COP15 | Climate Justice Action

Communicato dal Climate Justice Action meeting a Ragnhildsgade,
Copenhagen 17 Dicembre 2009

Il movimento per la giustizia climatica si è scontrato con una repressione poliziesca di massa in entrambe le date del 12 e del 16 dicembre: attacchi a manifestazioni autorizzate, arresti preventivi di massa, incursioni illegali in case private e spazi di accoglienza, uso intensivo di pepper spray e la carcerazione di attivisti politici. Non è solo una criminalizzazione dei movimenti per la Climate Justice, ma un tentativo di criminalizzare tutti i movimenti legittimi e popolari, non solo in Danimarca ma in tutto il mondo.
Gli arresti dei portavoce della CJA durante gli ultimi due giorni sono un tentativo di nascondere il dato che la conferenza non sta andando da nessuna parte, che il sud globale è ancora ignorato, che il COP15 non condurrà a nessuna alternativa alla catastrofe climatica. I politici possono rimuovere i portavoce, ma la CJA non smetterà di parlare.

Così come il processo COP ignora il sud globale, i movimenti che costruiscono fronte comune con la loro lotta per la giustizia climatica vengono criminalizzati.

CJA vuole interventire sulle politiche climatiche, ma le forza politiche ci costringono ad una lotta per i diritti universali di libertà come la libertà di parola e di assemblea.

La lotteria della vita

sigmaE’ dunque ufficiale, cioè ne abbiamo la controprova. Da anni i movimenti dicono che non è solo una questione di trasformazioni nel mondo del lavoro. E quindi non è solo risolvendo le vertenze lavoratiche si risolveranno i problemi della precarietà.

Ops, l’abbiamo detta la parola magica che prima faceva etichettare come visionario chi la pronunciava e da un pò di tempo è sulla bocca di tutti, più per esorcizzare gli incubi di qualcuno che per risolvere i problemi di molti altri, quasi tutti.

Dicevamo insomma che la precarietà investe tutti gli ambiti della vita. Quale sarebbe la controprova? La prima e molto italiana risposta alla precarietà e alla mancanza di reddito: la lotteria. Come la sua antagonista precarietà, infatti, la lotteria si espande come un virus ad ogni ambito della vita.

Abbiamo visto in questi mesi, nel Lazio, come un diritto sancito per tutti, il reddito garantito, sia diventato un privilegio per pochi. Abbiamo tutti sufficientemente commentato il delirio di Win for life, che offre come un sogno e un agognato premio cosa? Una vita più che dignitosa, certo, la certezza di arrivare a fine mese, quella di non avere il coltello fra i denti e la bava alla bocca 24h 7 giorni su 7. Un lusso insomma.

Come se non bastasse iniziano a spuntare come funghi queste trovate di puro marketing che ti fanno spendere dei soldi per sperare di cavare dal cappello come chissà quale magia qualcosa che dovrebbe essere scontato, sacrosanto, sancito, scolpito nella roccia. Così a Varese e in Sardegna la lotteria ti regala un lavoro, chiaramente a tempo indeterminato, chiaramente per loro che hanno bandito il fanstastico concorso. Che svolta! Così dopo averli ringraziati con una spesa di 30 euro, dopo averli ringraziati per averti fatto vincere qualcosa di stra-normale, dovranno ringraziarli anche quando non gli rinnoveranno il contratto perchè avranno avviato una nuova lotteria per altri bramosi.

Così anche  a Roma, nell’innovativo Parco Leonardo, dove tutti possono abitare e lavorare, produrre e consumare, insomma vivere nel raggio di 500 metri senza essere obbligati a vedere il resto dell’universo ad altri conosciuto, figurarsi se non mettevano a punto l’innovazione del momento. Qui viene offerta nientepopodimeno che…una casa. Che strano, del resto Roma non è certo la capitale del mattone. Lascia stupiti anche che proprio Caltagirone offra questa opportunità. A se stesso, forse, visto che non riesce a venderli in altro modo perché cadono a pezzi anche nuovi (vedi Ponte di Nona). Insomma anche a Roma queste lotterie che mettono in palio pezzi di vita sono una sorpresa continua.

