Sono un acrobata…

Sono un acrobata e Sabato 15 Ottobre ero in piazza.
Sono un acrobata perchè sono all’interno di uno spazio sociale e politico che si chiama Acrobax; un nome frutto di una mediazione tra quella che è la condizione contro cui ci battiamo e la X dell’incrocio, della mescolanza e contaminazione, dell’incontro e della sperimentazione. Laboratorio occupato ce lo siamo scelto per questo.
Sono un acrobata perchè sono sul filo della precarietà e quotidianamente combatto per non cadere, per non perdermi dentro le strade buie che il liberismo capitalista mi impone. Strade senza futuro in cui essere silenziosi e camminare sempre soli.
Sono un acrobata perchè, ostinatamente e in senso contrario, scelgo di riprendermi tutti i giorni i miei diritti, i miei spazi, costruendo possibilità e relazioni per uscire da quelle strade e costruire con le mie mani percorsi di liberazione della mia vita da un giogo, facendolo con altre decine di persone acrobate come me. Tutti/e testardamente dedicate a rimanere su quel filo di una vita costretta tra affitti troppo alti, spese sempre più care, preoccupati di cure mediche che non ci possiamo permettere, asili e scuole per i nostri figli che saranno sempre più carenti e dequalificate; e dall’altra parte prendendo in mano le nostre stesse vite, riappropriandoci di sogni e costruendo conflitto.
Io sono un acrobata e in piazza ho visto migliaia di persone, determinate, sorridenti, accigliate, pensierose, incazzate, urlanti o silenziose. Ho visto migliaia di donne e uomini scendere nelle strade per affermare le loro stesse vite contro il capitale, in quel conflitto perenne che ci vede schiacciati in una produzione sempre più mortifera per il nostro pianeta.
Ho fatto comunicazione e dato vita ad azioni e ne sono contento le rivendico come le parole che sto scrivendo. Ho visto altre azioni praticate infiammare banche e macchine e a me nel profondo non ha creato scompensi e malumori. Molto di più me l’ha creato vedere persone che scappavano e urlavano, portavano via bambini e amici, si arrabbiavano per essere stati, ancora una volta nella loro vita, sovradeterminati nella loro vita. E allora mi chiedo se questo non sia un limite, una discussione da affrontare o se possa essere sacrificato tutto in nome della rivoluzione.
Io sono un acrobata e vivo nell’orizzontalità e condivisione delle scelte; quelle scene mi hanno posto una contraddizione in termini che voglio condividere e sulle quali vorrei trovare una condivisone delle pratiche. Perchè penso che a la radicalità, a volte, possa essere anche questo ma che vadano rispettati i contesti e le scelte individuali. Vecchio tema, vecchia discussione.
Io sono un acrobata e sono arrivato di corsa in piazza san giovanni perchè un idrante con diverse camionette ci caricavano e sono riuscito a salvare capre e cavoli, le persone che erano intorno a me e correvano sbilenche su quella strada.
Io sono un acrobata perchè ho ballato sul filo della rabbia e della resistenza insieme a migliaia di altri/e respingendo le cariche e difendendo quella piazza che era anche la mia, di tanti, di tutti. Non di un coordinamento o di una parte.
E quella rabbia, quell’espressione, ancora una volta praticata a Roma è un narrazione di una pressione sociale che vedo comprimere sempre più le vite di tutti noi. E’ una rabbia che chiede forme radicali di alterità dell’esistente. Chiede la redistribuzione delle ricchezze, chiede protagonismo sociale, chiede di chiudere una storia ed aprirne un’altra. Ed è disposta a difenderla con le unghie e con i denti.
Quale che sia la complessità dei fili sui quali mi muovo so che dovrò continuare a muovermi sapendo che non tutti saranno solidi e che alcuni verranno tagliati.
Ma continuerò ostinamente a rimanere in piedi.

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