Trast Invaders* l’invasione della metropoli è appena cominciata

CONTRO LA CRISI INVADIAMO TRASTEVERE

La notte del 2 Giugno più di 1000 trast invaders hanno invaso il quartiere di trastevere. Partiti da piazza san calisto ci siamo diretti verso piazza santa maria in trastevere, dove degli artisti di strada si sono esibiti in una performance artistica per protestare contro l’ordinanza di alemanno che limita e reprime la possibilità di espressione e produzione culturale. Abbiamo continuato il percorso per il quartiere oscurando le telecamere per liberare il rione dalle asfissianti dinamiche di controllo. Continuando ad invadere trastevere siamo arrivati a piazza trilussa, simbolo del tentativo di militarizzazione del territorio. Continuando a girare per le vie del quartiere abbiamo sanzionato della banche chiudendo simbolicamente le loro porte con del silicone e riaperto simbolicamente il CINEMA AMERICA, uno spazio abbandonato da oltre dieci anni. Questo luogo è stato sottratto al quartiere, un’importante occasione di produzione e diffusione culturale è in totale stato d’abbandono e forse verrà completamente distrutto per far spazio ad appartamenti o ad un centro commerciale. Oggi l’invasione è appena cominciata, nei prossimi mesi invaderemo tutta la città, occuperemo case, studentati, spazi di aggregazione e produzione culturale, ci rivedremo nelle piazze e nelle strade, nelle scuole e facoltà. Dobbiamo riappropriarci di pezzi di libertà, per inceppare il meccanismo di sfruttamento sulle nostre vite. Non vogliamo più essere soggetti al ricatto di un lavoro da sfruttato a vita e per la vita. Vogliamo strappare spazi per costruire nuove esperienze comunitarie. Riprenderci il tempo che ci stanno rubando, per non regalare il nostro valore alla loro sete di profitto.

Dobbiamo prenderci tutto:

il loro predicare austerità è la nostra dichiarazione d’indipendenza.

L’invasione della metropoli è appena cominciata.

25/26/27 Maggio | I. MUSIC FESTIVAL

i.music
indipendent festival
#reclaim the groove

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Il 25/26/27 Maggio si svolgerà a Roma, all’interno dell’ex-cinodromo occupato, i.music festival.
Un festival di musica dal vivo, con performance suonate, immaginato come strumento e veicolo di cultura indipendente.

Saranno tre giornate ognuna con un suo colore musicale ma che sono intrinsecamente legate dalla ricerca del suono, dall’indipendenza di artisti, musica e contenuti.
Un’unico discorso che si svilupperà lungo tutto il fine settimana e che proporremo a tutta la metropoli romana e non solo.

Perchè la musica è per molti di noi una passione, per tutti/e un linguaggio e uno strumento politico.
Perchè vogliamo una presa di parola per affermare la nostra proposta politica nell’organizzazione dal basso.
Per dimostrare quale capicità ci sia nella nostra ricchezza sociale.
Perchè, fondamentalmente, non è l’unione di capitali e di star system per costurire una offerta commerciale ma la riappriazione e la produzione di cultura indipendente, di alterità e di conflitto.

Questa la scaletta
Venerdì 25 (ingresso 10€)
Into the groove

* Citizen kane (ITA)
* Rancore (ITA)
* Low frequency (ITA)
* Crome hoof (UK/USA)
* Asian Dub Foundation (UK)

Sabato 26 (ingresso 10€)
Let’s groove

* Monkey ceers (ITA)
* The singers ( ITA)
* Mombu ( ITA)
* Dub Inc. (FRA)
* Ojos de brujo (SPA)

