Sul 15 ottobre: le lotte per i diritti non si possono fermare

Roma, 21 aprile. Ieri mattina all’alba un ingente spiegamento di Polizia e Carabinieri (Digos e Ros), ha fatto irruzione nell’occupazione abitativa di via del Casale De Merode a Tormarancia, nell’ambito di un’operazione su scala nazionale relativa agli avvenimenti di piazza del 15 Ottobre scorso.

Ne è seguita la notifica di due ordinanze di misure cautelari, nello specifico obblighi di firma, e perquisizioni in altrettanti alloggi all’interno dell’occupazione che hanno portato, come unico risultato, al sequestro di uno zainetto da bambino.

Nelle stesse ore in diverse città si svolgevano perquisizioni e si notificavano misure cautelari tra arresti domiciliari ed obblighi di firma che hanno raggiunto complessivamente 14 persone in tutta Italia.

Nelle ore seguenti altri tre occupanti ed attivisti del Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa e dei movimenti per i diritti sociali di Roma, vengono segnalati come coinvolti nelle indagini (con nomi e cognomi sbattuti in prima pagina senza che fosse stato notificato nulla di ufficiale), dentro un impianto accusatorio che per tutti appare a dir poco fumoso.

In realtà si colpiscono persone “colpevoli” soltanto di aver scelto di essere presenti in una piazza importante come quella del 15 Ottobre così come ogni giorno si ritrovano nelle tante e necessarie battaglie contro le grandi lobby del mattone o della finanza, per la difesa dei territori, contro la precarietà.

Probabilmente opporsi alle politiche neoliberiste dei governi che hanno guidato e guidano oggi il nostro paese è un reato insopportabile per chi difende le ingiustizie e le ruberie di una classe politica e dirigente che concentra nelle mani di meno del 10% della popolazione la maggior parte delle ricchezze da noi prodotte e che continua, con inaudita testardaggine e determinazione, a difendere i propri privilegi e a distruggere le condizioni di vita della stragrande maggioranza delle persone.

L’operazione di oggi va ad aggiungersi ai già numerosi arresti e ai procedimenti sommari che negli ultimi mesi hanno portato a condanne spropositate elargendo anni di carcere a ragazzi per lo più giovanissimi, ad uno stillicidio oramai quotidiano di fermi, denunce, negazione del diritto a manifestare. Nell’era Monti, le ricette neoliberiste destinate a portarci al vero default cui vogliono arrivare, quello dei diritti, vanno difese “manu militari” criminalizzando la rabbia e le lotte sociali, chiudendo ogni spazio di espressione del dissenso e di partecipazione, come sta accadendo con il tradimento dei plebisciti referendari che hanno portato 27 milioni di italiani ad esprimersi contro la privatizzazione dell’acqua e dei servizi essenziali.

Non accetteremo mai supinamente, i diktat imposti dai grandi gruppi dell’economia e della finanza globale e con essi il presente ed il futuro che ci vogliono consegnare: fatto di suicidi per motivi economici, sacrifici, precarietà infinita.

Per questo oggi abbiamo il dovere, tutti e tutte, di denunciare ciò che sta accadendo, di mobilitarci contro questo prepotente scippo di democrazia e diritti, di continuare a costruire dal basso processi di opposizione ed alternativa.

Rivendicare libertà di movimento per tutti e tutte significa affrontare con la più grande solidarietà e vicinanza la repressione che colpisce e con la più grande determinazione le tante battaglie di giustizia sociale che vogliamo continuare a sostenere ed alimentare… liberare tutti vuol dire lottare ancora!

