Le Parole Sono Ancora Pietre: “Diserzione. Tapum – tapum – tapum” di Lanfranco Caminiti

Pubblichiamo il racconto Diserzione. Tapum – tapum – tapum di Lanfranco Caminiti per il decennale del LOA Acrobax, nell’ambito del progetto “Le parole sono ancora pietre“.

“Le parole sono ancora pietre” nasce come un laboratorio permanente e si propone di coinvolgere professionisti della narrazione – coloro che con le parole ci lavorano, che le usano ogni giorno per raccontarci un pezzo di realtà – allo scopo di riflettere con loro sulla possibilità di “smontare le narrazioni tossiche”, di inventare parole nuove, di riscrivere alfabeti, dizionari, grammatiche.

Ognuno scelga un termine e su quel termine scriva un testo, lungo massimo due cartelle. I testi verranno pubblicati su social network, blog, siti e riviste, letti, recitati, cantati pubblicamente e filmati per raggiungere più persone possibile e stimolare il dibattito”.


Diserzione. Tapum – tapum – tapum

di lanfranco caminiti

Ora che il papà era morto, quel filo sottile che ancora li legava alla loro terra,la Calabria, rischiava di spezzarsi per sempre. Finché c’era lui, anzi finché lui era ancora in grado di stare dietro alla campagna – quei pochi ettari dove aveva qualche piede d’olivo e la vigna che era tutto il suo orgoglio –, che gli ultimi anni li aveva passati quasi sempre a letto e intontito dal dolore e dalle medicine, con una badante che lo accudiva per tutto, loro ci tornavano quando potevano, il più grande viveva a Milano, in non so quale azienda farmaceutica, la femmina a Mestre a insegnare, il più piccolo a Roma, sempre precario, ma erano secoli che non si ritrovavano insieme, i tre fratelli. Ora che si erano riuniti anche solo momentaneamente – gli ultimi giorni del padre, il funerale, le formalità di rito –, fu un pensiero comune, un riflesso immediato quello di vendere la terra, chi l’avrebbe mai seguita? E la casa. Morto lui, non c’era nient’altro.

Invece, le cose presero un’altra piega. Toccò a Giovanni, quello piccolo cui non avevano rinnovato non so quale contratto e aspettava non so quale nuova chiamata, avanzare l’idea di mettere a posto la casa, magari lui poteva farsene carico, Francesco doveva rientrare all’azienda e Maria aveva la scuola e gli studenti a aspettarla. Avrebbero spuntato un prezzo maggiore, con la casa messa a posto, o potevano dare in affitto la terra – non erano ragionamenti sensati, però erano pensieri del cuore, nodi irrisolti e ci indugiarono e se ne convinsero. Francesco trovò un modo, in realtà fu Maria che aveva sensibilità per le cose, per i soldi: disse a Giovanni di tenersi il libretto delle poste di papà, quello della pensione, e usarlo intanto che sbrigava tutta la cosa, che poteva considerarlo un anticipo di quanto avrebbero poi diviso dal ricavato della vendita della terra. E semmai fossero serviti altri soldi, lui avrebbe provveduto. «Fa così, gli disse Maria, che ti prendi pure un po’ d’aria buona. Mettici il tempo che ci vuole, hai tutta la primavera davanti». Magari, la cosa vera era che doleva a tutti quella decisione – in quella campagna avevano trascorso la loro infanzia e adolescenza, vi erano cresciuti liberi e selvaggi, e i loro ricordi erano bellissimi, strazianti per essersene dovuti andare – e Giovanni, alla fine, era il più determinato. Se fosse rimasto, l’avrebbe fatto davvero. Giovanni restò.

E si mise subito di lena buona per sbrigare la faccenda. Sparse in paese la voce che voleva vendere la terra e che gli servivano un paio di braccia per faticarci un po’ intanto a sistemare la casa. Che lo guardarono come si guarda uno che dice cose strane, ma gli dissero di prendere Zibibbo, tonto come un pollo ma forte come un mulo. «È giusto per quello che vuoi farci, tu gli spieghi, lui non si ferma più». E che gli sarebbe tornato buono pure il polacco «quello sa fare tutto, e si prende poco». Con Zibibbo e il polacco si misero d’accordo e con un furgoncino rimediato – caricarono pale, picconi, martelli, trapani, tubi, i sacchi di cemento, la sabbia, una carriola, Giovanni era stato sempre bravo con le mani – andarono in campagna il giorno dopo.

Dovevano per prima cosa sgombrare l’area, restituire al fabbricato della casa la dimensione originaria. Partirono dal pollaio, che poi era tutto assi di legno ormai marcio e reti di ferro arrugginite e travi rimediate – vide quelle vecchie traversine delle ferrovie – e pezzi di amianto per tetto. Spostavano le cose lentamente, e c’era tanta fatica, lui poi si era disabituato a lavori così duri, per fortuna Zibibbo si rivelò davvero un caterpillar e il polacco un lavoratore sapiente. Avrebbero poi buttato giù la tettoia all’ingresso con ancora il vecchio forno dove una volta si faceva il pane e poi quello che papà chiamava “il magazzino”, dove un tempo teneva gli attrezzi e i concimi e le canne per i pomodori e la pompa con il verderame, e certe annate che gli girava ci metteva pure i conigli a figliare, quattro mura tirate su alla bell’è meglio. Poi avrebbero attaccato la casa, quattro stanze, con cucina e bagno, che invece aveva un aspetto solido, mura da ottanta-novanta centimetri. L’aveva tirata su il nonno Tommaso, con le sue mani, facendosi aiutare dagli altri contadini, e dai braccianti che venivano per la vendemmia, come si usava un tempo, quando era tornato dalla guerra,la Prima, quella che i morti erano stati come le mosche e che ogni paesuzzo c’aveva il suo monumento con la lapide che non finiva mai per quanti nomi c’erano e i cannoni – pure il suo ce l’aveva, che ci giocavano da bambini.

Giovanni se lo ricordava ancora bene nonno Tommaso, un uomo dritto come un fuso, sembrava fatto di legno duro, con due baffi ingialliti dal sigaro, e le mani torte dal lavoro in campagna e gli occhi azzurri e una tosse che non lo lasciava mai perché aveva respirato il gas della guerra. Un socialista, di quelli quando a battersi per la terra se ti andava bene rimediavi il calcio dei fucili sui denti e sulla testa e se ti andava male la scarica dei medesimi fucili dei carabinieri del regio esercito. Lui non aveva paura, andava avanti, di scariche di fucili ne aveva affrontate talmente tante in guerra che doveva averci fatto un contratto perché ne usciva indenne. C’era sempre stata la sua foto nella cristalliera di casa, tra i bicchierini del rosolio che ne erano rimasti tre e le tazzine del servizio che nessuno aveva mai usato.