Domenica 27 (ingresso gratuito)
Power groove

* Bonnot & M1
* Justacase
* Rico e Rocco Hunt
* ill nano
* SignorK

Lo specchio elettorale infranto e la torsione autoritaria dello Stato…

Ma l’amor mio non muore…

In questi giorni accadono cose che incidono sulla percezione collettiva della fase. Prendere parola è oggi la condizione necessaria per chi vuole continuare a riconoscersi dentro un movimento che non si lasci cucire il vestitino addosso da altri, che siano apparati e servizi dello Stato o nuovi spontaneisti armati.
L’Italia è più che mai in Europa, nel senso che oggi ne condivide pienamente la crisi, a partire da quella della rappresentanza politica. Anche in Italia, con le specifiche peculiarità, è posta terribilmente in discussione qualsiasi capacità di cattura del consenso nella macchina della politica rappresentativa ossia nella gestione del piano di comando che va sotto il nome di austerity. Questo non vuol dire che l’azione del governo tecnocratico-finanziario ne sarà indebolita: significa anzi – e si vede già – che si farà più arcigna perché più scopertamente senza mediazioni. Ma questo significa anche molte cose sul terreno della percezione sociale.
Tant’è che nessuno tra gli osservatori e opinionisti in voga scommette su un “rientro” del fenomeno del grillismo né può negare il carattere tendenziale e costante della crescita dell’astensione, accanto all’evidenza che viene punito chi è visto insieme come figura del sistema partitico e nel contempo corresponsabile dell’austerity (in particolare chi ha formalmente dovuto passare le consegne a Monti), tanto quanto è premiato chi a quel sistema si contrappone e dall’austerity anche solo formalmente si smarca. Certo questa fotografia, per non essere equivocata e per intenderne anche le potenzialità rischiose, va sovrapposta a quella del livello minimo raggiunto dal conflitto sociale come movimento reale: altrettanto certo è che c’è una percezione diffusa che vede la pace sociale come imposta e subita, per quanto ancora non se ne agisca un ribaltamento o meglio non si producano e non si incontrino dispositivi adeguati ad agirlo generalmente.
Ma questo è il punto di limite da affrontare senza facili scorciatoie.
Il risultato delle presidenziali in Francia era atteso. La novità però è determinata dalla simultanea circostanza delle elezioni politiche in Grecia. Qui dove di fronte alla débacle dei due tradizionali poli del consenso, ci troviamo a notare da una parte, è vero, l’obiettivo successo di Syriza, ma anche l’aprirsi di uno scenario da vera e propria Weimar post moderna: percentuali balcanizzate, minacce di rottura della zona euro, e, impossibile non vederlo, 21 parlamentari assegnati ad una organizzazione, Chrisi Avgi, letteralmente neonazista, che al contrario dei movimenti europei dell’ultimo ventennio non media con la propria identità, anzi la esalta. Siamo di fronte ad una novità e allo stesso tempo prossimi all’imponderabile: ulteriori limitazioni della sovranità nazionale o l’inizio di una spirale di conflitto tra poteri costituiti? Autonomie sociali dispiegate o pulsioni autoritarie  in un contesto dove oltre il 50% dei funzionari di polizia sembra che abbia dato il proprio voto ai neonazisti?
Il risultato elettorale in Grecia non solo induce la fibrillazione dei mercati ma soprattutto produce una totale revisione delle prospettive di governance della crisi e nella crisi dell’eurozona. Il piano B, specialmente tedesco, cioè la rottura dell’unità monetaria è ormai alle porte non come eventualità ultima ma come possibile necessità urgente. La caratteristica fondamentale del risultato greco viene non a caso taciuta nel dibattito italiota: essa risiede non solo e non tanto nella nettezza di quella fotografia di rigetto della cattura del consenso fra le burocrazie politiche serve della Troijka, bensì nel fatto che la moltitudine ha spazzato via ogni possibilità di “soluzione politica”, ad un tempo con l’astensione di massa e con l’aver premiato ogni forza vincolata alla promessa di non fare compromessi con il memorandum imposto da BCE-UE- FMI, non casualmente con l’enorme prevalenza dell’unica formazione capace di farsi tollerare nelle piazze del movimento di rivolta sociale ossia SYRIZA. Alla faccia di chi predicava sulle “rovine fumanti” dello scenario greco per assumerle a stigma negativo rispetto al quale agitare le magnifiche sorti e progressive di una “alternativa”.
Questo risultato greco – che riflette proprio i 3 anni di rivolta sociale – è quello che fa saltare i conti degli osti dell’austerity in Europa e ne rimette in discussione l’architettura di potere per il prossimo futuro. Non sarebbe (stato) possibile se non, come (è stato) riflesso d’un esodo diffuso dall’opzione della governance che, tra i rigori della disperazione sociale, ha stabilito già un flusso di pratiche alternative in termini di resistenza materiale e di autorganizzazione sin sul piano economico. Questa lezione è quella, sola, che dovrebbe interpellare chi abbia un vero assillo sull’alternativa al capitale e alla sua crisi, e non ne faccia invece una parodia opportunista.
Ma qui siamo in Italia, bruscamente risvegliati dall’incantesimo berlusconiano e precipitati nella più profonda crisi politica ed economica dal dopoguerra, senza neanche uno scudocrociato o una falce e martello a cui aggrapparsi. Lo spauracchio necessario, altro che il coraggio cui si appella Monti, a far da collante per continuare a sottoscrivere una sottrazione dietro l’altra, di diritti, di garanzie, di futuro ma sempre con una paternalistica pacca sulla spalla.
Dall’altra parte la FAI informale – Fronte rivoluzionario internazione  che si erge a guida per ogni forma di dissenso, per chiunque voglia seriamente e senza mediazioni produrre uno spazio di conflitto e di superamento delle attuali condizioni di precarizzazione e sfruttamento. Non avremmo sentito l’esigenza di rivolgerci a chi agita queste pratiche cui non riconosciamo neanche la dignità politica che in altri contesti ha la “lotta armata”. Perché con nessuna lotta reale si confrontano, piuttosto preferendo sfruttare la facile visibilità mediatica fine a se stessa di un gesto con lo stesso coraggio e la stessa maturità di quello di bambini che infilzino una rana con gli spilli.
Ma ci sentiamo chiamati in causa in quanto determinatamente ed ostinatamente attivi nella costruzione di conflitto in questa società, come siamo, maledettamente impegnati ad organizzare la rabbia, quella “perdente” s’intende, quotidianamente presi con tanti altri e tante altre a rivendicare quei diritti – vecchi e nuovi poco importa – il cui impianto e ragionamento sostanziale viene oggi messo sotto accusa presso il tribunale anarchico informale perché contribuirebbe, a loro dire, “al rafforzamento della democrazia!”
Questa l’accusa di fondo contenuta nel manifesto/documento degli anarchici Informali che hanno rivendicato la gambizzazione del “tecnocrate” Adinolfi, dirigente di Ansaldo Nucleare, episodio più che noto la cui cronaca giudiziaria si moltiplica e si diffonde con un esercizio di stile orwelliano, in una permanente dittatura mediatica postmoderna in 3d. E’ così che il banale e contemporaneamente complesso sistema dei media mainstream si presta volentieri a far da sponda agli anarco/armati con un’attenzione mediatica ossessiva, quasi paranoica nella costruzione della notizia, nella capacità di farla divenire opinione pubblica, coscienza collettiva.
Un certosino lavoro di costruzione del consenso attraverso la mediatizzazione, come vera e propria mobilitazione sociale per la nuova scelta del capitale nell’accumulo delle sue plusvalenze  e per l’ormai improcrastinabile passaggio da uno Stato che cerca una forma di consenso ad uno che, in crisi di legittimità e di senso, non ha più remore nel mostrare il suo volto antidemocratico e neoautoritario. Nella società delle informazioni e dei segni ambigui dello spettacolo, anarchici informali e Stato autoritario si spalleggiano uno con l’altro con due opzioni che procedono per luce riflessa, uguale e contraria, determinando il rigido quadro politico che ad oggi si deposita di fronte a noi e che molti poteri forti vorrebbero così schiacciato esclusivamente tra due polarizzazioni: l’austerity e i tecnocrati da un lato e la lotta armata dall’altro. E quello che rimane dello specchio elettorale infranto è solo il controllo, l’esercito e l’intelligence. Come rimangono i tanti silenzi sulle morti sul lavoro che quotidianamente si ripetono in questi anni o i suicidi che via via si sommano uno all’altro per colpa della crisi e le politiche di austerity. Una pistola puntata contro un signore particolare vale e azzitisce tutte le pistole puntate contro le tempie dei tanti disperati, precari e precarizzati. Vogliamo politicamente dire la nostra, affermare l’autonomia e l’indipendenza dei movimenti e delle lotte sociali anche da chi pretende di condizionarli usando una pistola idealizzata e feticisticamente coccolata: “azione che si fa idea”, in una retorica più futurista che altro. Come affermato più volte, e non solo da noi, qui non si tratta di dissociarsi o meno perché mai associazione si è data, mai nessuna condivisione con chi svilisce come “cittadiniste” le battaglie sociali e le rivendicazioni che quotidianamente portiamo avanti.
Ed è proprio sul movimento,  in Italia, che vogliamo portare una riflessione, sulla sua inquietante assenza, sul silenzio in cui esplode il colpo sparato a Genova.
Si può dire che niente come il discorso sull’indipendenza sia stato avvalorato in questi tempi, sia nell’oggettività della crisi di sistema sia nell’esperienza più arricchente delle soggettività, quella esibita dalle più innovative traiettorie di movimento nel panorama globale dell’anno di rottura, il 2011.
Esattamente l’esperienza che è stata praticamente quasi assente qui in Italia. Infatti se non fosse stato per l’accumulazione e la potenza della mobilitazione No-Tav con quella determinata e moltitudinaria resistenza sociale che ha saputo dispiegare il protagonismo politico della lotta e dell’opposizione, il nostro paese sarebbe stato completamente assopito nella sua vita quotidiana e risvegliato magari solo con qualche sobbalzo episodicamente determinato, da un 14 dicembre ad un 15 ottobre. E questo è il dato sul quale occorre fondare un discorso di verità. Riaprendo una sfida, anzi la posta d’uno spazio generale di movimento indipendente, che parta anche dallo sconvolgimento di proposte nostrane ripetitive quanto distanti dal vento della rottura che spira globalmente, spalancando le porte a pratiche di esodo dai meccanismi di rappresentanza, che diano forma di discorso, costituente, all’espressione del desiderio compresso di rivolta.Una seria condivisione di quello slogan “non ci rappresenta nessuno” che echeggia da una parte all’altra del globo; possibile che l’unica alternativa, qui, stia in Grillo o sfogatoi vari? Sembra mancare la volontà di confrontarsi, mischiarsi, fare un passo indietro per produrne cento in avanti sul piano dell’alternativa, non solo al governo Monti ma alle scelte di sistema che sono state compiute e si compiranno nel prossimo periodo.
Certo non mancano focolai di dissenso, prese di parola determinate né le ancora scomposte mobilitazioni dentro e a partire da quel sociale tanto bistrattato, costretto a riscoprire i nessi di cooperazione e la capacità di organizzazione nella frammentazione e in un’informalità, questa sì, fuori da ogni logica predeterminata, struttura di rappresentanza o orticello identitario da difendere. Accanto e dentro a questo processo, che si pone già di fatto nella condizione di superare definitivamente la precarietà e lo sfruttamento, vogliamo stare. Perché le lotte contro precarietà e austerity sono oggi le lotte per la libertà e l’autodeterminazione: non un gesto estetico, ma il movimento reale.