Invitiamo tutte le persone interessate e solidali, le realtà sociali della città, gli/le attivisti/e del supporto legale e della comunicazione indipendente a partecipare ad un’assemblea presso il L.O.A. Acrobax Via della Vasca Navale, 6

lunedì 23 aprile ore 18.30

 

Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa

Laboratorio occupato e autogestito Acrobax

Acrobax, 10 dicembre: presentazione Scarceranda 2012 e 15 ottobre

Partendo dai processi per il G8 di Genova 2001 e passando per la gogna mediatico-giudiziaria scatenatasi all’indomani del corteo del 15 ottobre scorso, vorremmo discutere collettivamente su come le forme di potere releghino sullo sfondo della scena qualsiasi forma di critica all’esistente, in una società basata sull’emergenza e sulla sicurezza, che esclude dalla politica chi “pone il problema”.

Saranno con noi
Gli avvocati e le avvocate che seguono i processi di Genova 2001 e del 15 ottobre
Gennaro Santoro, Associazione Antigone
A seguire
Proiezione del video di Indymedia sulla manifestazione del 15 ottobre
Aperitivo e cena a sostegno delle spese legali del 15 ottobre
CONCERTO FESTINA LENTE
Perché di carcere non si muoia più ma neanche di carcere si viva

(Video) Il nostro 15 ottobre: un punto di vista precario

1. [La giornata]

Dopo tanta immeritata e non proprio lusinghiera fama, dopo aver lungamente discusso all’interno della nostra comunità umana, territoriale e delle lotte che attraversiamo e contribuiamo ad animare, sentiamo l’irrefrenabile esigenza di dare un contributo ancorché parziale sulla dirompente giornata del 15 ottobre contro la crisi e l’austerity.

Una giornata il cui percorso di costruzione è per noi iniziato 3 mesi fa, quando con decine di precari/e degli Stati generali della precarietà riuniti a Genova, abbiamo deciso di raccogliere l’appello che stava girando per l’Europa e rilanciare l’impegno e la volontà di condividere e connettere a livello europeo le lotte contro l’austerity con le forme indipendenti di organizzazione e di lotta alla precarietà: lo sciopero precario. Un percorso che si sta costruendo da più di un anno.

Tempi lunghi, i tempi del sociale, frammentato e disconnesso, sicuramente molto diversi da quelli delle organizzazioni sindacali o partitiche che d’altronde, sulla precarietà, riescono a fare e capire molto poco.

A metà settembre siamo quindi stati all’Hubmeeting di Barcellona per conoscere, costruire e confrontarci con le piazze euro-mediterranee che da oltre un anno si stanno mobilitando e accampando, stanno occupando e resistendo. Il loro “non ci rappresenta nessuno” è un nodo di riconoscimento fondamentale dei nostri percorsi e della volontà di prendere la parola in prima persona, come precari e precarie.

Allo stesso modo, sin dal primo appuntamento, abbiamo partecipato al coordinamento 15 ottobre, scegliendo il piano del confronto e con la reale intenzione di fare di quella una giornata un momento dove si potessero far convivere le pur diverse sensibilità, scelte e prospettive dentro e oltre la dimensione corteo.

Il 15 mattina ci siamo trovati a Piazza della Repubblica intorno al camion della rotta indipendente verso lo sciopero precario con tanti e tante venute da tutta Italia. Insieme a noi tutta la rete e altre realtà da tutta italia (come la delegazione NoTav o le reti migranti di Brescia) che avevano scelto di condividere il punto di vista precario di quella area di corteo.

Il nostro modo di iniziare la giornata è stato quello di calare uno striscione delle precarie “Inconciliabili” dall’Hotel 5 stelle Exedra-Boscolo, simbolo del lusso e delle ricchezze precluse a noi e invece garantite con il nostro sfruttamento ad una ristretta parte della società. Perché la crisi non è uguale per tutt@. Quando, da sotto la piazza, abbiamo visto la security prendere le nostre compagne siamo entrate in massa a riprendercele: prima dieci, poi venti, poi trecento persone, soprattutto donne, sono salite dalla hall fino sul tetto, allegre ma determinate a non lasciare indietro nessuna. Il 15 ottobre era cominciato.

Andando avanti su via Cavour, dietro a San precario e Santa Insolvenza si sono radunate migliaia e migliaia di persone confluite verso una testa del corteo senza bandiere di partiti o sindacati che parlava di indipendenza e di autorganizzazione delle lotte dei precari, di diritto all’insolvenza e al reddito incondizionato e di base.