Partirono dal tetto, togliendo e sostituendo le tegole che si erano sbreccate, e poi smerigliarono le travi e poi tolsero via l’incannucciato dove ancora era rimasto, qualche topo che aveva tana scappò via, e poi misero le assi nuove, si stupiva di trovare ancora le cose quasi integre, l’ossatura era sana. Dopo un mese, il lavoro anche se a rilento era a buon punto – molto tempo se ne andava anche portare tutti i detriti a una discarica comunale. D’altronde nessuna telefonata gli era ancora arrivata per proporgli un qualche progetto, un qualche contratto, un qualche lavoro a nero. E il tempo era splendido, tiepido e ventilato. Si sentiva in forma, e ogni giorno che passava, invece di stancarsi, gli sembrava di diventare più forte, più resistente. Aveva ragione Maria.

Decisero di cominciare a lavorare le mura dal lato nord, quello che dava verso la vigna – un geometra l’aveva aiutato a fare uno schema delle tracce per acqua, luce e gas, la pianta del fabbricato sarebbe rimasta la stessa – e bisognava darci di trapano per togliere tutto l’intonaco che poi avrebbero rifatto, per il pavimento aveva pensato di mettere quel nuovo finto parquet fotografato che costava poco e era facile a montarsi e il linoleum in bagno e cucina.

Fu mentre lavoravano alla prima parete che saltò fuori la nicchia, l’intonaco suonava a vuoto. Un tempo si costruiva così nelle case contadine, si lasciava sempre – le mura erano profonde e solide, di pietre e mattoni pieni – una nicchia che poteva servire da mobile, come una madia, con due ante a chiuderla. Solo che nello spazio trovarono uno zaino. Era uno zaino militare, di stoffa pesante, come non ne avevano visti mai, con la trama ormai logora e consunta, e che intuirono potesse essere stato di nonno Tommaso. Dentro trovarono lettere, giornali, cartoline postali, fogli giudiziari e un diario, che Giovanni iniziò a leggere avidamente. Era il diario dei giorni del processo cui nonno Tommaso, insieme a altri commilitoni, era stato sottoposto, accusati dal Tribunale militare di avere sparato contro il tenente Miceli, lì tra le trincee del Carso. Nel carcere militare, nonno Tommaso aveva pensato di affidare a quella forma di testimonianza la sua verità, convinto probabilmente che sarebbe stato fucilato da lì a poco.

Giovanni non riusciva a staccarsi da quelle pagine: vi si raccontavano gli orrori della guerra, della trincea, delle malattie, dei pidocchi che ti succhiavano il sangue, delle agonie dei compagni rimasti avviluppati tra i reticolati della terra di nessuno, colpiti di cecchini austriaci, e che nessuno andava a prendere, del rancio schifoso, del freddo. E della follia che progressivamente s’era impadronita della mente del loro tenente, che continuava a sfiancarli di sentinelle e veglie e li mandava all’assalto come carne da macello, e di quando aveva ucciso sul posto un soldato, il primo che gli era capitato vicino, perché un plotone s’era rifiutato a un ennesimo attacco. Dovevano ricevere il cambio e andarsene da lì, invece il tenente s’era speso presso il Comando perché da lì non si muovessero – restare o morire – e loro erano già morti. Non sapeva dire chi avesse sparato – davanti a Dio l’avrebbe giurato – e non avrebbe neppure saputo dire se il colpo fosse partito dalle linee austriache, forse una scheggia di rimbalzo su qualche roccia, su qualche lastra di ferro, o se invece fosse stato uno degli italiani a sparare. No, non aveva pianto per il tenente, ma ormai non si piangeva più per niente e nessuno, si era come morti, come avrebbero potuto piangere? Diserzione, era questa l’accusa, un morbo che prese i soldati intorno Caporetto – quando i generali mostravano la loro incapacità e la loro cialtroneria – e i carabinieri passavano giornate a fucilare quelli che acchiappavano, senza neppure processo. Diserzione era il grido che i socialisti austriaci e italiani avevano lanciato contro l’insensata guerra. Nonno Tommaso s’era salvato, e anche i suoi compagni. Evidentemente, persino il Tribunale militare, o fu proprio quel giudice, non se la sentì di passarli per le armi, e era meglio evitare che la cosa si trascinasse e per l’onore dell’esercito e per la tenuta dello spirito dei soldati. Al tenente avrebbero dato una medaglia alla memoria.

Giovanni si chiese perché mai nonno Tommaso avesse deciso di seppellire quella vicenda, di celarla nell’anfratto delle mura, nessuno in famiglia aveva mai sentito di quella storia. Il diario arrivava fino al giorno della sentenza e alla liberazione. Poi, nell’ultima pagina c’era scritto così: «Ho mentito davanti a Dio».

Decise di rimettere lo zaino al suo posto, avrebbero rifatto l’intonaco bene, e non ne avrebbe parlato neppure ai suoi fratelli. Zibibbo e il polacco non ci avevano capito nulla, e andava bene così. Sarebbe stato il suo segreto con nonno Tommaso. Il segreto di quella casa.

Stava proprio cominciando ad affezionarsi a quello scatafascio.

Nicotera, 28 novembre 2012

 

Per il decennale di LOA Acrobax

1 Dicembre@Acrobax – “Gli Equilibristi” Proiezione e dibattito con I. De Matteo E V. Mastrandrea

Ore 21 proiezione del film Gli equilibristi. Regia Ivano De Matteo, 2012. A Seguire dibattito: introduce la trasmissione “Visionari” di Radio Onda Rossa, incontro con Ivano De Matteo e Valerio Mastrandrea

Nel 2002 abbiamo occupato l’ex cinodromo trasformandolo nel laboratorio del precariato metropolitano. Eravamo e siamo ancor oggi acrobati, equilibristi sospesi sul filo della precarietà tra lavori intermittenti, disoccupazione e affitti inarrivabili. Nel 2012 sono milioni i precari che vivono nell’ansia, uno stato di insicurezza cronico dovuto non solo a sentirsi come sospesi a un filo, ma consapevoli che il più piccolo errore o malaugurato accidente può fare la differenza tra un tenore di vita accettabile e una vita da marciapiede. Per questo siamo convinti che combattere contro la precarietà significa lottare per la dignità e per la libertà. Siamo lieti di presentare l’ultimo lavoro di Ivano De Matteo, un film che racconta la nostra condizione esistenziale.

