C’era una volta il G8 di luglio

C’era una volta il G8 di luglio.

Era il 2001 e gli otto grandi si riunivano a Genova. 8 capi di stato, responsabili della crisi economica che sta devastando l’esistenza di milioni di persone.

Migliaia le persone in piazza. Diverse le pratiche, unite nei contenuti.
Poi le cariche indiscriminate, gli abusi di potere, i pestaggi, l’omicidio di Carlo. Un ragazzo che ha reagito alla violenza della polizia, del potere, del capitale, della vita. Carlo, un ragazzo che fino alla fine è rimasto davanti. E poi ancora l’irruzione, le false molotov,
la mattanza della scuola Diaz.

Oggi, ottobre 2009 ci svegliamo così: “Blitz alla scuola Diaz, De Gennaro e Mortola assolti per non aver commesso il fatto”. L’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola accusati di aver indotto alla falsa testimonianza l’ex questore di Genova FrancescoColucci in riferimento all’irruzione della Polizia nella
scuola Diaz durante il G8 del 2001.”

Dopo pochi giorni le condanne in appello ai manifestanti, accusati di devastazione e saccheggio per le giornate di Genova: condanne confermate per 10 persone dei 25 imputati al processo, ma pene aumentate anche di 5 anni! Parliamo di condanne da 10 a 15 anni per dei danni fatti a merci, vetrine, proprietà private… Il reato di devastazione e saccheggio, come quello di rapina, spesso usati anche per colpire i movimenti sociali, sono nei fatti equiparati dalla giurisprudenza a un omicidio, uno stupro, un rapimento. E in particolare questa sentenza appare per quello che è: vendetta di Stato.

Noi non dimentichiamo.

C’era una volta il G8 di luglio.
2009. Molto è cambiato nella società, nel movimento.
Ma c’erano una volta ancora 8 capi di stato, responsabili della crisi economica che sta devastando l’esistenza di milioni di persone. Questi otto grandi scelsero di incontrarsi per decidere le sorti del mondo proprio all’Aquila distrutta dal terremoto, banchettando alla mensa di Berlusconi, alla faccia delle migliaia di persone nelle tende e dei 307 morti, sotto le macerie del terremoto. Nell’Italia ormai assopita da un’informazione annichilita dal potere, tutto fu dipinto come un grande successo mentre la gente, preoccupata di come arrivare alla fine del mese, guardò con la coda dell’occhio le immagini del gran galà globale scorrere sugli schermi. Il G8 della crisi. Ma qualcuno, anche stavolta,
disse no.

Un movimento di persone, di precari, studenti, senza casa, migranti che in quei giorni si mobilitò in tutto il paese per dire no al G8 della crisi. Bloccando le strade, le università, manifestando nelle piazze, nei porti, davanti ai Cie lager di questo paese, portando la loro solidarietà alla gente abruzzese, che nulla ha ricevuto da questo consesso mondiale, se non
ulteriori disagi.
Il 7 luglio 2009, giorno prima della partenza del vertice, Roma iniziava i preparativi per dare il “benvenuto” ai grandi della terra. Una giornata di azioni e blocchi per disturbare la metropoli produttiva, costruita in rete e in maniera pubblica dai movimenti cittadini, riuniti nella ReteNOG8.
La manifestazione che si mosse da uno stabile occupato di Roma TRE per le strade di Testaccio la mattina, venne caricata pesantemente dalle forze dell’ordine e più di 30 persone vennero fermate nei rastrellamenti e nella caccia all’uomo delle ore successive.

Il potere difendeva ancora una volta se stesso con un dispositivo repressivo sproporzionato, violento, mirato. 8 compagni e compagne, italiani ed internazionali, rimasero in carcere fino alla fine del G8.

Le misure cautelari contro 4 di questi compagni e compagne sono continuate in questi mesi. Sono tre mesi che per uno c’è l’obbligo di firma, tutti i giorni. Lo si dipinge infatti agli atti come un capo, un leader, tra i “responsabili” dei fatti della mattina a Testaccio. Si descrive Acrobax come lo spazio che raccoglie l’ala radicale del movimento, sostanzialmente rappresentato da un gruppo ben preciso costituito da alcuni compagni che vengono indicati agli atti come la regia dell’organizzazione delle mobilitazioni più radicali che nei mesi avrebbero “preso le distanze dagli antagonisti considerati troppo moderati”. “Dividi et impera”, un copione già visto nella meta-narrazione dei movimenti sociali che da diversi anni a questa parte viene costruita meticolosamente da uffici politici della polizia e dei carabinieri e dalle Procure di mezza Italia.

Dopo Genova 2001 partì il processo per il Sud Ribelle, un’accusa di associazione sovversiva che si risolse in una bolla di sapone, dopo anni di linciaggi giudiziari e mediatici. Altri processi per associazione si sono susseguiti negli anni, fino all’ultima infamante accusa di racket mossa ad attivisti e attiviste dell’ex-scuola occupata 8 marzo, alla Magliana,
Roma. Bolle di sapone.

Perché i Movimenti non sono associazioni a delinquere o sovversive o a scopo di estorsione!
Sono espressione del malessere sociale, voce del dissenso, rabbia contro i diritti negati, voglia di costruire un’alternativa. Autorganizzati in maniera pubblica e assembleare, in grado di costruire dal basso la nostra contro-informazione, distruttivi e costruttivi nei contenuti e nelle pratiche che, nelle differenze, portiamo avanti. E soprattutto chi fa
movimento non ha capi o gruppi dirigenti!
Siamo parte degli scioperi, animiamo i cortei, blocchiamo le strade, boicottiamo i produttori di morte, promuoviamo azioni pubbliche di denuncia, saliamo sui tetti… Insieme, in rete, per difendere e rilanciare le nostre idee, i nostri sogni, i nostri bisogni.

Ancora una volta abbiamo davanti la dimostrazione che in questo paese di nani e ballerine, di mafiosi e palazzinari che la fanno da padrone, si vuole azzerare ogni forma di dissenso, si vuole colpire chi ha l’unica colpa di voler cambiare lo stato delle cose presenti, chi non si volta dall’altra parte facendo finta che vada tutto bene, in un mondo nel quale
invece le libertà e i diritti fondamentali vengono continuamente negati.

Oggi, ottobre, a quasi tre mesi di distanza dall’ultimo G8 italiano, arriva quella che si potrebbe considerare quasi una buona notizia: gli obblighi di firma vengono ridotti ad un solo giorno a settimana per tutti e tutte.

A chi ci vorrebbe sconfitti battere la ritirata, noi diciamo che continueremo ad essere in prima fila contro i responsabili della crisi, contro chi sgombera le case occupate e gli spazi liberati di questa città, al fianco dei migranti, dei precari e dei disoccupati come noi, al fianco di chi, come 8 anni fa a Genova, crede ancora che il mondo possa essere migliore.

Le lotte sociali non si arrestano!
E in ogni caso nessun rimorso!

C’era una volta il G8 di luglio.

Era il 2001 e gli otto grandi si riunivano a Genova. 8 capi di stato, responsabili della crisi economica che sta devastando l’esistenza di milioni di persone.

Migliaia le persone in piazza. Diverse le pratiche, unite nei contenuti.
Poi le cariche indiscriminate, gli abusi di potere, i pestaggi, l’omicidio di Carlo. Un ragazzo che ha reagito alla violenza della polizia, del potere, del capitale, della vita. Carlo, un ragazzo che fino alla fine è rimasto davanti. E poi ancora l’irruzione, le false molotov,
la mattanza della scuola Diaz.

Oggi, ottobre 2009 ci svegliamo così: “Blitz alla scuola Diaz, De Gennaro e Mortola assolti per non aver commesso il fatto”. L’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola accusati di aver indotto alla falsa testimonianza l’ex questore di Genova FrancescoColucci in riferimento all’irruzione della Polizia nella
scuola Diaz durante il G8 del 2001.”

Dopo pochi giorni le condanne in appello ai manifestanti, accusati di devastazione e saccheggio per le giornate di Genova: condanne confermate per 10 persone dei 25 imputati al processo, ma pene aumentate anche di 5 anni! Parliamo di condanne da 10 a 15 anni per dei danni fatti a merci, vetrine, proprietà private… Il reato di devastazione e saccheggio, come quello di rapina, spesso usati anche per colpire i movimenti sociali, sono nei fatti equiparati dalla giurisprudenza a un omicidio, uno stupro, un rapimento. E in particolare questa sentenza appare per quello che è: vendetta di Stato.

Noi non dimentichiamo.

C’era una volta il G8 di luglio.
2009. Molto è cambiato nella società, nel movimento.
Ma c’erano una volta ancora 8 capi di stato, responsabili della crisi economica che sta devastando l’esistenza di milioni di persone. Questi otto grandi scelsero di incontrarsi per decidere le sorti del mondo proprio all’Aquila distrutta dal terremoto, banchettando alla mensa di Berlusconi, alla faccia delle migliaia di persone nelle tende e dei 307 morti, sotto le macerie del terremoto. Nell’Italia ormai assopita da un’informazione annichilita dal potere, tutto fu dipinto come un grande successo mentre la gente, preoccupata di come arrivare alla fine del mese, guardò con la coda dell’occhio le immagini del gran galà globale scorrere sugli schermi. Il G8 della crisi. Ma qualcuno, anche stavolta,
disse no.

Un movimento di persone, di precari, studenti, senza casa, migranti che in quei giorni si mobilitò in tutto il paese per dire no al G8 della crisi. Bloccando le strade, le università, manifestando nelle piazze, nei porti, davanti ai Cie lager di questo paese, portando la loro solidarietà alla gente abruzzese, che nulla ha ricevuto da questo consesso mondiale, se non
ulteriori disagi.
Il 7 luglio 2009, giorno prima della partenza del vertice, Roma iniziava i preparativi per dare il “benvenuto” ai grandi della terra. Una giornata di azioni e blocchi per disturbare la metropoli produttiva, costruita in rete e in maniera pubblica dai movimenti cittadini, riuniti nella ReteNOG8.
La manifestazione che si mosse da uno stabile occupato di Roma TRE per le strade di Testaccio la mattina, venne caricata pesantemente dalle forze dell’ordine e più di 30 persone vennero fermate nei rastrellamenti e nella caccia all’uomo delle ore successive.

Il potere difendeva ancora una volta se stesso con un dispositivo repressivo sproporzionato, violento, mirato. 8 compagni e compagne, italiani ed internazionali, rimasero in carcere fino alla fine del G8.

Le misure cautelari contro 4 di questi compagni e compagne sono continuate in questi mesi. Sono tre mesi che per uno c’è l’obbligo di firma, tutti i giorni. Lo si dipinge infatti agli atti come un capo, un leader, tra i “responsabili” dei fatti della mattina a Testaccio. Si descrive Acrobax come lo spazio che raccoglie l’ala radicale del movimento, sostanzialmente rappresentato da un gruppo ben preciso costituito da alcuni compagni che vengono indicati agli atti come la regia dell’organizzazione delle mobilitazioni più radicali che nei mesi avrebbero “preso le distanze dagli antagonisti considerati troppo moderati”. “Dividi et impera”, un copione già visto nella meta-narrazione dei movimenti sociali che da diversi anni a questa parte viene costruita meticolosamente da uffici politici della polizia e dei carabinieri e dalle Procure di mezza Italia.

Dopo Genova 2001 partì il processo per il Sud Ribelle, un’accusa di associazione sovversiva che si risolse in una bolla di sapone, dopo anni di linciaggi giudiziari e mediatici. Altri processi per associazione si sono susseguiti negli anni, fino all’ultima infamante accusa di racket mossa ad attivisti e attiviste dell’ex-scuola occupata 8 marzo, alla Magliana,
Roma. Bolle di sapone.

Perché i Movimenti non sono associazioni a delinquere o sovversive o a scopo di estorsione!
Sono espressione del malessere sociale, voce del dissenso, rabbia contro i diritti negati, voglia di costruire un’alternativa. Autorganizzati in maniera pubblica e assembleare, in grado di costruire dal basso la nostra contro-informazione, distruttivi e costruttivi nei contenuti e nelle pratiche che, nelle differenze, portiamo avanti. E soprattutto chi fa
movimento non ha capi o gruppi dirigenti!
Siamo parte degli scioperi, animiamo i cortei, blocchiamo le strade, boicottiamo i produttori di morte, promuoviamo azioni pubbliche di denuncia, saliamo sui tetti… Insieme, in rete, per difendere e rilanciare le nostre idee, i nostri sogni, i nostri bisogni.

Ancora una volta abbiamo davanti la dimostrazione che in questo paese di nani e ballerine, di mafiosi e palazzinari che la fanno da padrone, si vuole azzerare ogni forma di dissenso, si vuole colpire chi ha l’unica colpa di voler cambiare lo stato delle cose presenti, chi non si volta dall’altra parte facendo finta che vada tutto bene, in un mondo nel quale
invece le libertà e i diritti fondamentali vengono continuamente negati.

Oggi, ottobre, a quasi tre mesi di distanza dall’ultimo G8 italiano, arriva quella che si potrebbe considerare quasi una buona notizia: gli obblighi di firma vengono ridotti ad un solo giorno a settimana per tutti e tutte.