All’ingresso di via dei Fori Imperiali, abbiamo scelto di evitare ogni provocazione delle forze dell’ordine schierate in massa prima di Piazza Venezia, a protezione di un potere sempre più isolato, e che già nei giorni precedenti avevano dichiarato di puntare a spezzare il corteo. Abbiamo dunque girato a sinistra, e non perché non ritenessimo comprensibile la volontà di molti di dirigersi verso i palazzi del potere, quanto piuttosto perché non abbiamo mai voluto mettere a repentaglio non solo il nostro spezzone, ormai larghissimo, ma il corteo tutto.

Il nostro obiettivo era un altro, e qui sveliamo la “regia occulta”: poco dopo infatti siamo entrati, prima alla spicciolata poi in massa, dentro il Foro romano, senza pagare i 14 euro e dando vita ad un’occupazione (temporanea?) della suggestiva ed evocativa agorà di duemila anni fa aprendo lo striscione “Whose history? Our history!” (La storia di chi? La nostra storia!)

Volevamo regalare ai precari uno spazio pubblico in cui esprimere il proprio punto di vista, in connessione ideale e materiale con i tanti che nella stessa giornata sono partiti da Plaza Catalunya, a Barcellona, per diverse direzioni per dar vita ad occupazioni di case, ospedali e università. Per riprendersi ciò che non trova altro modo per esprimersi ed affermarsi che quello delle lotte.

Qui avremmo sicuramente voluto sostare di più, provando ad offrire ad un nuovo movimento contro la crisi, la precarietà e l’austerity uno dei luoghi di riconoscimento e un terreno di riconquista.

Ma purtroppo altre tensioni premevano sulla coda della nostra area di corteo a causa delle prime auto andate a fuoco.

La pressione dell’enorme massa del corteo ci ha dunque spinto a proseguire e percorrere molto velocemente anche Via Labicana quando ci siamo resi conto che, alle nostre spalle, la situazione si era decisamente “infiammata”.

A quel punto non siamo riusciti a far altro che constatare la pioggia di lacrimogeni e proseguire a passo svelto nell’unica direzione non bloccata da centinaia di agenti, quella verso piazza San Giovanni, dove siamo arrivati di corsa inseguiti dai blindati e dagli idranti che hanno letteralmente disperso poi l’intera piazza.

Nel giro di pochi minuti, man mano che il resto della manifestazione raggiungeva la piazza finale, migliaia di persone hanno dato vita ad una tenace resistenza verso le forze dell’ordine. Mentre altri mantenevano la calma e permettevano a quelli più impauriti di passare, si difendeva collettivamente lo spazio comune. In modo spontaneo e con un moto di rabbia sociale diffusa si è difesa una collettività ed il suo diritto a non essere spazzata via dalla polizia. Una potenza critica nuova del precariato metropolitano che, come accade nella storia quando esplodono movimenti di massa senza plausibili mediazioni o fantasiose retoriche rivoluzionarie, determinano forti rotture, scompaginano tattiche e facili semplificazioni. Per noi questo è un dato politico, se volete non scontato, anzi dirimente.

Noi eravamo in quella massa insieme a tante e tanti.

2. [Con occhio critico]

La nostra non vuole essere un’epica della giornata, né l’apologia facile della violenza, perché sarebbe una visione molto limitata e sicuramente diversa dalla nostra definizione di radicalità e determinazione che crediamo di aver contribuito a definire negli anni della nostra attivazione sociale e sui terreni delle lotte che abbiamo praticato e che vogliamo continuare.

Vogliamo invece affrontare i nodi critici a partire dai limiti che sicuramente abbiamo avuto.

Però, con lo stesso dovuto rigore, vogliamo sottoporre all’attenzione di tutti/e l’inadeguatezza politica dei movimenti proprio in questa fase in cui così diffusi e condivisi sembrano essere il desiderio e la necessità di una “global revolution”.

