Dal workshop: “E’ ora dell’indipendenza?”

* la domanda che ci eravamo posti come titolo del workshop introduce
anzitutto a una valutazione temporale, sul tempo, sul momento, sul presente.

* il presente è dominato dalla crisi: la questione è quindi capire e
cercare una relazione fra la crisi e l’indipendenza.

* il giudizio sulla crisi può essere duplice: o è una congiuntura, un
affollamento di problemi che si sono stretti in un imbuto, allargando il
quale – con una serie di interventi, anche casuali finché non si
azzeccano quelli giusti – il ciclo riprenderà lentamente; oppure, la
crisi è radicale, e investe non solo aspetti del ciclo economico, la
finanza, la circolazione, la produzione, la redistribuzione, le materie
prime, il commercio, gli enti regolatori internazionali, ma il diritto,
le forme della sovranità, il patto tra i cittadini, la proprietà, la
produzione di ricchezza, insomma l’epoca. l’epoca è più del capitalismo,
del socialismo, del novecento. l’epoca è uno dei grandi passaggi
dell’umanità organizzata in società.

Prossimo incontro: Giovedi 2 Aprile

Dove: VolturnOccupato, via volturno 37 ore 18

*  il nostro giudizio è che la crisi è un passaggio epocale. ci torna
utile rileggere la storia, il passato, quel grande passaggio epocale che
ha determinato il ‘lungo tempo’ nel quale è vissuto il mondo segnato dal
capitalismo; quindi, il seicento, la rivoluzione inglese soprattutto. e
le rivoluzioni che a essa sono seguite e si sono richiamate,
differenziandosi: la rivoluzione americane e quella francese. ci torna
utile anche studiare la ‘storia patria’, in quell’accumulazione di cose
che precedettero il seicento, anticipandolo in ‘visione’ e pensieri , ma
che per prender forma di ‘modernità’ dovettero aspettare le rivoluzioni
nazionali, l’ottocento: il risorgimento. è in italia che noi stiamo, e
non si può prescindere, in quello che andiamo ragionando,
dall’attenzione al ‘carattere precipuo’ della nostra storia, magari
perché ci aiuta a leggere alcuni aspetti del presente.

* in un passaggio epocale vi sono spinte oggettive profonde – le
trasformazioni produttive, le invenzioni della scienza, i sentimenti
umani, i costumi che si introducono, le abitudini, un processo che non è
immediato ma che si è accumulato in un periodo – e vi sono spinte
soggettive, l’organizzazione della volontà di soggetti: la crisi,
quindi, non è deterministicamente destinata a una soluzione, né
volontaristicamente potrà approdare a una soluzione. la crisi è un
“campo” in cui agiscono forze. la crisi è un “tempo”, in cui agiscono
forze. comunque sia, delle forze agiscono in un tempo. la crisi non è un
tempo vuoto.

* la prima forza che agisce è quella che organizza una narrazione: un
passaggio epocale è un tempo di smarrimento collettivo e individuale, i
fenomeni non sono immediatamente comprensibili nelle loro motivazioni e
non riusciamo a risalire dall’esperienza singolare, quotidiana alla
complessità dei fenomeni. i fenomeni rimagono oscuri e lontani. la
narrazione ha il potere di costruire ordine del discorso, di spiegare
gli accadimenti. la narrazione – religiosa, economica, politica,
psicologica – ha una funzione d’ordine.

* la crisi è la nuova narrazione del potere.

* la narrazione del potere spiega la crisi con l’illegittimità e
l’illegalità di alcuni comportamenti singolari disonesti e immorali in
un quadro di onestà e moralità, oppure con una assenza di norme che ha
consentito comportamenti illegittimi e illegali rispetto il buon senso
dell’onestà e della moralità, oppure con la immoralità e disonestà
incrociata e complice fra vigilatori e coloro che dovevano essere
vigilati. ma le cifre non sono corroboranti: l’asian development bank ha
calcolato la perdita di 50.000 miliardi di dollari, sinora. a esempio,
nel ‘caso madoff’ – uno dei più ‘corrotti’ – si tratta di 50 miliardi di
dollari, che equivalgono allo 0,001 della perdita complessiva. non basta
la storia di quaranta ladroni a spiegare la scomparsa del ‘tesoro’.