>> Intervista a Valerio Mastrandrea (di Samir Hassan)

 “Anche chi ha il posto fisso è un’equilibrista”.

Valerio Mastandrea racconta il suo nuovo film, un’altalena tra precarietà professionale e sentimentale.

Quando più di un anno fa l’ex-ministro Brunetta definì un gruppo di precari (che lo contestarono a Roma, ad un convegno sulle innovazioni tecnologiche) come l’Italia peggiore, non si aprì solo una fitta canea mediatica, ma anche una ridefinizione del tema della precarietà. Si udirono da più parti inviti, rivolti ai “giovani bamboccioni”, di andare a lavorare; di cercarsi un lavoro, un posto fisso, di uscire dall’alveo familiare, di tuffarsi nella vita e nel mercato del lavoro e delle professionalità. La Grecia era nel pieno del suo collasso, lo spread era un termine usato da pochi addetti ai lavori e l’Italia ancora non aveva un governo tecnico. Eppure qualche giovane senza peli sulla lingua fece la voce grossa, ricordando al paese che il posto fisso, in un mercato del lavoro senza garanzie e sistematicamente deregolamentato, è un meccanismo di precarizzazione tale e quale ad un contratto a progetto. Gli Equilibristi, una delle ultime fatiche interpretate da Valerio Mastandrea, sembra essere il sequel reale di quel fatto; una pellicola che evidenzia come le connessioni tra la precarietà lavorativa e quella esistenziale non siano solo salde, ma anche sequenziali, conseguenti, quasi inevitabili. Con delle specifiche ben precise: il degrado umano della persona, il problema della famiglia, la difficoltà di accettare un così repentino cambio di vita.

***

Gli Equilibristi più che un film sembra l’amara verità di molte famiglie italiane; possiamo definirla una vera e propria pellicola di “denuncia sociale”?

 «Ogni film che riesce ad indagare sulla realtà delle cose e del mondo che ci circonda in genere compie un lavoro di “denuncia sociale”. Denunciare è dunque sinonimo di mettere in risalto, mostrare le zone sotterranee della nostra storia, della storia delle persone. Tuttavia “denunciare” non è un verbo che mi piace molto. Potrebbe essere sostituito da “stimolare”, “riscoprire” e tanti altri che non permetterebbero di non perdere il senso più profondo del fare cinema. Capire, forse questa è l’espressione più appropriata.»

 Mettendoti nei panni di Giulio, un italiano qualunque, hai percepito la povertà come sola mancanza di denaro oppure la colleghi ad un’umanità che il tuo personaggio sembra smarrire scena dopo scena?

«Nel film si parla di un uomo col posto fisso, cioè il nuovo grande sogno italiano. Questa è, forse, la novità dei tempi nostri; ovvero, anche chi appartiene ad un ceto medio, quindi relativamente “coperto” da un punto di vista professionale, non è più al sicuro davanti ad uno sconvolgimento della propria vita. Non è al sicuro economicamente, non lo è altrettanto dal punto di vista emotivo. Economia ed emotività. Due cose così distanti ma che possono creare un corto circuito molto pericoloso.»

Il titolo del film rimanda ad una vita in bilico, vissuta tra precarietà e altalene professionali. Responsabilità delle classi dirigenti o della passività di chi ne fa le spese ogni giorno senza alzare la voce?

«La povertà ha sempre fatto parte della storia dell’uomo. E’ cambiato il potenziale di solidarietà ed aiuto che si potrebbe mettere collettivamente in campo per scongiurarla, per alleviarla laddove non si può evitare. Parlo di potenziale perché – paradossalmente – più aumenta la coscienza e l’attenzione verso chi non se la passa bene e più, chi possiede maggiori possibilità, ignora e tira dritto. E non sto parlando di classi sociali più abbienti, ma degli apparati istituzionali che – direttamente o indirettamente – sono parti in causa di queste crisi.»

Quando De Matteo ti ha parlato della sceneggiatura, qual’è stata la tua prima reazione? E com’è sul set Ivano, ai più noto come il Puma della serie di Romanzo Criminale?

«Ivano lo conosco da quasi 20 anni. Conosco il suo percorso artistico e la sua passione smodata che infonde in questo lavoro. Tutti ci dovrebbero lavorare almeno una volta, sarebbe un’ottima scuola, umana e professionale.»

Il film diretto da De Matteo, Il comandante e la cicognaPadroni di casa: tre film contemporaneamente nelle sale, una mole di lavoro – immaginiamo – notevole. Ti senti, a modo tuo, un’equilibrista?

«A dire il vero mi dispiace di queste uscite in contemporanea. Questi tre film sono frutto di tanti mesi di lavoro, e vederli sfidarsi, vedere il loro destino giocato nell’arco di un mese o poco più è una sensazione abbastanza desolante. In un certo senso possiamo dire che è il segno evidente di un mercato impazzito, che cerca di tutelare i suoi prodotti cercando di venderli nel minor tempo possibile rispetto ad altri produzioni promosse in contemporanea. Io continuo a considerare i film a cui partecipo tutt’altro che prodotti da vendere, ma comprendo che si muovono in un mercato che, però, deve riconsiderare regole, spazi e soprattutto deve imporsi di educare il pubblico a pensare che un film al cinema è diverso d un film visto su un dvx o in televisione.»

 

GIOVENTU’ LIDENSE TIFA ARDITA SAN PAOLO

25 NOVEMBRE 1884 / 2012
128°Anniversario della bonifica del litorale di Roma

Ore 14.00 Stazione Stella Polare (Roma-Lido)

STAGNI DI OSTIA VS. ARDITA SAN PAOLO
https://www.facebook.com/events/300358470074890/?ref=ts&fref=ts
Tifando la squadra baluardo dello sport popolare, festeggiamo i 500 braccianti socialisti e anarchici che rifondarono l’antica porta di Roma. ARDITA SAN PAOLO VINCI PER NOI!