Che dire, avanti con la prossima brillante idea, che metterà in palio un pezzo di vita: una ragazza o un ragazzo per un fortunato vincitore? No, per questo già ci pensa Maria De Filippi. Potrebbe allora trattarsi di una fornitura d’acqua per un anno.

Confronto ad Ostia

23 Dicembre: conquistiamo gli spazi, difendiamo il territorio.

Dopo la giornata di  confronto del 12 Dicembre svoltasi al Vittorio Occupato, a   cui hanno partecipato realtà territoriali e cittadine,   sentiamo l’esigenza di rilanciare, a partire da questa   data, un percorso di confronto con il territorio e con tutto   il tessuto cittadino.

Nella Roma di Alemanno dove   gli spazi di libertà si restringono, mentre gli sgomberi   diventano la risposta comunale al problema della casa e a   quello dei luoghi di socialità, c’è ancora qualcuno che   prova a uscire dalla dinamica della difesa e risponde   attaccando i “muri” alzati dai governanti.   Il Collettivo L’Officina   rivendica questa attitudine e vuole generalizzarla   all’intera cittadinanza.       Conquistare spazi significa   riappropriarsi di pezzi di città, per costruire risposte   all’incertezze del futuro e alla precarietà   dell’esistente. Conquistare spazi significa ritornare ad   organizzarsi insieme alla comunità, trasformando il bisogno   in rivendicazione, l’esigenza in percorso di   trasformazione.       Difendiamo il territorio da   razzismo, omofobia, sessismo e fascismo, difendiamolo da   speculatori, palazzinari e politici servi degli   imprenditori. Intrecciamo i nostri percorsi e riannodiamo i   fili che ci legano ad ogni territorio, solo così possiamo   trovare le risposte a questa ennesima crisi.   Il 23 Dicembre proponiamo un   ulteriore passaggio e invitiamo tutti e tutte a contribuire   a questo momento di confronto. E’ il momento di reagire,   non facciamoci trovare impreparati.

per adesioni:   officina.ostia@autistici.org

APPUNTAMENTO MERCOLEDI’ 23 DICEMBRE ORE   17.30   (Lungomare Paolo Toscanelli 184, Ostia   Lido)

Contro ogni carcere, giorno dopo giorno

Non vogliamo più che di carcere si muoia. Ma nemmeno che di carcere si viva!

carcereDa quanto tempo gridiamo queste parole? Da quanto tempo le scriviamo sui muri? Le  abbiamo impresse sulla copertina sin dalla prima Scarceranda! Eppure di carcere si continua a morire e di carcere donne e uomini continuano a vivere sempre di più.

Nei 206 istituti penitenziari italiani sono stipati 65.719 uomini e donne, 9.000 in più dello scorso anno.
Il 37% ha sul documento di identità un timbro diverso dal nostro: li chiamano stranieri.
Il 25% ha fatto uso di sostanze stupefacente: li chiamano tossicodipendenti.

Quasi la metà, ossia 31.136 sono in attesa di giudizio, dunque  innocenti.
Tra i 27 paesi dell’Unione, l’Italia ha il primato per la  presenza in carcere di persone non condannate: il 47,3% di fronte a una media europea al di sotto del 20%.  Quasi 20.000 persone in carcere hanno condanne inferiori ai 3 anni. E si continua a incarcerare chiunque appartenga alle fasce emarginate e disagiate.

Ma soprattutto in carcere si muore e il numero è in continua crescita. Dall’inizio del 2009 alla fine di novembre sono morte 168 persone detenute, di cui 66 per suicidio; in crescita rispetto allo scorso anno che era di 146 morti di cui 46 suicidi. Le morti in carcere, quando non sono suicidi, vengono definiti “da accertare” secondo la terminologia dei burocrati, in realtà le persone in carcere vengono uccise dalla mancata assistenza medica, dalle condizioni degradanti del carcere, ma soprattutto dai pestaggi.