Non dobbiamo nascondere che a noi, come acrobati ed acrobate, è mancata la comprensione lucida di alcuni passaggi del corteo e la capacità di gestirne i rapidi ed imprevisti sviluppi.

La tensione che sentivamo crescere intorno al nostro pezzo di corteo ci ha fatto, per esempio, percorrere l’ultima parte di via Cavour e l’inizio dei Fori imperiali in una forma troppo inquadrata, entrando in contraddizione con la natura comunicativa dell’occupazione temporanea del Foro che noi stessi ci accingevamo a fare e contribuendo non poco alla confusione di quel momento.

Per chiarezza ripetiamo che non volevamo in alcun modo finire la nostra giornata a piazza san Giovanni ma che allo stesso tempo non c’era nessuna volontà di determinare l’impossibilità di farlo, per chi lo avesse voluto; all’altezza del Colosseo tutto questo è stato più che evidente alle centinaia di attivisti e compagni che intorno al camion, e nel tam tam di informazioni, provavano a condividere mete alternative, che di fatto sono state impedite da un dispiegamento di polizia inaudito.

L’escalation dello “Stato” di polizia è andata poi aumentando fino ad accanirsi per ore contro chiunque fosse nella piazza San Giovanni girando all’impazzata con le camionette e arrivando persino a sparare lacrimogeni all’interno della Basilica dove decine di persone cercavano riparo.

Crediamo che intorno a questa reazione contro la manifestazione sia più utile per i movimenti fare un’attenta controinchiesta piuttosto che leggere i giornali.

Ora qui emerge un altro nodo problematico che riguarda tutto il movimento, quello consolidato e radicato nelle lotte sociali che certo non si esauriscono con la ‘novità’ degli indignados. Tale percorso nel nostro paese, a differenza di altre realtà internazionali, deve ancora trovare le giuste interconnessioni con le lotte sociali che pure si stanno dando.

Il nodo sta nel difendere lo spazio politico del conflitto nell’era della crisi permanente che ha decretato la fine di ogni mediazione possibile. Ovvero di come, e se, tutelare l’agibilità di movimento per una radicale ed efficace massa critica contro l’austerity e chiunque pretenda oggi o domani di imporla sulla nostre vite già precarie.

Non stupisce che Maroni, o gli organi di informazione lottizzati e al servizio dei poteri forti del paese, mettano sotto accusa chi, già nei comunicati precedenti al 15, così come nella comunicazione sociale in piazza, ha esplicitato l’intenzione di fare di quella giornata, non solo un passaggio costituente o di accumulazione, ma anche di “rottura del quadro di compatibilità”. Ma del resto come oppositori e contestatori determinati di questo governo, e dei suoi ministri, non ci aspettavamo altro.

Sorprende invece, e di più amareggia, quando la critica, tra l’altro formulata come accusa, viene da alcuni ambiti interni ai movimenti e che a volte sembrano condividere l’importanza e il senso delle pratiche di rottura (di qualunque natura) solo se collocate in qualche altro luogo e in qualche altro momento.

Di questo dovremmo discutere a lungo, dentro e oltre il movimento, in un ampio e franco dibattito sulle pratiche che non può prescindere da un ragionamento sulla centralità della produzione di conflitto indispensabile.

Oggi lo riteniamo un orizzonte irrinunciabile dei nuovi movimenti contro l’austerity, la crisi e la precarietà come quelli che proviamo a costruire come rete per lo Sciopero Precario, o quelli contro la devastazione dei territori, come avviene in Val Susa, per la difesa e salvaguardia dei beni comuni, come il percorso fatto dai movimenti per l’acqua, per citarne solo alcuni.

Crediamo ancora che, al centro degli obiettivi di tutte le componenti di movimento, anche tra quelle che investono sulla rappresentanza sindacale e politica, rimanga centrale e strategico il conflitto sociale. Sennò dal nostro punto di vista, sarebbe questo un dibattito problematico e de facto un arretramento dannoso per tutte e tutti.