25 NOVEMBRE 1884 – 500 BRACCIANTI RIFONDANO OSTIA

“…al grido di pane e lavoro!” Andrea Costa

Il ricordo della bonifica è ancora vivo nei nomi delle strade (viale dei Romagnoli, piazza dei Ravennati) e nei monumenti dedicati ai padri fondatori della bonifica: Armando Armuzzi, presidente dell’Associazione, e Federico Bazzini – ma soprattutto Andrea Costa e Nullo Baldini, gli ‘apostoli del socialismo’. E rimane vivo negli abitanti di Ostia Antica, figli e nipoti di quei Romagnoli, che spesso ancora ne parlano il dialetto.

Il 24 novembre del 1884 partirono alla volta dell’Agro romano 500 braccianti e 50 donne ravennati che, da lì a poco, diverranno i protagonisti della bonifica di Ostia e Maccarese.

Le direttive contenute nell’accordo di bonifica prevedevano la conclusione dei lavori entro 48 mesi dal loro inizio ma, le numerose difficoltà incontrate nell’esecuzione, fecero slittare la “consegna” di molto: ci sarebbero voluti sette lunghi anni per terminare le opere preventivate.

Come giustamente ricordato da Angelo Celli, quello dei lavoratori ravennati era il primo esempio di emigrazione interna proveniente da un luogo dove non mancavano di certo braccia per il lavoro verso un altro che presentava solo aree paludose e malsane.

L’arrivo dei braccianti romagnoli era il frutto della grave crisi economica degli anni’80 del XIX secolo. La crisi che aveva colpito l’intera penisola, in Romagna era stata particolarmente grave: infatti la grande maggioranza degli introiti dell’economia romagnola provenivano dall’agricoltura.

Venute a conoscenza del loro passaggio, gli abitanti di diverse città accorsero lungo la ferrovia per portare il loro saluto ai lavoratori di Ravenna. Il treno, dopo la sosta a Falconara, arrivò a Fiumicino nella tarda sera del 25 novembre 1884; da lì tutti i lavoratori scesero e, presero alloggio presso il palazzo del conte Benicelli. Il Presidente Armuzzi, l’indomani, comunicò a Ravenna il felice esito del viaggio.

I quasi 500 braccianti romagnoli giunti nelle Campagne romane, si divisero in due squadre di lavoro destinate in due aree di bonifica distinte: ad Ostia andarono 220 lavoratori, mentre a Fiumicino 242.

L’atmosfera quasi festosa che aveva contraddistinto il viaggio da Ravenna a Roma si spense appena i lavoratori videro la desolante plaga che li aspettava. Lo sconforto fu subito enorme e le belle canzoni cantate durante il viaggio sembrarono subito un ricordo lontanissimo quasi remoto.

Poco dopo la tristezza e lo sconforto mutarono in rabbia e, appena giunsero i dirigenti della Cooperativa, i braccianti iniziarono a protestare con tutte le loro forze denunciando la terribile condizione di quelle terre che, a loro giudizio, avrebbero causato solo morte e miseria rendendo vano ogni tentativo di bonifica. Ad alzare ulteriormente la tensione ci si mise anche un guardiano del posto che, con fare quasi ironico, disse ai braccianti che in quelle terre non avrebbe vissuto neanche il demonio.

Di fronte ad una situazione del genere molti sarebbero tornati nella loro terra d’origine preferendo sgomitare per un lavoro anziché averlo tranquillamente ma in condizioni quasi disumane. I braccianti romagnoli, invece, restarono nel litorale romano e dimostrarono tutta la loro tempra e la loro attitudine al sacrificio.

*Tratto da uno scritto di Paolo Paliccia

Ci siamo ripresi ciò che è nostro e abbiamo trovato l’America nel cuore di Trastevere!

Pubblichiamo un appello di appoggio e solidarietà all’occupazione permanente del Cinema America di Trastevere, lanciata dall’Assemblea Giovani al Centro e dai residenti del rione domenica 18 novembre, durante l’assemblea conclusiva di Ri_Pubblica.
 
Il Cinema America è stato per anni lasciato all’incuria di una gestione privata il cui unico interesse è stato quello di far approvare un progetto di abbattimento per costruire una palazzina fatta di appartamenti e parcheggi interrati.
 
Con anni di mobilitazione gli abitanti di Trastevere hanno ottenuto la bocciatura di un primo progetto che prevedeva 36 mini-appartamenti. Ma la minaccia di abbattimento non è scomparsa: è stato presentato un nuovo progetto, al momento bloccato, che prevede di fare 20 abitazioni e due piani di parcheggio.
 
L’occupazione di domenica ha lanciato una settimana di “work in progress”, fatta di assemblee e incontri pubblici, destinati a organizzare una programmazione a lungo termine che risponda alle esigenze culturali, sociali e politiche degli abitanti del rione XIII e degli studenti di zona.
 
Il Cinema America diventerà un polo multifunzionale, un laboratorio di esperienze di attivazione culturale, politica e sociale per studenti, residenti e chiunque vorrà partecipare al progetto.
 
In vista di questi obiettivi,  contro la minaccia di abbattimento della storica sala trasteverina, supportiamo l’occupazione a tempo indeterminato del Cinema America, rilanciando l’assemblea pubblica di domenica 25 novembre alle 19:00.
 
Con il Cinema America Occupato, contro le speculazioni sulla cultura e sul territorio!
 
 
Per inviare adesioni lasciare un commento o inviare una mail ad assembleagiovanialcentro@gmail.com

 

 

Giovani al centro, per riprendersi il futuro!

La campagna “Roma Abbandonata” nasce all’interno del progetto dell’Assemblea Giovani al Centro, un’assemblea permanente che riunisce gli studenti e i giovani che vivono e frequentano la zona del centro storico di Roma.
In questo anno di attività abbiamo portato avanti lotte per la riappropriazione degli spazi pubblici, per il riutilizzo degli edifici abbandonati, per la lotta al “quartiere-vetrina” e alla mercificazione del territorio.
Inoltre ci siamo concentrati molto sul ruolo dei giovani in questa zona di Roma, denunciando come fossero del tutto assenti luoghi di socialità, discussione e organizzazione per i giovani e soprattutto gli studenti che la frequentano.