Come Stefano Cucchi, un ragazzo di 31 anni, assassinato dalla ferocia di tutte le istituzioni che l’hanno avuto “in consegna”: carabinieri, polizia penitenziaria, magistrati, medici. Perché in Italia si nega ma esiste la tortura che viene regolarmente sperimentata sulle detenute e i detenuti.
Ma quanti Stefano Cucchi vengono uccisi senza che se ne sappia nulla? Come Yassine El Baghdadi di soli 17 anni, registrato come suicidio il 17 novembre nell’Istituto per Minori (IPM) di Firenze, buttato in carcere per tentato furto. Il carcere come discarica dei problemi sociali: solo chi rifiuta o non sottosta alle leggi dei potenti finisce in carcere.

Oltre ai 206 istituti penitenziari, con annessi 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ossia i manicomi criminali che annientano 1600 segregati, aumentati del 20% nell’ultimo anno, ci sono gli  Istituti Per Minori –IPM- con 530 ragazzi e ragazze, e infine le celle di sicurezza delle questure di PS e delle stazioni dei CC, nelle quali transitano, mai indenni, decine di migliaia di persone.

Ma non basta ancora! Al paesaggio di sbarre, mura, celle e custodia si aggiungono le gabbie dei Centri di Identificazione ed Espulsione, i famigerati CIE, i lager in cui vengono rinchiuse le persone immigrate. Lì dentro donne e uomini subiscono violenze e soprusi, si ammalano e muoiono sotto lo sguardo complice degli operatori della Croce Rossa o degli altri enti gestori. Nell’ultimo anno, solo nel CIE di Ponte Galeria, sono morte per queste cause Salah Soudani e Nabruka Mimuni.
Sono 13 le strutture presenti sul territorio nazionale per una capienza massima di 1814 persone ma deportazioni di massa e un’impossibile assistenza legale non permettono tuttora una trasparente stima dei reclusi e delle recluse.

Un panorama devastante che è peggiorato in seguito all’approvazione del Pacchetto Sicurezza che ha prolungato fino a 6, i mesi di reclusione.

A questo punto dobbiamo farci  delle domande non più rinviabili:
Cosa ne sappiamo di come si vive e si muore dietro quelle mura? Leggi e regolamenti non ci danno la risposta!
Ogni tanto la cosiddetta opinione pubblica viene a conoscenza di questi crimini di stato commessi dietro quelle sbarre e ne resta stupita. Allora sdegnata chiede diritti e garanzie,  nuove leggi e regolamenti per chi sta dall’altra parte del muro.
Fino a quando assisteremo a questo massacro, esprimendo solo di tanto in tanto la nostra protesta?
La storia dei supplizi, della segregazione, della libertà tolta, in tutti i paesi e in tutte le epoche ci insegna che soltanto una pressione costante, continua, incalzante, può intaccare la ferocia di quella mostruosità che si definisce sistema di reclusione. Intaccarlo nella prospettiva dell’abolizione definitiva di questa barbarie.
Uno solo è il diritto che dobbiamo rivendicare, il diritto di indignarci e quindi il diritto di lottare!!!
La lotta contro il carcere e gli altri sistemi privativi della libertà va condotta tutti i giorni! Con efficacia e determinazione, unendo tutte e tutti quelli che odiano ogni gabbia.

Contro ogni carcere giorno dopo giorno

Per cominciare: 31 dicembre tutte e tutti sotto il carcere di Rebibbia dalle ore 11,00 alle 15,00. Per contribuire alla giornata di lotta e sostenere Scarceranda l’appuntamento è venerdi 18 dicembre alle 19 al CSOA  Forte Prenestino.