Nodo redazionale indipendente

“Dove finisce Roma” incontro con l’autrice

Sabato 5 maggio 2012 ore 18.30

Dopo il corteo in difesa dell’acqua pubblica

Loa Acrobax e circolo ANPI “Renato Biagetti”

Presentano:

 Libere e liberi sempre: raccontare la Resistenza di ieri per costruire quella di oggi!
In occasione della festa di tesseramento del circolo Anpi Renato Biagetti vogliamo ripercorrere la storia che portò alla Liberazione. Vogliamo farlo a partire dalle metafore di un romanzo e dalla storia di vita di una staffetta, dalle note di una canzone e dai resoconti delle strategie di guerriglia partigiana. Un modo per riattualizzare la memoria viva della Resistenza e rendersi protagonisti di nuove lotte, come quelle in difesa dei beni comuni e degli spazi pubblici, spazi in cui si radicano nuove memorie collettive che risignificano quotidianamente la parola libertà! Introduce il circolo Anpi “Renato Biagetti”
Modera il dibattito Tabula rasa, trasmissione di Radio Onda Rossa
 
Intervengo:

Paola Soriga autrice di “Dove finisce Roma”
Marisa Ombra, partigiana e vice presidente nazionale dell’ANPI, autrice di “Libere sempre”, Einaudi stile libero 2012
Cristiano Armati, scrittore e curatore del “Libretto Rosso della Resistenza”, Red Star Press, 2012
Ilenia Rossini, dottoranda di ricerca e autrice di “Riottosi e ribelli. Conflitti sociali e violenza a Roma (1944-1948)”, Carocci 2012
Madri per Roma città aperta

Letture e musiche a cura del Reading Resistente
Con la partecipazione di Tuba libreria delle donne

Giustizialismo e satrapia sono i due volti del comando, solo l’Indipendenza paga!

E’ in corso nel cuore dell’Europa fino alle sponde del Mediterraneo un nuovo processo costituente, che si dispone dal basso come nuda vita, contro la governance neoliberista, nel pieno di una guerra civile asimmetrica, dove le genti in lotta si confrontano contro i carri armati, dall’Egitto alla Grecia, dalla Tunisia all’Inghilterra. Siamo nella transizione di un paradigma, dalla guerra convenzionale tra Stati, alle odierne e asimmetriche guerre civili non convenzionali. Gli eserciti (del neoliberismo) contro i nuovi poveri
(del neoliberismo).

