Solidarietà a Matthias, Piero e a tutti i Notav

Questa notte 500 No Tav hanno deciso di presidiare ancora una volta il cantiere di Chiomonte rilanciando la lotta contro un’opera che, nonostante la ferma contrarietà degli abitanti della Val di Susa e di tutti gli attivisti che accorrono in loro solidarietà, continua ad essere un progetto sostenuto dalle forze politiche del governissimo delle larghe intese Letta-Alfano. Le dichiarazioni del Ministro Lupi confermano, infatti, la volontà di proseguire i lavori continuando con la becera retorica strumentale di un governo neo-liberista che utilizza il tema della crisi economica per sostenere lo scempio ambientale del TAV.

Camminando lungo i sentieri della Valle, ancora una volta, abbiamo dimostrato che insieme facciamo paura, che riappropriarsi della nostra terra, del nostro presente e del nostro futuro non ha nessun tipo di mediazione possibile. Di fronte alle innumerevoli cariche prese e di fronte alle pericolose ed infami nubi di CS che hanno invaso ieri la Valle (ed i nostri polmoni) ci siamo riappropiati di un territorio che vogliono militarizzato restituendoci di quel bagliore di dignità e determinazione che vorremmo vivo in tutte le lotte.

La risposta dello Stato alla rabbia e alla determinazione di chi non accetta i soprusi, la devastazione, il saccheggio delle nostre vite e della nostra terra è stata ancora una volta solo quella degli arresti e della violenza. Nove persone sono state fermate e picchiate brutalmente dalle frustrate truppe stanziate nel cantiere dell’alta velocità; due di questi sono compagni del Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa di Roma, saliti in Val Susa per sostenere una lotta che, come quella per il diritto all’abitare, pratica l’autorganizzazione in un percorso di riappropriazione che combatte le politiche di austerity e afferma con forza la necessità di un cambiamento radicale del nostro presente.

Ribadiamo la nostra complicità e solidarietà a Piero e Matthias e a tutti i compagni e le compagne fermati il 19 luglio.

Niente e nessuno riuscirà a distruggere la nostra dignità e fermare la nostra rabbia

verso un autunno di lotte, ancora più forti..

 

CON CARLO NEL CUORE!

 

 Compagni e compagne di Roma dal presidio di Venaus

Non ci suiciderete, Roma Sud contro la crisi!

Manifestazione territoriale per il reddito di base e i diritti!

Il sesto anno consecutivo di crisi economica consegna un quadro drammatico in cui le condizioni di vita di milioni di persone sono peggiorate. I governi della crisi sono all’attacco e con le loro politiche d’austerità vediamo un aumento dei processi di precarizzazione in Italia e in tutta Europa. Da una parte i dati allarmanti sulla disoccupazione di massa, l’impoverimento, le cassintegrazioni. A questi ultimi si aggiungono quelli sulla disoccupazione giovanile che sfiora il 40%.il ricatto del debito hanno livellato verso basso garanzie sociali e diritti acquisiti.

A Roma la situazione è identica e, nello specifico, nel quadrante sud di Roma stiamo assistendo alla chiusura di aziende piccole e grandi, di esercizi commerciali e i conseguenti licenziamenti.
Gli effetti delle politiche di austerity sui territori portano a conseguenze gravissime: una sanità pubblica distrutta, politiche di welfare e servizi sociali al collasso, licenziamenti di massa, un’università fabbrica del sapere che diventa sempre meno accessibile e sempre più devastante per i quartieri in cui si colloca  (aumento degli affitti, scomparsa di servizi per il quartiere e speculazioni sempre più grandi ), gli spazi pubblici e della socialità venire meno per diventare altri luoghi del profitto o della produzione.
La situazione quindi è drammatica, ma per quanto può essere difficile ed insopportabile decidiamo di non rassegnarci, noi a differenza di quanto piacerebbe a lor signori, non ci suicidiamo.L’ultima tornata elettorale delle amministrative nella capitale ha reso visibile la distanza siderale che esiste tra partiti e cittadinanza. Percentuali di astensionismo così alte non si erano mai verificate nella nostra città come nel resto d’Italia.
Marino non può essere il sindaco dei romani. Così come non siamo rappresentati da nessun governo. Il governissimo realizzato da PD e PDL è un’operazione di ingegneria politica  che ha il chiaro intento di farci pagare il prezzo dell’austerità gestendo e controllando la rabbia sociale che sta montando nel Paese. In questa direzione si inseriscono anche gli accordi tra sindacati confederali e confindustria.
Dall’altra una parte gli effetti della precarietà sui soggetti che diventa quindi il più forte dispositivo di repressione e contenimento.
Crediamo che sia arrivato il momento di cominciare a dotarsi di strumenti reali di organizzazione contro la crisi.Quest’anno due volte Roma ha alzato la testa: famiglie, precari e studenti hanno deciso di riappropriarsi di un pezzetto di reddito occupando edifici abbandonati, in una città in cui esistono più case vuote che persone senza casa. Questo è frutto della speculazione dei costruttori che sono gli stessi che speculano sui servizi pubblici, come ACEA, che dopo un referendum, che affermava l’acqua come bene comune e fuori dai profitti.
Vogliamo casa, diritti, servizi e un reddito di base e incondizionato, lavoro o non lavoro, perché vogliamo poter scegliere e uscire dal ricatto dei mille lavori di merda, sottopagati e sfruttati.

