanno al tavolo e per questo abbiamo deciso di mobilitarci e invitiamo tutta la città che soffre la crisi a farlo.
Alle 15 di mercoledì 10 febbraio saremo in piazza SS Apostoli con gli inquilini resistenti, con i precari, con i disoccupati, con i cassaintegrati, con gli sfrattati, con chi non arriva a fine mese, con chi non ha un reddito, con i lavoratori in lotta dell’Eutelia e di altre decine di aziende che minacciano licenziamenti.
Roma contro la crisi e dentro la crisi deve diventare visibile e rompere con l’idea di città che ci vogliono propinare, dove la strada maestra immaginata dalla rendita ci condanna all’emergenza permanente e alla cementificazione selvaggia, dove l’unica prospettiva di lavoro è legata ad un pacchetto edilizio e ad eventuali possibilità occupazionali legate ad esso. In una città che sta subendo un aumento esponenziale della cassa integrazione ordinaria e straordinaria oltre che della disoccupazione non abbiamo bisogno di proclami elettorali in vista delle prossime regionali.
Non ci stiamo! Invitiamo tutti e tutte a mobilitarci per sostenere le proposte dei movimenti e delle reti sociali in lotta. Insieme con i migranti impegnati con i cittadini e le cittadine italiani/e in una battaglia senza precedenti contro il razzismo e la xenofobia, rivendicando diritti primari continuamente negati.
Se la città è di chi la abita, è arrivato il momento che questa voce inascoltata prevalga su quella dei costruttori, delle banche, degli speculatori come Bonifaci, Caltagirone, Santarelli, Toti, Mezzaroma. Gli amministratori devono segnare un significativo cambio di passo nella tutela della città come “bene comune” e nella difesa della qualità della vita nella sua interezza.
Saremo in piazza per rivendicare un reale piano anticrisi che passi attraverso la difesa, qui ed ora, dei posti di lavoro; la realizzazione di un piano straordinario di case popolari; un finanziamento adeguato alla legge regionale per il reddito che permetta di coprire le 120mila domande depositate e garantire a tutti i disoccupati e precari oltre all’erogazione monetaria anche il reddito indiretto (casa, trasporti, tariffe e formazione) previsti dalla legge.
Saremo in piazza con i migranti deportati e costretti alla fuga da Rosarno, abbandonati dalle istituzioni per le strade di Roma, per chiedere la realizzazione di un piano straordinario di accoglienza.
La mobilitazione del 10 febbraio deve diventare il punto di partenza verso una mobilitazione nazionale, che imponga al Governo misure economiche e di welfare mirate su chi paga la crisi e non più a sostegno delle banche e delle imprese.
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Mercoledì 10 febbraio 2010
Dalle ore 15.00
Piazza SS Apostoli sotto la Prefettura
MANIFESTAZIONE

Prime adesioni: Rete Romana Contro la Crisi, Lavoratori Eutelia, Precari ISPRA, Lavoratori Italtel, Movimenti per il diritto all’abitare, cassintegrati Alitalia, autoconvocati Sirti, lavoratori telecom, Coordinamento Precari Scuola, Comitati per il Reddito

2009, G8 in Italia

berluG8G8 DI LUGLIO

Un G8 avvolto da un silenzio, al contrario di 8 anni fa a Genova, rotto solo dai vestiti delle Last Ladies e dai menù dei Grandi. Eppure, qualcosa si è mosso.

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ULTIME. Denunce per il G8 di Luglio (29 gennaio ’10)

Roma

Cariche e arresti alla manifestazione della V-Strategy: agenzievideo indymediacomunicati * Firma la petizione contro gli arresti * A Testaccio… * Lettera aperta sulla libertà di movimento (agosto 09) * C’era una volta il G8 (ottobre 09)

V-STRATEGY (ita-eng-esp) * V-Strategy @ Mattatoio * Rete No G8 Roma (ita-eng-esp) * Università chiusa per G8

L’Aquila

Siamo tutt@ aquilan@ – report 10 luglio * Sulle giornate di mobilitazione  contro il G8 (epicentrosolidale.org) * 10 Luglio: in marcia per l’Aquila * L’Aquila: una piazza in “armi” (Indymedia Abruzzo) * Il prefetto blocca la città * L’Aquila e le altre contro il G8 * Rete No G8 delle Marche

Da Italia & Europa

4 Luglio a Berlino

Stampa e media

Agenzie stampa 10 luglio * Agenzie 8 luglio * Agenzie 7 luglio * Agenzie 6 luglio * Arresti per il G8 di Torino (varie) * Genova 2001: chiesti due anni a De Gennaro (Corriere.it) * El G-8 de la crisis global en Roma-Aquila (Diagonal, esp) * No Global all’attacco (Il Giornale) * La delusione no global (Il Manifesto) * Obama in Italia (Ansa 24/6) – No global in Abruzzo (Abruzzo 24ore) * Messaggero sul G8Lo sciopero della celere

ALTRO:

Vademecum legale (Scarica rar format: itaengesp)

Infoline Legal Team Italia: 339.59.30.900 * 06.491563

UN ANNO DI CONTESTAZIONI AI G8-G14-G20

Maggio. G8 sulla sicurezza

Rete romana contro il G8 [Intolleranti al razzismo * Ed ora il G8 di Luglio]

Re-azioni della città ::: Oim [video * Corriere.it] Anagrafe [foto Repubblica] C.I.E. Ponte Galeria [foto Repubblica * Corriere.it]

Marzo. G14 a Roma e G20 a Londra

No G14 a Roma [Riprendiamoci le strade * Foto corteo]

Barcellona [foto 28 marzo]

G20 a Londra [video mappa della crisiClimate CampG20 di morte]

Reddito minimo garantito

di LUCIANO GALLINO

Ascolta audio di Gallino su reddito minimo garantito

reddSul fronte dell’occupazione la crisi ci consegna uno scenario con alcuni tratti decisamente negativi. Sindacati e Confindustria sono d’accordo nel prevedere che nei prossimi mesi i disoccupati continueranno ad aumentare.