Nella crisi della misura del valore, nella crisi complessiva del processo di valorizzazione, si rompe anche il piano-sequenza
della politica come mediazione. La crisi della rappresentanza relega la governance al ruolo di una nuova poliziewisenschaft, in un progressivo distacco dalla realtà, dalla sua costituzione materiale, dalle leve concrete della precarizzazione. In Italia il parlamento vive da anni prevalentemente in funzione delle sue strategie mirate alla cooptazione e al controllo sociale.
Nel mentre affina le sue mappe per dare corpo all’accelerazione di un processo neo autoritario le cui origini in Italia sono note a tutti.

Però la particolarità del momento che sta attraversando il nostro bel paese, caso politico unico nel laboratorio della crisi e della decadenza globale, vive un passaggio delicato che si apre su un vero campo di forze, su una tensione polare che de facto produce uno scenario di guerra civile, politica e culturale. Lo abbiamo già letto e scritto nel dibattito di questa rivista. Si chiude una fase politica insieme all’apertura ad un nuovo ciclo economico, che ora s’incardina nella grande crisi, in quel
precipuo processo di transizione, dalla centralità dell’industria all’economia della conoscenza. Ma ovviamente l’unicità non sta in sé nella fine di una stagione politica che potremmo definire, berlusconiana. Anzi, per chiudere
questa fase si sta disponendo una preoccupante filosofia dell’emergenza autoritaria, della critica allo stato di eccezione rovesciata di segno e si fa sempre più strada l’ipotesi del paradosso dei paradossi, che sarebbe quello del ripristino dell’equilibrio istituzionale attraverso fondamentalmente un golpe eversivo. Interno ed esterno agli apparati dello Stato. Non è l’idea del defunto ministro K, ma quella di autorevoli esponenti dell’intellighenzia italiana. Il vuoto supposto della forza sociale di un processo costituente
viene riempito con la richiesta dell’ordine per il ripristino dell’ordine, formalmente democratico. I “grandi progetti” di far fuori il Cavaliere con i riti propiziatori di palazzo o con i dispositivi giudiziari a tratti alterni a
quelli morali, sono andati ben oltre le ipotesi più fantasiose che potevamo immaginare. In definitiva per la terza volta la Repubblica Italiana fa ricorso, per supplire alla mediocrità della politica, alla via giudiziaria. Prima, con
lo stato di emergenza e le leggi speciali evocate ed applicate per annichilire la spinta rivoluzionaria nel decennio caldo che è seguito in Italia al maggio francese, poi per disarcionare una classe politica corrotta nello scandalo tangentopoli, ora per reprimere l’asse di potere del Cavaliere divenuto un imbarazzante Nerone che con la sua lira sta lì a cantare le storielle mentre
ormai Roma brucia da anni, dopo averlo peraltro tutelato e protetto per anni nel suo conflitto di interessi. In ogni caso, per scelta, l’opposizione preferisce portare l’acqua con le orecchie agli apparati piuttosto che organizzare non dico la rivolta ma almeno un’opposizione sociale credibile. Quindi si apre un’enorme prateria che nemmeno il sindacato più grande d’Europa pensa di poter
condurre al cambiamento politico. In Italia e nella UE la crisi economica è soprattutto politica e culturale, e non riguarda l’intero sistema globale, riguarda invece precisamente il blocco occidentale e il patto atlantico che lega dalla fine della seconda guerra mondiale, gli interessi degli USA a quelli della Comunità europea (e sì, perché vista da una certa angolatura del pianeta, il sistema capitalistico non è in crisi ovunque. In Cina o in Brasile la cosi detta crescita è infatti a due cifre). Non è la fine del mondo, ma di una parte
del mondo in cui l’Italia è integrata. Le guerre civili e le catastrofi ambientali divengono però le somme del neoliberismo, quello sì globale. Le immagini delle rivolte assumono un contorno sfumato nei confini delle geografie politiche, culturali, finanche antropologiche della nuova modernità. Il vento del sud è un vento di libertà, certo, contro la tirannide della classe politica
corrotta e venduta al mercato. Ma le differenze dei diversi orizzonti dei conflitti oggi non ci permettono riduzioni semplicistiche e banali. Dalle rivolte nel cuore dell’Europa e del mediterraneo si aprono sicuramente nuove prospettive. Ma le rivolte al centro del sistema di accumulazione finanziaria come quelle di Londra, Roma, Parigi, Atene, segnalano la novità nel cuore dell’innovazione e del decantato benessere (Do you remember welfare state?).

L’irrompere di un nuovo protagonismo sociale dei movimenti contro l’austerity, contro il piano capitalista dell’exit strategy dalla crisi, ovvero da quella stessa crisi che il piano capitalista ha provocato, è il nodo politico centrale che spaventa i potenti e che comincia a far paura. E lì nel punto più avanzato della contraddizione, nei suoi perimetri formali, che si accumula forza per il cambiamento dopo due decenni di egemonia del pensiero neoliberista. Ormai in massa territori si ribellano contro le grandi opere del comitato di affari delle speculazioni finanziarie e delle devastazioni ambientali. Da una punta all’altra della penisola riemerge con più forza ancora,
l’oscenità del conflitto sociale, fino a quella piazza del popolo e al fascino della sua lotta. E’ necessario quindi organizzarci. Immaginare una rivolta costituente nel nostro paese. Cominciare a dare seguito e spazio costruttivo alla rabbia della generazione precaria, bloccare ad oltranza questo paese, dare spazio ad uno sciopero, sociale, civile, ad uno sciopero precario! E insieme costruire la
piattaforma del possibile e non quella del presente, del desiderio e non quella della legge. Riprendiamoci la parola Libertà e lasciamo ad altri le regole.
Dobbiamo reinventare l’intelaiatura e lo schema delle così dette istituzioni, dobbiamo rifondarle. Abbiamo bisogno delle istituzioni del comune, per la nuova “regolazione” dal basso che parta dall’attacco ai profitti per generare e
riconoscere quella ricchezza socialmente prodotta dalla moltitudine precaria, permanentemente al lavoro, tra produzione formale ed informale, materiale ed immateriale, senza reddito adeguato e diritti riconosciuti.