Copenhagen, Italia, Europa

Rastrellamenti, fermi di massa, voliere per contenere i manifestanti. Il tutto accompagnato dalla squisita cordialità scandinava.

arresti“sfoglia
le pagine del libro dell’inuguaglianza e cogli la sostanza
la mia scelta di coerenza
stanei sogni dei banditi
nel dileggio dei divieti
nell’odio viscerale per vigliacchi e mansueti”

Durante le contestazioni al vertice internazionale sul clima COP15, la gestione delle piazze e dei movimenti ha fatto un passo avanti. anzi indietro: agire preventivamente, impedire ogni forma di protesta che possa essere ingovernabile, pacifica o radicale che sia.
intimidire e sfiancare anche i più determinati tra quant* sono arrivati per essere parte di un appuntamento da cui ci si aspettava un processo di movimento forte ampio e avanzato. una presa di parola collettiva sullo sfruttamnto dei territori e delle risorse, sulle speculazioni e la devastazione ambientale, proporre alternativa alla falsa alternativa del capitalismo verde, che giocando con i numeri produce meccanismi virtuosi in occidente e scarica le responsabilità nel resto del mondo.
invece lo scenario che ci è stato mostrato parla di tutt’altro, il conflitto deve essere controllato e preventivamente azzerato: che la critica apparecchi e serva il tavolo dei grandi, che al tavolo dei pupi indisciplinati non si muova una foglia.

10 anni dopo Seattle, ma anche 10 mesi dopo Londra e Strasburgo, con le architetture dell’economia e della sicurezza globali duramente contestate e messe in difficoltà, nella governance globale l’indicazione è di non rischiare più, specie con la crisi che galoppa. se la posta in gioco è la libertà dei cittadini di esprimere il dissenso, ben venga: che sia pacifico e colorato o radicale e a tinta unica.

E dalle sponde del mediterraneo, dove la tradizione di ordine pubblico è ben più brutale di quella nord europea, e i diritti del cittadino di fronte alle divise sono pari a zero, questo segnale non può che essere colto con inquietudine. Atene che brucia un anno dopo l’omicidio di Alexis è stata desertificata per giorni, gli spazi di aggregazione e i quartieri alternativi razziati dalla polizia prima ancora che si scendesse in piazza.
A Roma, le strade sono interdette alle manifestazioni con le forze dell’ordine in stato d’allerta. A ben guardare non possiamo pensare che la regia di quanto accaduto a Copenhagen sia solo responsabilità danese: l’instaurazione di uno stato di eccezione a livello europeo è pratica ormai condivisa su tutto lo spazio comunitario, e noi stessi attivisti italiani ancora ne paghiamo le conseguenze, da quel g8 di Luglio 2009 in cui qualsiasi manifestazione è stata dispersa, repressa, blindata.

Mettere in discussione la gestione preventiva dell’ordine pubblico vuol dire guardare oltre i sorrisi e la cortesia della polizia danese, e riappropriarci della nostra agibilità anche al di fuori dei margini di tolleranza in cui vorrebbero restringerla e disciplinarla.
troppo angusti per contenere rabbia e sogni.

Leggi anche (se ti va):

Comunicato CJA | Accuses to Police | Voci da Copenhagen | Copenhagen/Movimenti (precaria.org)

Video | Rainews 24

Copenhagen Police accused of violating human rightsCopenhagen Police accused of violating human rights

Pubblichiamo un comunicato sul comprtamento della polizia al vertice ONU di Copenhagen

COPENHAGEN POLICE ACCUSED OF VIOLATING HUMAN RIGHTS AT UN CLIMATE SUMMIT

Danish police have indiscriminately arrested hundreds of climate justice activists during a climate change protest made up of 100,000 people that took place today in Copenhagen.  Questions have been raised about the fact that the arrests occurred in a different time and place to where some trouble had momentarily flared earlier in the day. Journalists have been restricted from reporting at the site of the arrests since 1800hrs.
It’s estimated that 100 people are still being held on the road in extremely cold weather, cuffed and forced into seated positions in lines (1). They have expressed severe physical discomfort and have no access to water, medical attention or toilet facilities since 1530hrs. Many activists are reported to have urinated themselves while detained on the ground.
An estimated 200 have been removed from the site and taken away in coaches. Several people are reported to have fainted around 1945hrs.
Helga Matthiassen, who was detained for an hour before being released due to an injury she had recently sustained, said, “Of course we’re angry – people all over the world are angry about being lied to by governments who are making a corporate deal at the climate talks, and now when we try to protest against this on the streets we are randomly held by police.
“Not only have we been denied the right to protest, but our basic human rights have also been ignored in this ludicrous, staged police exercise.  It seems Danish Police have a new motto: why just criminalise protesters, when you can dehumanise them too?” (2)