Tolta una minoranza che troverà abbastanza presto un lavoro decentemente retribuito, in linea con la qualifica professionale posseduta, nel 2010 e dopo la loro massa si dividerà in tre gruppi: quelli che per vivere dovranno accettare un lavoro mal pagato, al disotto delle loro qualifiche e titoli di studio; i disoccupati di lunga durata, che dovranno aspettare anni prima di trovare un posto; infine quelli, soprattutto gli over 40, che un lavoro non lo troveranno mai più. Questo perché dopo le ristrutturazioni aziendali imposte o favorite dalla crisi, la produttività crescerà; ma insieme con essa aumenterà il numero di persone che dal punto di vista della produzione appaiono semplicemente superflue.

Dinanzi a un tale scenario, che riguarda milioni di persone, la riforma degli ammortizzatori sociali di cui si parla equivale a proporre a un malato il cui stato si aggrava giorno per giorno di prendere un’aspirina in più. Quale sistema di sostegno al reddito detti ammortizzatori, concepiti quarant’anni fa, appaiono oggi del tutto inadeguati. Occorre sostituirli con un sistema completamente diverso, capace di generare effetti benefici in diversi ambiti della vita sociale che il sistema in vigore non sfiora nemmeno. Un sistema di sostegno al reddito che dopo una lunga eclissi sta riprendendo posto nell’agenda politica di diversi paesi, dal Brasile alla Germania, è il reddito base, denominazione internazionale che si è ormai affermata in luogo di “reddito garantito”, “reddito di cittadinanza” e altri.
In sintesi l’idea di reddito base rappresenta un tentativo di allentare, se non abolire, il legame che esiste tra il reddito e il lavoro salariato.
Poiché il lavoro tende a scomparire, ma le persone con i loro diritti e bisogni no, occorre trovare il modo di distribuire un reddito anche a chi non lavora. Nella forma ideale il reddito base dovrebbe quindi consistere in una somma bastante per condurre una vita decente, versata regolarmente dallo stato o un ente locale o altra “comunità politica” al singolo individuo, senza che questo debba soddisfare alcuna condizione. Non importa se sia povero o no, se possa dimostrare – quando sia disoccupato – di cercare attivamente lavoro, e nemmeno se lavori o no. Nel caso in cui lavori il reddito base si aggiungerebbe al salario, ma la somma dei due comporterebbe ovviamente un maggior onere fiscale, o l’impegno a svolgere un certo numero di ore di volontariato. Uno dei benefici del reddito base incondizionato, su cui insistono spesso i suoi proponenti, va visto nella libertà che conferisce alla persona disoccupata di cercare a lungo un lavoro, senza doverne accettare per disperazione uno con una paga da fame e al disotto del proprio titolo di studio. Questo è anche un vantaggio per l’economia in generale. Infatti il laureato in fisica che in mancanza di meglio fa il bagnino, o la biologa che lavora da commessa in un outlet, rappresentano un investimento di decine di migliaia di euro in  formazione gettato al vento.
Ma soprattutto il reddito base viene visto come un mezzo efficace per combattere insieme sia la povertà, sia il più insidioso nemico della stabilità e della democrazia nelle società contemporanee: l’insicurezza socio-economica.

In realtà l’idea di reddito base ha più di due secoli. È stata proposta tra i primi da Thomas Paine, lo scrittore politico inglese trasferitosi in America, in un saggio del 1795. È comparsa e scomparsa ripetutamente nel dibattito interno dei partiti di sinistra europei per tutto il Novecento.
In Usa, una commissione nominata dal presidente Johnson pubblicò nel 1969 un rapporto in cui raccomandava di sostituire gran parte delle leggi
anti-povertà con un programma che fornisse a tutti gli americani un reddito annuale garantito. Non si trattava propriamente di un reddito base
incondizionato, poiché era subordinato al bisogno economico. Tuttavia gli argomenti della commissione, a partire da quello per cui non si possono
dividere i poveri tra coloro che vogliono lavorare e coloro che non lo vogliono, erano assai prossimi a quelli che da sempre adducono i fautori del reddito base. La legge sul reddito garantito venne bocciata al Senato per pochi voti, dopo essere stata approvata dalla Camera. In Francia ampie discussioni hanno sollevato dagli anni 80 in poi le proposte di André Gorz, dal “reddito sociale garantito” sino all’ultima di un “reddito incondizionato d’esistenza”. Ma è nell’ultimo decennio che si sono moltiplicati, in tema di basic income, i testi dovuti a studiosi di differenti paesi e istituzioni. In primo piano quelli pubblicati da dirigenti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, nel cui consiglio siedono, va ricordato, i rappresentanti di governi, imprenditori e sindacati.