Sul tema degli spazi abbandonati, ecco la nostra ultima ambiziosa iniziativa: una mappa che raccolga ogni edificio dimenticato dalla città e dalle amministrazioni.
E’ così che proseguiamo la nostra campagna di rivendicazione degli spazi abbandonati e inutilizzati sottratti ai quartieri, su cui si scatenano speculazioni e tentativi di lucro.

Noi dell’Assemblea Giovani al Centro agiamo principalmente sul I municipio di Roma, e perciò abbiamo dato inizio a questo progetto presentando le informazioni che abbiamo raccolto nel tempo sui luoghi abbandonati al centro della città: l’invito alle altre realtà e ai singoli è quello di aiutarci nel censimento per gli altri quartieri, inviandoci indirizzi, foto e informazioni ad assembleagiovanialcentro@gmail.com.

Per consultare la mappa:
http://romabbandonata.blogspot.it/

Per seguirci su facebook:
https://www.facebook.com/giovanialcentro

Ci Scusiamo Per Il Disagio!

Lo scorso fine settimana si è svolto, ad Acrobax, un festival che ha unito diverse espressioni artistiche. Installazioni, perfomance di danza, visual e musica elettronica hanno caratterizzato la terza edizione di “Provocazioni”, festival indipendente organizzato dal progetto Cromedrop. 7.000 persone in due giorni hanno potuto accedere ad un evento culturale poliedrico con un costo popolare, potendo usufruire di una ricca produzione culturale.

Nell’organizzazione di questa 2 giorni abbiamo avuto, purtroppo, una mancanza di attenzione tecnica per la gestione di uno dei 3 sound che suonavano; nello specifico venerdì notte. Il risultato è stato un volume troppo alto che sappiamo ha infastidito parecchie persone nel territorio. Di questo non possiamo che scusarci e assicurare che cerchiamo e cercheremo, sempre, di porre attenzione a questi aspetti. Tanto è vero che il sabato, la seconda giornata, è stato effettuato un intervento tecnico e di conseguenza, il suono non è stato più invasivo.

Scriviamo queste righe non perché dobbiamo convincere qualcuno o passare per bravi ragazzi. Sappiamo che, chi ha in testa preconcetti sulla nostra esperienza, difficilmente verrà convinto con poche righe. Quello che ci interessa è, invece, parlare a un territorio che ha imparato a conoscere la nostra esperienza, le nostre lotte e la nostra chiarezza. A loro vogliamo dire che noi non siamo un “divertimentificio”, che la nostra proposta culturale passa dalla musica al teatro, ha costruito negli anni un’importante attività sportiva, dal rugby alla palestra popolare fino al campo da basket. E molto altro passa negli spazi dell’ex-cinodrmo occupato, qualche centinaio di persone lo frequenta quotidianamente e lo fa vivere . Vogliamo ribadire che Acrobax è un’esperienza che ha liberato e restituito un pezzo di città, per tutti/e. Negli anni non abbiamo mai abbandonato la lotta contro la precarietà e la miseria sociale che produce. Non ci siamo mai sottratti e ci abbiamo sempre messo la faccia. Lo facciamo anche in questo caso.

LA NOSTRA ASSEMBLEA è IL MARTEDI’ ALLE 21.

CHI VOLESSE è INVITATO A CONFRONTARSI.

Assemblea pubblica della Popolare – Palestra indipendente

Stiamo entrando nel terzo anno di attività della palestra indipendente La Popolare, un esperimento di organizzazione e condivisione della pratica sportiva, un quotidiano esercizio di riappropriazione di spazio e tempo dedicato alla cura di se stess* e alla sperimentazione collettiva di autogestione.

In questi due anni il lavoro svolto è stato enorme: l’avvio dei corsi all’interno della struttura dell’ex cinodromo, la costruzione di reti cittadine di sport alternativo e popolare, relazioni e incontri con realtà nazionali e internazionali che fanno dell’attività sportiva una pratica politica, come anche i primi piccoli traguardi agonistici raggiunti grazie agli e alle atlet* che hanno portato nei tornei i colori de La Popolare, o i tanti stages che abbiamo ospitato, aumentando il nostro bagaglio di conoscenze.

In questi due anni il progetto si è arricchito della relazione quotidiana tra istruttori, atlet* e attivisti del collettivo e del Laboratorio Acrobax, contribuendo alla realizzazione di un’esperienza che sentiamo sempre più radicata nel nostro territorio. Dagli allenamenti alle iniziative di piazza, dalla sperimentazione di una nuova socialità alla rivendicazione di un modo di intendere la pratica sportiva promuovendo inclusività, rispetto, lavorando per una crescita collettiva e ponendosi in maniera antagonista verso il principio del profitto che inquina il mondo dello sport.

Con la prospettiva di far crescere il progetto della palestra come pratica alternativa di forme di organizzazione e relazione, sentiamo sempre più forte l’esigenza di condividere quanti più aspetti di questo nostro fare comune: dalla ricchezza del dibattito intorno allo sport popolare, ai piccoli sforzi necessari per rendere lo spazio sempre più vivo e accessibile.

Pensare ad una  pratica dello sport in forma autogestita, affermando la propria indipendenza politica ed economica da istituzioni, partiti, sindacati e da piccoli o grandi gruppi d interesse privato e’ cosa assai complessa e difficile;  soprattutto in una fase come quella che stiamo vivendo in cui le  politiche della paura e dell’ austerity, rafforzando lo strapotere delle banche, promuovono un progetto neoliberista che si riconosce in disvalori come  individualismo e  profitto. Come esperienza che nasce e si riconosce come espressione di movimenti sociali indipendenti e radicati in basso a sinistra, crediamo sia importante riannodare insieme etica e politica attraverso pratiche sperimentali, orizzontali e condivise, e che lo sport sia un’ottima opportunità  per farlo.

Abbiamo aperto una riflessione sulle possibili forme di “associazionismo popolare” di cui una realtà’ come la nostra  potrebbe dotarsi ed essere promotrice, anche attraverso incontri con realtà come il Babelsberg di Potsdam e il St. Pauli di Amburgo. L’  espressione “azionariato popolare”,  più diffusa in ambito sportivo, non ci convince poichè la riteniamo quantomeno ambigua su un punto decisivo: l’anticapitalismo; questo è  per noi un valore etico e politico discriminante. Crediamo che lo sport sia un campo nel quale poter sperimentare forme di cooperazione e autorganizzazione anche inedite, radicate nella proprie storie e con prospettive tutte da tessere. La Popolare è  un’occasione per testare la nostra immaginazione sperimentale e il nostro pensiero critico nel tentarci in tale direzione.