Dobbiamo insorgere per un diritto comune, una nuova “magna charta” a partire dalla forma
materiale della costituzione, per la sovranità e l’autogoverno, oltre il nuovo
welfare, possiamo e dobbiamo necessariamente costruire e cooperare per un nuovo
modello di società!

In gioco c’è qualcosa in più di una riforma.

Dobbiamo riscrivere la nostra costituzione, cioè ridare forma alla forma, per diffondere e sostenere l’utopia necessaria.

Rafael Di Maio

*articolo uscito per Loop n° 13 Aprile/Maggio 2011

 

 

 

Barcellona, 29M 2012: cronostoria della huelga general

La nostra narrazione dello sciopero sociale, precario, metropolitano!

 

Piu di 250000 secondo i media mean stream, 50000 secondo il corpo di polizia della guardia urbana. 82% di partecipazione allo sciopero secondo i sindacati, 22% secondo il governo. Come sempre, tutto dipende dal punto di vista.

Barcellona, 29M 2012, ore 00.00. Iniziano i picchetti organizzati dalla grande efficacia organizzativa e territoriale delle Assambleas de barrios. A mezzanotte e un minuto inizano a rimbombare per Barcellona suoni dei petardi accompagnati dal coro vaga, vaga, vaga general!

In pieno centro,  ci si ferma davanti a tutti i pub e ristoranti ancora aperti facendo presente che é l’ora di chiudere e di andare a casa a riposare perché domani sarà una grande giornata di lotta. Fra sorrisi delle cameriere e dei camerieri e facce imbronciate dei proprietari,  i pochi turisti presenti al coro di “turista terrorista”, vengono simpaticamente invitati a continuare a bere i loro fantastici cocktails colorati per strada. Ore 00.30, qualcheduno fa il furbetto.  Serranda chiusa, ma da fuori si sente musica pop a tutto volume. Si alza la serranda e…et voilà il locale continua a essere gremito di gente. Alla faccia attonita de los fiesteros gli si risponde con petardi dentro il locale e fialette fetide molto puzzolenti. Ed ecco che un fuggi fuggi generale attraversa la centrica Via Laietana. Pochi metri più su si intravede un bingo aperto. Bene, bene dice qualcuno. In questo caso, però, i gorilla alla porta fanno subito capire che non è aria. Si entra, altri petardi e altre fialette. Si prova a chiudere la serranda, rompendola. La notizia nella prima pagina della “La Vanguardia” della mattina seguente asserisce che un gruppo di antisistema ha assaltato il Bingo di Via Laietana rubando 2000 euro dalla casa. Magari fosse stato così…..

La passeggiata notturna si chiude in un locale/discoteca dove si sta celebrando una festa dal nome Ven a celebrar la huelga! (Vieni a festeggiare lo sciopero!!). Anche in questo caso però si capisce che non è possibile infliggere più di tanto. Tra una risata di nervosismo e l’altra e le camionette che iniziano a monitorare l’accaduto, si decide tornare a casa….seguirem demà! (continueremo domani!).

Barcellona, 29M 2012, ore 8.00. La declinazione dello sciopero generale a sciopero sociale si intravede già  nelle prime ore della mattina. Dai blocchi stradali alle entrate della città da parte di studenti  universitari, precari e soggettività varie in cerca di quel protagonismo tanto voluto e desiderato in una giornata come questa, si alzano elevate colonne di fumo. Lo stesso accade davanti le fabbriche del Poligono Industriale. Determinati  ed incisivi picchetti dei lavoratori riescono a chiudere completamente le fabbriche della SEAT, Ford e Coca-cola. In tutto il territorio nazionale lo sciopero del settore industriale ha  raggiunto circa il 90%, il quale, a sua volta, ha causato una diminuzione di richieste di energia elettrica del 20%.

Barcellona, 29M 2012, ore 10.00. La storia si ripete. Dai diversi quartieri, partono picchetti per arrivare al grande picchetto unitario (non convocato dai sindacati) nel barrio de Gracia delle ore 13.00. Dalla emblematica e storica Plaza Forat de la Vergonya  si parte in 20. Camminando per il centro il numero aumenta. I pochi piccoli negozi aperti si apprestano frettolosamente ad abbassare la serrande non appena intravedono la massa avanzare.

Questa mattina, però,  l’attacco è verso le grandi superfici. Stiamo vivendo uno sciopero che và oltre le vertenzialità lavorative. Uno sciopero sociale e metropolitano che trova la sua espressione anche in una Huelga de consumo, no compres, no vendas!  (sciopero del consumo, non comprare, non vendere!).  Con la complicità e gli occhiolini dei commessi e delle commesse vengono chiusi e lasciati completamente vuoti le grandi catene di supermercati  Dia, LIDL, Carrefour, Mercadona, Caprabo, Decathlon… riempiendo le entrate principali di adesivi e manifesti con su scritto: Tancat per Vaga General i Social (Chiuso per Sciopero Generale e Sociale). La Confederación Española de Comercio  ha calcolato che il bilancio è una perdita di circa 150 millioni di euro.

Arriva la notizia che durante il picchetto degli studenti universitari la polizia autonoma catalana (i Mossos d’esquadra) ha caricato duramente. 20 fermi, ed è solo l’inizio.  Altre cariche nei quartieri del Clot e Poble Nou. Bilancio delle prime ore della mattinata 6 arresti confermati, solo a Barcellona.