ENDS

Contact: 0045 5066 9028 (International)
0045 4129 4994 (Danish)

media@climate-justice-action.org
www.climate-justice-action.org

Nocop-15 | Voci da Copenhagen

Aggiornamenti dai nostri inviati al vertice di Copenhagen.

17 dic
Quello che sta avvenendo in Danimarca non è un episodio eccezionale ma al contrario l’eccezione che si fa regola in ogni paese dove il capitalismo perde terreno di consenso e si apre alla guerra sociale dichiarata. Qui la polizia ha dichiarato guerra a chiunque volesse contestare il vertice con qualunque modalita´. Ogni mossa era contrastata con un massiccio arsenale: 100 manifestanti, 1000 guardie. Una democrazia intesa come fascismo gentile (“this is what democracy looks like”), una subdola ma definitiva abiura dei diritti fondamentali della persona. Queste giornate hanno rischiato di fiaccare anche la determinazione di chi si aspettava un evento epocale e di chi ancora una volta sperava che la lotta e l´espressione del dissenso avrebbero aperto la diga e fatto esplodere la rabbia di fronte al persistere di una scelta capitalista folle e suicida (“there is not a planet B”). E invece ha vinto l´ipocrisia dei manifesti pubblicitari in cui la shell spiega i suoi sforzi per l’ambiente, degli appelli
di una unione europea che punta alla leadership globale nel green capitalism, delle grandi lobbies di potere che chiedono la messa in vendita dei diritti ad inquinare per avere un nuovo mercato da spolpare ai danni del pianeta.
Un movimento di opposizione e di protesta c´e´stato: centinaia e centinaia di persone hanno continuato a svegliarsi la mattina sotto la neve per andare verso un arresto quasi certo e dopo lo sgomento dei primi giorni gli arresti diventavano via via più difficili.

15 dic 14:06
Stanotte siamo miracolosamente tornati a casa alle 4 con cristiania e dintorni assediata da elicotteri, sbirri e mezzi speciali da sbarco sulla luna.

20:57
Il corteo di oggi si è scontrato ripetutamente con la polizia. Ci sono qualcosa come 250 fermi e 30 ricoverati per uso di pepperspray e manganelli (il ministero dell’interno dicehiara che avevano finito i dolcetti ;))

14 dic 15:07

La situazione è tranquilla nel senso che a differenza dell’italia per ora non hanno ancora pistato malamente nessuno, non è quello che interessa.

Di contro stanno facendo sfumare in un batter d’occhio qualsiasi azione (anche cortei regolarmente autorizzati), ti fermano e perquisiscono a qualsiasi ora del giorno e della notte ed è più il tempo speso a dirsi reciprocamente “take care” che altro.

ore 0:17

Sono tutti usciti stasera.
Il clima qui oltre che rigido è anche pesante.

13 dic 18:00
Il “tranquillo” corteo per famiglie di ieri si è concluso con circa 1000 arresti e per ora sembra che  abbiano arrestato circa 300 persone, praticamente chiunque si aggira per la città è passibile di perquisizione. Entro stanotte dovrebbero rilasciarli tutti, per il momento solo freddo e frustrazione per il livello di repressione messo in atto. Agibilità ridotta al minimo e perquisizioni continue, addirittura chi sta con il passeggino ha avuto problemi con le guardie.