La massa di studi oggi disponibili ha allungato l’elenco di argomenti a favore del reddito base, che due studiosi ispanici hanno compendiato di recente in una battuta: il reddito base va bene durante il boom, ma diventa essenziale con la crisi. Soprattutto ha tolto peso a molti argomenti contro, pur non facendoli sicuramente scomparire. Essa mostra che di tale forma di sostegno al reddito esistono molti modelli diversi, alcuni proposti in passato addirittura da economisti liberali come Milton Friedman, Fredrich Hayek, Herbert Simon; altri invece più vicini al pensiero socialista in tema di sicurezza socio-economica. Le ricerche condotte su casi locali attestano che il reddito base non conduce affatto alla formazione di masse crescenti di oziosi, né che esso – quando il suo ammontare sia congruo – favorisce l’offerta di bassi salari da parte delle imprese. Calcoli approfonditi mostrano inoltre come il suo costo possa esser reso sostenibile, tenendo conto che il reddito base non sarebbe un’aggiunta, bensì sostituirebbe gli ammortizzatori sociali in vigore – da noi la cassa integrazione e i piani di mobilità, il sussidio di disoccupazione e i pre-pensionamenti, oltre a varie indennità – che costano comunque miliardi l’anno. Infine nessuno pensa di proporre l’introduzione secca del reddito base come fosse un nuovo articolo del codice della strada. Occorrono studi, periodi di sperimentazione, locali, verifiche sui costi effettivi e sulle conseguenze che esso avrebbe sul mercato del lavoro, applicazioni graduali. Soprattutto occorrerebbe un’ampia discussione in sede politica.

In Germania un simile compito lo sta svolgendo Die Linke, il partito nato da pochi anni a sinistra dello Spd che ha conseguito un notevole successo alle ultime amministrative. Die Linke ha fondato una comunità federale di lavoro sul tema del reddito base incondizionato che conta migliaia di aderenti, e lo ha inserito a pieno titolo nel programma per le prossime elezioni politiche. La 2a settimana del reddito base (14-20 settembre 2009), che essa appoggia, ha riscosso il consenso di 223 organizzazioni non governative, comprese alcune svizzere e austriache. Da noi, ad onta del meritorio impegno del Basic Income Network Italia, nato da vari anni, la discussione è circoscritta a pochi addetti ai lavori. Se quel che resta dei partiti di sinistra, o del centro-sinistra, volessero proporre ai propri elettori di discutere di qualche autentica riforma, l’idea di reddito base come forma di sostegno al reddito resa necessaria dalla crisi e dalla moltiplicazione delle persone che diventano economicamente superflue, potrebbe essere un buon candidato.

la Repubblica 16 settembre 2009

Reddito base e disoccupazione

LUCIANO GALLINO

Sul fronte dell’occupazione la crisi ci consegna uno scenario con alcuni tratti decisamente negativi. Sindacati e Confindustria sono d’accordo nel prevedere che nei prossimi mesi i disoccupati continueranno ad aumentare.

Tolta una minoranza che troverà abbastanza presto un lavoro decentemente retribuito, in linea con la qualifica professionale posseduta, nel 2010 e dopo la loro massa si dividerà in tre gruppi: quelli che per vivere dovranno accettare un lavoro mal pagato, al disotto delle loro qualifiche e titoli di studio; i disoccupati di lunga durata, che dovranno aspettare anni prima di trovare un posto; infine quelli, soprattutto gli over 40, che un lavoro non lo troveranno mai più. Questo perché dopo le ristrutturazioni aziendali imposte o favorite dalla crisi, la produttività crescerà; ma insieme con essa aumenterà il numero di persone che dal punto di vista della produzione appaiono semplicemente superflue.

Dinanzi a un tale scenario, che riguarda milioni di persone, la riforma degli ammortizzatori sociali di cui si parla equivale a proporre a un malato il cui stato si aggrava giorno per giorno di prendere un’aspirina in più. Quale sistema di sostegno al reddito detti ammortizzatori, concepiti quarant’anni fa, appaiono oggi del tutto inadeguati. Occorre sostituirli con un sistema completamente diverso, capace di generare effetti benefici in diversi ambiti della vita sociale che il sistema in vigore non sfiora nemmeno. Un sistema di sostegno al reddito che dopo una lunga eclissi sta riprendendo posto nell’agenda politica di diversi paesi, dal Brasile alla Germania, è il reddito base, denominazione internazionale che si è ormai affermata in luogo di “reddito garantito”, “reddito di cittadinanza” e altri.
In sintesi l’idea di reddito base rappresenta un tentativo di allentare, se non abolire, il legame che esiste tra il reddito e il lavoro salariato.
Poiché il lavoro tende a scomparire, ma le persone con i loro diritti e bisogni no, occorre trovare il modo di distribuire un reddito anche a chi non lavora. Nella forma ideale il reddito base dovrebbe quindi consistere in una somma bastante per condurre una vita decente, versata regolarmente dallo stato o un ente locale o altra “comunità politica” al singolo individuo, senza che questo debba soddisfare alcuna condizione. Non importa se sia povero o no, se possa dimostrare – quando sia disoccupato – di cercare attivamente lavoro, e nemmeno se lavori o no. Nel caso in cui lavori il reddito base si aggiungerebbe al salario, ma la somma dei due comporterebbe ovviamente un maggior onere fiscale, o l’impegno a svolgere un certo numero di ore di volontariato. Uno dei benefici del reddito base incondizionato, su cui insistono spesso i suoi proponenti, va visto nella libertà che conferisce alla persona disoccupata di cercare a lungo un lavoro, senza doverne accettare per disperazione uno con una paga da fame e al disotto del proprio titolo di studio. Questo è anche un vantaggio per l’economia in generale. Infatti il laureato in fisica che in mancanza di meglio fa il bagnino, o la biologa che lavora da commessa in un outlet, rappresentano un investimento di decine di migliaia di euro in  formazione gettato al vento.
Ma soprattutto il reddito base viene visto come un mezzo efficace per combattere insieme sia la povertà, sia il più insidioso nemico della stabilità e della democrazia nelle società contemporanee: l’insicurezza socio-economica.