Certo, è necessario un dibattito sulle pratiche, da fare a 360° gradi e senza facili sintesi e soluzioni poiché capiamo, come è evidente a tutti, che il tema è più che complesso e che la giornata del 15 mette a nudo i limiti di ognuno, senza scorciatoie o linciaggi mediatici e politici.

E proprio sulle pratiche: per come la vediamo noi, è chiaro che, in una giornata di mobilitazione di queste dimensioni, i livelli messi in campo possono anche essere differenti ma devono mantenere la tensione ad inserirsi in un contesto comunemente definito e puntare ad avere la maggiore comprensibilità e consenso possibile.

Quello che abbiamo visto, invece, soprattutto con le macchine incendiate al centro di via Cavour e i luoghi in fiamme accanto a persone palesemente distanti da quelle pratiche come a via Labicana, ci sembrano azioni irresponsabili ed escludenti, poiché di fatto hanno ottenuto il duplice risultato negativo di isolare la prima parte dal resto della manifestazione e, contestualmente, impedire al resto del corteo di procedere. Come, del resto, ci sembrano insensate e pericolose le bombe carta esplose contro altri spezzoni della manifestazione. Anche noi, come tanti altri, abbiamo subito questa sovradeterminazione.

Tuttavia la dinamica della discussione dovrebbe gravitare secondo noi  sull’opportunità o meno di una pratica o di una scelta politica e, mai, nei termini di un “cancro da estirpare” o nella infinita e parziale diatriba tra buoni e cattivi.

Premettendo che noi siamo stati all’interno del coordinamento che ha organizzato il corteo, e dunque ne abbiamo condiviso i limiti, riteniamo che debbano essere assunte delle responsabilità che non sono di poco conto.

Il coordinamento “15Ottobre” non si è mai minimamente sforzato di diventare uno spazio pubblico di dibattito, visto che le riunioni si sono svolte nella prima mattina in sedi dove molto pochi hanno potuto partecipare. A livello internazionale la giornata del 15 Ottobre, nelle oltre 900 città in cui si è svolta, è stata costruita con assemblee di centinaia di soggetti vittime delle politiche di austerity.

Questo per dire che oltre le realtà sociali, sindacali e associative organizzate, c’era bisogno di creare uno spazio pubblico di cooperazione ed informazione sui contenuti della manifestazione, sulle differenti pratiche e sui molteplici contenuti. Perché era evidente che quella giornata era di tutti e di tante differenti forme di espressione. Nello stesso metro quadrato e nella stessa volontà politica è stato invece compresso ciò che molti, giustamente, sostengono che non possa convivere. Si è scelto di dare vita ad una pentola a pressione.

Si è dato da subito un corteo blindato e militarizzato (oltre 3000 agenti schierati), deciso dalla questura di Roma e accettato dal Coordinamento 15 ottobre. E’ stato un errore non opporsi pubblicamente ai veti della questura sul percorso della manifestazione del 15 Ottobre. Tali limitazioni della libertà di movimento e di dissenso si stanno rendendo espliciti in questi giorni anche nei confronti di organizzazioni come la Fiom.

Ora, visto che tutto è pubblico, comprese le successive prese di posizione, riteniamo grave questa scelta e l’abbiamo ripetuto fino alla nausea in quel consesso. Dunque, visto che quello era anche il nostro corteo, abbiamo deciso di partecipare in una forma che tutelasse il nostro spezzone, la partecipazione di tutti/e al corteo e ci garantisse di poterne uscire.

Purtroppo così non è stato e non è dipeso solo da noi. Per ultimo ci è sempre sembrato ridicolo e privo di prospettiva politica costruire percorsi in contrapposizione a qualcuno.

Per questo abbiamo costituito in Italia un percorso politico pubblico, quello degli Stati generali della Precarietà, che affermasse i nostri contenuti.

Per questo abbiamo contribuito a costruire quella stessa giornata in cui centinaia di migliaia di persone si sono mosse in Italia e milioni nel mondo.