Anche per questo apriremo questa nuova stagione sportiva con un’assemblea allargata a quanti sentono proprio questo progetto e condividono la volontà di portare avanti attraverso lo sport una pratica di liberazione.

 

Invitiamo istruttori, atlet*, amatori e amatrici

Domenica 7 Ottobre  alle ore 17:30, presso il LOA Acrobax a partecipare ed animare
la discussione.

http://lapopolare.noblogs.org/post/2012/09/15/stiamo-entrando-nel-terzo-anno-di-attivita-della-palestra-indipendente-la-popolare/

 

Scuola Estiva UniNomade: Conricerca e biocapitalismo

 

 

 

Presentiamo a Roma la summer school di uninomade scegliendo l’università come terreno sociale di cooperazione e di confronto anche a partire dalla centralità che incarna nelle trasformazioni della
metropoli, nei suoi flussi produttivi, all’interno del suo continuo e
dinamico processo di valorizzazione. Uninomade rappresenta oggi un
prezioso spazio di elaborazione teorica e politica dove i movimenti
possono trovare le sintonie giuste per tracciare nel lingiaggio comune
anche un possibile spazio di riflessione politica e ed elaborazione
teorica comune: una sorgente alla quale abbeverarsi e contaminarsi, un
necessario contributo alla soggettivazione politica dei movimenti.
Per questo invitiamo tutte e tutti a partecipare all’incontro che si
terrà a Sociologia lun 3 h 17:00

Il Collettivo UniNomade propone per settembre una ‘scuola estiva’ a Passignano sul Trasimeno in Umbria. Per registrarsi e richiedere ulteriori informazioni scrivere a: summerschool@uninomade.org. I materiali preparatori si trovano su questa pagina (continuamente aggiornata). Per le soluzioni di alloggio consultare questa pagina.

 

 

UniNomade Summer School
Conricerca e Biocapitalismo
6-9 Settembre 2012

Auditorium Urbani, Via Europa [mappa]
Passignano sul Trasimeno, 06065 Perugia

 

Viviamo oggi in una fase segnata da continuità e discontinuità: la crisi si approfondisce e assume il profilo di condizione permanente del capitalismo contemporaneo, anche se a ciò non corrisponde in modo meccanico e sincronico il “ricomporsi” dei processi di conflitto. E tuttavia, quasi quotidianamente assistiamo al moltiplicarsi – dalle fabbriche alla metropoli, in Italia e in giro per il mondo – di movimenti e lotte che ci parlano del concreto rovesciamento della crisi in uno spazio di possibilità.

É in questo passaggio storico che il Collettivo Uninomade 2.0 propone quattro giorni di confronto e approfondimento sulla costituzione ‘biopolitica’ del presente e sulle modalità di attivazione di processi di conricerca. Indagare la produzione di soggettività e la potenza costituente dentro la nuova composizione del lavoro vivo, le forme di lotta e le temporalità differenziate, i luoghi e le dinamiche di connessione: ecco la sfida che collettivamente  abbiamo di fronte.

Vogliamo esercitare una critica dell’economia politica all’altezza del presente, cogliere le relazioni tra rendita finanziaria e potere sulle vite, sviluppare pratiche biopolitiche capaci di aprire nuovi spazi di cooperazione tra singolarità, trasformare in antagonismo il conflitto messo a valore dal capitale — e sperimentare, dunque nella crisi, processi costituenti per la riappropriazione del comune.

La “scuola estiva” di UniNomade vuole perciò essere un momento di confronto e discussione tra esperienze, uno spazio di elaborazione di linguaggi comuni, di condivisione di metodi e processi di conricerca. Si propone di contribuire, innanzitutto, alla creazione collettiva di una maniera di vivere la politica dentro la crisi, cioè di uno stile di militanza. Invitiamo perciò alla partecipazione compagni e compagne, collettivi, gruppi di inchiesta, reti, tutte e tutti coloro che sono impegnati nelle lotte e nella costruzione di un pensiero e una pratica all’altezza della trasformazione dell’esistente.

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Programma provvisorio

6 settembre

  • 17:00-19:00.  Toni Negri: Biocapitalismo e costituzione politica del presente

7 settembre 
Critica marxiana dell’economia politica e suoi sviluppi in epoca di biocapitalismo cognitivo

  • 09:00-13:00. Adelino Zanini, Toni Negri, Carlo Vercellone, Matteo Pasquinelli.
  • 15:30-19:30. Confronto tra percorsi di conricerca realizzati o da attivare sui processi di valorizzazione nel biocapitalismo: coordinano Gigi Roggero e Salvatore Cominu.

8 settembre
Rendita e biopotere: socializzazione del reddito e rifiuto del debito

  • 09:00-13:00. Christian Marazzi, Stefano Lucarelli, Maurizio Lazzarato.
  • 15:30-19:30. Confronto tra percorsi di conricerca realizzati o da attivare relativi ai processi di socializzazione del reddito e di rifiuto del debito: coordinano Andrea Fumagalli e Sandro Chignola.

9 settembre
Biopolitica: la fabbrica della strategia ai tempi delle moltitudini

  • 09:00-13:00. Cristina Morini, Tiziana Terranova, Toni Negri, Giso Amendola.
  • 15:30-19:30. Confronto tra percorsi di conricerca su corpi, queer e (ri)produzione: coordinano Anna Curcio e/o Roberta Pompili.

http://uninomade.org/uninomade-estiva-2012/

 

Intervista ad Hanno Balz, professore di Storia contemporanea presso la Leuphana Universität Lüneburg (Germania)

Nel tuo lavoro sui movimenti sociali e culturali negli anni 80 ti concentri sulla diffusione di prospettive individualiste. Come si concilia questa tendenza con il cambiamento dei modelli di produzione, la frammentazione della classe operaia e la progressiva soppressione dei sistemi di welfare?

Prima di tutto dobbiamo distinguere: il più grande arretramento del regime neoliberale ha avuto luogo nel Regno Unito della Tatcher e nell’america di Reagan. In Germania, per esempio, il sistema di sicurezza sociale è rimasto relativamente intatto durante gli anni ’80, – qui l’agenda neoliberale è riuscita ad imporsi negli anni ’90. La ragione per questo è che, ad un meta-livello, la competizione tra Germania Est e Ovest imponeva al governo di Kohl di difendere un certo standard di sistema di welfare sociale e una classe relativamente privilegiata di lavoratori qualificati con lavori sicuri.