A chi ci vorrebbe sconfitti battere la ritirata, noi diciamo che continueremo ad essere in prima fila contro i responsabili della crisi, contro chi sgombera le case occupate e gli spazi liberati di questa città, al fianco dei migranti, dei precari e dei disoccupati come noi, al fianco di chi, come 8 anni fa a Genova, crede ancora che il mondo possa essere migliore.

Le lotte sociali non si arrestano!
E in ogni caso nessun rimorso!

C’era una volta il G8 di luglio.

Era il 2001 e gli otto grandi si riunivano a Genova. 8 capi di stato, responsabili della crisi economica che sta devastando l’esistenza di milioni di persone.

Migliaia le persone in piazza. Diverse le pratiche, unite nei contenuti.
Poi le cariche indiscriminate, gli abusi di potere, i pestaggi, l’omicidio di Carlo. Un ragazzo che ha reagito alla violenza della polizia, del potere, del capitale, della vita. Carlo, un ragazzo che fino alla fine è rimasto davanti. E poi ancora l’irruzione, le false molotov,
la mattanza della scuola Diaz.

Oggi, ottobre 2009 ci svegliamo così: “Blitz alla scuola Diaz, De Gennaro e Mortola assolti per non aver commesso il fatto”. L’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola accusati di aver indotto alla falsa testimonianza l’ex questore di Genova FrancescoColucci in riferimento all’irruzione della Polizia nella
scuola Diaz durante il G8 del 2001.”

Dopo pochi giorni le condanne in appello ai manifestanti, accusati di devastazione e saccheggio per le giornate di Genova: condanne confermate per 10 persone dei 25 imputati al processo, ma pene aumentate anche di 5 anni! Parliamo di condanne da 10 a 15 anni per dei danni fatti a merci, vetrine, proprietà private… Il reato di devastazione e saccheggio, come quello di rapina, spesso usati anche per colpire i movimenti sociali, sono nei fatti equiparati dalla giurisprudenza a un omicidio, uno stupro, un rapimento. E in particolare questa sentenza appare per quello che è: vendetta di Stato.

Noi non dimentichiamo.

C’era una volta il G8 di luglio.
2009. Molto è cambiato nella società, nel movimento.
Ma c’erano una volta ancora 8 capi di stato, responsabili della crisi economica che sta devastando l’esistenza di milioni di persone. Questi otto grandi scelsero di incontrarsi per decidere le sorti del mondo proprio all’Aquila distrutta dal terremoto, banchettando alla mensa di Berlusconi, alla faccia delle migliaia di persone nelle tende e dei 307 morti, sotto le macerie del terremoto. Nell’Italia ormai assopita da un’informazione annichilita dal potere, tutto fu dipinto come un grande successo mentre la gente, preoccupata di come arrivare alla fine del mese, guardò con la coda dell’occhio le immagini del gran galà globale scorrere sugli schermi. Il G8 della crisi. Ma qualcuno, anche stavolta,
disse no.

Un movimento di persone, di precari, studenti, senza casa, migranti che in quei giorni si mobilitò in tutto il paese per dire no al G8 della crisi. Bloccando le strade, le università, manifestando nelle piazze, nei porti, davanti ai Cie lager di questo paese, portando la loro solidarietà alla gente abruzzese, che nulla ha ricevuto da questo consesso mondiale, se non
ulteriori disagi.
Il 7 luglio 2009, giorno prima della partenza del vertice, Roma iniziava i preparativi per dare il “benvenuto” ai grandi della terra. Una giornata di azioni e blocchi per disturbare la metropoli produttiva, costruita in rete e in maniera pubblica dai movimenti cittadini, riuniti nella ReteNOG8.
La manifestazione che si mosse da uno stabile occupato di Roma TRE per le strade di Testaccio la mattina, venne caricata pesantemente dalle forze dell’ordine e più di 30 persone vennero fermate nei rastrellamenti e nella caccia all’uomo delle ore successive.

Il potere difendeva ancora una volta se stesso con un dispositivo repressivo sproporzionato, violento, mirato. 8 compagni e compagne, italiani ed internazionali, rimasero in carcere fino alla fine del G8.

Le misure cautelari contro 4 di questi compagni e compagne sono continuate in questi mesi. Sono tre mesi che per uno c’è l’obbligo di firma, tutti i giorni. Lo si dipinge infatti agli atti come un capo, un leader, tra i “responsabili” dei fatti della mattina a Testaccio. Si descrive Acrobax come lo spazio che raccoglie l’ala radicale del movimento, sostanzialmente rappresentato da un gruppo ben preciso costituito da alcuni compagni che vengono indicati agli atti come la regia dell’organizzazione delle mobilitazioni più radicali che nei mesi avrebbero “preso le distanze dagli antagonisti considerati troppo moderati”. “Dividi et impera”, un copione già visto nella meta-narrazione dei movimenti sociali che da diversi anni a questa parte viene costruita meticolosamente da uffici politici della polizia e dei carabinieri e dalle Procure di mezza Italia.

Dopo Genova 2001 partì il processo per il Sud Ribelle, un’accusa di associazione sovversiva che si risolse in una bolla di sapone, dopo anni di linciaggi giudiziari e mediatici. Altri processi per associazione si sono susseguiti negli anni, fino all’ultima infamante accusa di racket mossa ad attivisti e attiviste dell’ex-scuola occupata 8 marzo, alla Magliana,
Roma. Bolle di sapone.

Perché i Movimenti non sono associazioni a delinquere o sovversive o a scopo di estorsione!
Sono espressione del malessere sociale, voce del dissenso, rabbia contro i diritti negati, voglia di costruire un’alternativa. Autorganizzati in maniera pubblica e assembleare, in grado di costruire dal basso la nostra contro-informazione, distruttivi e costruttivi nei contenuti e nelle pratiche che, nelle differenze, portiamo avanti. E soprattutto chi fa
movimento non ha capi o gruppi dirigenti!
Siamo parte degli scioperi, animiamo i cortei, blocchiamo le strade, boicottiamo i produttori di morte, promuoviamo azioni pubbliche di denuncia, saliamo sui tetti… Insieme, in rete, per difendere e rilanciare le nostre idee, i nostri sogni, i nostri bisogni.

Ancora una volta abbiamo davanti la dimostrazione che in questo paese di nani e ballerine, di mafiosi e palazzinari che la fanno da padrone, si vuole azzerare ogni forma di dissenso, si vuole colpire chi ha l’unica colpa di voler cambiare lo stato delle cose presenti, chi non si volta dall’altra parte facendo finta che vada tutto bene, in un mondo nel quale
invece le libertà e i diritti fondamentali vengono continuamente negati.

Oggi, ottobre, a quasi tre mesi di distanza dall’ultimo G8 italiano, arriva quella che si potrebbe considerare quasi una buona notizia: gli obblighi di firma vengono ridotti ad un solo giorno a settimana per tutti e tutte.

A chi ci vorrebbe sconfitti battere la ritirata, noi diciamo che continueremo ad essere in prima fila contro i responsabili della crisi, contro chi sgombera le case occupate e gli spazi liberati di questa città, al fianco dei migranti, dei precari e dei disoccupati come noi, al fianco di chi, come 8 anni fa a Genova, crede ancora che il mondo possa essere migliore.

Le lotte sociali non si arrestano!
E in ogni caso nessun rimorso!

C’era una volta il G8 di luglio.

Era il 2001 e gli otto grandi si riunivano a Genova. 8 capi di stato, responsabili della crisi economica che sta devastando l’esistenza di milioni di persone.

Migliaia le persone in piazza. Diverse le pratiche, unite nei contenuti.
Poi le cariche indiscriminate, gli abusi di potere, i pestaggi, l’omicidio di Carlo. Un ragazzo che ha reagito alla violenza della polizia, del potere, del capitale, della vita. Carlo, un ragazzo che fino alla fine è rimasto davanti. E poi ancora l’irruzione, le false molotov,
la mattanza della scuola Diaz.

Oggi, ottobre 2009 ci svegliamo così: “Blitz alla scuola Diaz, De Gennaro e Mortola assolti per non aver commesso il fatto”. L’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola accusati di aver indotto alla falsa testimonianza l’ex questore di Genova FrancescoColucci in riferimento all’irruzione della Polizia nella
scuola Diaz durante il G8 del 2001.”

Dopo pochi giorni le condanne in appello ai manifestanti, accusati di devastazione e saccheggio per le giornate di Genova: condanne confermate per 10 persone dei 25 imputati al processo, ma pene aumentate anche di 5 anni! Parliamo di condanne da 10 a 15 anni per dei danni fatti a merci, vetrine, proprietà private… Il reato di devastazione e saccheggio, come quello di rapina, spesso usati anche per colpire i movimenti sociali, sono nei fatti equiparati dalla giurisprudenza a un omicidio, uno stupro, un rapimento. E in particolare questa sentenza appare per quello che è: vendetta di Stato.

Noi non dimentichiamo.

C’era una volta il G8 di luglio.
2009. Molto è cambiato nella società, nel movimento.
Ma c’erano una volta ancora 8 capi di stato, responsabili della crisi economica che sta devastando l’esistenza di milioni di persone. Questi otto grandi scelsero di incontrarsi per decidere le sorti del mondo proprio all’Aquila distrutta dal terremoto, banchettando alla mensa di Berlusconi, alla faccia delle migliaia di persone nelle tende e dei 307 morti, sotto le macerie del terremoto. Nell’Italia ormai assopita da un’informazione annichilita dal potere, tutto fu dipinto come un grande successo mentre la gente, preoccupata di come arrivare alla fine del mese, guardò con la coda dell’occhio le immagini del gran galà globale scorrere sugli schermi. Il G8 della crisi. Ma qualcuno, anche stavolta,
disse no.

Un movimento di persone, di precari, studenti, senza casa, migranti che in quei giorni si mobilitò in tutto il paese per dire no al G8 della crisi. Bloccando le strade, le università, manifestando nelle piazze, nei porti, davanti ai Cie lager di questo paese, portando la loro solidarietà alla gente abruzzese, che nulla ha ricevuto da questo consesso mondiale, se non
ulteriori disagi.
Il 7 luglio 2009, giorno prima della partenza del vertice, Roma iniziava i preparativi per dare il “benvenuto” ai grandi della terra. Una giornata di azioni e blocchi per disturbare la metropoli produttiva, costruita in rete e in maniera pubblica dai movimenti cittadini, riuniti nella ReteNOG8.
La manifestazione che si mosse da uno stabile occupato di Roma TRE per le strade di Testaccio la mattina, venne caricata pesantemente dalle forze dell’ordine e più di 30 persone vennero fermate nei rastrellamenti e nella caccia all’uomo delle ore successive.

Il potere difendeva ancora una volta se stesso con un dispositivo repressivo sproporzionato, violento, mirato. 8 compagni e compagne, italiani ed internazionali, rimasero in carcere fino alla fine del G8.

Le misure cautelari contro 4 di questi compagni e compagne sono continuate in questi mesi. Sono tre mesi che per uno c’è l’obbligo di firma, tutti i giorni. Lo si dipinge infatti agli atti come un capo, un leader, tra i “responsabili” dei fatti della mattina a Testaccio. Si descrive Acrobax come lo spazio che raccoglie l’ala radicale del movimento, sostanzialmente rappresentato da un gruppo ben preciso costituito da alcuni compagni che vengono indicati agli atti come la regia dell’organizzazione delle mobilitazioni più radicali che nei mesi avrebbero “preso le distanze dagli antagonisti considerati troppo moderati”. “Dividi et impera”, un copione già visto nella meta-narrazione dei movimenti sociali che da diversi anni a questa parte viene costruita meticolosamente da uffici politici della polizia e dei carabinieri e dalle Procure di mezza Italia.

Dopo Genova 2001 partì il processo per il Sud Ribelle, un’accusa di associazione sovversiva che si risolse in una bolla di sapone, dopo anni di linciaggi giudiziari e mediatici. Altri processi per associazione si sono susseguiti negli anni, fino all’ultima infamante accusa di racket mossa ad attivisti e attiviste dell’ex-scuola occupata 8 marzo, alla Magliana,
Roma. Bolle di sapone.

Perché i Movimenti non sono associazioni a delinquere o sovversive o a scopo di estorsione!
Sono espressione del malessere sociale, voce del dissenso, rabbia contro i diritti negati, voglia di costruire un’alternativa. Autorganizzati in maniera pubblica e assembleare, in grado di costruire dal basso la nostra contro-informazione, distruttivi e costruttivi nei contenuti e nelle pratiche che, nelle differenze, portiamo avanti. E soprattutto chi fa
movimento non ha capi o gruppi dirigenti!
Siamo parte degli scioperi, animiamo i cortei, blocchiamo le strade, boicottiamo i produttori di morte, promuoviamo azioni pubbliche di denuncia, saliamo sui tetti… Insieme, in rete, per difendere e rilanciare le nostre idee, i nostri sogni, i nostri bisogni.

Ancora una volta abbiamo davanti la dimostrazione che in questo paese di nani e ballerine, di mafiosi e palazzinari che la fanno da padrone, si vuole azzerare ogni forma di dissenso, si vuole colpire chi ha l’unica colpa di voler cambiare lo stato delle cose presenti, chi non si volta dall’altra parte facendo finta che vada tutto bene, in un mondo nel quale
invece le libertà e i diritti fondamentali vengono continuamente negati.