Per questo ci pare ridicolo pensare, con cinismo, che qualcuno abbia operato per far attaccare una piazza inerme semplicemente per fare torto a qualcun altro.

Per noi non esistono traditori della causa, esistono solo opzioni e prospettive politiche diverse.

3. [Il partito della paura]

Dopo di tutto però, sta accadendo qualcosa di ancora più grave che vogliamo mettere al centro della discussione. E’ evidente che, oltre ad una gogna mediatica, in cui la nostra e alcune altre realtà vengono additate come responsabili con accuse decisamente fantasiose e confusionarie, si sta passando alla produzione di un paradigma.

Quello del partito della paura.

La manifestazione sembra diventata espressione solo di un dualismo, esasperato nella contrapposizione, e spariscono non solo i tanti contenuti e soggettività presenti, ma persino l’inoppugnabile verità dei numeri. Pare essere scomparso tutto: il prima, tutte le piazze internazionali che da mesi (o come nel caso greco da anni) si stanno mobilitando, la precarietà, la disoccupazione o la cassa-integrazione.

Ma soprattutto, sembrano essere scomparse le politiche di austerity che la crisi porta con sé.

Si produce oltre a tutto questo, una strategia della tensione tirata fuori ad arte, con “terroristi urbani”, richiami a leggi speciali e chiusura incondizionata di spazi di libertà. C’è un violentissimo attacco alle libertà personali e collettive di tutti noi come cittadini, che viene giustificato oltretutto con la delazione di massa. Orwell non sarebbe riuscito a raccontarlo meglio. Tutto questo è pericoloso, inaccettabile e condanna la società del nostro paese ad un nuovo impotente silenzio. Esattamente come il divieto a manifestare che per punizione Alemanno ha inflitto alla città e al paese tutto.

La spasmodica attenzione repressiva sulle legittime proteste della Val di Susa ci consegna un dato chiaro sulla chiusura di ogni spazio di possibile mediazione tra i territori e la cittadinanza da un lato e la politica e le istituzioni dall’altro.

E tutto questo, guarda caso, in previsione di una stagione dove i cittadini, i precari e le precarie, sono sotto un’altissima pressione sociale e stanno appena adesso iniziando a chiedere una trasformazione vera. Non solo verso un governo di colore diverso, e forse questo è uno dei problemi esplosi in seno agli indignados italiani, ma per la trasformazione radicale di un sistema economico e sociale. Non vogliamo più continuare a riprodurre, nel nichilismo (qui ci vuole) dell’avvitamento su se stesso, il sistema capitalistico e la tragicommedia nel suo epilogo decadente che, in Italia, assume tinte da basso impero.

Ma riteniamo che siano fondamentali momenti di discussione collettiva perché ogni contributo lanciato nella rete, a partire dal nostro, sarà sempre una parzialità. In questo momento c’è, secondo noi, la necessità di uno spazio di confronto diretto, in cui la parola sia all’interno di una condivisone, altrimenti tutti rimarremo nell’ambito del proclama che, molto probabilmente, fuori dal movimento interesserà pochi/e.

Siamo convinti che stia iniziando una nuova fase per i movimenti e che ci sia spazio per diverse prospettive in campo, con la premessa che tutti dovremo rimetterci in discussione per essere, diciamo così, all’altezza della complessità dei nostri tempi e della nuova fase che stiamo tutti attraversando.

Per questo riteniamo fondamentale che si apra un confronto pubblico largo, che possa confrontarsi non solo sulle pratiche del 15 ottobre ma anche e soprattutto sui contenuti, sulla capacità comune di prendere parola e porre con forza percorsi di agibilità politica e pratica delle nostre libertà.

Nei movimenti, giorno dopo giorno.

Un caloroso abbraccio a quant* ancora sono detenut*. Libere tutti.

