La nave dei folli tornerà davvero.

La nostra risposta ad un editoriale del 5/9/10 di Barbara Spinelli su La Stampa, dal titolo “La nave dei folli ritornerà

artegeniofollia_navedeipazzi“Quando il cavallo acquistò la sua forma definitiva era enorme e bello […] Marco Cavallo è una macchina teatrale. I matti non lo hanno costruito materialmente, non lo hanno mai toccato. Mentre cresceva la sua struttura in legno, mentre prendeva forma la cartapesta, mentre si plasmava la testa, i matti hanno costruito, senza mai toccare il cavallo, ripeto, qualcosa di più duraturo, di più indefinito. Il colore azzurro. La pancia piena di desideri, dall’orologio di Tinta al porto con le navi della giovinezza di Ondina, dalle tante Marie all’immancabile «fiasco de vin», dalla casa alle scarpe, al volo, al viaggio, alla corsa, all’amico, alla libertà.”

(da: “Non ho l’arma che uccide il leone. Storie dal manicomio di Trieste.”
Giuseppe Dell’Acqua)

Proviamo ad immaginare una narrazione che ci traghetti, in un tempo ed in uno spazio. Da sponda a sponda.

Una nave su cui imbarcare tutti i nostri sogni e desideri; tutte le nostre immaginazioni e analisi. Una stiva con molte storie di giovani e meno giovani, di migranti e nativi, di precarietà e diritti, di sfruttamento e ribellione, di partenza ed arrivo. Una nave dei folli.

Perhè la follia è il nostro stato per rivoltare la pazzia dello Stato fatto di politicanti e forti poteri imprenditoriali che con le parole descrivono un cielo sereno e celeste e che, in realtà, è solo un fondale che nasconde un buco nero: il futuro.

Ed è questa porzione temporale che non possiamo immaginare, semplicemente perchè si costruisce qui ed ora, nel presente.

E questo nostro presente è fatto di precarietà, di diffidenza, di battaglie collettive trasformate in grida solitarie; chi riesce con le unghie e con i denti a garantire diritti erosi giorno dopo giorno, parola dopo parola, ipocrisia dopo ipocrisia lo fa spesso nella solitudine, sotto la minaccia del tribunale e del manganello. Mentre le parole strumentali creano un sipario che nasconde le nostre vite.

Nasconde, dietro parole forgiate nel tempo del “moderno e post-industriale”, una tensione reazionaria, un ritorno agli ’50 (fate voi se del ‘900 o dell’800), senza reti né di salvataggio, né di solidarietà, né di lotta. Costruiscono paure sociali, capri espiatori su cui scaricare frustrazione quotidiane.

Ma la paura, quella vera, ce l’hanno loro: perdere il controllo, il profitto, il potere.

Per questo trasformano noi in pazzi che accettiamo di lavorare in condizioni di merda, con paghe irrisorie, spesso a rischio della vita stessa; noi che paghiamo affitti e mutui da capogiro; noi che facciamo ipotecare dal ghigno beffardo di qualche centinaio di amministratori delegati il sorriso di milioni di persone.

Ci trasformano in pazzi ancor più quando prendiamo parola, alziamo la testa, ci organizziamo. E a quel punto ci ospedalizzano, ci mettono in quarantena, ci rinchiudono perchè lontani dalla loro idea di democrazia e società civile.

Ed allora noi ci imbarchiamo: una nave dei folli che prendono in mano la propria condizione e rivendicano nuovi diritti. Costruiamo il nostro vascello che si allontanerà dai porti del capitale e dello sfruttamento ed approderà in un territorio di conflitto e rivendicazione. Sogni che si fanno forza collettiva e indipendenza. Battaglie reali che conquistano metro dopo metro un’uscita dalla crisi che il sistema neoliberista ha costruito e continua perpetrare e, soprattutto, che vuole farci pagare.

Affermiamo la nostra carnevalesca follia per sovvertire la natura mortifera di un sistema.

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