La diffusione della nozione di un primato dell’individuo dai tardi anni ’70 in poi ha espresso una cultura del soggetto post-moderno e certamente è stato un prodotto dei cambiamenti della società durante la crisi degli anni ’70. Non solo la Sinistra si è concentrata sempre di più sul personale ma anche la reazione politica che avrebbe trionfato alla soglia degli anni ’80 ci si riferiva sempre di più.

Margaret Thatcher, per esempio, ha ripetutamente asserito il primato dell’individuo e nella sua campagna, come fece Reagan subito dopo, ha usato un vocabolario che deve essere suonato familiare ai membri delle sub-culture: ora, autorealizzazione, libertà, fantasia e soprattutto avventura e rischio erano i concetti chiave della loro versione di un capitalismo indomito che divenne noto come neoliberismo.

La Tatcher espresse il credo della sua politica nel 1987: “Penso che abbiamo attraversato un periodo in cui troppe persone hanno creduto che se loro hanno un problema, è compito del governo risolverlo. ‘Ho un problema, prenderò un sussidio’, ‘Sono senza casa, il governo me ne deve dare una’. Loro stanno spostando il loro problema sulla società. E la società non esiste. Ci sono uomini e donne individuali, e ci sono le famiglie. E nessun governo può fare niente se non attraverso le persone, e le persone devono prima guardare se stesse

La parola chiave qui è “auto-determinazione”. Come un’ideologia post-materialista è stata adottata per la flessibilizzazione dell’accumulazione capitalista è stato mostrato dai lavori di Boltanksi e Chiapello, soprattutto nel loro libro: “Il nuovo spirito del capitalismo”. Questa flessibilizzazione nel luogo di lavoro (gruppi, gerarchie livellate, outsourcing) consisteva in una maggiore insicurezza e, in ultimo, a un maggiore sfruttamento del lavoro umano, mentre prometteva maggiore autonomia e autodeterminazione. Questo è ciò che Michel Foucault esaminò nei suoi lavori sulla governamentalità e chiamò “Tecnologie del sé”. Alla fine ci si sente meglio ad essere responsabili per il proprio sfruttamento che sentire la frusta del padrone sulla schiena. Questo è il capitalismo 2.0.

Il fascino verso la responsabilità individuale da allora è accompagnato da politiche di crescente pressione sociale nella forma di un sistema di welfare mutilato, alti tassi di disoccupazione, maggiore carico di lavoro. Non sorprende che in questo periodo la discussione su una “società del rischio” (Ulrich Beck), rispetto ai rischi individuali (sociali) che dovevi accettare, ha guadagnato importanza.

Certamente il collasso del socialismo Est-europeo si è aggiunto al processo che è evoluto attraverso gli anni ’80 ma è giunto a pieno compimento solo quando un tipo differente di società è scomparso dalle cartine geografiche.

Guardando al 2001 (G8 di Genova, la repressione brutale e l’inizio della politica della guerra al terrore), è possibile considerare questo evento come una sorta di pietra miliare per i movimenti sociali? In che maniera ha determinato una qualche sorta di discontinuità per la cultura politica autonoma dei due decenni precedenti?

Tra la “Battaglia di Seattle” 1999 e le dimostrazioni anti-G8 a Genova la sinistra transnazionale sembrava essere forte e crescente. Ma è ovvio che dopo il 2001 c’è stato un certo declino nelle capacità di mobilitazione di una sinistra radicale. Penso, che questo non ha necessariamente a che fare con la repressione, ma con il fatto che con la guerra in Iraq è sorto un grande movimento per la pace di carattere liberale. Come si può osservare in altri tempi, un movimento così vasto ha spesso l’effetto di emarginare le voci e i movimenti più radicali. Questo, ad esempio, è stato il caso durante il grande movimento per la pace nei primi anni ’80 in cui il movimento autonomo inizialmente è stato una parte importante ma poi è stato messo da parte dal movimento tradizionale tramite la negazione di solidarietà.

Inoltre ci sono stati cambiamenti interni nei movimenti, essendo spesso autocritici verso la scena e la sua storia, per esempio quando si tratta di relazioni di genere e di attitudini chauviniste. Forse in questo troviamo anche un cambio generazionale nei movimenti, con il vecchio attivista che lascia le nuove modalità della politica alle spalle.

La recente crisi economica è stata accompagnata da un’esplosione di dissenso in tutto il mondo: sembra che la scelta della “sottrazione” (“drop out”) stia venendo sostituita da rivendicazioni collettive di carattere sociale e politico. Che opinione ti sei fatto?

Tutto sommato, oggi sembra essere più duro “sottrarsi”, perchè il sistema di welfare, come “rete di salvataggio”, non è lo stesso degli anni ’80 e’ 70 per molte parti d’Europa. D’altra parte, il concetto di sottrazione si è trasformato se guardiamo alla scena techno (specialmente a Berlino).

Le droghe sono cambiate, ma c’è sempre una tendenza alla rinuncia in questa scena. Se parli con gli attivisti più anziani, spesso esprimono l’incapacità di comprendere la voglia che hanno le giovani generazioni di studiare, tendere ad una carriera accademica o cose simili.

In generale, una attitudine anti-sistemica degli attivisti è più difficile da trovare rispetto a 20 o 30 anni fa. Ciò è evidente se guardi alla generale ricerca di consenso del movimento “blockupy”, ad esempio, che potrebbe essere all’origine di una mancanza di analisi radicale in questo movimento. La storia mostra che i tempi di crisi di solito non conducono ad una crescente radicalizzazione piuttosto ad una svolta conservatrice nella società, espressione di incertezza o anche di paura. E’ ancora più chiaro se guardiamo alla Germania o alla Grecia.

I movimenti sociali devono confrontarsi con nuovi modelli politici e sociali. Nell’agenda politica dei movimenti è tornata centrale la prospettiva del futuro: non è riduttivo guardarla solo dal punto di vista della delega?

Al momento vedo una scarsità di ragionamenti utopici. Se si chiedesse agli attivisti, che parlano di rivoluzione, cosa succederà il primo giorno dopo questa rivoluzione, non si avrebbero molte risposte. D’altro lato ci sono stati modelli elaborati di politiche riformiste, come per la Tobin-tax e iniziative sulle politiche globali. Qui ci troviamo davanti ad una tendenza realista/riformista che rispecchia una cultura politica degli “esperti”. Abbiamo idea della società nella quale vogliamo vivere e come raggiungere questo obiettivo in un mondo globalizzato, complesso e altamente industrializzato?