Vogliamo che la cittadinanza possa scegliere sulla vita del proprio territorio, prima di vedersi imporre qualsiasi cosa; siamo stufi di subire le politiche di chi rappresentai governi della crisi e il mantenimento di una classe politica. Ne è un esempio il “regalo” fatto all’ex XI Municipio e l’invasione di parco Schuster con la festa del PD, recintando il parco e renderlo inaccessibile a tutti.

Lanciamo l’11 luglio un corteo territoriale, che vuole partire da Piramide, passare per i luoghi dello sfruttamento e della produzione, e arrivare a Largo Riccardi (metro san paolo), dove fare una piazza tematica contro la precarietà.
Lo faremo coordinandoci con la campagna metropolitana indetta dalla Piattaforma per il reddito di base e i diritti che lancia, nel mese di Luglio in tutta Roma, iniziative di comunicazione sociale contro le politiche di austerity coordinate tra di loro.
Invitiamo le reti dei lavoratori in lotta, i comitati, gli spazi sociali e culturali attivi nel territorio a sottoscrivere l’appello e a partecipare

 

La lotta per la casa contro la legge dei padroni – assedio al Tribunale civile

Oggi, 18 giugno, aderendo a una giornata nazionale di lotta contro la crisi, gli sfratti e le politiche di austerità, i Movimenti per il diritto all’abitare di Roma stanno assediando il tribunale civile di viale Giulio Cesare per impedire il dilagare degli sfratti per morosità incolpevole.

Il tribunale di viale Giulio Cesare a Roma sommerso dalla marea della protesta: contro gli sfratti, gli sgomberi e i pignoramenti, per il diritto alla casa e al reddito, non un passo indietro
La polizia carica e usa i manganelli, ma non basta: il popolo resiste, determinato a riconquistare i propri diritti. 20 tra feriti e contusi tra i manifestanti.

Aggiornamenti:
La lotta paga! Una delegazione dei movimenti per il diritto all’abitare incontra Morelli, presidente della sesta sezione. La richiesta è semplice: vogliamo la messa al bando degli sgomberi, degli sfratti e dei pignoramenti ADESSO!

Il presidente del tribunale Mario bresciano si impegna a chiedere al governo una moratoria sugli sfratti:

Il Presidente del tribunale concorda pienamente con l’idea che la pressione sociale sta salendo proprio a causa del problema casa, ha promesso che scriverà una lettera alla prefettura e al governo, e per conoscenza anche a Comune e Regione, per chiedere un intervento normativo sulla questione.

Giovedi 14 Marzo | Territori Ingovernabili: le lotte per i beni comuni e la difesa dei territori

Arrivati in Sicilia bisogna attraversare chilometri di basi militari, bunker, rotatorie e antenne per arrivare sul promontorio di Niscemi da cui si lanciano colorati parapendii su pascoli e campi coltivati.

“Da Chiomonte a Niscemi: ora basta coi veleni!” si legge sui muri.

Gli Stati Uniti vogliono installare proprio qui, sulla Riserva naturale dell’insughereta, una delle quattro antenne satellitari di ultima generazione, MUOS, che permetteranno copertura globale alle guerre ultratecnologiche condotte attraverso droni radiocomandati.

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La sanità non si vende. Si difende!