Barcellona, 29M 2012, ore 13.00. Il fiume di gente che arriva nel quartiere di Gracia è impressionante. Uno striscione riporta: Se va a acabar la paz social (sta per finiré la pace sociale), mentre altri ricordano a tutte e tutti che La Reforma Laboral genera sòlo màs Precariedad (La reforma del lavoro genera solo più precarietà) e che vogliamo una Educaciò i sanitat publica i de qualitat (Educazione e Sanità Pubblica e di Qualità). Stencil e adesivi  con su scritto: Ni Reforma Laboral, Ni Pacte Social (nè reforma del lavoro, nè patto sociale) invadono le vetrine di Zara, Luiss Vitton, HM, Cacharel, Benetton, Mango, Verskha, Levis, Desigual. Vetrine ignare del fatto che a distanza di poche ore saranno ben più sanzionate che da un “misero” attacchinaggio.

Nello sgomento generale si pensa a un Cual ès el Plan (Qual è il piano)?  Si ragiona sul fatto che entrare nelle stradine del Barrio de Gracia renderebbe ingestibile e pericoloso l’esito ottenuto. Approfittando della grande affluenza di gente si decide comunemente di andare direttamente verso la tana del lupo. Si inizia percorrendo una delle strade emblematiche del potere economico e finanziario della capitale catalana. Migliaia di persone scorrono lungo la via Diagonal…uh toh, la Deutche Bank prende fuoco. Uh, ma guarda anche la BBVA. Stessa sorte alle tante banche incontrate lungo il breve percorso Caixa Catalunya, Caja Mar, Caixa Tarragona, la sede del Banco Sabadell…..e a differenti siti istituzionali.

Ormai la tensione sta salendo e le sirene dei Mossos d’esquadra iniziano a farsi più vicine. Come spesso succede in terra catalana le camionette iniziano a caricare il corteo. Cassonetti  incendiati vengono utilizzati per fare barricate e impedire una loro veloce avanzata. Il corteo è però ormai già diviso in due, tre parti, mentre i Mossos continueranno per più di un’ora a fare caroselli e giri all’impazzata con l’intento di intimorire e arrestare qualcuno.

Tutte e tutti con facce che iniziano a far intravedere qualche vena di stanchezza mista alla felicità che un po’ di quel malessere e rabbia sociale sia venuto fuori , decidiamo di riposarci aspettando il picchetto convocato per le 16.30 dai sindacati di base CGT, CNT, IAC, COBAS, sempre a Gracia.

Gruppiscoli di persone invadono le panchine e i parchetti delle strade del centro di Barcellona mangiando panini rigorosamente comprati il giorno prima (oggi  si sciopera, non si deve comprare niente), mentre la città già tenta di recuperare la sua normalità con BCNeta (la corrispondente AMA) che prova a sgomberare e pulire le strade.

Barcellona, 29M 2012, ore 16.30. Di nuovo la stessa massa oceanica si riappropria delle strade. Questa volta però la composizione sociale è più variegata. Donne di tutte le età, mascherate con bigodini e vestaglia, danno vita alla Huelga de cuidado y trabajadoras domesticas (sciopero delle lavoratrici domestiche) reclamando la loro esistenza nella vita e nel lavoro. Pensionati, infermieri e infermiere vestite con camici bianchi e verdi, student*, professor*, lavoratori del così chiamato terzo settore animano  e danno vita al grande serpentone che scendendo per la via Pau Claris vuole raggiungere Plaza Catalunya. Contemporaneamente nella strada parallela si muove l’enorme corteo indetto dai sindacati confederali (CCOO, UGT e USOC). L’immagine è emblemática. A soli 100 metri di distanza, due mondi differenti, probabilmente l’uno che non si riconosce nell’altro, ma per noi va bene così. Come diciamo da molto tempo, non vogliamo essere contrapposti ad alcunché, vogliamo e chiediamo solo quello che ci spetta.

Nuovamente, il corteo prende colore, solo che, in questo caldo pomeriggio,  le banche e i negozi delle grandi corporation incendiati sono accompagnate dagli applausi di chi partecipa al corteo. Si arriva a Plaza Catalunya e lì, proprio lì, ci si avventa contro l’emblema del capitalismo spagnolo: El cortes Ingles. Centro commerciale la cui catena è riuscita ad arrivare anche nel più misero e sperduto pueblito della penisola Iberica.

Barricate e tafferugli durano fino a tarda sera. Un totale di più di 220 cassonetti bruciati, più di 50 banche. La durezza dell’atteggiamento dei Mossos d’esquadra si traduce con 44 arresti, 15 feriti in ospedale, 1 giovane ha perso un occhio, un altro la milza, un ferito disperso, sequestrato dai Mossos dentro una camionetta per più di un’ora, pestato e lasciato in condizioni pietose solo verso le 21 di sera solo per strada.

Barcellona, 30M 2012, ore 9.00 Nella metro di Barcellona una signora sta leggendo La Vanguardia che titola: “Gravi incidenti nella capitale catalana. Violenti antisistema assaltano banche”.

Timidamente mi avvicino e chiedo alla signora che pensa dell’articolo:”Nena, la cosa més violenta de tot será tornar a la normalitat” (La cosa più violenta di tutto sarà tornare alla normalità!).

 

Martone, lo sfigato sei tu! Contestazione a Roma Tre

28 Marzo. Contestazione studentesca alla Facoltà di Scienze della Formazione di Roma Tre, con lo striscione “Noi non siamo raccomandati, siamo precar* e ci riprendiamo tutto”, durante un convegno su formazione e lavoro in cui doveva intervenire Michel Martone, viceministro al Welfare, che poco tempo dopo essersi insediato aveva definito sfigati gli studenti ancora all’università dopo i 28 anni.  Martone non si è presentato alla conferenza.

Video.

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The show must go off. Ciao Matteo

Roma 8 Marzo. Oggi pomeriggio davanti al palalottomatica, moltissim* lavoratori e lavoratrici precarie dello spettacolo hanno manifestato per ricordare Matteo e denunciare le pessime condizioni di lavoro di chi, dovendo sostenere orari massacranti, permette allo show business di andare avanti a ritmi sempre crescenti. Molti dei presenti indossavano le attrezzature di “sicurezza” che sono costretti a comprarsi privatamente.