Oggi, ottobre, a quasi tre mesi di distanza dall’ultimo G8 italiano, arriva quella che si potrebbe considerare quasi una buona notizia: gli obblighi di firma vengono ridotti ad un solo giorno a settimana per tutti e tutte.

A chi ci vorrebbe sconfitti battere la ritirata, noi diciamo che continueremo ad essere in prima fila contro i responsabili della crisi, contro chi sgombera le case occupate e gli spazi liberati di questa città, al fianco dei migranti, dei precari e dei disoccupati come noi, al fianco di chi, come 8 anni fa a Genova, crede ancora che il mondo possa essere migliore.

Le lotte sociali non si arrestano!
E in ogni caso nessun rimorso!

Casapound chiama perquisizione

Pubblichiamo un comunicato della rete epicentro solidale, nata all’indomani del terremoto del 6 aprile in Abruzzo.

Nella mattinata di venerdì 23 ottobre la polizia ha effettuato una perquisizione nelle abitazioni dove Vincenzo e Francesco vivono e in quelle dei loro genitori, alla ricerca di armi (di cui non hanno trovato traccia) e portando via diversi computer (anche quelli dei familiari e dei coinquilini di Vincenzo) oltre a del materiale cartaceo come libri e volantini.

La perquisizione ai danni di Vincenzo e Francesco avvengono all’indomani di una denuncia per aggressione e minacce fatta nei loro confronti da alcuni esponenti avezzanesi dell’associazione neofascista Casa Pound Italia, denuncia assurda e pretestuosa visto che proprio Vincenzo e Francesco sono stati aggrediti da questi stessi figuri lo scorso agosto.
La loro colpa? Staccare da un muro dei manifesti di Casa Pound.

Vincenzo e Francesco sono attivisti di Epicentro Solidale, associazione nata all’indomani del terremoto in Abruzzo per portare solidarietà attiva alla popolazione da tutte le parti d’Italia, rete di cui sono stati fin dai primi momenti protagonisti con generosità e impegno, in particolare nel raccontare quello che accadeva nell’aquilano e nel promuovere una ricostruzione dal basso, partecipata e attiva.

Vincenzo e Francesco portano avanti il loro impegno sociale in maniera pubblica e alla luce del sole, ed è per questo che ci sembra assurdo il procedimento che li vede protagonisti e riteniamo sia grave e inspiegabile la perquisizione che hanno dovuto subire loro e i propri familiari, ma soprattutto gli esprimiamo la nostra massima solidarietà e vicinanza.

epicentrosolidale.org

Pubblichiamo un comunicato della rete epicentro solidale, nata all’indomani del terremoto del 6 aprile in Abruzzo.

Nella mattinata di venerdì 23 ottobre la polizia ha effettuato una perquisizione nelle abitazioni dove Vincenzo e Francesco vivono e in quelle dei loro genitori, alla ricerca di armi (di cui non hanno trovato traccia) e portando via diversi computer (anche quelli dei familiari e dei coinquilini di Vincenzo) oltre a del materiale cartaceo come libri e volantini.

La perquisizione ai danni di Vincenzo e Francesco avvengono all’indomani di una denuncia per aggressione e minacce fatta nei loro confronti da alcuni esponenti avezzanesi dell’associazione neofascista Casa Pound Italia, denuncia assurda e pretestuosa visto che proprio Vincenzo e Francesco sono stati aggrediti da questi stessi figuri lo scorso agosto.
La loro colpa? Staccare da un muro dei manifesti di Casa Pound.

Vincenzo e Francesco sono attivisti di Epicentro Solidale, associazione nata all’indomani del terremoto in Abruzzo per portare solidarietà attiva alla popolazione da tutte le parti d’Italia, rete di cui sono stati fin dai primi momenti protagonisti con generosità e impegno, in particolare nel raccontare quello che accadeva nell’aquilano e nel promuovere una ricostruzione dal basso, partecipata e attiva.

Vincenzo e Francesco portano avanti il loro impegno sociale in maniera pubblica e alla luce del sole, ed è per questo che ci sembra assurdo il procedimento che li vede protagonisti e riteniamo sia grave e inspiegabile la perquisizione che hanno dovuto subire loro e i propri familiari, ma soprattutto gli esprimiamo la nostra massima solidarietà e vicinanza.

epicentrosolidale.org

Pubblichiamo un comunicato della rete epicentro solidale, nata all’indomani del terremoto del 6 aprile in Abruzzo.

Nella mattinata di venerdì 23 ottobre la polizia ha effettuato una perquisizione nelle abitazioni dove Vincenzo e Francesco vivono e in quelle dei loro genitori, alla ricerca di armi (di cui non hanno trovato traccia) e portando via diversi computer (anche quelli dei familiari e dei coinquilini di Vincenzo) oltre a del materiale cartaceo come libri e volantini.

La perquisizione ai danni di Vincenzo e Francesco avvengono all’indomani di una denuncia per aggressione e minacce fatta nei loro confronti da alcuni esponenti avezzanesi dell’associazione neofascista Casa Pound Italia, denuncia assurda e pretestuosa visto che proprio Vincenzo e Francesco sono stati aggrediti da questi stessi figuri lo scorso agosto.
La loro colpa? Staccare da un muro dei manifesti di Casa Pound.

Vincenzo e Francesco sono attivisti di Epicentro Solidale, associazione nata all’indomani del terremoto in Abruzzo per portare solidarietà attiva alla popolazione da tutte le parti d’Italia, rete di cui sono stati fin dai primi momenti protagonisti con generosità e impegno, in particolare nel raccontare quello che accadeva nell’aquilano e nel promuovere una ricostruzione dal basso, partecipata e attiva.

Vincenzo e Francesco portano avanti il loro impegno sociale in maniera pubblica e alla luce del sole, ed è per questo che ci sembra assurdo il procedimento che li vede protagonisti e riteniamo sia grave e inspiegabile la perquisizione che hanno dovuto subire loro e i propri familiari, ma soprattutto gli esprimiamo la nostra massima solidarietà e vicinanza.

epicentrosolidale.org

Pubblichiamo un comunicato della rete epicentro solidale, nata all’indomani del terremoto del 6 aprile in Abruzzo.

Nella mattinata di venerdì 23 ottobre la polizia ha effettuato una perquisizione nelle abitazioni dove Vincenzo e Francesco vivono e in quelle dei loro genitori, alla ricerca di armi (di cui non hanno trovato traccia) e portando via diversi computer (anche quelli dei familiari e dei coinquilini di Vincenzo) oltre a del materiale cartaceo come libri e volantini.

La perquisizione ai danni di Vincenzo e Francesco avvengono all’indomani di una denuncia per aggressione e minacce fatta nei loro confronti da alcuni esponenti avezzanesi dell’associazione neofascista Casa Pound Italia, denuncia assurda e pretestuosa visto che proprio Vincenzo e Francesco sono stati aggrediti da questi stessi figuri lo scorso agosto.
La loro colpa? Staccare da un muro dei manifesti di Casa Pound.

Vincenzo e Francesco sono attivisti di Epicentro Solidale, associazione nata all’indomani del terremoto in Abruzzo per portare solidarietà attiva alla popolazione da tutte le parti d’Italia, rete di cui sono stati fin dai primi momenti protagonisti con generosità e impegno, in particolare nel raccontare quello che accadeva nell’aquilano e nel promuovere una ricostruzione dal basso, partecipata e attiva.

Vincenzo e Francesco portano avanti il loro impegno sociale in maniera pubblica e alla luce del sole, ed è per questo che ci sembra assurdo il procedimento che li vede protagonisti e riteniamo sia grave e inspiegabile la perquisizione che hanno dovuto subire loro e i propri familiari, ma soprattutto gli esprimiamo la nostra massima solidarietà e vicinanza.

epicentrosolidale.org

Cambiamo sistema, non climaVerso CopenhagenVerso CopenhagenVerso Copenhagen

Cambiamo sistema, non clima!

Nel dicembre 2009 i governi del mondo si riuniranno a Copenhagen per la XV Conferenza ONU sul Clima (COP15), che dovrà trovare un  successore al Trattato di Kyoto. Sarà il più grande vertice sul  cambiamento climatico di sempre. Anche USA, Cina e India saranno della  partita. Aziende e governi dei paesi sovrasviluppati vogliono imporre  false soluzioni di mercato come la compravendita delle emissioni che  non arrestano la tendenza al surriscaldamento globale. I movimenti di  azione climatica chiamano a manifestare il 12 dicembre nella giornata  mondiale sul clima e ad unirsi all’azione di massa nonviolenta del 16  dicembre per occupare per un giorno il centro congressi Bella Center  dove si terrà la conferenza dei potenti del mondo. Chi ci marcia in Danimarca? Ne parliamo con David Balleby Rønbach,  Climate Justice Action, Klimax, e con altr* attivist* danesi presenti  in italia per condividere informazioni di prima mano sui contenuti  della protesta e sulle azioni in programma durante le giornate di  Copenhagen. Appello Non si puó riparare un sistema in pezzi. Movimento per la giustizia climatica verso la conferenza ONU sul clima La conferenza ONU sul clima non risolverá la crisi climatica. Non  siamo piú vicini alla riduzione delle emissioni di gas serra di quanto  non fossimo quando i negoziati internazionali iniziarono, 15 anni fa:  le emissioni aumentano piú rapide che mai, mentre il commercio delle  emissioni di CO2 permette ai criminali del clima di inquinare e  ricavare profitti. All’oggi, la conferenza ONU legittima nella  sostanza un nuovo colonialismo che spartisce le poche risorse rimaste  sul pianeta. Davanti alla profonda crisi della nostra civiltá, tutto ció che  otteniamo é un teatrino che giova solo agli interessi delle  multinazionali. In risposta a questa follia, un movimento globale per  la giustizia climatica é emerso per reclamare potere sul nostro  futuro. Come parte di questo movimento, il network internazionale  Climate Justice Action sta mobilizzando decine di migliaia di persone  in tutto il mondo per agire durante i negoziati climatici  internazionali di Copenhagen, nel Dicembre 2009.

Basta false soluzioni! Non possiamo fidarci del mercato per il nostro futuro, cosí come non  possiamo riporre la nostra fiducia in tecnologie non sicure, non  accertate e non sostenibili. Contrariamente a coloro che ripongono le  loro speranze in un “capitalismo verde”, noi sappiamo che é  impossibile avere una crescita illimitata su un pianeta limitato.

Invece di provare a riparare un sistema in pezzi, dovremmo:

  • lasciare i combustibili fossili sotto terra
  • socializzare e decentralizzare la produzione di energia
  • rilocalizzare la produzione di cibo
  • riconoscere e ripagare il debito ecologico e climatico verso i paesi
  • del Sud del mondo
  • rispettare i diritti delle popolazioni indigene
  • rigenerare i nostri ecosistemi.

Le soluzioni reali alla crisi climatica vengono costruite da coloro  che hanno sempre difeso la Terra e da coloro che lottano  quotidianamente per difendere il loro ambiente e le loro condizioni di  vita. Dobbiamo globalizzare queste soluzioni e impegnarci per una  giusta transizione verso un futuro senza CO2. links utili: http://nevertrustacop.org/Italiano/Chiamata http://www.climate-justice-action.org/appello/?lang=it http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=1584 http://versuscop15.noblogs.org/ http://www.climate-justice-action.org http://www.klimaforum09.org/ http://www.climatecamp.org.uk http://www.actforclimatejustice.org/ http://www.globalclimatecampaign.org/ _______________________________________________

Al Forte Prenestino, Martedi 3 Novembre dalle ore 19, movimenti a Copenhagen. Verso COP-15, per la giustizia climatica

CAMBIAMO SISTEMA, NON CLIMA!

Nel dicembre 2009 i governi del mondo si riuniranno a Copenhagen per la XV Conferenza ONU sul Clima (COP15), che dovrà trovare un  successore al Trattato di Kyoto. Sarà il più grande vertice sul  cambiamento climatico di sempre. Anche USA, Cina e India saranno della  partita. Aziende e governi dei paesi sovrasviluppati vogliono imporre  false soluzioni di mercato come la compravendita delle emissioni che  non arrestano la tendenza al surriscaldamento globale. I movimenti di  azione climatica chiamano a manifestare il 12 dicembre nella giornata  mondiale sul clima e ad unirsi all’azione di massa nonviolenta del 16  dicembre per occupare per un giorno il centro congressi Bella Center  dove si terrà la conferenza dei potenti del mondo.

Chi ci marcia in Danimarca? Ne parliamo con David Balleby Rønbach,  Climate Justice Action, Klimax, e con altr* attivist* danesi presenti  in italia per condividere informazioni di prima mano sui contenuti  della protesta e sulle azioni in programma durante le giornate di  Copenhagen.

Appello

Non si puó riparare un sistema in pezzi. Movimento per la giustizia climatica verso la conferenza ONU sul clima

La conferenza ONU sul clima non risolverá la crisi climatica. Non  siamo piú vicini alla riduzione delle emissioni di gas serra di quanto  non fossimo quando i negoziati internazionali iniziarono, 15 anni fa:  le emissioni aumentano piú rapide che mai, mentre il commercio delle  emissioni di CO2 permette ai criminali del clima di inquinare e  ricavare profitti. All’oggi, la conferenza ONU legittima nella  sostanza un nuovo colonialismo che spartisce le poche risorse rimaste  sul pianeta.
Davanti alla profonda crisi della nostra civiltá, tutto ció che  otteniamo é un teatrino che giova solo agli interessi delle  multinazionali. In risposta a questa follia, un movimento globale per  la giustizia climatica é emerso per reclamare potere sul nostro  futuro. Come parte di questo movimento, il network internazionale  Climate Justice Action sta mobilizzando decine di migliaia di persone  in tutto il mondo per agire durante i negoziati climatici  internazionali di Copenhagen, nel Dicembre 2009.