Se la salute e la sanità diventano terreno di speculazione e pareggio di bilancio, se le cure non sono organizzate in presidi territoriali ma gestite da aziende e se i cittadini divengono capri espiatori a cui addossare responsabilità e debiti, vuol dire che un cambiamento, profondo e radicale, si sta compiendo.

Oggi, a Roma e nel Lazio sono sotto attacco moltissimi ospedali: il commissariamento, ancora una volta tutt’altro che tecnico, si accanisce su un territorio già stato martorizzato dalla Presidente uscente con una serie di tagli che, in tutto il Lazio, hanno ridotto drasticamente la garanzia delle cure. Tutti i territori della metropoli romana sono alle prese con questa realtà; anche a Garbatella- San Paolo, l’ospedale CTO che è storicamente e visceralmente parte del tessuto sociale rischia la definitiva chiusura.

Per noi rappresenta qualcosa di più di una struttura sanitaria, con camici bianchi, lastre e odore di medicinali; per noi rappresenta il primo punto di riferimento per gli infortuni della squadra di rugby All Reds e i numerosi danni che si producono coscientemente per la scelta di uno sport bello con qualche controindicazione; rappresenta le visite fatte ad un nostro compagno accoltellato dai fascisti dopo un’iniziativa per Renato Biagetti; rappresenta le cure per le emergenze e i mali che nella vita ogni tanto si è costretti ad affrontare.

Ma c’è anche qualcos’altro tra le mura di quell’ospedale: c’è la definitiva scelta di calpestare diritti universali che, la nostra società, è riuscita a conquistare in una trasformazione lunga più di mezzo secolo fatta di grandi lotte piccole battaglie.

L’abbiamo detto tante volte: la precarietà non è una cosa che riguardi solo il lavoro, la precarietà è il sistema di attacco alle nostre vite per metterle in produzione, sfruttarle ed indebitarle ben oltre il lavoro. La nostra generazione sarà la prima ad essere più povera di quella dei nostri genitori, la prima e forse non l’ultima. E non solo perchè il lavoro, appunto, è completamente precarizzato, ma perchè stiamo assistendo alla privazione della ricchezza condivisa, quella rappresentata dai servizi pubblici e dai beni comuni. La ricchezza di stare male ed essere semplicemente curato.

Non c’è nessuna retorica in questo ma la lucida consapevolezza che si sta cucinando una ricetta in cui privatizzazione, speculazione e profitto sono ingredienti fondamentali. Da domani se non ci sarà più un ospedale, un presidio sanitario territoriale, non sarà questione da trattati di politica economica ma una ferita aperta nella vita di tutti/e noi.

Il CTO, e la battaglia per la sanità Ri-pubblica (nuovamente e diversamente pubblica), rappresenta una barricata da cui non scendere e si trasforma in un trampolino per saltare verso qualcosa di diverso e nuovo.

Alle diecimila persone che hanno firmato contro la chiusura, a quelli che si sono incontrati ieri nell’aula magna manifestando con musica e parole la propria degna rabbia, a tutti noi, spetta il piacere e la fatica di riconoscersi in una comunità resistente…

…perchè non abbiamo un presente di precarietà da difendere ma un mondo nuovo da conquistare.

La sanità non si vende. Si difende!

Se il diritto alla salute diventa terreno di speculazione e pareggio di bilancio, se le cure non sono organizzate in presidi territoriali ma gestite da aziende e se i cittadini divengono capri espiatori a cui addossare responsabilità e debiti, vuol dire che un cambiamento, profondo e radicale, si sta compiendo.

Oggi, a Roma sono sotto attacco moltissimi ospedali; oggi questo territorio è già stato martorizzato dalla Presidente uscente della Regione con una serie di tagli che, in tutto il Lazio, ha ridotto drasticamente le garazie delle cure.Tutti i territori della metropoli romana sono alle prese con questa realtà; anche nel nostro territorio, l’ospedale che storicamente è parte di un tessuto sociale, il CTO, rischia la chiusura.

Per noi rappresenta qualcosa di più di una struttura sanitaria, con camici bianchi, lastre e odore di medicinali; per noi rappresenta il primo punto di riferimento per gli infortuni della squadra di rugby e i numerosi danni che si producono coscientemente per la scelta di uno sport bello con qualche controindicazione; rappresenta le visite fatte ad un nostro compagno accoltellato dai fascisti dopo un’iniziativa per Renato Biagetti; rappresenta le cure per le emergenze che nella vita ogni tanto si è costretti ad affrontare.