Oltre il danno la beffa: non bastava aver perso un compagno di lavoro, diversi colleghi di Matteo sono anche stati iscritti nel registro degli indagati.
Diversi striscioni sono stati appesi e volantini distribuiti agli avventori del concerto di stasera, è stato anche richiesto di poter leggere un comunicato dal palco prima dell’inizio del concerto.
Dopo anni di silenzio, anche dietro le quinte, lontano dai riflettori dello spettacolo che deve andare avanti a tutti i costi si stanno alzando delle voci per dire basta. Ad oggi tutti si stanno rifiutando di “sostituire” Matteo nelle mansioni che svolgeva anche per dire che non siamo solo pezzi di ingranaggi in un meccanismo infernale, ma che possiamo essere la sabbia che questi meccanismi li fa inceppare.

A questo link del blog nomortilavoro il testo del volantino distribuito davanti al palalottomatica

http://nomortilavoro.noblogs.org/post/2012/03/07/the-show-must-go-off-ciao-matteo/

La Valle non si vende la Valle si difende, per l’Indipendenza e la libertà!

Sabato 3/3/2012 h 15 Piazzale Tiburtino – Roma – Tutti in piazza

La Valle non si vende la Valle si difende!

Uno scheletro della politica di palazzo come Fassino dice che il movimento NoTav è cambiato e non sa quanto è vero… non immaginano neanche questi signori quanto la lotta possa far crescere la consapevolezza delle proprie ragioni e la determinazione nel continuare ad affermarle anche man mano che il prezzo della resistenza cresce: notav in carcere, notav in ospedale, notav portati via di peso, calpestati e inseguiti fin nelle proprie case. Non immaginano neanche lor signori chiusi nei palazzi quanto la determinazione di quel popolo resistente abbia risvegliato le coscenze e le emozioni di tanti e tante che non possono assistere in silenzio alla miseria del presente, allo scippo di democrazia, all’ingordigia dei potenti nel divorare risorse, territori e umanità per i loro meschini profitti.

Come la battaglia per l’acqua bene comune ha centrato bene nello slogan “si scrive acqua si legge democrazia” così la ventennale lotta no tav ha affermato le sue ragioni e ora naturalmente si spinge oltre per evidenziare e contrastare quel gap di democrazia che ha ormai reso le istituzioni di ogni ordine e grado la mera interfaccia degli interessi privatistici di speculazione sulle risorse pubbliche e i beni comuni come appunto l’acqua o i territori.

 

El pueblo unido funziona sin partido!

Questo è il vero elemento che turba il sonno dei governanti non già la violenza il cui livello e la cui intensità rimane ben al di sotto di quella violenza che si dà nel sociale e nella quotidianità fatta di povertà galoppante, precarietà esistenziale e disgregazione sociale. Abbiamo letto sui giornali frasi del tipo “la drammatica sequenza” con riferimento al video del giovane con la barba rossa che “aggredisce un poliziotto inerme dietro la sua armatura” ma sappiamo bene che chi legge non è stupido anche perchè viviamo sulla nostra pelle la vera violenza: quella degli sfratti per morosità incolpevole, dei licenziamenti immotivati, del lavoro squalificato, svilito e sottopagato, quella dell’arroganza dei potenti che anche e soprattutto nella crisi trovano sempre nuove occasioni di speculazione e sfruttamento.

 

Quella che viene sbattuta in prima pagina come inaccettabile violenza mette il potere tutto di fronte all’irrimediabilità di una crisi della rappresentanza non più reparabile. Lo ammettono ormai gli stessi partiti che addirittura parlano di slittamento delle elezioni amministrative e perchè no anche di quelle politiche, il cui svolgimento sarebbe inutile e vanificato dall’egemonia dei tecnici su ogni velleità della politica rappresentativa.

Da Napolitano in giù tutti si sperticano in appelli alla coesione sociale sapendo bene che nel momento in cui la si invoca è già irrimediabilmente perduta.

Incrinata in maniera profondissima a partire proprio dal primo articolo della Costituzione laddove la coesione sociale fu affidata al lavoro: pensate per un attimo a cos’è il lavoro oggi e forse inizierete a capire perchè di coesione sociale davvero non si può più parlare.

Bisognerà che si comincino ad abituare lor signori: l’era del fair play e del consenso incondizionato al capitalismo e ai suoi dogmi non c’è più, l’era dell’Unione EUropea come panacea di tutti i mali dell’italietta tanto meno.

 

Nel nostro paese il trucchetto di sedare ogni dissenso rispetto alla gestione dell’austerity con l’inconfutabilità della ragione e dei tecnici rischia di infrangersi sulle Alpi della Valle di Susa.

 