In realtà l’idea di reddito base ha più di due secoli. È stata proposta tra i primi da Thomas Paine, lo scrittore politico inglese trasferitosi in America, in un saggio del 1795. È comparsa e scomparsa ripetutamente nel dibattito interno dei partiti di sinistra europei per tutto il Novecento.
In Usa, una commissione nominata dal presidente Johnson pubblicò nel 1969 un rapporto in cui raccomandava di sostituire gran parte delle leggi
anti-povertà con un programma che fornisse a tutti gli americani un reddito annuale garantito. Non si trattava propriamente di un reddito base
incondizionato, poiché era subordinato al bisogno economico. Tuttavia gli argomenti della commissione, a partire da quello per cui non si possono
dividere i poveri tra coloro che vogliono lavorare e coloro che non lo vogliono, erano assai prossimi a quelli che da sempre adducono i fautori del reddito base. La legge sul reddito garantito venne bocciata al Senato per pochi voti, dopo essere stata approvata dalla Camera. In Francia ampie discussioni hanno sollevato dagli anni 80 in poi le proposte di André Gorz, dal “reddito sociale garantito” sino all’ultima di un “reddito incondizionato d’esistenza”. Ma è nell’ultimo decennio che si sono moltiplicati, in tema di basic income, i testi dovuti a studiosi di differenti paesi e istituzioni. In primo piano quelli pubblicati da dirigenti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, nel cui consiglio siedono, va ricordato, i rappresentanti di governi, imprenditori e sindacati.

La massa di studi oggi disponibili ha allungato l’elenco di argomenti a favore del reddito base, che due studiosi ispanici hanno compendiato di recente in una battuta: il reddito base va bene durante il boom, ma diventa essenziale con la crisi. Soprattutto ha tolto peso a molti argomenti contro, pur non facendoli sicuramente scomparire. Essa mostra che di tale forma di sostegno al reddito esistono molti modelli diversi, alcuni proposti in passato addirittura da economisti liberali come Milton Friedman, Fredrich Hayek, Herbert Simon; altri invece più vicini al pensiero socialista in tema di sicurezza socio-economica. Le ricerche condotte su casi locali attestano che il reddito base non conduce affatto alla formazione di masse crescenti di oziosi, né che esso – quando il suo ammontare sia congruo – favorisce l’offerta di bassi salari da parte delle imprese. Calcoli approfonditi mostrano inoltre come il suo costo possa esser reso sostenibile, tenendo conto che il reddito base non sarebbe un’aggiunta, bensì sostituirebbe gli ammortizzatori sociali in vigore – da noi la cassa integrazione e i piani di mobilità, il sussidio di disoccupazione e i pre-pensionamenti, oltre a varie indennità – che costano comunque miliardi l’anno. Infine nessuno pensa di proporre l’introduzione secca del reddito base come fosse un nuovo articolo del codice della strada. Occorrono studi, periodi di sperimentazione, locali, verifiche sui costi effettivi e sulle conseguenze che esso avrebbe sul mercato del lavoro, applicazioni graduali. Soprattutto occorrerebbe un’ampia discussione in sede politica.

In Germania un simile compito lo sta svolgendo Die Linke, il partito nato da pochi anni a sinistra dello Spd che ha conseguito un notevole successo alle ultime amministrative. Die Linke ha fondato una comunità federale di lavoro sul tema del reddito base incondizionato che conta migliaia di aderenti, e lo ha inserito a pieno titolo nel programma per le prossime elezioni politiche. La 2a settimana del reddito base (14-20 settembre 2009), che essa appoggia, ha riscosso il consenso di 223 organizzazioni non governative, comprese alcune svizzere e austriache. Da noi, ad onta del meritorio impegno del Basic Income Network Italia, nato da vari anni, la discussione è circoscritta a pochi addetti ai lavori. Se quel che resta dei partiti di sinistra, o del centro-sinistra, volessero proporre ai propri elettori di discutere di qualche autentica riforma, l’idea di reddito base come forma di sostegno al reddito resa necessaria dalla crisi e dalla moltiplicazione delle persone che diventano economicamente superflue, potrebbe essere un buon candidato.

la Repubblica 16 settembre 2009

Reddito base e disoccupazione

LUCIANO GALLINO

Sul fronte dell’occupazione la crisi ci consegna uno scenario con alcuni tratti decisamente negativi. Sindacati e Confindustria sono d’accordo nel prevedere che nei prossimi mesi i disoccupati continueranno ad aumentare.

Tolta una minoranza che troverà abbastanza presto un lavoro decentemente retribuito, in linea con la qualifica professionale posseduta, nel 2010 e dopo la loro massa si dividerà in tre gruppi: quelli che per vivere dovranno accettare un lavoro mal pagato, al disotto delle loro qualifiche e titoli di studio; i disoccupati di lunga durata, che dovranno aspettare anni prima di trovare un posto; infine quelli, soprattutto gli over 40, che un lavoro non lo troveranno mai più. Questo perché dopo le ristrutturazioni aziendali imposte o favorite dalla crisi, la produttività crescerà; ma insieme con essa aumenterà il numero di persone che dal punto di vista della produzione appaiono semplicemente superflue.