Ma anche qualcos’altro viene rappresentato tra le mura di quell’ospedale: oggi infatti lì c’è un limite su cui vogliamo stare e proponiamo di difendere con un’alleanza sociale vasta. Oltre quello c’è la definitiva scelta di calpestare diritti che, la nostra società, è riuscita a garantire in una trasformazione lunga più di mezzo secolo.
C’è la povertà sociale che trasforma la nostra generazione nella prima in cui saremo più poveri dei nostri genitori. E non solo perchè il lavoro, le capacità di costruire garanzie e futuro sono totalmente precarizzate, ma perchè stiamo assistendo alla privazione delle ricchezze condivise, quelle rappresentate dai servizi pubblici e dai beni comuni.

Non c’è nessuna retorica in questo ma la lucida consapevolezza che si sta cucinando una ricetta in cui privatizzazione, speculazione e profitto sono ingredienti fondamentali. Da domani se non ci sarà più un ospedale non sarà un trattato di politica economica ma una ferita aperta nella vita di tutti/e noi.

Per questo il CTO, e la battaglia per la sanità pubblica, rappresenta una barricata da cui non scendere e si tarforma il un trampolino per saltare verso qualcosa di diverso e nuovo. Perchè la difesa prevede che ci sia un domani da difendere e noi vogliamo che sia profondamente diverso, capace di far vivere gli anticorpi di una deriva che specula sulle nostre vite e devasta il nostro presente.

La sanità non si vende. Si difende!

16 Gennaio | La sanità pubblica non si vende. Si difende

Piccolo Recital dalle ore 18 al CTO a Garbatella

La rete sociale dell’XI Municipio e l’Assemblea Permanente del CTO organizzano un’iniziativa pubblica presso l’auditorium dell’Ospedale CTO.
Lo facciamo perchè l’ospedale del nostro territorio è a rischio chiusura, come molti altri in tutta Roma

Infatti la devastazione della sanità pubblica, il saccheggio dei suoi fondi e la riduzione a terreno per fare soldi ha dato i suoi frutti: chiusura di uno degli ospedali storici e totalmente pubblici della nostra città.
Si preannuncia l’ennesima sottrazione di servizi, garanzie e diritti.

Per questo abbiamo pensato ad un’iniziativa pubblica che unisca interventi artistici al racconto di quello che accade.
Perchè riguarda tutti/e e perchè vorremo vedere invece tutelato questo ospedale, come gli altri, perchè rappresenta la tutela della nostra salute in questo territorio, perchè rappresenta il posto di lavoro di decine di operatori sanitari, perchè rappresenta un diritto che non si può o vogliamo comprare, ma che deve essere garantito.

Come altri beni e servizi vogliamo che siano cosa pubblica, con una gestione aperta all’intelligenze e alle relazioni del territorio, consapevoli di come siano una ricchezza sociale per tutti/e noi e, per questo, le vogliamo lontane dai tagli per pagare i debiti fatti per speculare e fare profitti.

Abbiamo chiesto di partecipare ad una serie di artisti che ci hanno dato la loro disponibilità.
E, quindi, saranno con noi:

– Erri De Luca
– Collettivo teatrale “pedigri”
– Michele Baronio
– Carmen Iovine
– Tamara Bartolini
– Emilio Stella
– Voci nel deserto
– Elio Germano
– Adriano Bono
– Ulderico Pesce
– Giulia Anania

E aspettiamo ancora altre risposte.

La nostra salute e la sanità pubblica non si vendono. Si difendono.!

 

>>> La Sanità Pubblica non si vende, si difende! Indipendenti.eu

Insistiamo: la critica della costituzione è necessaria

Quando diciamo che la Costituzione del 1948 è esangue e non restaurabile, ci trattano da nemici della patria. Recitate un De Profundis non solo di quella Carta ma della democrazia, ci ripetono. Davvero? Non sarà invece che proprio attorno al ripetersi di quelle difese (ormai puramente ideologiche) si consuma quel po’ di democrazia che resta in Italia?