Da Chiomonte ad Atene, da Bussoleno a Barcellona, da Giaglione al Cairo…

Resisteremo un giorno più di loro!
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Qualche settimana fa si è svolta un’operazione repressiva con decine di arresti e denunce nei confronti di attivisti/e NO TAV in tutta Italia. Da quel momento la solidarietà continua a esprimersi in molteplici forme, dal Nord al Sud del Paese: nessuna/o è sola/o, non ci sono buone/i e cattive/i. Un corteo di 80 mila persone si è riversato nella valle, da Bussoleno a Susa, per dire che il movimento NO TAV non si arresta e non ha paura. Il giorno dopo parte l’allargamento dei cantieri, attraverso l’esproprio militare delle terre valsusine. La resistenza dei NO TAV è immediata. Un compagno, Luca, per impedire l’avanzamento delle ruspe, si arrampica su un traliccio. Inseguito da un carabiniere rocciatore, cade, rischiando la vita: è tuttora ricoverato in ospedale in gravi condizioni. I giornali e i media screditano e minimizzano l’accaduto, insultando il coraggio e la determinazione di Luca. La risposta della Val di Susa è determinata, con blocchi e barricate che vengono immediatamente ricostruite non appena vengono sgomberate. Ancora una volta in tutta Italia la solidarietà si fa sentire con manifestazioni spontanee, presidi, blocchi stradali e ferroviari.
Queste sono solo le ultime pagine di una lotta che va avanti da 23 anni.
Di fronte all’attacco dello Stato nei confronti del movimento No Tav, di fronte alla repressione di ogni forma di conflitto, al di fuori del “consentito”, tanto il 3 luglio in Val di Susa quanto il 15 Ottobre a Roma, è necessario reagire. La lotta contro il Tav fa paura ai poteri politici, economici e giuridici, perché ne mette in discussione la loro stessa essenza. Si vuole reprimere l’autorganizzazione, il rifiuto della delega, la molteplicità e la radicalità di azioni e pratiche. Si vuole colpire tanto il dissenso e il contrattacco nei confronti dei poteri costituiti, quanto la condivisione di esperienze di vita che generano forme di cospirazione e di complicità sociale.
Anche attraverso Il TAV e la politica delle grandi opere il capitalismo vuole imporre ancora una volta l’idea di un mondo sottomesso alle leggi del profitto e dello sfruttamento affaristico dei beni comuni. La Val di Susa fa paura perché la lotta contro il Tav esprime la possibilità concreta di un cambiamento reale allo stato di cose presenti: determinarne il seguito spetta a tutti e tutte noi!

IL TAV E’ OVUNQUE, LOTTIAMO OVUNQUE CONTRO IL TAV

TUTTI/E LIBERI/E!

Sabato 3 marzo, ore 15:00, corteo NO TAV, partenza da Piazzale Tiburtino

Daje Luca, Sempre no Tav, a sarà düra!

Assemblea No Tav di RomaVisualizza altro

Presentazione libro “Interminabili Disordini” // Interminabili Trash Tour 2012

INTERMINABILI TRASH TOUR 2012
NON è UNO SCHERZO!!!

L’ass. Culturale antifascista Dax16MArzo2003 sostiene:

– Presentazione del libro “INTERMINABILI DISORDINI” di ALEX ALESI

– Proieione del video  “VIVA DAX LIBERO E RIBELLE” della ASS.DAX16MARZO2003

A SEGUIRE SERATA ALLEGRIA E LOTTA CON:
INTERNAZIONALE TRASH RIBELLE E I SUOI DJ’S

IL TUTTO PER SOSTENERE 130MILA:
130mila volte… NON DIMENTICHIAMO IL 16 MARZO!

NON PERDONIAMO IL SAN PAOLO!

130mila e’ la moneta che due compagni devono dare allo Stato per la notte del 16 marzo 2003.
Quella notte è morto Davide, assassinato da lame fasciste, mentre ai suoi compagni ed amici accorsi al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo toccarono le cariche di polizia e carabinieri.
130mila rappresenta la condanna con cui la Cassazione conferma l’impunità per le forze dell’ordine e le condanne per i compagni: lo Stato da marzo 2011 affonda il colpo, mirando alle possibilità di vita di uno dei compagni attraverso il prelievo diretto di 1/5 dello stipendio.

130mila è la campagna in sostegno attivo a chi è stato colpito a seguito della notte nera di Milano e per riportare alla luce la reale dinamica dei fatti di quella notte con le responsabilità in campo.
130mila sostiene economicamente questa persecuzione e promuove una rete di solidarietà con serate musicali, cene senza sfruttamento animale, presentazione di libri e ogni tipo di iniziativa che ricordi Davide e diffonda con video e dibattiti quanto successo. 130mila vuole inserire i fatti del 16 marzo in una visione più ampia di criminalizzazione dei movimenti e del disagio sociale, politiche repressive attuate attraverso una precisa e sistematica articolazione della pressione giudiziaria connessa con il controllo securitario, oltre le aule di Tribunale.
130mila ha quindi due proposte immediate:
– diffondere il materiale che stiamo producendo, come per esempio adesivi, spille o magliette con questi loghi, ecc.
– raccogliere autoproduzioni artistiche (fumetti, adesivi, disegni, banner, foto, graffiti, ecc) dedicate espressamente alla campagna 130mila, da poter usare per mostre o altre iniziative benefit.
Per le serate benefit organizzate nei Vostri spazi preferiti, possiamo contribuire con il materiale d’informazione dell’Associazione Dax 16Marzo2003, con il video “Viva Dax libero e ribelle” e con un nostro intervento.
Il processo San Paolo in breve:
Il 7 maggio 2009 si chiude il capitolo giudiziario per i fatti del 16 marzo 2003. Quella notte è morto Davide, assassinato da lame fasciste, mentre ai suoi compagni ed amici accorsi al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo toccarono le cariche di polizia e carabinieri.
Le indagini avevano portato alla sbarra quattro compagni e tre esponenti delle forze dell’ordine. Il 15 febbraio 2008 la sentenza d’appello aveva stabilito da una parte la condanna ad un anno ed otto mesi per due compagni e il risarcimento complessivo di oltre 130.000 euro e dall’altra l’assoluzione delle forze dell’ordine che in primo grado erano state condannate: un poliziotto a quattro mesi per abuso d’ufficio (ripreso da un video amatoriale mentre manganellava una persona a terra) e un carabiniere a sette mesi per il possesso di una mazza da baseball (reato caduto in prescrizione).
La Cassazione conferma l’impunità per le forze dell’ordine e le condanne per i compagni. Si tratta di una prassi consolidata in cui Stato e Magistratura colpiscono chi si ribella attraverso capi d’imputazione gravissimi, fondati su accuse fragili e prive di fondamenta, mentre chi indossa la divisa ha la piena certezza di non essere toccato. Da marzo 2011, con il prelievo diretto di 1/5 dello stipendio, lo Stato affonda il colpo, mirando alle possibilità di vita di uno dei condannati.

CON IL SANGUE AGLI OCCHI E LA RABBIA NEL CUORE, DAX VIVE!

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www.daxresiste.org
www.djbrega.it