Basta false soluzioni!

Non possiamo fidarci del mercato per il nostro futuro, cosí come non  possiamo riporre la nostra fiducia in tecnologie non sicure, non  accertate e non sostenibili. Contrariamente a coloro che ripongono le  loro speranze in un “capitalismo verde”, noi sappiamo che é  impossibile avere una crescita illimitata su un pianeta limitato.

Invece di provare a riparare un sistema in pezzi, dovremmo:

  • lasciare i combustibili fossili sotto terra
  • socializzare e decentralizzare la produzione di energia
  • rilocalizzare la produzione di cibo
  • riconoscere e ripagare il debito ecologico e climatico verso i paesi
  • del Sud del mondo
  • rispettare i diritti delle popolazioni indigene
  • rigenerare i nostri ecosistemi.

Le soluzioni reali alla crisi climatica vengono costruite da coloro  che hanno sempre difeso la Terra e da coloro che lottano  quotidianamente per difendere il loro ambiente e le loro condizioni di  vita. Dobbiamo globalizzare queste soluzioni e impegnarci per una  giusta transizione verso un futuro senza CO2.

links utili:
http://nevertrustacop.org/Italiano/Chiamata
http://www.climate-justice-action.org/appello/?lang=it
http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=1584
http://versuscop15.noblogs.org/
http://www.climate-justice-action.org
http://www.klimaforum09.org/
http://www.climatecamp.org.uk
http://www.actforclimatejustice.org/
http://www.globalclimatecampaign.org/
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Al Forte Prenestino, Martedi 3 Novembre dalle ore 19, movimenti a Copenhagen. Verso COP-15, per la giustizia climatica

CAMBIAMO SISTEMA, NON CLIMA!

Nel dicembre 2009 i governi del mondo si riuniranno a Copenhagen per la XV Conferenza ONU sul Clima (COP15), che dovrà trovare un  successore al Trattato di Kyoto. Sarà il più grande vertice sul  cambiamento climatico di sempre. Anche USA, Cina e India saranno della  partita. Aziende e governi dei paesi sovrasviluppati vogliono imporre  false soluzioni di mercato come la compravendita delle emissioni che  non arrestano la tendenza al surriscaldamento globale. I movimenti di  azione climatica chiamano a manifestare il 12 dicembre nella giornata  mondiale sul clima e ad unirsi all’azione di massa nonviolenta del 16  dicembre per occupare per un giorno il centro congressi Bella Center  dove si terrà la conferenza dei potenti del mondo.

Chi ci marcia in Danimarca? Ne parliamo con David Balleby Rønbach,  Climate Justice Action, Klimax, e con altr* attivist* danesi presenti  in italia per condividere informazioni di prima mano sui contenuti  della protesta e sulle azioni in programma durante le giornate di  Copenhagen.

Appello

Non si puó riparare un sistema in pezzi. Movimento per la giustizia climatica verso la conferenza ONU sul clima

La conferenza ONU sul clima non risolverá la crisi climatica. Non  siamo piú vicini alla riduzione delle emissioni di gas serra di quanto  non fossimo quando i negoziati internazionali iniziarono, 15 anni fa:  le emissioni aumentano piú rapide che mai, mentre il commercio delle  emissioni di CO2 permette ai criminali del clima di inquinare e  ricavare profitti. All’oggi, la conferenza ONU legittima nella  sostanza un nuovo colonialismo che spartisce le poche risorse rimaste  sul pianeta.
Davanti alla profonda crisi della nostra civiltá, tutto ció che  otteniamo é un teatrino che giova solo agli interessi delle  multinazionali. In risposta a questa follia, un movimento globale per  la giustizia climatica é emerso per reclamare potere sul nostro  futuro. Come parte di questo movimento, il network internazionale  Climate Justice Action sta mobilizzando decine di migliaia di persone  in tutto il mondo per agire durante i negoziati climatici  internazionali di Copenhagen, nel Dicembre 2009.

Basta false soluzioni!

Non possiamo fidarci del mercato per il nostro futuro, cosí come non  possiamo riporre la nostra fiducia in tecnologie non sicure, non  accertate e non sostenibili. Contrariamente a coloro che ripongono le  loro speranze in un “capitalismo verde”, noi sappiamo che é  impossibile avere una crescita illimitata su un pianeta limitato.

Invece di provare a riparare un sistema in pezzi, dovremmo:

  • lasciare i combustibili fossili sotto terra
  • socializzare e decentralizzare la produzione di energia
  • rilocalizzare la produzione di cibo
  • riconoscere e ripagare il debito ecologico e climatico verso i paesi
  • del Sud del mondo
  • rispettare i diritti delle popolazioni indigene
  • rigenerare i nostri ecosistemi.

Le soluzioni reali alla crisi climatica vengono costruite da coloro  che hanno sempre difeso la Terra e da coloro che lottano  quotidianamente per difendere il loro ambiente e le loro condizioni di  vita. Dobbiamo globalizzare queste soluzioni e impegnarci per una  giusta transizione verso un futuro senza CO2.

links utili:
http://nevertrustacop.org/Italiano/Chiamata
http://www.climate-justice-action.org/appello/?lang=it
http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=1584
http://versuscop15.noblogs.org/
http://www.climate-justice-action.org
http://www.klimaforum09.org/
http://www.climatecamp.org.uk
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http://www.globalclimatecampaign.org/
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Al Forte Prenestino, Martedi 3 Novembre dalle ore 19, movimenti a Copenhagen. Verso COP-15, per la giustizia climatica

CAMBIAMO SISTEMA, NON CLIMA!

Nel dicembre 2009 i governi del mondo si riuniranno a Copenhagen per la XV Conferenza ONU sul Clima (COP15), che dovrà trovare un  successore al Trattato di Kyoto. Sarà il più grande vertice sul  cambiamento climatico di sempre. Anche USA, Cina e India saranno della  partita. Aziende e governi dei paesi sovrasviluppati vogliono imporre  false soluzioni di mercato come la compravendita delle emissioni che  non arrestano la tendenza al surriscaldamento globale. I movimenti di  azione climatica chiamano a manifestare il 12 dicembre nella giornata  mondiale sul clima e ad unirsi all’azione di massa nonviolenta del 16  dicembre per occupare per un giorno il centro congressi Bella Center  dove si terrà la conferenza dei potenti del mondo.

Chi ci marcia in Danimarca? Ne parliamo con David Balleby Rønbach,  Climate Justice Action, Klimax, e con altr* attivist* danesi presenti  in italia per condividere informazioni di prima mano sui contenuti  della protesta e sulle azioni in programma durante le giornate di  Copenhagen.

Appello

Non si puó riparare un sistema in pezzi. Movimento per la giustizia climatica verso la conferenza ONU sul clima

La conferenza ONU sul clima non risolverá la crisi climatica. Non  siamo piú vicini alla riduzione delle emissioni di gas serra di quanto  non fossimo quando i negoziati internazionali iniziarono, 15 anni fa:  le emissioni aumentano piú rapide che mai, mentre il commercio delle  emissioni di CO2 permette ai criminali del clima di inquinare e  ricavare profitti. All’oggi, la conferenza ONU legittima nella  sostanza un nuovo colonialismo che spartisce le poche risorse rimaste  sul pianeta.
Davanti alla profonda crisi della nostra civiltá, tutto ció che  otteniamo é un teatrino che giova solo agli interessi delle  multinazionali. In risposta a questa follia, un movimento globale per  la giustizia climatica é emerso per reclamare potere sul nostro  futuro. Come parte di questo movimento, il network internazionale  Climate Justice Action sta mobilizzando decine di migliaia di persone  in tutto il mondo per agire durante i negoziati climatici  internazionali di Copenhagen, nel Dicembre 2009.

Basta false soluzioni!

Non possiamo fidarci del mercato per il nostro futuro, cosí come non  possiamo riporre la nostra fiducia in tecnologie non sicure, non  accertate e non sostenibili. Contrariamente a coloro che ripongono le  loro speranze in un “capitalismo verde”, noi sappiamo che é  impossibile avere una crescita illimitata su un pianeta limitato.

Invece di provare a riparare un sistema in pezzi, dovremmo:

  • lasciare i combustibili fossili sotto terra
  • socializzare e decentralizzare la produzione di energia
  • rilocalizzare la produzione di cibo
  • riconoscere e ripagare il debito ecologico e climatico verso i paesi
  • del Sud del mondo
  • rispettare i diritti delle popolazioni indigene
  • rigenerare i nostri ecosistemi.

Le soluzioni reali alla crisi climatica vengono costruite da coloro  che hanno sempre difeso la Terra e da coloro che lottano  quotidianamente per difendere il loro ambiente e le loro condizioni di  vita. Dobbiamo globalizzare queste soluzioni e impegnarci per una  giusta transizione verso un futuro senza CO2.

links utili:
http://nevertrustacop.org/Italiano/Chiamata
http://www.climate-justice-action.org/appello/?lang=it
http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=1584
http://versuscop15.noblogs.org/
http://www.climate-justice-action.org
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http://www.climatecamp.org.uk
http://www.actforclimatejustice.org/
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Al Forte Prenestino, Martedi 3 Novembre dalle ore 19, movimenti a Copenhagen. Verso COP-15, per la giustizia climatica

Il prefetto su Ponte Galeria

Ponte Galeria, conto alla rovescia. Il prefetto: “Va chiuso”

Il prefetto a Maroni: “Il centro va ristrutturato o è meglio chiuderlo”. La disastrosa situazione del Cie: disagi e privazioni “Sembra di essere in carcere”

di Anna Maria Liguori

«Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha inviato una relazione al ministro dell´Interno Roberto Maroni, e per conoscenza al sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Mario Mantovani e a Mario Morcone, capo dipartimento per le libertà civili e l´immigrazione, dopo aver a lungo analizzato la disastrosa situazione del Cie tra le cui mura gli immigrati vivono ogni tipo di disagio e di privazione. Pecoraro ha scritto a Maroni specificando che il Centro o «viene ristrutturato o chiuso e spostato altrove».

La situazione negli ultimi mesi è infatti molto peggiorata. L´inasprimento delle norme in tema d´immigrazione ha portato più gente a Ponte Galeria: la popolazione del Cie, il più grande d´Italia, è salita in estate di circa 80 unità, da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) al limite della capienza tollerabile che è di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di nordafricani in attesa di essere rimpatriati. L´accoglienza è al limite, tanto che spesso gli immigrati, fermati dalle forze dell´ordine vengono trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere. E anche chi vive lì non sta certo bene. Il sovraffollamento e il caldo insopportabile di questi ultimi mesi, senza dimenticare le ferie degli operatori, hanno creato una miscela potenzialmente esplosiva. Poi ci sono i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine e il fatto che i nuclei familiari al momento dell´arrivo vengono divisi nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza.

Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, ha molte volte lanciato un grido d´allarme: «Eventi drammatici all´interno del Centro di Roma ce ne sono stati tanti. Il vero equivoco di fondo è che i Cie sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri. A Ponte Galeria, ad esempio, non c´è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano nei penitenziari. In queste condizioni è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione». Il prolungamento dei tempi di reclusione contribuisce certamente a degradare la dignità umana dei trattenuti ma non sembra aver minimamente risolto il problema della identificazione, precondizione all´espulsione, che dipende dalla collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza. «È unanime – dicono gli addetti ai lavori – la volontà di risolvere una situazione, che, nonostante le nuove norme in materia di sicurezza, non sembra migliorare la condizione di vita degli immigrati». E ora il prefetto ha scelto di imboccare una strada definitiva.
(Repubblica.it del 10 ottobre 2009)

Ponte Galeria, conto alla rovescia. Il prefetto: “Va chiuso”
Il prefetto a Maroni: “Il centro va ristrutturato o è meglio chiuderlo”. La disastrosa situazione del Cie: disagi e privazioni “Sembra di essere in carcere”
di Anna Maria Liguori

«Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha inviato una relazione al ministro dell´Interno Roberto Maroni, e per conoscenza al sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Mario Mantovani e a Mario Morcone, capo dipartimento per le libertà civili e l´immigrazione, dopo aver a lungo analizzato la disastrosa situazione del Cie tra le cui mura gli immigrati vivono ogni tipo di disagio e di privazione. Pecoraro ha scritto a Maroni specificando che il Centro o «viene ristrutturato o chiuso e spostato altrove».

La situazione negli ultimi mesi è infatti molto peggiorata. L´inasprimento delle norme in tema d´immigrazione ha portato più gente a Ponte Galeria: la popolazione del Cie, il più grande d´Italia, è salita in estate di circa 80 unità, da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) al limite della capienza tollerabile che è di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di nordafricani in attesa di essere rimpatriati. L´accoglienza è al limite, tanto che spesso gli immigrati, fermati dalle forze dell´ordine vengono trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere. E anche chi vive lì non sta certo bene. Il sovraffollamento e il caldo insopportabile di questi ultimi mesi, senza dimenticare le ferie degli operatori, hanno creato una miscela potenzialmente esplosiva. Poi ci sono i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine e il fatto che i nuclei familiari al momento dell´arrivo vengono divisi nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza.

Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, ha molte volte lanciato un grido d´allarme: «Eventi drammatici all´interno del Centro di Roma ce ne sono stati tanti. Il vero equivoco di fondo è che i Cie sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri. A Ponte Galeria, ad esempio, non c´è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano nei penitenziari. In queste condizioni è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione». Il prolungamento dei tempi di reclusione contribuisce certamente a degradare la dignità umana dei trattenuti ma non sembra aver minimamente risolto il problema della identificazione, precondizione all´espulsione, che dipende dalla collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza. «È unanime – dicono gli addetti ai lavori – la volontà di risolvere una situazione, che, nonostante le nuove norme in materia di sicurezza, non sembra migliorare la condizione di vita degli immigrati». E ora il prefetto ha scelto di imboccare una strada definitiva.
(10 ottobre 2009)

Ponte Galeria, conto alla rovescia. Il prefetto: “Va chiuso”
Il prefetto a Maroni: “Il centro va ristrutturato o è meglio chiuderlo”. La disastrosa situazione del Cie: disagi e privazioni “Sembra di essere in carcere”
di Anna Maria Liguori

«Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha inviato una relazione al ministro dell´Interno Roberto Maroni, e per conoscenza al sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Mario Mantovani e a Mario Morcone, capo dipartimento per le libertà civili e l´immigrazione, dopo aver a lungo analizzato la disastrosa situazione del Cie tra le cui mura gli immigrati vivono ogni tipo di disagio e di privazione. Pecoraro ha scritto a Maroni specificando che il Centro o «viene ristrutturato o chiuso e spostato altrove».

La situazione negli ultimi mesi è infatti molto peggiorata. L´inasprimento delle norme in tema d´immigrazione ha portato più gente a Ponte Galeria: la popolazione del Cie, il più grande d´Italia, è salita in estate di circa 80 unità, da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) al limite della capienza tollerabile che è di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di nordafricani in attesa di essere rimpatriati. L´accoglienza è al limite, tanto che spesso gli immigrati, fermati dalle forze dell´ordine vengono trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere. E anche chi vive lì non sta certo bene. Il sovraffollamento e il caldo insopportabile di questi ultimi mesi, senza dimenticare le ferie degli operatori, hanno creato una miscela potenzialmente esplosiva. Poi ci sono i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine e il fatto che i nuclei familiari al momento dell´arrivo vengono divisi nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza.

Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, ha molte volte lanciato un grido d´allarme: «Eventi drammatici all´interno del Centro di Roma ce ne sono stati tanti. Il vero equivoco di fondo è che i Cie sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri. A Ponte Galeria, ad esempio, non c´è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano nei penitenziari. In queste condizioni è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione». Il prolungamento dei tempi di reclusione contribuisce certamente a degradare la dignità umana dei trattenuti ma non sembra aver minimamente risolto il problema della identificazione, precondizione all´espulsione, che dipende dalla collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza. «È unanime – dicono gli addetti ai lavori – la volontà di risolvere una situazione, che, nonostante le nuove norme in materia di sicurezza, non sembra migliorare la condizione di vita degli immigrati». E ora il prefetto ha scelto di imboccare una strada definitiva.
(10 ottobre 2009)

Ponte Galeria, conto alla rovescia. Il prefetto: “Va chiuso”
Il prefetto a Maroni: “Il centro va ristrutturato o è meglio chiuderlo”. La disastrosa situazione del Cie: disagi e privazioni “Sembra di essere in carcere”
di Anna Maria Liguori

«Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha inviato una relazione al ministro dell´Interno Roberto Maroni, e per conoscenza al sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Mario Mantovani e a Mario Morcone, capo dipartimento per le libertà civili e l´immigrazione, dopo aver a lungo analizzato la disastrosa situazione del Cie tra le cui mura gli immigrati vivono ogni tipo di disagio e di privazione. Pecoraro ha scritto a Maroni specificando che il Centro o «viene ristrutturato o chiuso e spostato altrove».

La situazione negli ultimi mesi è infatti molto peggiorata. L´inasprimento delle norme in tema d´immigrazione ha portato più gente a Ponte Galeria: la popolazione del Cie, il più grande d´Italia, è salita in estate di circa 80 unità, da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) al limite della capienza tollerabile che è di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di nordafricani in attesa di essere rimpatriati. L´accoglienza è al limite, tanto che spesso gli immigrati, fermati dalle forze dell´ordine vengono trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere. E anche chi vive lì non sta certo bene. Il sovraffollamento e il caldo insopportabile di questi ultimi mesi, senza dimenticare le ferie degli operatori, hanno creato una miscela potenzialmente esplosiva. Poi ci sono i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine e il fatto che i nuclei familiari al momento dell´arrivo vengono divisi nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza.

Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, ha molte volte lanciato un grido d´allarme: «Eventi drammatici all´interno del Centro di Roma ce ne sono stati tanti. Il vero equivoco di fondo è che i Cie sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri. A Ponte Galeria, ad esempio, non c´è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano nei penitenziari. In queste condizioni è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione». Il prolungamento dei tempi di reclusione contribuisce certamente a degradare la dignità umana dei trattenuti ma non sembra aver minimamente risolto il problema della identificazione, precondizione all´espulsione, che dipende dalla collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza. «È unanime – dicono gli addetti ai lavori – la volontà di risolvere una situazione, che, nonostante le nuove norme in materia di sicurezza, non sembra migliorare la condizione di vita degli immigrati». E ora il prefetto ha scelto di imboccare una strada definitiva.
(10 ottobre 2009)

Autoritarismo neo-medievale

Cos’é e come funziona la legge 1423 di cui soprattutto l’articolo 1 e derivati normativi.

http://www.interno.it/dip_ps/dia/normative/L.1423-56.pdf

Per studiare e comprendere un dispositivo che la repressione ed un autoritarismo più arcaico che “neo” stanno usando e continueranno ad usare nei prossimi tempi come deterrente preventivo nei confronti degli attivisti e militanti considerati, nella devianza sociale, al pari di tutti i nemici dello stato e della sicurezza pubblica.

Un testo che la dice lunga sull’impianto normativo che sorregge l’ipotesi del reato nella dinamica sociale. Praticamente si tratta di un sistema medievale di norme che sottendono un regime politico e sociale d’altri tempi. Eppure siamo quasi nel 2010.

Buona lettura.

Mondiali di nuoto: guarda un pò

Mondiali di nuoto, sequestri a Roma. Indagato Malagò

Sigilli in 11 circoli sportivi 09 ottobre

ROMA – Piscine, foresterie, parcheggi, spogliatoi e palestre, e altre strutture edificate in violazione delle norme paesaggistiche, urbanistiche e in genere ritenute abusive, sono state sequestrate in 11 circoli sportivi romani, tra i più noti della capitale. L’iniziativa giudiziaria si inquadra nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sui presunti abusi edilizi compiuti per la realizzazione degli impianti destinati alla organizzazione dei Mondiali di Nuoto Roma 2009. Il sequestro è stato disposto, su richiesta del pm Sergio Colaiocco, dal gip Donatella Pavone. Tre le strutture sottoposte a sequestro totale c’é il circolo Acqua Aniene, amministrativamente facente capo al Circolo Aniene, in via della Moschea nel quartiere Parioli. Strutture abusive, ancora in fase di edificazione, sono state sottoposte a sequestro nei circoli: “Roma 70”, “Polisportiva Parioli Tiro a Volo”, “Roma team sport”, “Polisportiva Città futura”. Sigilli alle strutture già ultimate nei circoli: “Acqua Aniene”, “Cristo Re”, “Axa Immobil sport”, “Real sport village”, “Associazione Agepi”, “Villa Flaminia”, “Sport 2000”. Il gip aveva già disposto nei mesi scorsi il sequestro di strutture (dal 15 settembre scorso diventato definitivo dopo l’uso concesso per i mondiali di nuoto) in altri quattro circoli di Roma: “Salaria Sport Village”, “Tevere Remo”, “Gav New city”, “Flaminio sporting club”. Nelle ordinanze di sequestro, il Gip ipotizza, a vario titolo, la violazione delle norme urbanistiche, paesaggistiche, per le opere realizzate senza l’intesa con il Comune di Roma che non ha riscosso oneri concessori per circa cinque miliardi di euro. Nel mesi scorsi era stato iscritto nel registro degli indagati il Commissario dei mondiali Claudio Rinaldi. Gli indagati sono ora una trentina: oltre a Rinaldi sono sotto inchiesta i presidenti e responsabili legali dei circoli oggetto oggi di sequestro. La procura sta indagando anche su presunti abusi commessi all’epoca della gestione dall’ex Commissario di “Roma 2009”, Angelo Balducci, ora presidente del Consiglio superiore del lavori pubblici per quanto riguarda la vicenda del “Salaria Sport Village” di Settebagni in cui sono state realizzate, e sequestrate, opere di ampliamento per 160 mila metri cubi con piscine e foresterie. Il circolo privato, fondato dal figlio di Balducci, Filippo, fu realizzato anche dall’acquisizione di terreni agricoli in zona ritenuta dalla procura ”a rischio esondazione del Tevere”. Filippo Balducci ha successivamente ceduto le quote a due fiduciarie socie del circolo: Claudio Rinaldi, nominato Commissario per i mondiali di nuoto dopo Balducci, firmo’ le autorizzazioni alla realizzazione delle opere del Salaria Sport Village nel quadro dell’organizzazione dei mondiali di nuoto. INDAGATO GIOVANNI MALAGO’: “CASCO DALLE NUVOLE” – L’ex Presidente del Comitato organizzatore dei Mondiali di nuoto ”Roma 2009”, è indagato dalla procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sui presunti abusi edilizi realizzati in 15 circoli privati della capitale, 11 dei quali sono stati oggetto di sequestro preventivo disposto dal gip Donatella Pavone. Malago’ è indagato in qualità di presidente del Circolo Canottieri Aniene amministrativamente responsabile del circolo ”Acqua Aniene”, sequestrato oggi dal gip Donatella Pavone, su richiesta del pm della procura di Roma, Sergio Colaiocco. ”Casco dalle nuvole. Sono a Genova e ho appena saputo cosa e’ successo: e’ ingiusto, immotivato e mi sento una vittima”. Questa la prima reazione di Malagò alla notizia di essere stato indagato. Raggiunto telefonicamente Malago’ ha parlato di ”una cosa incomprensibile, senza senso, inaspettata”. ”Abbiamo sempre rispettato religiosamente obblighi e autorizzazioni -spiega Malago’- L’impianto si e’ autofinanziato privatamente ed e’ stato regolarmente aperto al pubblico. Se il problema nasce sul fronte autorizzativo sono ancor di piu’ senza parole; non sono io a dover pensare se il Comune, la Protezione civile e la Presidenza del Consiglio sono o non sono autorizzate a concederle. La cosa si commenta da se”’.

Mondiali di nuoto, sequestri a Roma. Indagato Malagò

Sigilli in 11 circoli sportivi

09 ottobre, 07:47

ROMA – Piscine, foresterie, parcheggi, spogliatoi e palestre, e altre strutture edificate in violazione delle norme paesaggistiche, urbanistiche e in genere ritenute abusive, sono state sequestrate in 11 circoli sportivi romani, tra i più noti della capitale. L’iniziativa giudiziaria si inquadra nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sui presunti abusi edilizi compiuti per la realizzazione degli impianti destinati alla organizzazione dei Mondiali di Nuoto Roma 2009.

Il sequestro è stato disposto, su richiesta del pm Sergio Colaiocco, dal gip Donatella Pavone. Tre le strutture sottoposte a sequestro totale c’é il circolo Acqua Aniene, amministrativamente facente capo al Circolo Aniene, in via della Moschea nel quartiere Parioli. Strutture abusive, ancora in fase di edificazione, sono state sottoposte a sequestro nei circoli: “Roma 70”, “Polisportiva Parioli Tiro a Volo”, “Roma team sport”, “Polisportiva Città futura”. Sigilli alle strutture già ultimate nei circoli: “Acqua Aniene”, “Cristo Re”, “Axa Immobil sport”, “Real sport village”, “Associazione Agepi”, “Villa Flaminia”, “Sport 2000”. Il gip aveva già disposto nei mesi scorsi il sequestro di strutture (dal 15 settembre scorso diventato definitivo dopo l’uso concesso per i mondiali di nuoto) in altri quattro circoli di Roma: “Salaria Sport Village”, “Tevere Remo”, “Gav New city”, “Flaminio sporting club”.
Nelle ordinanze di sequestro, il Gip ipotizza, a vario titolo, la violazione delle norme urbanistiche, paesaggistiche, per le opere realizzate senza l’intesa con il Comune di Roma che non ha riscosso oneri concessori per circa cinque miliardi di euro. Nel mesi scorsi era stato iscritto nel registro degli indagati il Commissario dei mondiali Claudio Rinaldi. Gli indagati sono ora una trentina: oltre a Rinaldi sono sotto inchiesta i presidenti e responsabili legali dei circoli oggetto oggi di sequestro. La procura sta indagando anche su presunti abusi commessi all’epoca della gestione dall’ex Commissario di “Roma 2009”, Angelo Balducci, ora presidente del Consiglio superiore del lavori pubblici per quanto riguarda la vicenda del “Salaria Sport Village” di Settebagni in cui sono state realizzate, e sequestrate, opere di ampliamento per 160 mila metri cubi con piscine e foresterie. Il circolo privato, fondato dal figlio di Balducci, Filippo, fu realizzato anche dall’acquisizione di terreni agricoli in zona ritenuta dalla procura ”a rischio esondazione del Tevere”. Filippo Balducci ha successivamente ceduto le quote a due fiduciarie socie del circolo: Claudio Rinaldi, nominato Commissario per i mondiali di nuoto dopo Balducci, firmo’ le autorizzazioni alla realizzazione delle opere del Salaria Sport Village nel quadro dell’organizzazione dei mondiali di nuoto.

