«Siamo rinati nei territori E ora la rivolta»
«Alla crisi economica corrisponde un tracollo della politica e della sua rappresentanza formale. Così se il potere militarizza le strade e aumenta il controllo sociale, il movimento non può che radicalizzare la protesta. Qualsiasi mediazione è saltata». Rafael Di Maio, attivista della rete degli «indipendenti», è a Roma ma è in stretto contatto telefonico con alcuni manifestanti inglesi che in diretta gli stanno raccontando la giornata. «Il movimento è tornato ad assediare il tavolo dei grandi», dice soddisfatto.
Segnali di ripresa di un movimento semi- morto?
Senza alcun dubbio. Il popolo dei no-global, finita l’era dei controvertici, si è sedimentato sui territori portando avanti vertenze locali, come i beni comuni, e battaglie contro le grandi opere. Senza trascurare le tematiche sociali. Da questa declinazione è rinato l’attuale movimento che non si limita alla pura richiesta di voler un altro mondo possibile, come a Seattle, ma pratica l’alterità, l’autonomia e la cooperazione quotidianamente nei propri territori. Anche nelle pratiche ci sono differenze. Sono lontane le discussioni sulla non-violenza. Il popolo dei no-global era diventato politicista, ponendosi problemi relativi alla rappresentanza istituzionale più che al conflitto. Oggi, essendo crollati sindacati e partiti, non c’è nessuna mediazione nella rivolta: c’è solo un forte spontaneismo che punta sull’azione diretta. A
Londra c’erano quattro blocchi e ognuno ha espresso proprie forme: l’eterogeneità, la riproducibilità e la diffusione delle azioni sono il punto di forza di questo movimento.
E le banche gli obiettivi.
I banchieri hanno generato la crisi ed è giusto sanzionarli, come successe dieci anni fa in Argentina, dove la violenza diffusa era accompagnata dalla necessità di voler prendere in mano il proprio destino. Crollati i corpi intermedi, il movimento rappresenta l’unico elemento di partecipazione.
Non temi siano solo proteste sporadiche?
Le relazioni europee sono forti. Noi, come rete degli indipendenti, ad esempio, siamo in stretto contatto con attivisti greci, francesi, tedeschi, inglesi e spagnoli. L’obiettivo è allargare questo network per mettere in connessione le varie lotte sociali. Tra l’altro l’elemento drammatico della crisi deve ancora arrivare e la rivolta è solo all’inizio.
Una crisi economica che i no-global avevano previsto.
Questa crisi, che viene dagli anni ’70 ma è anche la prima nell’economia della conoscenza, è per noi una doppia occasione. Da un lato perché la verticale caduta del sistema ha messo in discussione il capitalismo mondiale e il principio del profitto. In pochi mesi persino governi nazionali e organismi internazionali, come il Fondo monetario, legittimano le critiche più radicali e l’insostenibilità del sistema con la crescita sostenibile delle economie locali. Dall’altra la profonda polarizzazione dei redditi dà spazio ad un nuovo processo costituente. Dove si ripensano la forma Stato e le politiche keynesiane a vantaggio di nuove pratiche come il decentramento, l’autogoverno e la decisionalità dal basso. Il movimento vuole mettere bocca sul destino delle risorse pubbliche e sulla loro redistribuzione.
Giacomo Russo Spena
Da Il Manifesto del 2 aprile 2009