Dinanzi a un tale scenario, che riguarda milioni di persone, la riforma degli ammortizzatori sociali di cui si parla equivale a proporre a un malato il cui stato si aggrava giorno per giorno di prendere un’aspirina in più. Quale sistema di sostegno al reddito detti ammortizzatori, concepiti quarant’anni fa, appaiono oggi del tutto inadeguati. Occorre sostituirli con un sistema completamente diverso, capace di generare effetti benefici in diversi ambiti della vita sociale che il sistema in vigore non sfiora nemmeno. Un sistema di sostegno al reddito che dopo una lunga eclissi sta riprendendo posto nell’agenda politica di diversi paesi, dal Brasile alla Germania, è il reddito base, denominazione internazionale che si è ormai affermata in luogo di “reddito garantito”, “reddito di cittadinanza” e altri.
In sintesi l’idea di reddito base rappresenta un tentativo di allentare, se non abolire, il legame che esiste tra il reddito e il lavoro salariato.
Poiché il lavoro tende a scomparire, ma le persone con i loro diritti e bisogni no, occorre trovare il modo di distribuire un reddito anche a chi non lavora. Nella forma ideale il reddito base dovrebbe quindi consistere in una somma bastante per condurre una vita decente, versata regolarmente dallo stato o un ente locale o altra “comunità politica” al singolo individuo, senza che questo debba soddisfare alcuna condizione. Non importa se sia povero o no, se possa dimostrare – quando sia disoccupato – di cercare attivamente lavoro, e nemmeno se lavori o no. Nel caso in cui lavori il reddito base si aggiungerebbe al salario, ma la somma dei due comporterebbe ovviamente un maggior onere fiscale, o l’impegno a svolgere un certo numero di ore di volontariato. Uno dei benefici del reddito base incondizionato, su cui insistono spesso i suoi proponenti, va visto nella libertà che conferisce alla persona disoccupata di cercare a lungo un lavoro, senza doverne accettare per disperazione uno con una paga da fame e al disotto del proprio titolo di studio. Questo è anche un vantaggio per l’economia in generale. Infatti il laureato in fisica che in mancanza di meglio fa il bagnino, o la biologa che lavora da commessa in un outlet, rappresentano un investimento di decine di migliaia di euro in  formazione gettato al vento.
Ma soprattutto il reddito base viene visto come un mezzo efficace per combattere insieme sia la povertà, sia il più insidioso nemico della stabilità e della democrazia nelle società contemporanee: l’insicurezza socio-economica.

In realtà l’idea di reddito base ha più di due secoli. È stata proposta tra i primi da Thomas Paine, lo scrittore politico inglese trasferitosi in America, in un saggio del 1795. È comparsa e scomparsa ripetutamente nel dibattito interno dei partiti di sinistra europei per tutto il Novecento.
In Usa, una commissione nominata dal presidente Johnson pubblicò nel 1969 un rapporto in cui raccomandava di sostituire gran parte delle leggi
anti-povertà con un programma che fornisse a tutti gli americani un reddito annuale garantito. Non si trattava propriamente di un reddito base
incondizionato, poiché era subordinato al bisogno economico. Tuttavia gli argomenti della commissione, a partire da quello per cui non si possono
dividere i poveri tra coloro che vogliono lavorare e coloro che non lo vogliono, erano assai prossimi a quelli che da sempre adducono i fautori del reddito base. La legge sul reddito garantito venne bocciata al Senato per pochi voti, dopo essere stata approvata dalla Camera. In Francia ampie discussioni hanno sollevato dagli anni 80 in poi le proposte di André Gorz, dal “reddito sociale garantito” sino all’ultima di un “reddito incondizionato d’esistenza”. Ma è nell’ultimo decennio che si sono moltiplicati, in tema di basic income, i testi dovuti a studiosi di differenti paesi e istituzioni. In primo piano quelli pubblicati da dirigenti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, nel cui consiglio siedono, va ricordato, i rappresentanti di governi, imprenditori e sindacati.

La massa di studi oggi disponibili ha allungato l’elenco di argomenti a favore del reddito base, che due studiosi ispanici hanno compendiato di recente in una battuta: il reddito base va bene durante il boom, ma diventa essenziale con la crisi. Soprattutto ha tolto peso a molti argomenti contro, pur non facendoli sicuramente scomparire. Essa mostra che di tale forma di sostegno al reddito esistono molti modelli diversi, alcuni proposti in passato addirittura da economisti liberali come Milton Friedman, Fredrich Hayek, Herbert Simon; altri invece più vicini al pensiero socialista in tema di sicurezza socio-economica. Le ricerche condotte su casi locali attestano che il reddito base non conduce affatto alla formazione di masse crescenti di oziosi, né che esso – quando il suo ammontare sia congruo – favorisce l’offerta di bassi salari da parte delle imprese. Calcoli approfonditi mostrano inoltre come il suo costo possa esser reso sostenibile, tenendo conto che il reddito base non sarebbe un’aggiunta, bensì sostituirebbe gli ammortizzatori sociali in vigore – da noi la cassa integrazione e i piani di mobilità, il sussidio di disoccupazione e i pre-pensionamenti, oltre a varie indennità – che costano comunque miliardi l’anno. Infine nessuno pensa di proporre l’introduzione secca del reddito base come fosse un nuovo articolo del codice della strada. Occorrono studi, periodi di sperimentazione, locali, verifiche sui costi effettivi e sulle conseguenze che esso avrebbe sul mercato del lavoro, applicazioni graduali. Soprattutto occorrerebbe un’ampia discussione in sede politica.