Queste domande non ce le poniamo di fronte a dei residui cantori delle glorie della prima e della seconda Repubblica. Lo strazio che continuano a fare della Costituzione del ’48 è sotto gli occhi di tutti. Ce le poniamo piuttosto a fronte di compagni che, negli ultimi anni, hanno sostenuto le lotte per il comune e che (non si capisce se è perché credono piattamente nella “fedeltà” alla lettera o perché ritengano piuttosto la pragmatica dello “sfondamento” costituzionale l’arma di rinnovamento più efficace) continuano a rimproverarci perché non ci muoviamo sul terreno della legittimità costituzionale e rifiutano di condividere la nostra riflessione sul fatto che l’appello all’esercizio del potere costituente sia oggi essenziale e dirimente. Quei compagni si fanno forti di aver promosso e vinto il referendum “acqua-bene comune” e, soprattutto, di aver positivamente difeso davanti alla Corte costituzionale quel risultato. Si è trattato, in effetti, in entrambi casi, di successi eccezionali. A questi si aggiungono altre importantissime iniziative, qua e là in tutta Italia – centri sociali e teatri occupati promossi ad istituzioni del comune, assessorati municipali che cercano di leggere le attività dei servizi pubblici nella prospettiva di una politica del comune e una giurisprudenza (che sta elaborandosi e che ritiene la categoria dei beni comuni di grande utilità nel tutelare e garantire – e probabilmente trasformare? – la proprietà pubblica, oggi minacciata pesantemente dalle politiche neoliberali).

Non dubitiamo che tutto ciò costituisca un passaggio fondamentale e siamo orgogliosi di aver partecipato a quelle battaglie, sia sul terreno teorico che su quello direttamente politico.

Ciò detto, non vediamo perché l’appello alla critica della Costituzione del ’48 ed al rinnovamento del tessuto costituzionale sia dannoso o inutile. A noi sembra invece centrale ed essenziale. Riteniamo infatti che, nella lotta che si è finalmente aperta in maniera forte contro il neoliberalismo, la Costituzione del ’48 che (volente o nolente) ha con il neoliberalismo – formalmente e materialmente – convissuto, sia incapace di proporci uno sviluppo della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà (intesa come terreno di costruzione di istituzioni del comune), adeguato ai nuovi bisogni della moltitudine.

A questo proposito, riguardando i difensori della Costituzione del ’48, non vogliamo certo aggiungere che non vediamo diversità fra i sostenitori dei “beni comuni” e, ad esempio, i grillini: vogliamo solo dire che finché la tematica del “comune” non assuma una potenza costituente, anche i temi dei beni comuni rischiano di essere appiattiti in un populismo (per così dire) di sinistra. Difficile immaginare che si possa estrapolare, nel disegno costituzionale, un’idea ancora “virtuosa” di sovranità popolare, e farsi forza di quella come scudo contro il neoliberalismo: e ciò non solo perché sovranità “del popolo” e proprietà sono nella Costituzione difficilmente separabili, ma perché comunque oggi le categorie di sovranità e di popolo non possono che portare la lotta contro il neoliberalismo sulla strada di una vuota retorica, priva di possibilità di aggancio con le soggettività vive che animano la cooperazione sociale. I beni comuni hanno saputo evocare, per quelle soggettività, la forza della riappropriazione della ricchezza prodotta in comune contro i dispositivi proprietari. Come potrebbe mai l’idea di “popolo sovrano” rendere conto della ricchezza di quelle soggettività, della composizione di differenze e di singolarità che muove quella cooperazione sociale, senza ancora una volta imprigionarla in una omogeneità tutta forzosa e ideologica? Comune e sovranità popolare stanno su sponde diverse: in mezzo, ci passano tutte le metamorfosi soggettive di questi anni, le trasformazioni del lavoro e della produzione, la forza emergente del lavoro vivo, dinamiche che – già dagli anni Sessanta e Settanta – hanno messo attivamente in crisi il nocciolo della mediazione costituzionale. La forza di questo comune, che ha animato lo stesso movimento dei beni comuni, non può essere colta da nessuna possibile riabilitazione della “sovranità popolare”, categoria che di nuovo chiuderebbe nel già costituito la tensione dinamica e aperta del costituente. A non calcolare adeguatamente la propria distanza critica dalla retorica della sovranità popolare, è inevitabile poi che anche chi, con le migliori intenzioni e ragioni, ha animato le lotte sui beni comuni, rischi di incagliarsi periodicamente nelle nebbie dei populismi, degli autoritarismi e dei personalismi, che nelle retoriche sovraniste hanno sempre trovato alimento per bloccare le lotte e impedirne la generalizzazione moltitudinaria.

