La repressione ai tempi dell’austerity


 Il 23 marzo 2012, in pieno giorno a Casalbertone un gruppo di neofascisti, provenienti dalla sede di Casapound in via Orti di Malabarba tentava di assaltare lo spazio sociale Magazzini Popolari Casalbertone, venendo comunque respinti nonostante i numeri assolutamente sfavorevoli agli attivisti degli MPC. Di lì a poco, in un pomeriggio infrasettimanale, una settantina di neonazisti si radunava in via Orti di Malabarba, a pochi metri dall’ingresso della locale caserma dei Carabinieri, con caschi, mazze e pietre ben visibili.

La scelta degli antifascisti di muoversi in corteo è stata la necessaria risposta per denunciare lo squadrismo che ciclicamente torna a manifestarsi in città, grazie alle evidenti contiguità politiche, che nonostante la retorica elettorale, lega da decenni esponenti dell’attuale amministrazione cittadina e la ex giunta regionale di Renata Polverini: ruoli di responsabilità e ben remunerati nelle municipalizzate e nei servizi locali, quasi 12 milioni di euro per il palazzo di via Napoleone III in cui Casapound ha la sua sede, legittimazione politica per le iniziative revisioniste e di sapore nazistoide che vengono messe in piedi.

Gli incidenti che ne sono seguiti sono stati la conseguenza della legittima autodifesa all’attacco mosso al corteo da parte dei fascisti, e qualsiasi immagine o video reso pubblico nelle ore seguenti mostra chiaramente l’accanita resistenza dei pochi compagni contro una ben più nutrita e organizzata squadraccia, per altro sotto lo sguardo logicamente passivo delle forze dell’ordine, che anzi nelle ultime battute hanno mosso una carica alle spalle degli antifascisti.

Oggi, ottobre 2012, riceviamo una serie di denunce che vedono coinvolte entrambe le parti, in un tentativo maldestro di mettere sullo stesso piano chi si è difeso con chi pratica sistematicamente la violenza squadrista e la propone come macabro immaginario, vecchia tradizione della Roma bene che dai “mostri del Circeo” porta alle scuole della Cassia e dei Parioli, per ora unico luogo di fermentazione dell’estrema destra neonazista.

Quello della radicalizzazione dei movimenti di estrema destra è ormai un fenomeno europeo: in Grecia, nell’est europeo, l’ondata populista solo apparentemente deideologizzata degli anni Novanta e dei primi anni Duemila si sta traducendo in una pressione sempre più violenta delle organizzazioni neonaziste contro attivisti di sinistra, migranti e nel tentativo di cavalcare la legittima rabbia dei cittadini colpiti dalle misure di austerità: se chiunque può riconoscere sui media mainstream la pericolosità di Chrisi Avgi (Alba Dorata) in Grecia, al centro di sempre più frequenti casi di omicidio e sostenuta elettoralmente dalle forze dell’ordine, ci sembra conseguente dover rivendicare il diritto di resistenza dei movimenti sociali.

Nell’epoca del governo tecnico, il fascismo ritorna nell’Europa meridionale come collettore delle tensioni sociali, sia nelle strade che nelle tornate elettorali: con preoccupazione abbiamo osservato la crescita di Chrisi Avgi in Grecia, le alte percentuali di Marine Le Pen alle presidenziali francesi, l’ormai tristemente consolidato regime ungherese di Viktor Orban. Abbiamo sempre rivendicato la nostra pratica antifascista, nel ricordo di Renato Biagetti, nostro compagno ucciso nel 2006, ma anche nella consapevolezza di essere presenti e attivi in un territorio che ha in sé i simboli delle Fosse Ardeatine e di Porta S.Paolo: siamo antifascisti non per odio, ma per dignità, diciamo da queste parti.

E’ per questo che portiamo sulle spalle il peso di una continua repressione: é di pochi giorni fa l’assurda condanna di due nostri compagni di Acrobax “colpevoli” di essere stati indicati da noti attivisti di destra della locale sede del PDL come aggressori in un fatto avvenuto ormai 6 anni fa. In questa fase, la criminalizzazione dei movimenti sociali, delle piazze, si esprime sia nella logica, in certi termini quasi scontata in questo paese, degli “opposti estremismi”, che appiattisce le differenze in nome di una pacificazione in cui appunto è possibile anche la legittima partecipazione alla vita pubblica di gruppi nostalgici e xenofobi, di ispirazione orgogliosamente repubblichina, con vecchi attrezzi dello stragismo ancora attivi al loro interno, sia in quella della repressione violenta delle piazze: nell’anno che ci separa dalla giornata dell’indignazione del 15 ottobre 2011, ben poche sono state le occasioni di scendere in piazza in un paese senza incorrere in divieti, cariche e denunce. La sistematicità di condanne pesanti (anche fino a 5 anni) per chi è stato arbitrariamente rastrellato in Piazza S.Giovanni, e le misure cautelari che ad aprile hanno limitato la libertà di 12 persone in tutta Italia, ci sembrano il triste preludio ad una sempre maggiore stretta della agibilità del dissenso, ora che nuovamente l’intero pianeta, stretto nella morsa delle scelte draconiane degli organi sovranazionali che governano la vita pubblica dei cinque continenti, sta tornando in piazza: dal Cile alla Grecia, fin nella lontana Cina della produttività spinta oltre le umane possibilità, qui in Italia lo scorso 5 ottobre.

Se l’austerity è governo della paura, solo la nostra determinazione

può permetterci di riprendere parola sulle nostre vite.

Nodo redazionale indipendente

 

 

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