In Germania un simile compito lo sta svolgendo Die Linke, il partito nato da pochi anni a sinistra dello Spd che ha conseguito un notevole successo alle ultime amministrative. Die Linke ha fondato una comunità federale di lavoro sul tema del reddito base incondizionato che conta migliaia di aderenti, e lo ha inserito a pieno titolo nel programma per le prossime elezioni politiche. La 2a settimana del reddito base (14-20 settembre 2009), che essa appoggia, ha riscosso il consenso di 223 organizzazioni non governative, comprese alcune svizzere e austriache. Da noi, ad onta del meritorio impegno del Basic Income Network Italia, nato da vari anni, la discussione è circoscritta a pochi addetti ai lavori. Se quel che resta dei partiti di sinistra, o del centro-sinistra, volessero proporre ai propri elettori di discutere di qualche autentica riforma, l’idea di reddito base come forma di sostegno al reddito resa necessaria dalla crisi e dalla moltiplicazione delle persone che diventano economicamente superflue, potrebbe essere un buon candidato.

la Repubblica 16 settembre 2009

Reddito base e disoccupazione

LUCIANO GALLINO

Sul fronte dell’occupazione la crisi ci consegna uno scenario con alcuni tratti decisamente negativi. Sindacati e Confindustria sono d’accordo nel prevedere che nei prossimi mesi i disoccupati continueranno ad aumentare.

Tolta una minoranza che troverà abbastanza presto un lavoro decentemente retribuito, in linea con la qualifica professionale posseduta, nel 2010 e dopo la loro massa si dividerà in tre gruppi: quelli che per vivere dovranno accettare un lavoro mal pagato, al disotto delle loro qualifiche e titoli di studio; i disoccupati di lunga durata, che dovranno aspettare anni prima di trovare un posto; infine quelli, soprattutto gli over 40, che un lavoro non lo troveranno mai più. Questo perché dopo le ristrutturazioni aziendali imposte o favorite dalla crisi, la produttività crescerà; ma insieme con essa aumenterà il numero di persone che dal punto di vista della produzione appaiono semplicemente superflue.

Dinanzi a un tale scenario, che riguarda milioni di persone, la riforma degli ammortizzatori sociali di cui si parla equivale a proporre a un malato il cui stato si aggrava giorno per giorno di prendere un’aspirina in più. Quale sistema di sostegno al reddito detti ammortizzatori, concepiti quarant’anni fa, appaiono oggi del tutto inadeguati. Occorre sostituirli con un sistema completamente diverso, capace di generare effetti benefici in diversi ambiti della vita sociale che il sistema in vigore non sfiora nemmeno. Un sistema di sostegno al reddito che dopo una lunga eclissi sta riprendendo posto nell’agenda politica di diversi paesi, dal Brasile alla Germania, è il reddito base, denominazione internazionale che si è ormai affermata in luogo di “reddito garantito”, “reddito di cittadinanza” e altri.
In sintesi l’idea di reddito base rappresenta un tentativo di allentare, se non abolire, il legame che esiste tra il reddito e il lavoro salariato.
Poiché il lavoro tende a scomparire, ma le persone con i loro diritti e bisogni no, occorre trovare il modo di distribuire un reddito anche a chi non lavora. Nella forma ideale il reddito base dovrebbe quindi consistere in una somma bastante per condurre una vita decente, versata regolarmente dallo stato o un ente locale o altra “comunità politica” al singolo individuo, senza che questo debba soddisfare alcuna condizione. Non importa se sia povero o no, se possa dimostrare – quando sia disoccupato – di cercare attivamente lavoro, e nemmeno se lavori o no. Nel caso in cui lavori il reddito base si aggiungerebbe al salario, ma la somma dei due comporterebbe ovviamente un maggior onere fiscale, o l’impegno a svolgere un certo numero di ore di volontariato. Uno dei benefici del reddito base incondizionato, su cui insistono spesso i suoi proponenti, va visto nella libertà che conferisce alla persona disoccupata di cercare a lungo un lavoro, senza doverne accettare per disperazione uno con una paga da fame e al disotto del proprio titolo di studio. Questo è anche un vantaggio per l’economia in generale. Infatti il laureato in fisica che in mancanza di meglio fa il bagnino, o la biologa che lavora da commessa in un outlet, rappresentano un investimento di decine di migliaia di euro in  formazione gettato al vento.
Ma soprattutto il reddito base viene visto come un mezzo efficace per combattere insieme sia la povertà, sia il più insidioso nemico della stabilità e della democrazia nelle società contemporanee: l’insicurezza socio-economica.

In realtà l’idea di reddito base ha più di due secoli. È stata proposta tra i primi da Thomas Paine, lo scrittore politico inglese trasferitosi in America, in un saggio del 1795. È comparsa e scomparsa ripetutamente nel dibattito interno dei partiti di sinistra europei per tutto il Novecento.
In Usa, una commissione nominata dal presidente Johnson pubblicò nel 1969 un rapporto in cui raccomandava di sostituire gran parte delle leggi
anti-povertà con un programma che fornisse a tutti gli americani un reddito annuale garantito. Non si trattava propriamente di un reddito base
incondizionato, poiché era subordinato al bisogno economico. Tuttavia gli argomenti della commissione, a partire da quello per cui non si possono
dividere i poveri tra coloro che vogliono lavorare e coloro che non lo vogliono, erano assai prossimi a quelli che da sempre adducono i fautori del reddito base. La legge sul reddito garantito venne bocciata al Senato per pochi voti, dopo essere stata approvata dalla Camera. In Francia ampie discussioni hanno sollevato dagli anni 80 in poi le proposte di André Gorz, dal “reddito sociale garantito” sino all’ultima di un “reddito incondizionato d’esistenza”. Ma è nell’ultimo decennio che si sono moltiplicati, in tema di basic income, i testi dovuti a studiosi di differenti paesi e istituzioni. In primo piano quelli pubblicati da dirigenti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, nel cui consiglio siedono, va ricordato, i rappresentanti di governi, imprenditori e sindacati.

