Appunti per un’utopia concreta!

di Rafael Di Maio

L’indipendenza, tra sovranità politica, emergenza sociale e stato di eccezione.

La vita politica in Italia scorre nella crisi di sistema, insieme globale e locale, economica e culturale. Si moltiplicano e si addensano le contraddizioni sociali mentre le disuguaglianze e le nuove precarietà si riproducono in seno alle vite di milioni di persone, tra vecchi e giovani senza futuro, in una latente e dormiente guerra civile non dichiarata. In questo complesso tornante della storia, in questa fase di permanente eccezionalità, le decisioni e le scelte politiche che si producono non possono e non devono essere dettate esclusivamente dal freddo calcolo della tattica, distorcendo a proprio comodo il tempo e lo spazio.

Lo scenario politico che attraversiamo si ricombina su tutti i piani, quello economico, sociale e culturale. La crisi verticale del sistema finanziario, pubblico e privato, rappresenta la cornice di trasformazione epocale e strutturale e il nuovo paradigma di costituzione – narrazione – del potere. Una crisi che travolge il modello neoliberista che decade inesorabilmente verso il baratro, insieme ai suoi principi di sviluppo e di progresso. Siamo di fronte all’ultima crisi del fordismo e dell’industrialismo e alla prima grande crisi dell’economia della conoscenza. E’ una crisi di transizione – come nel 600’ agli albori della modernità dove la transizione si dava dal feudalesimo dei locali ed arbitrari centri di potere, alla statuale e moderna forma del potere governamentale, alla reductio ad unum della forma moderna dello Stato.

Oggi viviamo nella nuova transizione, quella dall’immagine del mondo moderno ed industriale alla forma contemporanea dell’economia immateriale e della conoscenza. Viviamo come il resto del pianeta in questa lunga fase di declino e crisi sistemica dell’opzione neoliberista, ma politicamente in una condizione particolare, specifica, locale. Quello italiano rappresenta il quadro politico d’insieme più inquietante nel territorio europeo: prevalentemente dominato dalle destre populiste, dal crollo delle sinistre istituzionali e da un governo conservatore e autoritario. Del resto è una consuetudine di alcuni paesi europei quella di istituire in risposta alla crisi economica un’opzione politica e di governo prevalentemente conservatrice e reazionaria, così fu in Italia, Spagna e Germania, negli anni trenta durante la grande depressione. Sovrano fu, chi decise sullo stato di eccezione. Ieri come oggi, eccezione e sovranità determinano lo spazio politico, irrigimentano con la paura lo spazio comune, la città e la sua vita sociale. Ieri come oggi, eccezione e sovranità costituiscono lo spazio urbano e metropolitano, ne compenetrano la sintesi istituzionale. Non a caso la poleis deriva dalla stessa radice etimologica dei due termini, politica e polizia, qui leggi, sovranità ed eccezione. La politica si afferma come polizia della città, nel controllo dei corpi e delle relazioni produttive che nella polis nascono e si riproducono. Il governo sull’eccezione è la forma pura del potere politico e nel contempo è l’esaltazione della beffa alla democrazia, maschera scomposta del sovrano e dei suoi sudditi. Sarebbe legittimo ora domandarsi, cosa ci sorprende ancora nella politica? Se il problema fosse solo il governo Berlusconi, saremmo dei pazzi a non aver ancora tentato di buttarlo giù in ogni modo! Ma appunto, per sostituirlo con chi? Con quali rapporti di forza e dentro quali assetti costituzionali? Se questa è una crisi di sistema, perché lo è? E’ una crisi che nasce solo da qualche speculazione finanziaria? O è forse l’intero sistema capitalistico ad essere ormai insostenibile e sempre più parassitario, intossicato, nocivo?