Laboratorio Occupato Autogestito

Acrobax Project

Roma, 15 Ottobre 2011

Il 15 ottobre è stata una giornata fatta vivere da centinaia di migliaia di persone che si sono mobilitate contro la crisi e l’austerity. In questa partecipazione emerge la volontà determinata di cambiare, di trovare strade alternative alle ricette della banca europea e un tentativo di prendere parola in prima persona.

San Precario

La parte di corteo sotto le “insegne” di San Precario e Santa Insolvenza è stata costruita in assemblee pubbliche con centinaia di persone, con delegazioni di 15 città, dal nord al sud dell’italia, con migliaia di precarie/e, migranti e studenti. Immaginata e realizzata all’interno della rete degli Stati Generali della Precarietà che sta puntando alla realizzazione dello sciopero precario, di cui l’Hub Meeting di Barcellona è stato un momento fondamentale (leggi la dichiarazione finale del meeting); rete che ha anche preso posizione dopo il 15 ottobre in solidarietà con il movimento italiano.

Leggi: Que se vayan todos! *15 Ottobre giornata globale contro l’austerity: Dal diritto all’insolvenza allo sciopero precario Il punto di vista precario e la Global Revolution* Il 15 Ottobre tutti a Roma!

San Precario, a cui molte realtà si sono unite direttamente in piazza della Repubblica, ha dato vita ad alcune iniziative di comunicazione, da quella all’albergo Exedra-Boscolo fino all’occupazione del Foro Romano, ma di certo non ha avuto nessuna regia di una presunta escalation del livello di scontro raggiunto dalla manifestazione.

San Giovanni

Da parte delle forze dell’ordine c’è stata una gestione intenzionalmente mirata a dividere definitivamente il corteo, con cariche generalizzate da via Labicana dove il nostro spezzone è stato caricato alle spalle, fino a piazza San Giovanni, con l’accanimento su manifestanti inermi e caroselli dei blindati lanciati addosso alla gente. A questo migliaia di persone hanno risposto opponendo una tenace resistenza esprimendo una parte sostanziale di quella rabbia che vediamo ogni giorno crescere di fronte ad una insopportabile precarietà della vita intera.

Le reazioni

Nei mezzi di comunicazione, nei giorni successivi, è partita una superficiale lettura di questa giornata a cui, purtroppo, molti esponenti politici danno conferma costruendo sulle spalle di alcuni un capro espiatorio. Una gran confusione che crea un mostro mediatico da sbattere in prima pagina. Un clima che ancora oggi permette che gli arrestati restino in carcere preventivo per reato di “legittima resistenza” (vai alla petizione “15 ottobre: liber* tutt*“)

Repubblica: “I nuovi brigatisti”Su Maroni che riferisce alla cameraRepubblica su AcrobaxAcrobax rettifica Repubblica.it Catarci presidente XI municipio

Comunicati e prese di parola nel movimento

Il nostro 15 ottobre: un punto di vista precarioLaboratorio Acrobax – Intervista di Acrobax al Manifesto Sono un acrobata… –  Coordinamento cittadino di lotta per la casaTimeOut Bologna  – San PrecarioOfficina 99 e antagonisti campani Attivisti indipendenti di BariMilitant Centri sociali di MilanoL38 SquatAll Reds RugbyRetelettere RomaTre Collettivo Fuorilegge RomaTre  –  Generazione PrecarianEXt EmersonReality Shock Connessioni PrecarieHub Meeting, comunicato al movimento italianoRadio Onda RossaKnowledge Liberation FrontSofiaRoney laboratorio filosofico

Altri interventi e dibattiti

Roma, il racconto di un autonomo: “Niente comizi, la piazza si conquista”

Una generazione nata precaria, mentre scompare la mediazione

Intervento di Valentino Parlato

Dietro il passamontagna del 15 ottobre, di L. Caminiti

La forma corteo è finita, ce ne vuole un’altra di Girolamo de Michele | il Manifesto

Distruggere la paura, affermare il comune (di Uninomade)

Note sul 15 ottobre, di Toni Negri

Dibattito su Giap! di wumingfoundation