Bastano pochi esempi per chiarire questa irriducibilità del comune alle mediazioni costituzionali, sia pure a quelle a tinte popolari e più o meno “socialiste”.

In primo luogo, parliamo di libertà. Un solo esempio, ma crediamo suggestivo: dov’è più – sulla base della Costituzione del ’48 – la libertà di espressione quando ci si confronti alla prepotenza del potere finanziario e della proprietà privata nei media? Possiamo invece immaginare che l’informazione sia restituita al comune? A fronte della Costituzione del ’48, che cosa significa “libera” informazione, sottratta all’alternativa (per quella Costituzione solo possibile) del privato e del pubblico? E siccome chez nous, “pubblico” (nazionalizzazione dell’informazione, sostegno amministrativo ai media, ecc.) significa fascismo e/o corruzione, come ci aiuta la Costituzione del ’48 ad evitare che l’informazione sia sottratta ai poteri dei privati o a quello statale? Cosa significa “comune” nella Costituzione del ’48? Com’è possibile costruire un “luogo comune” dell’informazione, che sia sostenuto e viva di forza democratica?

In secondo luogo, sempre a mo’ di esempio, parliamo di uguaglianza. Un solo caso: che cosa ci dice la Costituzione del ’48 a proposito della moneta? E cioè del mezzo attraverso il quale lo Stato manovra la produzione delle merci e la distribuzione dei redditi? La moneta – è noto – è diventata lo strumento attraverso il quale il capitale riproduce a sua misura la società dello sfruttamento: che cosa ci dice la Costituzione del ’48 a proposito del controllo dei “mercati” e dell’azione dei poteri finanziari globali, se non che lo Stato è sovrano in materia monetaria? Ma questo lo diceva anche lo Statuto Albertino! Se non ci scapasse da ridere, vorremmo chiedere ai nostri interlocutori, spesso su questo argomento prolissi, di declinare con noi “moneta-bene comune”: cosa concluderebbero? Che lo Stato-nazione va ricostruito oppure che la Costituzione del ’48 va trasformata? È evidente che se rispondessero nel primo modo, dovremmo chiamare il 118.

Ma, in terzo luogo, interroghiamoci su cosa possa più dire la Costituzione del ’48 a proposito di solidarietà (cioè del comune vero e proprio!). Sorge qui il sospetto che quando si pretende che il comune possa rappresentare una nuova forma di proprietà, si cerchi non di costruire ma di neutralizzare il concetto di comune. Recentemente (forse perché in periodo elettorale) abbiamo udito un autore come Ugo Mattei, solitamente molto determinato e preciso attorno al destino dei beni comuni e pragmatico difensore della Costituzione del ’48, sostenere che (dalle università – ma noi non pensiamo solo di lì) è partito un tentativo efficace di sminuire la portata “radicale” del tema “commons”. In quella prospettiva, essi sarebbero “scientificamente” sempre più limitati, circoncisi, privatizzati e sottoposti alla ristrutturazione istituzionale del neoliberalismo attraverso una critica che li costringe nel cognitivismo oppure nell’ideologia della sostenibilità, comunque ad un regime di enclosure, di restrizione. Si tratta di un vero e proprio détournement della forza costituente dei commons! Okay: ma allora perché non concludere che nella Costituzione del ’48 – come in tutte le costituzioni della modernità capitalista, come in tutte le riletture newdealistiche del costituzionalismo borghese e tanto più oggi nel regime globale del capitale finanziario – il comune non è giuridicamente pensabile? Perché pretendere la genuflessione dei “bene-comunisti” alla Costituzione del ’48? Per realismo politico? Ma che cos’è un realismo che non solo non riconosce la comune libertà di informarsi e di esprimersi ma neppure riesce a denunciare non tanto il “conflitto di interessi” di Berlusconi quanto quello del “Corriere della sera” e de “La Repubblica”, ecc., ecc.! E che non accetta di organizzare – fuori da ogni costituzione – una lotta per costruire una “moneta del comune” come unica forma nella quale l’uguaglianza può oggi proporsi (reddito di esistenza come nuova figura del salario relativo, welfare garantito, ecc.)? Fuori da ogni costituzione, dicevamo: perché organizzare istituzioni del comune, produrre le forme possibili di uguaglianza e libertà, non è un processo lineare, ma contiene in sé sempre elementi di rottura destituente e radicale con le forme istituzionali e costituzionali date – cosa che la tentazione sempre ricorrente di un ritorno all’istituzionalismo, anche quando è presentato, con qualche eccesso di retorica, come “diritto che nasce dalle lotte”, rischia di dimenticare.