La massa di studi oggi disponibili ha allungato l’elenco di argomenti a favore del reddito base, che due studiosi ispanici hanno compendiato di recente in una battuta: il reddito base va bene durante il boom, ma diventa essenziale con la crisi. Soprattutto ha tolto peso a molti argomenti contro, pur non facendoli sicuramente scomparire. Essa mostra che di tale forma di sostegno al reddito esistono molti modelli diversi, alcuni proposti in passato addirittura da economisti liberali come Milton Friedman, Fredrich Hayek, Herbert Simon; altri invece più vicini al pensiero socialista in tema di sicurezza socio-economica. Le ricerche condotte su casi locali attestano che il reddito base non conduce affatto alla formazione di masse crescenti di oziosi, né che esso – quando il suo ammontare sia congruo – favorisce l’offerta di bassi salari da parte delle imprese. Calcoli approfonditi mostrano inoltre come il suo costo possa esser reso sostenibile, tenendo conto che il reddito base non sarebbe un’aggiunta, bensì sostituirebbe gli ammortizzatori sociali in vigore – da noi la cassa integrazione e i piani di mobilità, il sussidio di disoccupazione e i pre-pensionamenti, oltre a varie indennità – che costano comunque miliardi l’anno. Infine nessuno pensa di proporre l’introduzione secca del reddito base come fosse un nuovo articolo del codice della strada. Occorrono studi, periodi di sperimentazione, locali, verifiche sui costi effettivi e sulle conseguenze che esso avrebbe sul mercato del lavoro, applicazioni graduali. Soprattutto occorrerebbe un’ampia discussione in sede politica.

In Germania un simile compito lo sta svolgendo Die Linke, il partito nato da pochi anni a sinistra dello Spd che ha conseguito un notevole successo alle ultime amministrative. Die Linke ha fondato una comunità federale di lavoro sul tema del reddito base incondizionato che conta migliaia di aderenti, e lo ha inserito a pieno titolo nel programma per le prossime elezioni politiche. La 2a settimana del reddito base (14-20 settembre 2009), che essa appoggia, ha riscosso il consenso di 223 organizzazioni non governative, comprese alcune svizzere e austriache. Da noi, ad onta del meritorio impegno del Basic Income Network Italia, nato da vari anni, la discussione è circoscritta a pochi addetti ai lavori. Se quel che resta dei partiti di sinistra, o del centro-sinistra, volessero proporre ai propri elettori di discutere di qualche autentica riforma, l’idea di reddito base come forma di sostegno al reddito resa necessaria dalla crisi e dalla moltiplicazione delle persone che diventano economicamente superflue, potrebbe essere un buon candidato.

la Repubblica 16 settembre 2009

Dentro la crisi contro la crisi

eutelia_A52L’assemblea riunita il 28 gennaio lo stabilimento di Eutelia e che ha visto la partecipazione di diverse realtà di lotta (Eutelia, ISPRA, Italtel, MVS ex-IBM, Coordinamento precari della scuola, Movimenti per il diritto all’abitare, Comitati per il reddito, Rete romana contro la crisi), lancia una prima giornata di mobilitazione comune per giovedì 11 febbraio sotto la Prefettura di Roma e  invita tutti e tutte a sostenere la manifestazione dei lavoratori di Eutelia prevista per il 1° Febbraio alle 20,30.sotto palazzo Chigi.

Nel confronto è emerso un filo comune che lega le mille facce e le diverse storie di chi subisce il vero prezzo della crisi. I lavoratori e i precari, italiani e migranti, che hanno perso, rischiano di perdere il posto di lavoro o finiscono in cassa integrazione, chi un lavoro nemmeno ce l’ha. Una crisi che investe ogni singola persona nella quotidianità e ne mina i diritti primari: la casa, la salute, lo studio, la dignità.

L’assemblea ha riconosciuto inoltre la necessità di costruire iniziative, incontri nei territori, nei quartieri di periferia, e una mobilitazione per respingere l’attacco al mondo della conoscenza, che colpisce particolarmente l’università, scuola ed enti di ricerca pubblica per mettere insieme lotte comuni che inchiodano alle loro responsabilità il governo ed enti locali.

Queste prime proposte sono il punto di partenza di un confronto utile per trasformare le decine di resistenze diffuse in una sola forte voce in grado di far cambiare passo alle amministrazioni comunale, provinciale e regionale, troppo subalterne agli interessi della rendita, delle banche e del padronato. La convocazione del consiglio comunale straordinario sull’emergenza abitativa viene così assunta come giornata di mobilitazione generale da proporre alla città intera.

Guarda il video dell’irruzione squadristica durante l’occupazione di Eutelia

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Roma si ribella alla crisi

Dietro i numeri drammatici − dei licenziamenti, della disoccupazione crescente, della cassa integrazione, della messa in mobilità, del mancato rinnovo dei contratti a termine e della miriade di contratti precari –  ci sono persone: lavoratici, lavoratori, giovani, famiglie che non hanno reddito sufficiente per pagare affitti, rate del mutuo, bollette, ticket; che non hanno risorse sufficienti per vivere una vita dignitosa.