12 dic 4:27
Rapido aggiornamento: i ragazzi della sapienza e i due di Napoli sono stati rilasciati. Conto della giornata, 75 fermi e quattro arresti confermati che domani mattina saranno di fronte ad un giudice,
oltre ad una quantita’ indefinita di identificati in giro per le strade della città, dove da domani ci saranno almeno 6000 poliziotti e mille militari per garantire la “sicurezza” del vertice.
In giornata sono arrivati centinaia di attivisti da tutta Europa. Domani dovrebbe essere una giornata tranquilla almeno per le famiglie e per chi partecipa al corteo autorizzato. Per seguire meglio lo svolgimento delle manifestazioni andate sulla pagina di indymedia : http://nocop.italy.indymedia.org/

11 dic 16:21
Stamattina hanno fermato tre ragazzi della sapienza oltre ad un paio di napoletani. I fermi confermati per il momento sono 64 ma questa sera forse un po’ verranno rilasciati visto che si tratta di tutti arresti preventivi.
Le strade sono completamente militarizzate e la polizia ferma singoli e gruppi senza alcun motivo apparente. Molti di noi sono già stati fermati ed identificati (qualcuno due volte).
Domani la mobilitazione crescerà con il primo corteo di massa che vedrà la partecipazione non solo di militanti ma anche di vari settori di società civile.

11 dic 15:20
È appena finita la prima giornata di dimostrazioni. Tra di noi tutto a posto.  Al momento stiamo un  sparsi in giro per i vari infopoint e media center. Siamo stati fermati due volte; appena scesi dall’aereo ieri e un’oretta fa ma solo per identificarci. Naturalmente un po di arresti si sono visti.
Our climate not your business!

11 dic 10:00
Qui la situazione e’ estremamente viva. Ci hanno chiesto di far girare questo link e l’intervista che ci trovate: http://climatecaravan.wordpress.com/

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Cambiamo sistema non clima | Verso Cop-15 | Human rights violation

Latina crocevia di rifiuti nucleari

Dopo che nei mesi scorsi sono tornate in primo piano le affermazioni rese dal pentito di camorra, Carmine Schiavone, che aveva parlato di fusti tossici interrati dalla criminalità organizzata nella discarcia di Borgo Montello, parole che stanno portando a nuove e più approfondite indagini sul sito del capoluogo, ora arrivano le rivelazioni di Francesco Fonti.

Il pentito della ‘ndrangheta, ascoltato dalla commissione parlamentare sulle Ecomafie, ha parlato questa volta di rifiuti provenienti dalle centrali nucleari, tirando in causa anche Latina e un presunto traffico di rifiuti che partiva dalla centrale nucleare di Borgo Sabotino…