Infine: il comune è comunismo più libertà. La Costituzione del ’48 è stata letta come un po’ di libertà e un po’ di socialismo: vivevamo in un mondo dove questa costituzione era forse la sola alternativa di pace alla guerra civile. Oggi la guerra, il capitale finanziario globalizzato ce la fa contro, ogni giorno. Perché non rispondergli, sottraendogli, attraverso la forza costituente del comune, questo potere?

da www.uninomade.org

 

Ci riprendiamo tutto!

Il  giorno più freddo di questo inverno si è trasformato per i movimenti per il diritto all’abitare in una calda giornata di lotta e resistenza. Questa mattina davanti alle occupazioni di Ponte dei Nona, Torre vecchia, Anagnina, Viale delle Province abbiamo trovato un grande dispiegamento di forze dell’ordine  che annunciavano gli imminenti sgomberi. Anche davanti Alexis si sono presentate diverse volanti della polizia con la chiara intenzione di intimidire e bloccare quanti si stavano radunando, e di impedire lo spostamento a chi stava portando la propria solidarietà verso le occupazioni più a rischio.
In questo momento  alcune delle occupazioni di Ponte di Nona sono in corso di sgombero mentre altre si stanno barricando e preparando alla difesa degli spazi. La risposta della giunta in crisi ancora una volta è quella di affrontare con l’ordine pubblico il problema sempre più grave dell’emergenza abitativa di Roma. Esprimiamo il massimo del sostegno e solidarietà ai nuclei familiari sgomberati e continueremo la resistenza qui e per le strade della città.

Alexis resistente!
Studentato e casa dei precari

Dallo sciopero sociale al comune in rivolta >> Alexis occupato Ma chi ha detto che non c’è…..

Fa un certo effetto, va detto, scrivere da qui, da Alexis, lo spazio che abbiamo liberato il 6 dicembre, in una nuova giornata nazionale di mobilitazioni, dopo quella del 14 novembre, in cui si sono sperimentate importanti pratiche di sciopero sociale.

Difficile capire cosa succede quando si occupa e descrivere la magia delle soggettività che attraversano gli spazi autogestiti ed autorganizzati. Ci si chiede cosa si sta muovendo nella pancia e nella testa dei compagni che si ha al fianco, con cui si condividono i picchetti, le assemblee, le chiacchere, i lavori, i pasti, gli sbattimenti di ogni genere. Di sicuro qualcosa di stupendo, fuori dall’ordinario, altrimenti ci si chiederebbe “chi ve lo fa fare?”: il freddo, il poco sonno, la stanchezza, le paranoie e tutto il resto. L’alchimia che si sviluppa all’interno delle lotte è qualcosa che risveglia gli animi, costruisce alterità, cooperazione nel conflitto, scioglie la tensione, emoziona. Vedere chi dopo due ore di sonno va a lavorare e torna in tempo per fare i mille lavori, chi si porta il lavoro dietro o studia al freddo tra un picchetto e un altro. Ecco cosa si intende, per noi, quando si parla del comune in rivolta.

Si parla di un’energia che non si può distruggere per quanto da sola si riproduce all’interno di questi processi. Ed è proprio il calore collettivo che sta producendo il valore aggiunto in questi freddi giorni invernali, un’energia sociale che pratica nuove forme di solidarietà e mutuo soccorso tra i soggetti colpiti dalle politiche di austerity. In questi pochi giorni abbiamo visto portare solidarietà all’occupazione dai lavoratori dell’Acea, dagli abitanti del territorio, da chi ci lavora, gli operai dell’Italgas ci hanno regalato i loro buoni pasto promettendo di tornare il mese prossimo se saremo ancora qui, motorini che passando e urlano “non lo dovete lascià più sto posto!”. Da quando abbiamo occupato vediamo aumentare le persone che diventano occupanti, che si interessano, che vogliono far parte dell’esperienza. Siamo partiti un anno e mezzo fa con un’inchiesta sulla precarietà abitativa tra gli studenti di un’università “modello” come quella di Roma Tre, nata già riformata secondo i criteri del mercato. Con tanta determinazione e con la voglia di sperimentarsi, perché ci credevamo veramente, siamo arrivati ad occupare spinti anche dalla forza di una giornata in cui tanti e tante sarebbero scesi nelle piazze, si sarebbero riappropriati di pezzi importanti di reddito mettendo in campo diverse pratiche di sciopero sociale. Non sara’ forse ancora lo sciopero sociale capace di generalizzare le lotte contro l’austerity, in grado di mutare i rapporti di forza in questa giungla di precarietà, ma una tendenza la si può cominciare finalmente ad intravedere.