Insieme alle disastrate condizioni economiche, alla crescente precarietà di vita,  nella nostra città dilaga l’emergenza abitativa: migliaia di famiglie sono sotto sfratto (la maggior parte ormai per morosità), gli inquilini degli alloggi degli enti previdenziali “irregolari” e quindi a rischio, oppure regolari ma oggetto delle nuove ondate di dismissione (ENASARCO). Altre migliaia sono le persone costrette a vivere nelle occupazioni o in residence privati pagati a peso d’oro dall’amministrazione. Questo mentre la Giunta Alemanno annulla la graduatoria delle case popolari cancellando i 40.000 nuclei familiari inseriti tra gli aventi diritto e riduce la previsione di nuove case popolari alle briciole, sole 1500 alloggi previsti nei prossimi anni, scegliendo ancora una volta di premiare la rendita e gli interessi forti del mattone privato.

I governi ed istituzioni locali hanno praticato per anni politiche liberiste, privatizzando servizi e beni comuni, alimentando la speculazione finanziaria insieme ad una deregolamentazione del mercato del lavoro che ha selvaggiamente precarizzato, minato alla radice conquiste e diritti del lavoro, generato una diffusa insicurezza sociale. Ed anche nel rispondere alla crisi, preferiscono sostenere banche, imprese, pescecani dell’edilizia, elargendo loro milioni di euro ed abbandonando lavoratori e le lavoratrici appesi ad indennità di disoccupazione e di cassa integrazione sempre insufficienti, lasciando completamente soli, senza alcun tipo di sostegno, centinaia di migliaia di precari.

Ora il razzismo di stato dilaga, come dimostra anche la vicenda di Rosarno, in un’oppressione senza confine che riduce i migranti a semplice merce, a forza-lavoro da sfruttare, senza nessun diritto; le politiche xenofobe del governo provocano ad arte tensioni che investono i settori sociali colpiti dalla crisi, per creare un’assurda guerra fra poveri.

Oggi a essere schiacciati ed espulsi dal lavoro non sono solo le fasce meno professionalizzate, sono lavoratori e lavoratrici del settore privato, ma anche di quello pubblico, con alte professionalità: si pensi alla scuola e all’universita’, colpite pesantemente da tagli complessivi per 9,5 miliardi di euro, che hanno espresso nei mesi trascorsi alti livelli di resistenza. Anche l’EUTELIA e l’ISPRA sono due centri altamente qualificati nell’informatica e nella ricerca. Insieme ad essi sono centinaia le aziende che chiudono o espellono manodopera.

Le lotte dei lavoratori di EUTELIA e di ISPRA, sono divenute per tutti un importante riferimento, simbolo della necessità di uscire dall’inerzia, di attivare forme di lotta ed un nuovo protagonismo per uscire dalla crisi con nuove  misure e diritti sociali, per nuova e buona occupazione che cambi il modello di sviluppo..

Dall’Eutelia, dall’Ispra, dai Precari della Scuola, dai Movimenti per il Diritto All’Abitare e da altre lotte che hanno avuto meno risalto mediatico,  sono venute resistenze forti, con l’occupazione degli stabilimenti, le manifestazioni, le tendopoli ed i presidi ad oltranza. Le proteste sui tetti, dall’ISPRA ai musei capitolini, hanno rappresentato anche simbolicamente le diverse facce della lotta alla crisi delle banche e dei padroni, ed evidenziato condizioni di vita e problemi del tutto simili, e la vicinanza delle lotte.

Una vicinanza che è divenuta in queste settimane contatto, capacità di attraversamento, che hanno le potenzialità per divenire incontro. Un incontro che mostri la possibilità di ricomporre il mosaico, i diversi frammenti e spaccati di chi vive la crisi e di chi contro la crisi ha iniziato o vuole ribellarsi.

Molte sono le comuni rivendicazioni e vertenze e possibili: dalla predisposizione di nuove misure di tutela del lavoro alla conquista di Tariffe Sociali (gas, luce, trasporti, asili nido e spese scolastiche etc.), dall’estensione e potenziamento finanziario del Reddito Minimo Regionale alla richiesta di una moratoria sui mutui, sulle imposte, sulla cessione del quinto dello stipendio (come avvenuto per i debiti delle imprese), fino alla conquista di un vero Piano di Casa Popolari per la nostra città.  Perché la lotta per il diritto all’abitare, la richiesta di sospensione degli sfratti, di case da pagare in proporzione alle proprie tasche, è domanda di investimenti pubblici, di “bene comune”, è richiesta di reddito.

Nella convinzione che il lavoro, il reddito, i servizi pubblici, il diritto all’abitare, i diritti di cittadinanza per i/le migranti possano rappresentare un comune oggetto del desiderio, il terreno di incontro delle nostre storie e di molte altre storie simili alle nostre, lanciamo questo appello aperto e alla città insieme all’ invito a partecipare all’ assemblea.

GIOVEDI’ 28 GENNAIO ORE 17.30 IN EUTELIA
(VIA BONA 50)

Rete Romana Contro la Crisi, Lavoratori Eutelia, Movimenti per il diritto all’abitare, lavoratori ISPRA, Italtel, appalti Sirti, Almaviva Atesia, cassintegrati lav. Alitalia, coord. precari scuola