* la nuova narrazione del potere è perciò moralista e giuridica. è lo
schema dello scandalo ‘enron’, la colossale perdita a ridosso
dell’ultima bolla tecnologica in usa, precedente a questa crisi, ma ora
in scala planetaria. il tema centrale è quello della ‘corruzione’. il
nemico, proclamato ai quattro venti e continenti, è: l’avidità. contro
l’avidità servono una nuova morale e nuove leggi. un nuovo modo di
governare e nuove regole per patto sociale. ma le “virtù” sono quelle di
sempre, buone al potere: obbedienza, fiducia, astinenza dagli eccessi.

* la narrazione della crisi si ammanta di senso di giustizia popolare tra il civico e il religioso, contro i corrotti. è il ‘populismo globale’.

* l’indipendenza si intreccia alla crisi, e quindi al tempo presente,
perché è la chiave di lettura della crisi e propone un’altra narrazione:
è l’indipendenza il motore della crisi. è l’indipendenza il passaggio
dell’epoca. le nuove regole – un progressivo imbarbarimento della
democrazia o uno svuotamento del suo formalismo dentro una decretazione
di eccezionalità che si fa regola – dovrebbero ‘strozzare’
l’indipendenza. di suo, questa idea è condannata a perdere dentro il
passaggio epocale. la spinta umana a ‘meglio vivere’ è irreversibile. ma
siccome non si procede in maniera lineare ma per ricorrenze, regressioni
e esperienze, questa idea di ‘emergenza’ e di un governo autoritario per
necessità potrebbe per un tempo indefinito stabilizzarsi e vincere. gli
uomini si muovono dentro il presente, e non dentro il passaggio epocale.

* è quello che facciamo che ci dirà che cosa sarà accaduto.

* perché l’indipendenza abbia il ‘suo’ tempo, che è ora, essa deve farsi
da processo a progetto. potrebbe anche perdere, dentro il ‘campo’, in un
tempo ravvicinato, nel presente.

* dato che l’indipendenza è un processo in corso, in tendenza, alluso,
noi non troviamo ‘soggetti indipendenti’ ma soggetti che cercano
indipendenza. abbiamo più volte immaginato che i ‘lavoratori della
conoscenza’ fossero i precipui portatori di un ‘nuovo mondo’, per i modi
stessi del loro lavorare, per il ‘materiale’ stesso del loro lavoro. ma
forse non esistono specifici soggetti produttori di indipendenza, perché
nei passaggi epocali non esitono specifici produttori ma processi
sociali. i processi di indipendenza si riverberano su tutto il corpo
sociale e quindi si possono rintracciare in tutto il corpo sociale.
specifici corpi sociali si organizzano nei passaggi epocali in termini
di resistenza, perché ciò che è messo in discussione è la sopravvivenza
stessa di ciascun corpo sociale. nel tempo della crisi tutti i corpi
sociali sono a rischio.

* la tentazione d’ordine è quindi dappertutto, perché solo attraverso
l’ordine è possibile mantenere i propri privilegi dentro la crisi,
purché si sia cooptati nel processo d’ordine. l’ordine è
discriminatorio, non può salvare tutti, perché non è un processo di
nuova condivisione e pattuizione dentro il corpo sociale ma un processo
di avocazione della sovranità e dell’autorità. più che una prescrizione
di contenuti, sarà attraverso la catalogazione dei comportamenti
‘ostili’ che passerà la discriminazione, fondandosi sulle virtù
cardinali: obbedienza, fiducia, astinenza dagli eccessi. gli altri sono
‘nemici’: non questo o quel corpo sociale [non siamo al
nazionalsocialismo che individua il nemico nel cosmopolitismo ebraico
finanziario]. ci sono anche ‘spinte’ in questo senso, ma nell’insieme si
punta piuttosto a sanzionare comportamenti e diritti, perché questi sono
più interni e abitudinari al corpo sociale. questo percorso non è
immediato – con una proclamazione di neo-stato – perché vischioso è
ancora il rapporto fra nuove regole, avocazione dell’autorità e corpi
sociali.