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Ancora voci da Atene

http://www.rainews24.it/it/foto-gallery.php?galleryid=134858

E’ vero, ad Atene, la capitale greca che si affaccia oggi sull’anniversario di un anno all’assassinio per mano della polizia antisommossa del 15enne Alexis Grigoropoulos, ci sono migliaia di individui travisati, con passamontagna e maschere antigas, coi caschi calzati sulle teste, pronti al finimondo. Per la precisione, sono 10mila. Tanti infatti ne ha schierati il governo, il neoinsediato esecutivo del socialista Pasok, per “prevenire” il ripetersi di quella rivolta giovanile che pure ha segnato la parabola del predecessore governo di centrodestra consegnandolo alla crisi politica e alla recente sconfitta elettorale. Sono dappertutto, i poliziotti: quelli “normali” in blu e altrettanti in verde, i Mat, gli antisommossa che detengono un discreto primato nell’essere detestati dalla maggioranza dei giovani – e anche da molti meno giovani – in Grecia. Sono dappertutto nel tesisimmo sabato di vigilia ad Atene, dove le principali arterire del commercio e dell’intrattenimento del centro appaiono straordinariamente disertate dalla gente, quella che ha ancora qualche soldo da spendere nel Paese del vecchio nucleo dell’Unione europea che versa nella condizione peggiore quanto a conti economici e a bilancio sociale della crisi globale.
I 10mila della pretesa di “ordine pubblico”, però, si materializzano, quasi tutti, solo a sera. E si materializzano proprio là dove Alexis fu assassinato un anno meno un giorno (quello odierno) prima: ad Exarhia, il centralissimo quartiere alternativo che s’è guadagnato la fama d’essere il più ribelle d’Europa. E là dove la repressione e il suo volto assassino,
quella notte del 6 dicembre 2008, fece trovare ai primi rivoltosi d’Exarhia la sponda naturale e immediata: il Politecnico di Atene. Così, fin dalla vigilia, l’appello lanciato dal neo-premier Ghiorghios Papandreu, un nome illustre e un’eredità politica totalmente trasfigurata lungo le generazioni, ha rivelato tutta la sua vuotezza. Papandreu, per mettere le mani avanti di fronte ad un anniversario la cui qualità è annunciata in
modo inequivoco dal semplice dato che praticamente tutte le università e le scuole greche sono state occupate nel corso dell’ultimo mese, ma anche per cercare di districarsi dalla perfetta identificazione col predecessore e destro Karamanlis (altro erede dinastico), aveva in effetti parlato al Paese venerdì per dire che il governo socialista è “contro la violenza”,
aggiungendo “sia di Stato sia individuale”, e per invocare quindi un “fronte sociale unito” in grado di “prevenire”, appunto, nonché “isolare” nuove scintille di rivolta. Dev’essere che il solo “fronte” a rispondere è stato quello fra i reparti mobilitati…
Persino il ministro dell’Interno, Mihalis Chryssochoydis, s’era in effetti speso ancora ieri nella stessa direzione. Ricordando l’assassinio di Alexis come “un caso di estrema violenza poliziesca” che ha “segnato la vicenda del Paese” e “colpito la fiducia del popolo nella capacità dello Stato di proteggerlo” (fiducia piuttosto immaginaria, vista l’immediata estensione della rivolta d’un anno fa…); lui che non può fare altrimenti avendo
dovuto, dopo aver promesso (e disposto) fuoco e fiamme sulla “normalizzazione” di Exarhia, far dimettere il capo della polizia che il governo Pasok aveva esentato dallo “spin-off” pur essendo lo stesso del dicembre 2008, dopo un “errore” come l’arresto in piazza Exarhion
dell’antico speaker della radio pirata del Politecnico occupato contro la giunta fascista nel 1973 e attuale esponente di Syriza. Chryssochoydis aveva poi argomentato che “i giovani avevano diritto di prendersi le strade per esprimere il loro disagio e la loro rabbia”, un anno fa; ma “oggi” fa “la differenza” il fatto che “la leadership che provocò questa situazione
non è più presente” e dunque “c’è una nuova speranza”. Praticamente, un’apologia preventiva. Il tutto per sintetizzare che le “sole minacce” a dargli “preoccupazioni” sarebbero provenute da “circa 500 elementi anarchici e estremisti stranieri”, in afflusso verso Atene. E così, mentre lo stesso presidente della Repubblica Karolos Papoulias
lanciava a sua volta un appello a “ricordare pacificamente l’assassinio di Alexis Grigoropoulos”, dopo averlo definito “una lezione per tutti noi su dove l’arbitrio può portare” e nell’esprimere “solidarietà” alla “famiglia” (che intanto ha dovuto subire l’ennesimo rinvio del processo al poliziotto omicida, spostato esplicitamente per “ragioni d’ordine pubblico” a gennaio e per di più a 150 km da Atene), la capitale greca e dentro di essa le
capitali del dissenso e dei comportamenti sociali “pericolosi”, ossia Exarhia e le Università, venivano messe in stato d’assedio.
Così, ancora, l’unica manifestazione fissata per quella pesantissima vigilia che è stata la giornata di ieri, precisamente sul luogo dell’uccisione di Alexis nella piazza Missoloungi che da un anno ha preso il suo nome sulle targhe autoprodotte e nelle menti di tante e tanti, una manifestazione stanziale convocata dalle associazioni dei residenti del quartiere, non ha trovato alcun gesto che parlasse di “dialogo”, intorno a sè. E anziché trovare un  allentamento della pressione intollerabile stabilita da mesi con “cordoni sanitari” e raid quotidiani, come quello che giovedì ha scatenato la reazione dei giovani in piazza Exarhion finendo peraltro col bilancio di due poliziotti in ospedale di cui uno grave per il trauma cranico riportato in seguito alle sassate ricevute, la manifestazione nel cuore di Exarhia è stata soffocata. Da un cordone ancora più stretto e moltiplicato esponenzialmente quanto a numeri di poliziotti schierati (2mila fin da subito, anzi prima), subito tramutato in un
ulteriore raid approfittando delle prime scaramucce lungo le strade che collegano il quartiere al corso di Akademias e a quello di Pathision. Il risultato è il frutto dell’intenzione. La cui evidenza non ha fatto che confermare le ragioni della rabbia determinata e della volontà di dare continuità alla rivolta, che animano da sempre il movimento studentesco e non ad Atene e in Grecia. Dunque la capitale ellenica ieri sera, di nuovo, è tornata ad essere il proscenio di quella rabbia e di quella rivolta. Con la novità della prontezza e dell’ulteriore pesantezza dell’intervento poliziesco, che ha letteralmente spazzato il quartiere e chiuso su sé stessi gli Atenei occupati del Politecnico, delle facoltà giuridiche e dell’Assoe, la scuola economica che pure il rettore aveva tentato di
tenere sbarrata venerdì e che ha dovuto cedere ai collettivi dopo durissimi scontri con la polizia chiamata a presidiarla. Migliaia di poliziotti e centinaia di pompieri, costretti a seguirli per spegnere subito gli incendi. Solo che ieri doveva ancora venire la notte. E, soprattutto, in attesa delle grandi manifestazioni convocate consecutivamente per oggi
alle 13 e 30 e per domani alla mezza ai Propileia, poche centinaia di metri distante dal Parlamento e dal governo, ieri era solo la vigilia: nel Paese sul quale da 2 settimane i vertici economici dell’Ue discutono di come evitare il declassamento dei titoli di stato, per un debito pubblico pari e per un deficit di non molto superiore a quelli dell’Italia.

