San Cristobal de Las Casas, Chiapas, 15 novembre 2011: liberati due prigionieri politici

E’ stata una notte di festa. Non di gioia totale ma si’ di grande soddisfazione.

 Alle 7 di sera di martedi’ 15 novembre, si sono aperti i cancelli del carcere Numero 5 di San Cristobal, Chiapas.

 Due indigeni tzotzil possono respirare a pieni polmoni l’aria dei boschi circostanti: sono Andres y Jose’. Due indigeni meno in un penitenziario che ne accoglie, ammucchiati l’uno sull’altro, altri cinquecento.

 Andres e Jose’ sono due compagni dell’organizzazione “Los Solidarios de la Voz del Amate” che hanno dato vita allo sciopero della fame che ha raccolto l’attenzione e la solidarieta’ di molti pezzi dei movimenti, in giro per il pianeta. Dal 29 settembre al 6 novembre, per 39 lunghissimi giorni, insieme ad altri otto compagni e una compagna, non hanno ingerito cibo: un grido silenzioso e stoico di dignita’.

 Andres, 39 anni, e Jose’, 34 anni, sono stati arrestati 9 anni e 8 mesi fa per un omicidio mai commesso. Li hanno bendati, portati in una casa clandestina e torturati. Hanno strappato loro le confessioni di cui aveva bisogno il PM per richiedere, ed ottenere, una sentenza di 14 anni di galera.

Questa pratica infernale vissuta da questi due compagni e’, appunto, una pratica: una trafila normale nello spietato e colonialista sistema di giustizia messicano. C’e’ un delitto senza colpevole? Rinchiudi dentro il carcere il primo indigeno analfabeta che trovi (o che piu’ “disturba”) e lascialo marcire in cella, dopo una bella sessione di torture. Cosi’ il sistema continua ad ingrassare, dando un’immagine efficiente di se stesso e lubrificando gli ingranaggi della corruzione con le entrate informali per i funzionari, i giudici, i poliziotti…

Andres e Jose’ sono usciti formalmente usufruendo del meccanismo della pena sospesa per “buona condotta”.

Sale una risata grassa nelle nostre gole nello scoprire che lo Stato ammette che la buona condotta e’ quella convinzione che per anni ha mosso i compagni in carcere ad autorganizzarsi, dai gruppi di studio di spagnolo allo studio del contesto politico messicano, dai principi della sesta dichiarazione dell’EZLN alla gestione di uno sciopero della fame generalizzato, come quello del giugno del 2011 dove i cinquecento reclusi del Numero 5 hanno ottenuto l’allontanamento del dispotico direttore di allora. Una “buona condotta” sinonimo di determinazione e lotta. Anni passati a prendere coscienza di se stessi e della propria posizione di classe, la scoperta della fede come arma di lotta, l’autorganizzazione in un collettivo politico, gli insegnamenti e le lunghe riunioni con il prigioniero politico piu’ esemplare: il maestro Alberto Patishtan Gomez, oggi deportato a un penitenziario di massima sicurezza in Sinaloa (2000 km dal Chiapas) come punizione per quest’ultimo, coraggioso, sciopero della fame.

Lo sciopero della fame. Una misura estrema di lotta, per loro considerata inevitabile.

E la solidarieta’ vostra, di chi legge, di chi si e’ mobilitato a migliaia di chilometri di distanza, nelle piazze e nelle ambasciate messicane. Chi ha messo una firma, chi ha scritto un volantino, chi ha fatto una trasmissione radio. Tutto cio’ conferma che solamente la lotta, portata avanti da piu’ fronti e in maniera coordinata, puo’ darci dei risultati.

Come collettivo Nodo Solidale, con parte del nostro lavoro proprio in Chiapas e al lato dei prigionieri politici messicani, siamo enormemente riconoscenti dello sforzo di tutti i compagni e le compagne che hanno preso parte a questa battaglia.

Ovviamente c’e’ ancora molto cammino da percorrere. Mancano gli altri otto compagni e la compagna Rosa. Mancano tutti gli altri e le altre, rinchiusi dietro le sbarre dell’oppressione. Dal nostro punto di vista manca ancora da costruire quella societa’ senza sbarre e senza frontiere che aneliamo e che, con queste dimostrazioni di fraternita’ organizzata dal basso, stiamo in qualche modo sperimentando.

Con queste righe, vogliamo anche mandare un abbraccio forte e ribelle agli arrestati e alle arrestate del 15 ottobre a Roma. Per noi la battaglia per la liberazione dei prigionieri politici maya del Chiapas, è parte di una riflessione e di una pratica di lotta profonda, quella di esigere la liberazione immediata di tutti coloro che agiscono con pratiche reali contro il Potere e che il Potere stesso mantiene come ostaggi a mo’ di minaccia contro i movimenti sociali.

Inoltre, la stessa riflessione implica ed esige la necessita’ di uscire totalmente dalla logica punitiva dei sistemi di giustizia della presunta democrazia e, quindi, di aprire cento, mille, un milione di volte i cancelli delle carceri fino a quando saranno solo le rovine di una societa’ iniqua, della quale furono il simbolo piu’ azzeccato.

Gracias y la lucha sigue…

Nodo Solidale

http://www.autistici.org/nodosolidale/

 

articolo precedente: http://www.indipendenti.eu/blog/?p=26383

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