Sarà una strada lunga che parte dai bisogni e vuole arrivare a realizzare i sogni.

Sarà una strada lunga perché non ci sono scorciatoie, deleghe a partiti e sindacati o capipopolo, quando un processo sociale e’ vero, o diviene collettivo o semplicemente non sarà.

Siamo dunque partiti dall’inchiesta metropolitana perché il bisogno non è solo l’emergenza ma una complessità di desideri negati, l’impossibilità di autodeterminarsi. Attraverso il processo d’inchiesta abbiamo compreso che oggi i bisogni non si percepiscono più direttamente ma piuttosto in relazione ad una necessità di cambiamento e trasformazione radicale dell’esistente. E allora forse possiamo dire che Alexis occupato non parte esclusivamente dai bisogni ma anche dai desideri. Questa è l’utopia concreta da cui ripartire. Ma chi ha detto che non c’è Non si può forse dire lo stesso di quelle lotte di resistenza, che iniziano con un NO, e che poi cominciano a portare elementi di proposta, “dal no, all’alterità”, passando dalla resistenza ai percorsi di indipendenza, le necessarie lotte contro l’austerity?

Allo stesso tempo abbiamo visto in questi anni momenti di forte conflitto e radicalità che però evidentemente non hanno sedimentato cio’ che e’ necessario esprimere: eppure quelle piazze erano piene, quei corpi c’erano e molto spesso hanno deciso di resistere. Ora bisogna avere la capacita’ di passare dalla resistenza alla produzione dell’alterita’ politica.

Crediamo che la riappropriazione diretta del reddito che ci spetta (sotto forma di case, spazi di socialità e relazione, di saperi) possa rappresentare la chiave giusta per ricomporre precari e precarizzati, tenere insieme conflitto in cooperazione, rabbia e amore. Un reddito che vogliamo incondizionato e per tutti.

Dagli zapatisti abbiamo imparato todo para todos nada para nosotros. Da questa occupazione si aprirà un’ulteriore lista abitativa, una lista non dell’emergenza ma del desiderio, una lista della disponibilità a rendere riproducibile la pratica della riappropriazione. Vogliamo creare complicità con questo territorio ribelle e con chiunque nella metropoli e in Italia crede si sia aperto un processo costituente che tende al cambiamento radicale e dal riappropriarsi delle case passeremo a tutto quello che ci hanno sottratto. Siamo realisti, vogliamo tutto, vogliamo l’impossibile.

In questo senso vogliamo resistere ad un eventuale sgombero che altro non sarebbe che uno sgombero di ordine pubblico dovuto all’assenza di una qualsivoglia capacità di risposta politica. Non era mai successo a Roma che così tante occupazioni avvenissero in un solo giorno eppure i giornali e i media non ne parlano, nessuna dichiarazione del sindaco né della pseudo opposizione.

La politica abdica in favore delle forze del (dis)ordine. Dal silenzio trapela la preoccupazione degli organi istituzionali, dei dispositivi repressivi e dal potere rispetto ad una possibile generalizzazione del conflitto.

Di fronte a loro troveranno una generazione non più disposta a mediare, senza più ansia del futuro solo con il desiderio di resistere un minuto piu’ di loro. Quella dei precari di seconda generazione che vivono in un presente dilatato, tra lavori intermittenti, disoccupazione giovanile, nell’assenza totale di diritti. Di fronte a loro una rabbia diffusa e’ pronta ad esplodere ed un contesto sociale deteriorato e pieno di rancore. Di fronte a loro una crisi della rappresentanza che lascia spazio ad ambiguità e vuoti che se riempiti dai movimenti possono diventare qualcosa di potente. Ci si vede dalla parte giusta delle barricate.