Alexis, un anno dopo

Voci dalla Grecia insorgente

GREECE-PROTEST-CLASHES

Ad un anno dall’assassinio di Alexis, dentro uno stato d’assedio, un corteo che in Italia sarebbe stato venduto d’1 milione di persone, sicuramente grande almeno come quello del 21 luglio 2001 a Genova, aperto da uno spezzone del Politecnico occupato pari al corteo di via Tolemaide del 20/07/01, alla faccia del governo “democratico” del Pasok che ha dichiarato “opera di 2-300 anarchici venuti dall’estero” gli “eventuali disordini” mentre affama i salariati e i senza reddito e dopo che ieri ha sequestrato il quartiere di Exarhia, razziato un centro occupato, bastonato e rapito 200 persone 75 delle quali ancora trattenute fra cui 4 compagni e 1 compagna italiani…

Questo corteo infinito, debordante di giovani dai 15 ai 30 anni ma anche di tanti altri, di studenti universitari e medi, d’insegnanti, di ragazzi delle periferie, di donne autodeterminate, di migranti, di proletari, di precari, di “general intellect” metropolitano, senza mai scomporsi nel corso di 3 ore e mezza ha:

  • occupato il rettorato a Propileia su cui sventola la bandiera dell’anarchia;
  • combattuto la polizia lungo il corso di Akademias a fuoco per mezzo pomeriggio;
  • riempito i lunghi viali di Venizelos e Stadios, riempito due volte l’enorme piazza Syntagma;
  • assediato governo e parlamento presidiati all’inversosimile;
  • resistito ai gas e a 15 cariche laterali e in coda dei Mat;
  • colpito a ritmo d’esplosioni i reparti intorno, le banche, le finanziarie e gli shop di lusso…

Ora la folla occupa piazza Omonia, le laterali di Akadimias, il corso Pathision e tutta Exarhia, in attesa della sera. Stay tuned…

Alexis Zei!
Oloi Stous Dromous, Ghia Ti Eleutheria!
We Wont Forgive, We Wont Forget!
Merry Crisis And A Happy New Fear!
Remember Remember The 6th Of December…

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