* accanto, si potrebbe dire: assieme, e nello stesso tempo: contro, alle
spinte disgregatrici e d’ordine ci sono quelle che cercano un nuovo
patto sociale che dia ‘forma’ ai processi di indipendenza. ma i princìpi
sono gli stessi: certezza, sicurezza, protezione. i conflitti ruotano
intorno queste cose. dentro la resistenza – battersi per mantenere o
conquistare diritti e cose – è possibile leggere e innescare processi di
più lungo respiro, capaci di aggregare corpo sociale. se si ha un
progetto che vada oltre la resistenza. se il progetto che si agita viene
progressivamente compreso come ‘fattibile’, come una potenza che si
compie necessariamente.

* organizzare la potenza del processo indipendente è quindi rendere
fattuale, possibile, che le spinte sociali tendano ad aggregarsi su un
‘nuovo ordine’ perché riconoscano in questo qualcosa che li rassicuri
sul presente e sul futuro, sulla produzione della loro ricchezza, sulla
certezza di un diritto normativo, sulle loro proprietà, sui loro
diritti. questo non accade pianamente ma dentro la ‘guerra sociale’, non
necessariamente in armi. ma è solo la certezza della rovina a cui sta
conducendo il potere che sposterà decisamente il corpo sociale verso un
‘nuovo ordine’. è solo nell’aggravarsi della crisi che questo può
accadere. se la crisi si ‘chiude’ con l’avocazione dell’autorità, con la
digestione della narrazione del potere, con l’espletazione di
ammortizzatori, con l’individuazione di capri espiatori sociali, il
corpo sociale tenderà a sostenerlo.

* la desacralizzazione della politica è stato il risvolto di
quell’indifferenza che ha permesso socialmente l’instaurarsi di norme
convenzionali più forti delle leggi. queste norme, da tutti accettate,
consentivano la produzione e la riproduzione sociale. esse tendono a
essere ristrette dall’avocazione di autorità e dalle nuove regole. ciò
provoca conflitto, ma anche indubitalmente il bisogno di adattamento,
nel tentativo di perseguire nuove regole che diano sopravvivenza. si
avverte il bisogno che ‘qualcuno si prenda cura di noi’. la ‘politica’,
ovvero il processo di delega della rappresentanza, mostra rinnovata
forza. la delega è del tutto utilitaristica, cinica, ma non per questo
meno convintamente perseguita, anzi. ma dentro questa nuova forza della
politica è possibile giocare un progetto politico.

* il percorso dell’indipendenza è perciò un “da chi, da cosa” – che
indica il piano della resistenza – e il “per chi, per cosa” che indica
il piano del progetto. il “per chi” ci permette di individuare quelle
tendenze di fondo dove è possibile riconoscere non questo o quel gruppo
sociale ma quei processi in cui ogni gruppo sociale può riconoscersi, e
differenziarsi. come, appunto, nel seicento la certezza della legge, la
certezza della proprietà, contro l’aleatorietà del sovrano ‘divino’. il
“per cosa” ci permette di ragionare intorno la forma che il nuovo patto
sociale può assumere per ‘rivestire’ di diritti e di rappresentanza quei
processi: come il diritto di voto, i parlamenti ecc ecc.

* al cuore sta la questione: come la potenza di un processo epocale si
fa potere. attraverso quale forza, quali forme della forza, si fa reale.
si fa storia.

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