I movimenti si sono sempre confrontati con un approccio duplice alla sua storia: prima cosa, nella dinamica a cambiare il movimento ed emanciparlo dal proprio passato, c’è una tendenza al “disapprendimento”, come possiamo vedere nella scena punk degli anni 70 e più tardi in quella “autonoma” (in senso tedesco, ndt). Dall’altra un movimento deve studiare le proprie origini e vecchie analisi per non fare gli stessi errori di 20 anni prima. Tra questi due aspetti dovrebbe manifestarsi un nuovo movimento.

In linea generale i movimento dovrebbero chiedersi: che impatto hanno le azioni, siamo in grado di disturbare l’ordine egemonico prevalente? Siamo in grado di persuadere porzioni sempre più ampie di popolazione o desideriamo essere un blocco nell’ingranaggio? Come possiamo evitare di essere sussunti?

Una lezione che è stata appresa negli ultimi 40 anni di movimento è che il capitalismo non è come immaginato dalla vecchia sinistra ortodossa, un colosso dai piedi d’argilla che basta spingere per farlo collassare in 100 pezzi. Per la capacità del capitalismo di assorbire o modificare una certa ampiezza della critica (come dopo il “1968”) dovremmo piuttosto parlare di colosso dai piedi di gomma (o anche di schiuma)-puoi spingerlo, ma assorbe la pressione…

Tenendo questo in conto, i movimenti odierni possono imparare (o disimparare) molto.

NO IMU – NO BANCHE

Oggi sono scesi in piazza i movimenti di lotta x la casa di Roma, bloccando ripetutamente la strada, in prima fila il Coordinamento cittadino di lotta x la casa e la cooperativa inventare l’abitare, prima soluzione nella città di Roma per l’innovativo progetto di autorecupero, i cui cantieri sono fermi tra rimpalli continui tra l’amministrazione comunale e la Bcc, banca coinvolta dai mutui concordati nel progetto di autorecupero strappato con anni di lotte. E’ stato ottenuto un primo incontro nel quale i movimenti hanno esposto le loro ragioni, per lo sblocco immediato dei progetti di autorecupero, contro l’emergenza abitativa ma anche contro l’IMU per il blocco degli sfratti e per un piano nazionale di edilizia residenziale pubblica. In corteo poi i movimenti si uniti al presidio dell’inquilinato e ad altri movimenti per l’abitare.

Questo il volantino distribuito oggi:

Lunedì 18 Giugno dalle ore 12
Protestiamo davanti alla sede dell’ABI in piazza del Gesù 49

Ancora una volta, come movimenti per il diritto all’abitare e realtà autorganizzate della città, abbiamo deciso di scendere in piazza e di dare vita ad una nuova giornata di mobilitazione. Abbiamo scelto il giorno 18 giugno non a caso: dopo le già innumerevoli stangate fino al’aumento del biglietto ATAC ad 1 euro e 50, in questa giornata milioni di persone che hanno acquistato una casa in assenza di qualsiasi alternativa, saranno costretti a pagare con l’IMU, l’ennesimo balzello imposto da una crisi dei mercati finanziari che si sta scaricando interamente sulle spalle di lavoratori e pensionati, producendo una valanga di precarietà e disoccupazione. 
Dal pagamento dell’IMU saranno esentati ancora una volta i poteri forti, le Fondazioni (in testa quelle bancarie), il patrimonio invenduto dei palazzinari (per tre anni) che continuano a speculare su un bisogno primario come quello della casa e a devastare il territorio, il Vaticano (proprietario del 30 per cento del patrimonio immobiliare in Italia) che nonostante i “solenni” impegni pubblici continua a non pagare un Euro.
Il governo Monti che ha sostituito il cialtronesco governo Berlusconi, ha tentato di illudere, dietro una facciata di efficientismo, gli italiani. Il risultato è la totale svendita del patrimonio pubblico, l’aumento delle tasse e delle tariffe, della disoccupazione soprattutto giovanile, del ricorso agli ammortizzatori sociali (finchè verranno contemplati e comunque insufficienti), la caduta della produzione, la creazione di un nuovo soggetto emarginato (gli oltre 300 mila esodati)… e già stanno preparando nuovi provvedimenti che colpiranno una realtà sociale ormai stremata da anni di sacrifici che presto si troverà, probabilmente, di nuovo a pagare per “salvare” le banche.
In questa giornata vogliamo ribadire la necessità di costruire un fronte comune che si opponga allo stato di cose presenti, affinchè il nostro grido di protesta sommerga chi ci vorrebbe schiavi obbedienti agli ordini dei poteri forti e della grande finanza. Vogliamo farlo a partire dalla nostra città, da una Roma già messa in ginocchio dai privilegi e dall’incompetenza, dai tagli e dalle privatizzazioni, dagli aumenti delle tariffe e dalle cementificazioni di Alemanno e della sua banda. 
 
NOI NON CI STIAMO
 
Lunedì 18 Giugno torniamo, quindi a prendere parola nella città contro l’aumento del biglietto del Trasporto Pubblico Locale e le logiche privatistiche e di privatizzazione che stanno mettendo in ginocchio questo servizio pubblico essenziale. Produrremo iniziative diffuse nei nostri quartieri. Metteremo in campo di fronte alla sede dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana), una iniziativa di protesta contro lo strapotere delle banche e della finanza sulle nostre vite. All’ABI siamo stati circa due mesi fa per rivendicare che venissero sbloccati i progetti di autorecupero abitativo fermi oramai da troppo tempo.  Nonostante le tante promesse sia dei funzionari dell’ABI che del gabinetto del sindaco di Roma nulla è accaduto. Evidentemente si vuole fermare perché fa paura, un percorso che porta che porta centinaia di persone e nuclei familiari a presidiare stabili abbandonati, a sottrarli alla vendita e a recuperarli producendo alloggi sociali a 200 o 300 euro al mese e spazi pubblici a disposizione dei nostri quartieri. Ma noi non molliamo..stiamo per tornare!
 
Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa
Cooperativa “Inventare l’Abitare”
Comitato Romano per le Autoriduzioni