INDAGATO GIOVANNI MALAGO’: “CASCO DALLE NUVOLE” – L’ex Presidente del Comitato organizzatore dei Mondiali di nuoto ”Roma 2009”, è indagato dalla procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sui presunti abusi edilizi realizzati in 15 circoli privati della capitale, 11 dei quali sono stati oggetto di sequestro preventivo disposto dal gip Donatella Pavone. Malago’ è indagato in qualità di presidente del Circolo Canottieri Aniene amministrativamente responsabile del circolo ”Acqua Aniene”, sequestrato oggi dal gip Donatella Pavone, su richiesta del pm della procura di Roma, Sergio Colaiocco. ”Casco dalle nuvole. Sono a Genova e ho appena saputo cosa e’ successo: e’ ingiusto, immotivato e mi sento una vittima”. Questa la prima reazione di Malagò alla notizia di essere stato indagato. Raggiunto telefonicamente Malago’ ha parlato di ”una cosa incomprensibile, senza senso, inaspettata”. ”Abbiamo sempre rispettato religiosamente obblighi e autorizzazioni -spiega Malago’- L’impianto si e’ autofinanziato privatamente ed e’ stato regolarmente aperto al pubblico. Se il problema nasce sul fronte autorizzativo sono ancor di piu’ senza parole; non sono io a dover pensare se il Comune, la Protezione civile e la Presidenza del Consiglio sono o non sono autorizzate a concederle. La cosa si commenta da se”’.

Mondiali di nuoto, sequestri a Roma. Indagato Malagò

Sigilli in 11 circoli sportivi

09 ottobre, 07:47

ROMA – Piscine, foresterie, parcheggi, spogliatoi e palestre, e altre strutture edificate in violazione delle norme paesaggistiche, urbanistiche e in genere ritenute abusive, sono state sequestrate in 11 circoli sportivi romani, tra i più noti della capitale. L’iniziativa giudiziaria si inquadra nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sui presunti abusi edilizi compiuti per la realizzazione degli impianti destinati alla organizzazione dei Mondiali di Nuoto Roma 2009.

Il sequestro è stato disposto, su richiesta del pm Sergio Colaiocco, dal gip Donatella Pavone. Tre le strutture sottoposte a sequestro totale c’é il circolo Acqua Aniene, amministrativamente facente capo al Circolo Aniene, in via della Moschea nel quartiere Parioli. Strutture abusive, ancora in fase di edificazione, sono state sottoposte a sequestro nei circoli: “Roma 70”, “Polisportiva Parioli Tiro a Volo”, “Roma team sport”, “Polisportiva Città futura”. Sigilli alle strutture già ultimate nei circoli: “Acqua Aniene”, “Cristo Re”, “Axa Immobil sport”, “Real sport village”, “Associazione Agepi”, “Villa Flaminia”, “Sport 2000”. Il gip aveva già disposto nei mesi scorsi il sequestro di strutture (dal 15 settembre scorso diventato definitivo dopo l’uso concesso per i mondiali di nuoto) in altri quattro circoli di Roma: “Salaria Sport Village”, “Tevere Remo”, “Gav New city”, “Flaminio sporting club”.
Nelle ordinanze di sequestro, il Gip ipotizza, a vario titolo, la violazione delle norme urbanistiche, paesaggistiche, per le opere realizzate senza l’intesa con il Comune di Roma che non ha riscosso oneri concessori per circa cinque miliardi di euro. Nel mesi scorsi era stato iscritto nel registro degli indagati il Commissario dei mondiali Claudio Rinaldi. Gli indagati sono ora una trentina: oltre a Rinaldi sono sotto inchiesta i presidenti e responsabili legali dei circoli oggetto oggi di sequestro. La procura sta indagando anche su presunti abusi commessi all’epoca della gestione dall’ex Commissario di “Roma 2009”, Angelo Balducci, ora presidente del Consiglio superiore del lavori pubblici per quanto riguarda la vicenda del “Salaria Sport Village” di Settebagni in cui sono state realizzate, e sequestrate, opere di ampliamento per 160 mila metri cubi con piscine e foresterie. Il circolo privato, fondato dal figlio di Balducci, Filippo, fu realizzato anche dall’acquisizione di terreni agricoli in zona ritenuta dalla procura ”a rischio esondazione del Tevere”. Filippo Balducci ha successivamente ceduto le quote a due fiduciarie socie del circolo: Claudio Rinaldi, nominato Commissario per i mondiali di nuoto dopo Balducci, firmo’ le autorizzazioni alla realizzazione delle opere del Salaria Sport Village nel quadro dell’organizzazione dei mondiali di nuoto.

INDAGATO GIOVANNI MALAGO’: “CASCO DALLE NUVOLE” – L’ex Presidente del Comitato organizzatore dei Mondiali di nuoto ”Roma 2009”, è indagato dalla procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sui presunti abusi edilizi realizzati in 15 circoli privati della capitale, 11 dei quali sono stati oggetto di sequestro preventivo disposto dal gip Donatella Pavone. Malago’ è indagato in qualità di presidente del Circolo Canottieri Aniene amministrativamente responsabile del circolo ”Acqua Aniene”, sequestrato oggi dal gip Donatella Pavone, su richiesta del pm della procura di Roma, Sergio Colaiocco. ”Casco dalle nuvole. Sono a Genova e ho appena saputo cosa e’ successo: e’ ingiusto, immotivato e mi sento una vittima”. Questa la prima reazione di Malagò alla notizia di essere stato indagato. Raggiunto telefonicamente Malago’ ha parlato di ”una cosa incomprensibile, senza senso, inaspettata”. ”Abbiamo sempre rispettato religiosamente obblighi e autorizzazioni -spiega Malago’- L’impianto si e’ autofinanziato privatamente ed e’ stato regolarmente aperto al pubblico. Se il problema nasce sul fronte autorizzativo sono ancor di piu’ senza parole; non sono io a dover pensare se il Comune, la Protezione civile e la Presidenza del Consiglio sono o non sono autorizzate a concederle. La cosa si commenta da se”’.

Mondiali di nuoto, sequestri a Roma. Indagato Malagò

Sigilli in 11 circoli sportivi

09 ottobre, 07:47

ROMA – Piscine, foresterie, parcheggi, spogliatoi e palestre, e altre strutture edificate in violazione delle norme paesaggistiche, urbanistiche e in genere ritenute abusive, sono state sequestrate in 11 circoli sportivi romani, tra i più noti della capitale. L’iniziativa giudiziaria si inquadra nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sui presunti abusi edilizi compiuti per la realizzazione degli impianti destinati alla organizzazione dei Mondiali di Nuoto Roma 2009.

Il sequestro è stato disposto, su richiesta del pm Sergio Colaiocco, dal gip Donatella Pavone. Tre le strutture sottoposte a sequestro totale c’é il circolo Acqua Aniene, amministrativamente facente capo al Circolo Aniene, in via della Moschea nel quartiere Parioli. Strutture abusive, ancora in fase di edificazione, sono state sottoposte a sequestro nei circoli: “Roma 70”, “Polisportiva Parioli Tiro a Volo”, “Roma team sport”, “Polisportiva Città futura”. Sigilli alle strutture già ultimate nei circoli: “Acqua Aniene”, “Cristo Re”, “Axa Immobil sport”, “Real sport village”, “Associazione Agepi”, “Villa Flaminia”, “Sport 2000”. Il gip aveva già disposto nei mesi scorsi il sequestro di strutture (dal 15 settembre scorso diventato definitivo dopo l’uso concesso per i mondiali di nuoto) in altri quattro circoli di Roma: “Salaria Sport Village”, “Tevere Remo”, “Gav New city”, “Flaminio sporting club”.
Nelle ordinanze di sequestro, il Gip ipotizza, a vario titolo, la violazione delle norme urbanistiche, paesaggistiche, per le opere realizzate senza l’intesa con il Comune di Roma che non ha riscosso oneri concessori per circa cinque miliardi di euro. Nel mesi scorsi era stato iscritto nel registro degli indagati il Commissario dei mondiali Claudio Rinaldi. Gli indagati sono ora una trentina: oltre a Rinaldi sono sotto inchiesta i presidenti e responsabili legali dei circoli oggetto oggi di sequestro. La procura sta indagando anche su presunti abusi commessi all’epoca della gestione dall’ex Commissario di “Roma 2009”, Angelo Balducci, ora presidente del Consiglio superiore del lavori pubblici per quanto riguarda la vicenda del “Salaria Sport Village” di Settebagni in cui sono state realizzate, e sequestrate, opere di ampliamento per 160 mila metri cubi con piscine e foresterie. Il circolo privato, fondato dal figlio di Balducci, Filippo, fu realizzato anche dall’acquisizione di terreni agricoli in zona ritenuta dalla procura ”a rischio esondazione del Tevere”. Filippo Balducci ha successivamente ceduto le quote a due fiduciarie socie del circolo: Claudio Rinaldi, nominato Commissario per i mondiali di nuoto dopo Balducci, firmo’ le autorizzazioni alla realizzazione delle opere del Salaria Sport Village nel quadro dell’organizzazione dei mondiali di nuoto.

INDAGATO GIOVANNI MALAGO’: “CASCO DALLE NUVOLE” – L’ex Presidente del Comitato organizzatore dei Mondiali di nuoto ”Roma 2009”, è indagato dalla procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sui presunti abusi edilizi realizzati in 15 circoli privati della capitale, 11 dei quali sono stati oggetto di sequestro preventivo disposto dal gip Donatella Pavone. Malago’ è indagato in qualità di presidente del Circolo Canottieri Aniene amministrativamente responsabile del circolo ”Acqua Aniene”, sequestrato oggi dal gip Donatella Pavone, su richiesta del pm della procura di Roma, Sergio Colaiocco. ”Casco dalle nuvole. Sono a Genova e ho appena saputo cosa e’ successo: e’ ingiusto, immotivato e mi sento una vittima”. Questa la prima reazione di Malagò alla notizia di essere stato indagato. Raggiunto telefonicamente Malago’ ha parlato di ”una cosa incomprensibile, senza senso, inaspettata”. ”Abbiamo sempre rispettato religiosamente obblighi e autorizzazioni -spiega Malago’- L’impianto si e’ autofinanziato privatamente ed e’ stato regolarmente aperto al pubblico. Se il problema nasce sul fronte autorizzativo sono ancor di piu’ senza parole; non sono io a dover pensare se il Comune, la Protezione civile e la Presidenza del Consiglio sono o non sono autorizzate a concederle. La cosa si commenta da se”’.

Genova 2001: dieci condanne

Dichiarate 15 tra prescrizioni e assoluzioni. La sentenza al processo per i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: pene aumentate.

G8 di Genova, 10 condanne in appello

GENOVA – Condanna confermata solo per dieci dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 di Genova del 2001. I giudici della corte d’appello hanno dichiarato 15 tra prescrizioni e assoluzioni. In primo grado le condanne erano state 24 per complessivi 108 anni di reclusione.

LA RICHIESTA – Per gli imputati accusati di devastazione e saccheggio le pene sono state però aumentate: Francesco Puglisi (10 anni e 6 mesi in primo grado) è stato condannato a 15 anni; Vincenzo Vecchi (10 anni e 6 mesi) è stato condannato a 13 anni; Marina Cugnaschi (11 anni) dovrà scontare 12 anni e tre mesi; Alberto Funaro (9 anni) è stato condannato a dieci anni. Aumentate anche le pene per Carlo Arculeo (da 7 anni e 6 mesi a 8 anni), Luca Finotti (da 10 anni a 10 anni e 9 mesi), Antonino Valguarnera (da 7 anni e 8 mesi a 8 anni), Carlo Cuccomarino (da 7 anni e 10 mesi a otto anni), Dario Ursino (da 6 anni e 6 mesi a 7 anni), Ines Morasca (da 6 anni a 6 anni e 6 mesi).

Dichiarate 15 tra prescrizioni e assoluzioni. La sentenza al processo per i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: pene aumentate.

G8 di Genova, 10 condanne in appello

GENOVA – Condanna confermata solo per dieci dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 di Genova del 2001. I giudici della corte d’appello hanno dichiarato 15 tra prescrizioni e assoluzioni. In primo grado le condanne erano state 24 per complessivi 108 anni di reclusione.

LA RICHIESTA – Per gli imputati accusati di devastazione e saccheggio le pene sono state però aumentate: Francesco Puglisi (10 anni e 6 mesi in primo grado) è stato condannato a 15 anni; Vincenzo Vecchi (10 anni e 6 mesi) è stato condannato a 13 anni; Marina Cugnaschi (11 anni) dovrà scontare 12 anni e tre mesi; Alberto Funaro (9 anni) è stato condannato a dieci anni. Aumentate anche le pene per Carlo Arculeo (da 7 anni e 6 mesi a 8 anni), Luca Finotti (da 10 anni a 10 anni e 9 mesi), Antonino Valguarnera (da 7 anni e 8 mesi a 8 anni), Carlo Cuccomarino (da 7 anni e 10 mesi a otto anni), Dario Ursino (da 6 anni e 6 mesi a 7 anni), Ines Morasca (da 6 anni a 6 anni e 6 mesi).

Dichiarate 15 tra prescrizioni e assoluzioni.

G8 di Genova, 10 condanne in appello

La sentenza al processo per i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: pene aumentate.

GENOVA – Condanna confermata solo per dieci dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 di Genova del 2001. I giudici della corte d’appello hanno dichiarato 15 tra prescrizioni e assoluzioni. In primo grado le condanne erano state 24 per complessivi 108 anni di reclusione.

LA RICHIESTA – Per gli imputati accusati di devastazione e saccheggio le pene sono state però aumentate: Francesco Puglisi (10 anni e 6 mesi in primo grado) è stato condannato a 15 anni; Vincenzo Vecchi (10 anni e 6 mesi) è stato condannato a 13 anni; Marina Cugnaschi (11 anni) dovrà scontare 12 anni e tre mesi; Alberto Funaro (9 anni) è stato condannato a dieci anni. Aumentate anche le pene per Carlo Arculeo (da 7 anni e 6 mesi a 8 anni), Luca Finotti (da 10 anni a 10 anni e 9 mesi), Antonino Valguarnera (da 7 anni e 8 mesi a 8 anni), Carlo Cuccomarino (da 7 anni e 10 mesi a otto anni), Dario Ursino (da 6 anni e 6 mesi a 7 anni), Ines Morasca (da 6 anni a 6 anni e 6 mesi).

Dichiarate 15 tra prescrizioni e assoluzioni. La sentenza al processo per i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: pene aumentate.

G8 di Genova, 10 condanne in appello

GENOVA – Condanna confermata solo per dieci dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 di Genova del 2001. I giudici della corte d’appello hanno dichiarato 15 tra prescrizioni e assoluzioni. In primo grado le condanne erano state 24 per complessivi 108 anni di reclusione.

LA RICHIESTA – Per gli imputati accusati di devastazione e saccheggio le pene sono state però aumentate: Francesco Puglisi (10 anni e 6 mesi in primo grado) è stato condannato a 15 anni; Vincenzo Vecchi (10 anni e 6 mesi) è stato condannato a 13 anni; Marina Cugnaschi (11 anni) dovrà scontare 12 anni e tre mesi; Alberto Funaro (9 anni) è stato condannato a dieci anni. Aumentate anche le pene per Carlo Arculeo (da 7 anni e 6 mesi a 8 anni), Luca Finotti (da 10 anni a 10 anni e 9 mesi), Antonino Valguarnera (da 7 anni e 8 mesi a 8 anni), Carlo Cuccomarino (da 7 anni e 10 mesi a otto anni), Dario Ursino (da 6 anni e 6 mesi a 7 anni), Ines Morasca (da 6 anni a 6 anni e 6 mesi).

Dichiarate 15 tra prescrizioni e assoluzioni.

G8 di Genova, 10 condanne in appello

La sentenza al processo per i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: pene aumentate.

GENOVA – Condanna confermata solo per dieci dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 di Genova del 2001. I giudici della corte d’appello hanno dichiarato 15 tra prescrizioni e assoluzioni. In primo grado le condanne erano state 24 per complessivi 108 anni di reclusione.

LA RICHIESTA – Per gli imputati accusati di devastazione e saccheggio le pene sono state però aumentate: Francesco Puglisi (10 anni e 6 mesi in primo grado) è stato condannato a 15 anni; Vincenzo Vecchi (10 anni e 6 mesi) è stato condannato a 13 anni; Marina Cugnaschi (11 anni) dovrà scontare 12 anni e tre mesi; Alberto Funaro (9 anni) è stato condannato a dieci anni. Aumentate anche le pene per Carlo Arculeo (da 7 anni e 6 mesi a 8 anni), Luca Finotti (da 10 anni a 10 anni e 9 mesi), Antonino Valguarnera (da 7 anni e 8 mesi a 8 anni), Carlo Cuccomarino (da 7 anni e 10 mesi a otto anni), Dario Ursino (da 6 anni e 6 mesi a 7 anni), Ines Morasca (da 6 anni a 6 anni e 6 mesi).

Dichiarate 15 tra prescrizioni e assoluzioni. La sentenza al processo per i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: pene aumentate.

G8 di Genova, 10 condanne in appello

GENOVA – Condanna confermata solo per dieci dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 di Genova del 2001. I giudici della corte d’appello hanno dichiarato 15 tra prescrizioni e assoluzioni. In primo grado le condanne erano state 24 per complessivi 108 anni di reclusione.

LA RICHIESTA – Per gli imputati accusati di devastazione e saccheggio le pene sono state però aumentate: Francesco Puglisi (10 anni e 6 mesi in primo grado) è stato condannato a 15 anni; Vincenzo Vecchi (10 anni e 6 mesi) è stato condannato a 13 anni; Marina Cugnaschi (11 anni) dovrà scontare 12 anni e tre mesi; Alberto Funaro (9 anni) è stato condannato a dieci anni. Aumentate anche le pene per Carlo Arculeo (da 7 anni e 6 mesi a 8 anni), Luca Finotti (da 10 anni a 10 anni e 9 mesi), Antonino Valguarnera (da 7 anni e 8 mesi a 8 anni), Carlo Cuccomarino (da 7 anni e 10 mesi a otto anni), Dario Ursino (da 6 anni e 6 mesi a 7 anni), Ines Morasca (da 6 anni a 6 anni e 6 mesi).

Dichiarate 15 tra prescrizioni e assoluzioni.

G8 di Genova, 10 condanne in appello

La sentenza al processo per i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: pene aumentate.

GENOVA – Condanna confermata solo per dieci dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 di Genova del 2001. I giudici della corte d’appello hanno dichiarato 15 tra prescrizioni e assoluzioni. In primo grado le condanne erano state 24 per complessivi 108 anni di reclusione.

LA RICHIESTA – Per gli imputati accusati di devastazione e saccheggio le pene sono state però aumentate: Francesco Puglisi (10 anni e 6 mesi in primo grado) è stato condannato a 15 anni; Vincenzo Vecchi (10 anni e 6 mesi) è stato condannato a 13 anni; Marina Cugnaschi (11 anni) dovrà scontare 12 anni e tre mesi; Alberto Funaro (9 anni) è stato condannato a dieci anni. Aumentate anche le pene per Carlo Arculeo (da 7 anni e 6 mesi a 8 anni), Luca Finotti (da 10 anni a 10 anni e 9 mesi), Antonino Valguarnera (da 7 anni e 8 mesi a 8 anni), Carlo Cuccomarino (da 7 anni e 10 mesi a otto anni), Dario Ursino (da 6 anni e 6 mesi a 7 anni), Ines Morasca (da 6 anni a 6 anni e 6 mesi).

Fonte:

http://www.corriere.it/cronache/09_ottobre_09/g8_genova_condanne_manifestanti_df2c4d4e-b4be-11de-939a-00144f02aabc.shtml

Ancora un morto ai summitAncora un morto ai summitAncora un morto ai summitAncora un morto ai summit

Un morto in conseguenza degli scontri

Una persona è morta e un centinaio sono gli arrestati durante gli scontri per il summit di FMI e BM

Una persona è morta e un centinaio sono gli arrestati durante gli scontri tra polizia e i manifestanti che protestavano contro la celebrazione della assemblea annuale del Fondo Monetario Internazionale e del Banco Mondiale in Istambul, Turchia. La rete “Haberturk” informa che il morto si chiamava Ishak Kavlo, e che ha avuto un attacco cardiaco durante gli scontri quando la polizia penetrò nella strada pedonale Istiklal, nel centro di Istambul, sparando gas lacrimogeno. Una ambulanza raccoglie quest’uomo di 55 anni che secondo le informazioni, muore poco dopo. Sempre secondo Haberturk, circa 100 persone sono detenute durante gli scontri, anche se la televisione turca CNN-Turk riduce la cifra a 78. Dalle 10:00 ora locale rappresentanti di sindacati e partiti di sinistra si riuniscono in diversi punti del quartiere di Beyoglu e un migliaio di persone camminano verso la piazza centrale di Taksim, da dove pretendono di raggiungere il posto dove si celebrano le riunioni dell’FMI e del BM. Per mezz’ora circa di concentrazione pacifica, che taglia la circolazione della piazza si urlano slogan tipo “FMI fuori dalla Turchia” e si spiegano striscioni con le scritte “Fai che il capitalismo passi alla storia” e “La Banca Mondiale è un ecoterrorista” (El banco mundial es un criminal medioambiental) Verso le 11:30 ora locale, la polizia tenta di dissolvere la manifestazione con cannoni ad acqua compressa, e lanciando gas lacrimogeno per evitare che i manifestanti accedano all’area dove si tengono le riunioni. Quindi, come mostrano le televisioni turche, cominciano una serie di inseguimenti tra polizia e manifestanti per le vie del centro, specialmente per via Istiklal e i viali adiacenti. Alcuni manifestanti di gruppi radicali lanciano cocktail molotov alla polizia e tirano pietrate alle vetrine e fermate degli autobus. Si sono fatte anche proteste pacifiche all’interno dell’area dove, sotto ristrette misure di sicurezza, si riuniscono FMI e BM. “Dobbiamo ascoltare anche quelli che protestano” ha chiesto il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, durante l’inaugurazione dell’assemblea. “Accettiamo le critiche e le proteste pero si devono fare in maniera civilizzata” afferma in una dichiarazione a Haberturk il ministro dello stato turco Cevdet Yilmaz e dice che “questi tafferugli non influiscono sulla riunione”. in inglese http://istanbul.indymedia.org/features/english/?l=en

Un morto in conseguenza degli scontri

Una persona è morta e un centinaio sono gli arrestati per il summit del FMI e BM

Una persona è morta e un centinaio sono gli arrestatidurante gli scontri tra polizia e i manifestanti che protestavano contro la celebrazione della assemblea annuale del Fondo Monetario Internazionale e del Banco Mondiale in Istambul, Turchia.

La rete “Haberturk” informa che il morto si chiamava Ishak Kavlo, e che ha
avuto un attacco cardiaco durante gli scontri quando la polizia
penetrò nella strada pedonale Istiklal, nel centro di Istambul, sparando
gas lacrimogeno.

Una ambulanza raccoglie quest’uomo di 55 anni che secondo le informazioni,
muore poco dopo. Sempre secondo Haberturk, circa 100
persone sono detenute durante gli scontri, anche se la televisione turca
CNN-Turk riduce la cifra a 78.

Dalle 10:00 ora locale rappresentanti di sindacati e partiti di sinistra si
riuniscono in diversi punti del quartiere di Beyoglu e un migliaio di
persone camminano verso la piazza centrale di Taksim, da dove pretendono di
raggiungere il posto dove si celebrano le riunioni dell’FMI e del BM.

Per mezz’ora circa di concentrazione pacifica, che taglia la circolazione
della piazza si urlano slogan tipo “FMI fuori dalla Turchia” e si spiegano
striscioni con le scritte “Fai che il capitalismo passi alla storia” e “La
Banca Mondiale è un ecoterrorista” (El banco mundial es un criminal
medioambiental)

Verso le 11:30 ora locale, la polizia tenta di dissolvere la manifestazione
con cannoni ad acqua compressa, e lanciando gas lacrimogeno per evitare che
i manifestanti accedano all’area dove si tengono le riunioni.

Quindi, come mostrano le televisioni turche, cominciano una serie di
inseguimenti tra polizia e manifestanti per le vie del centro, specialmente
per via Istiklal e i viali adiacenti.

Alcuni manifestanti di gruppi radicali lanciano cocktail molotov alla
polizia e tirano pietrate alle vetrine e fermate degli autobus.

Si sono fatte anche proteste pacifiche all’interno dell’area dove, sotto
ristrette misure di sicurezza, si riuniscono FMI e BM. “Dobbiamo ascoltare
anche quelli che protestano” ha chiesto il primo ministro turco Recep
Tayyip Erdogan, durante l’inaugurazione dell’assemblea.

“Accettiamo le critiche e le proteste pero si devono fare in maniera
civilizzata” afferma in una dichiarazione a Haberturk il ministro dello
stato turco Cevdet Yilmaz e dice che “questi tafferugli non influiscono
sulla riunione”.

in inglese
http://istanbul.indymedia.org/features/english/?l=en

Un morto in conseguenza degli scontri

Una persona è morta e un centinaio sono gli arrestati per il summit del FMI e BM

Una persona è morta e un centinaio sono gli arrestatidurante gli scontri tra polizia e i manifestanti che protestavano contro la celebrazione della assemblea annuale del Fondo Monetario Internazionale e del Banco Mondiale in Istambul, Turchia.

La rete “Haberturk” informa che il morto si chiamava Ishak Kavlo, e che ha
avuto un attacco cardiaco durante gli scontri quando la polizia
penetrò nella strada pedonale Istiklal, nel centro di Istambul, sparando
gas lacrimogeno.

Una ambulanza raccoglie quest’uomo di 55 anni che secondo le informazioni,
muore poco dopo. Sempre secondo Haberturk, circa 100
persone sono detenute durante gli scontri, anche se la televisione turca
CNN-Turk riduce la cifra a 78.

Dalle 10:00 ora locale rappresentanti di sindacati e partiti di sinistra si
riuniscono in diversi punti del quartiere di Beyoglu e un migliaio di
persone camminano verso la piazza centrale di Taksim, da dove pretendono di
raggiungere il posto dove si celebrano le riunioni dell’FMI e del BM.

Per mezz’ora circa di concentrazione pacifica, che taglia la circolazione
della piazza si urlano slogan tipo “FMI fuori dalla Turchia” e si spiegano
striscioni con le scritte “Fai che il capitalismo passi alla storia” e “La
Banca Mondiale è un ecoterrorista” (El banco mundial es un criminal
medioambiental)

Verso le 11:30 ora locale, la polizia tenta di dissolvere la manifestazione
con cannoni ad acqua compressa, e lanciando gas lacrimogeno per evitare che
i manifestanti accedano all’area dove si tengono le riunioni.

Quindi, come mostrano le televisioni turche, cominciano una serie di
inseguimenti tra polizia e manifestanti per le vie del centro, specialmente
per via Istiklal e i viali adiacenti.

Alcuni manifestanti di gruppi radicali lanciano cocktail molotov alla
polizia e tirano pietrate alle vetrine e fermate degli autobus.

Si sono fatte anche proteste pacifiche all’interno dell’area dove, sotto
ristrette misure di sicurezza, si riuniscono FMI e BM. “Dobbiamo ascoltare
anche quelli che protestano” ha chiesto il primo ministro turco Recep
Tayyip Erdogan, durante l’inaugurazione dell’assemblea.

“Accettiamo le critiche e le proteste pero si devono fare in maniera
civilizzata” afferma in una dichiarazione a Haberturk il ministro dello
stato turco Cevdet Yilmaz e dice che “questi tafferugli non influiscono
sulla riunione”.

in inglese
http://istanbul.indymedia.org/features/english/?l=en

Un morto in conseguenza degli scontri

Una persona è morta e un centinaio sono gli arrestati per il summit del FMI e BM

Una persona è morta e un centinaio sono gli arrestatidurante gli scontri tra polizia e i manifestanti che protestavano contro la celebrazione della assemblea annuale del Fondo Monetario Internazionale e del Banco Mondiale in Istambul, Turchia.

La rete “Haberturk” informa che il morto si chiamava Ishak Kavlo, e che ha
avuto un attacco cardiaco durante gli scontri quando la polizia
penetrò nella strada pedonale Istiklal, nel centro di Istambul, sparando
gas lacrimogeno.

Una ambulanza raccoglie quest’uomo di 55 anni che secondo le informazioni,
muore poco dopo. Sempre secondo Haberturk, circa 100
persone sono detenute durante gli scontri, anche se la televisione turca
CNN-Turk riduce la cifra a 78.

Dalle 10:00 ora locale rappresentanti di sindacati e partiti di sinistra si
riuniscono in diversi punti del quartiere di Beyoglu e un migliaio di
persone camminano verso la piazza centrale di Taksim, da dove pretendono di
raggiungere il posto dove si celebrano le riunioni dell’FMI e del BM.

Per mezz’ora circa di concentrazione pacifica, che taglia la circolazione
della piazza si urlano slogan tipo “FMI fuori dalla Turchia” e si spiegano
striscioni con le scritte “Fai che il capitalismo passi alla storia” e “La
Banca Mondiale è un ecoterrorista” (El banco mundial es un criminal
medioambiental)

Verso le 11:30 ora locale, la polizia tenta di dissolvere la manifestazione
con cannoni ad acqua compressa, e lanciando gas lacrimogeno per evitare che
i manifestanti accedano all’area dove si tengono le riunioni.

Quindi, come mostrano le televisioni turche, cominciano una serie di
inseguimenti tra polizia e manifestanti per le vie del centro, specialmente
per via Istiklal e i viali adiacenti.

Alcuni manifestanti di gruppi radicali lanciano cocktail molotov alla
polizia e tirano pietrate alle vetrine e fermate degli autobus.

Si sono fatte anche proteste pacifiche all’interno dell’area dove, sotto
ristrette misure di sicurezza, si riuniscono FMI e BM. “Dobbiamo ascoltare
anche quelli che protestano” ha chiesto il primo ministro turco Recep
Tayyip Erdogan, durante l’inaugurazione dell’assemblea.

“Accettiamo le critiche e le proteste pero si devono fare in maniera
civilizzata” afferma in una dichiarazione a Haberturk il ministro dello
stato turco Cevdet Yilmaz e dice che “questi tafferugli non influiscono
sulla riunione”.

in inglese
http://istanbul.indymedia.org/features/english/?l=en

Pigneto: rastrellamenti a via campobasso

Pubblichiamo un comunicato del comitato di quartiere Pigneto-Prenestino

Un rastrellamento in piena regola ha sconvolto ieri pomeriggio la vita di un quartiere multietnico di Roma, il Pigneto.

Alle 18,30 numerose volanti e blindati della Guardia di finanza hanno circondato l’isola pedonale. Decine di agenti in assetto antisommossa, creando il panico tra i cittadini, hanno violentemente percosso e arrestato chiunque avesse la pelle scura. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in alcuni appartamenti, all’angolo tra via del Pigneto e via Campobasso, dove hanno divelto porte, sfondato finestre, sequestrato merci e beni degli abitanti.

La retata si è conclusa con 25 arresti di cittadini senegalesi e nigeriani, persone che vivono da anni nel nostro quartiere, lavoratori immigrati che mai hanno fatto male a nessuno.

Con la scusa della sicurezza, la nostra città sta respirando in questi mesi un clima di violenta repressione: blitz contro immigrati, sgomberi di centri sociali e di spazi occupati in risposta all’emergenza abitativa. Operazioni eclatanti, che colpiscono proprio i più deboli con l’obiettivo di aprire nuovi spazi agli interessi economici che governano la città. Come accaduto al Pigneto, un quartiere che si vorrebbe “ripulire”, per renderlo una ricca vetrina dedita al commercio. Forse, dietro lo sgombero, si nascondono gli interessi legati al mercato degli immobili in una zona che vive una gravissima emergenza sfratti e dove il prezzo delle case è in costante ascesa.
Noi, cittadini del quartiere siamo preoccupati di questa grave spirale di violenza dello Stato. Vogliamo che il Pigneto sia un quartiere dell’accoglienza, non della repressione e della speculazione. Organizziamo a questo scopo il 10 ottobre un pomeriggio e serata di incontri con il quartiere, sui problemi di case, scuole, e del razzismo, che si concluderà alle 21 con un’assemblea per preparare insieme la manifestazione del 17 ottobre contro il razzismo e il pacchetto sicurezza.
Il 6 ottobre, ore 12, conferenza stampa a Via del Pigneto angolo via CampobassoPubblichiamo un comunicato del comitato di quartiere Pigneto-Prenestino

Un rastrellamento in piena regola ha sconvolto ieri pomeriggio la vita di un quartiere multietnico di Roma, il Pigneto.

Alle 18,30 numerose volanti e blindati della Guardia di finanza hanno circondato l’isola pedonale. Decine di agenti in assetto antisommossa, creando il panico tra i cittadini, hanno violentemente percosso e arrestato chiunque avesse la pelle scura. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in alcuni appartamenti, all’angolo tra via del Pigneto e via Campobasso, dove hanno divelto porte, sfondato finestre, sequestrato merci e beni degli abitanti.

La retata si è conclusa con 25 arresti di cittadini senegalesi e nigeriani, persone che vivono da anni nel nostro quartiere, lavoratori immigrati che mai hanno fatto male a nessuno.

Con la scusa della sicurezza, la nostra città sta respirando in questi mesi un clima di violenta repressione: blitz contro immigrati, sgomberi di centri sociali e di spazi occupati in risposta all’emergenza abitativa. Operazioni eclatanti, che colpiscono proprio i più deboli con l’obiettivo di aprire nuovi spazi agli interessi economici che governano la città. Come accaduto al Pigneto, un quartiere che si vorrebbe “ripulire”, per renderlo una ricca vetrina dedita al commercio. Forse, dietro lo sgombero, si nascondono gli interessi legati al mercato degli immobili in una zona che vive una gravissima emergenza sfratti e dove il prezzo delle case è in costante ascesa.
Noi, cittadini del quartiere siamo preoccupati di questa grave spirale di violenza dello Stato. Vogliamo che il Pigneto sia un quartiere dell’accoglienza, non della repressione e della speculazione. Organizziamo a questo scopo il 10 ottobre un pomeriggio e serata di incontri con il quartiere, sui problemi di case, scuole, e del razzismo, che si concluderà alle 21 con un’assemblea per preparare insieme la manifestazione del 17 ottobre contro il razzismo e il pacchetto sicurezza.
Il 6 ottobre, ore 12, conferenza stampa a Via del Pigneto angolo via CampobassoPubblichiamo un comunicato del comitato di quartiere Pigneto-Prenestino

Un rastrellamento in piena regola ha sconvolto ieri pomeriggio la vita di un quartiere multietnico di Roma, il Pigneto.

Alle 18,30 numerose volanti e blindati della Guardia di finanza hanno circondato l’isola pedonale. Decine di agenti in assetto antisommossa, creando il panico tra i cittadini, hanno violentemente percosso e arrestato chiunque avesse la pelle scura. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in alcuni appartamenti, all’angolo tra via del Pigneto e via Campobasso, dove hanno divelto porte, sfondato finestre, sequestrato merci e beni degli abitanti.

La retata si è conclusa con 25 arresti di cittadini senegalesi e nigeriani, persone che vivono da anni nel nostro quartiere, lavoratori immigrati che mai hanno fatto male a nessuno.

Con la scusa della sicurezza, la nostra città sta respirando in questi mesi un clima di violenta repressione: blitz contro immigrati, sgomberi di centri sociali e di spazi occupati in risposta all’emergenza abitativa. Operazioni eclatanti, che colpiscono proprio i più deboli con l’obiettivo di aprire nuovi spazi agli interessi economici che governano la città. Come accaduto al Pigneto, un quartiere che si vorrebbe “ripulire”, per renderlo una ricca vetrina dedita al commercio. Forse, dietro lo sgombero, si nascondono gli interessi legati al mercato degli immobili in una zona che vive una gravissima emergenza sfratti e dove il prezzo delle case è in costante ascesa.
Noi, cittadini del quartiere siamo preoccupati di questa grave spirale di violenza dello Stato. Vogliamo che il Pigneto sia un quartiere dell’accoglienza, non della repressione e della speculazione. Organizziamo a questo scopo il 10 ottobre un pomeriggio e serata di incontri con il quartiere, sui problemi di case, scuole, e del razzismo, che si concluderà alle 21 con un’assemblea per preparare insieme la manifestazione del 17 ottobre contro il razzismo e il pacchetto sicurezza.
Il 6 ottobre, ore 12, conferenza stampa a Via del Pigneto angolo via CampobassoPubblichiamo un comunicato del comitato di quartiere Pigneto-Prenestino

Un rastrellamento in piena regola ha sconvolto ieri pomeriggio la vita di un quartiere multietnico di Roma, il Pigneto.

Alle 18,30 numerose volanti e blindati della Guardia di finanza hanno circondato l’isola pedonale. Decine di agenti in assetto antisommossa, creando il panico tra i cittadini, hanno violentemente percosso e arrestato chiunque avesse la pelle scura. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in alcuni appartamenti, all’angolo tra via del Pigneto e via Campobasso, dove hanno divelto porte, sfondato finestre, sequestrato merci e beni degli abitanti.

La retata si è conclusa con 25 arresti di cittadini senegalesi e nigeriani, persone che vivono da anni nel nostro quartiere, lavoratori immigrati che mai hanno fatto male a nessuno.

Con la scusa della sicurezza, la nostra città sta respirando in questi mesi un clima di violenta repressione: blitz contro immigrati, sgomberi di centri sociali e di spazi occupati in risposta all’emergenza abitativa. Operazioni eclatanti, che colpiscono proprio i più deboli con l’obiettivo di aprire nuovi spazi agli interessi economici che governano la città. Come accaduto al Pigneto, un quartiere che si vorrebbe “ripulire”, per renderlo una ricca vetrina dedita al commercio. Forse, dietro lo sgombero, si nascondono gli interessi legati al mercato degli immobili in una zona che vive una gravissima emergenza sfratti e dove il prezzo delle case è in costante ascesa.
Noi, cittadini del quartiere siamo preoccupati di questa grave spirale di violenza dello Stato. Vogliamo che il Pigneto sia un quartiere dell’accoglienza, non della repressione e della speculazione. Organizziamo a questo scopo il 10 ottobre un pomeriggio e serata di incontri con il quartiere, sui problemi di case, scuole, e del razzismo, che si concluderà alle 21 con un’assemblea per preparare insieme la manifestazione del 17 ottobre contro il razzismo e il pacchetto sicurezza.
Il 6 ottobre, ore 12, conferenza stampa a Via del Pigneto angolo via Campobasso