Nelle più “prestigiose” università, dove in passato si è studiato e ricercato molto per sostenere e poi esportare l’ideologia “mercatista” e neoliberista, oggi addirittura  sono attivi corsi, dottorandi e lectures  in nome del post-capitalismo. Cioè lo stesso sistema capitalistico occidentale si assume ormai come frontiera degli assetti di potere, decadenti, da ripensare, da reinventare. uello italiano infaqueE’ finita la mediazione politica insieme al modello sociale europeo e il suo processo welfaristico. Il patto, quello che era il “new deal” è diventata una vecchia mutanda. E’ terminata l’intima relazione tra conflitto sociale, relazioni sindacali e sintesi politica, insieme, alla rete di protezione sociale dello Stato moderno. E’ finita la stagione dove la stessa produzione industriale necessitava della politica come contrattazione: degli alti salari, della piena occupazione e della rete di welfare. Finisce anche l’idea stessa della mediazione e del dialogo sociale. Semplicemente, la coesione non è più necessaria. E ce ne stiamo accorgendo risalendo la mappa della crisi o meglio delle crisi industriali, delle vertenze e delle sofferenze del mondo del lavoro, l’unica vera controparte sono i reparti celere. L’unico nuovo welfare previsto dalla governance è la polizia. Lungi dall’essere stata una fase pre-rivoluzionaria, in ogni modo, la stagione del welfare state viene archiviata dai guardiani della globalizzazione in nome della stessa crisi di cui ci stiamo preoccupando.

Dobbiamo necessariamente ridefinire lo spazio politico, saper andare oltre, gettare lo sguardo verso un orizzonte comune. Bisogna lavorare con l’immaginazione. Un po’ come si fa con la musica e la letteratura, con il freestyle nell’hip hop o con il montaggio nel cinema. Per costruire l’alternativa politica e perseguire un cambio materiale, economico e sociale, non è sufficiente volare alto. Dobbiamo intervenire sulla sfera pre-politica o se si preferisce post-politica della trasformazione culturale, incidere lì dove sappiamo che si gioca la vera libertà, incidere sulla frontiera della conoscenza. Sul punto alto della contraddizione, dove si determina l’emancipazione e la libertà. Come sempre la fabbrica del consenso è prima di tutto fabbrica di ignoranza, a maggior ragione in una società dove sul piano culturale si sfiorano ormai livelli indecenti di istruzione – teniamo presente che un terzo degli italiani è pressoche analfabeta, a cui si somma un altro terzo, considerato analfabeta di ritorno. E non a caso sul crinale della libera condivisione del sapere, oggi, si nega l’espressione artistica e creativa dell’attività umana, troppo spesso compressa dalla precarietà, dai brevetti della proprietà intellettuale, dall’organizzazione gerarchica del lavoro, in una società dove la precarizzazione del lavoro e le filiere del consumo rappresentano le maglie dispiegate del controllo sociale. Nella complessità del ragionamento e nella sfiducia dilagante nei confronti della politica e dei partiti, dobbiamo avere dalla nostra parte quella lungimiranza visionaria del potere costituente, della politica come trasformazione della realtà.

Dentro la stessa oscura realtà che attraversiamo è necessario ricostruire quei legami sociali spezzati. Nella costituzione materiale  delle donne e degli uomini che la rendono attiva e propulsiva è possibile cambiare la politica. Difficilmente la si potrà trasformare nella svuotata rappresentanza formale o nella messianica speranza di un salvatore. Dobbiamo ri-significare la realtà, avendo consapevolezza dei centri di potere che siamo chiamati ad affrontare dentro l’attuale modello di società complessa, terziarizzata, separata ed individualizzata, finora prevalentemente sedotta dalla corruzione e dall’autoritarismo, ipnotizzata dal consumo. Ma nella strada obbligata di dover difendere con i denti il diritto di resistenza, dobbiamo poter coltivare una politica visionaria e costituente, a partire dai nostri territori dove è progressivamente cresciuto negli ultimi anni l’elemento della ribellione in nome della sovranità e della decisionalità dal basso. Un elenco sarebbe qui sminuente. Basti fare mente locale alle tante battaglie di resistenza in difesa dei beni comuni, contro le grandi opere e le speculazioni immobiliari, contro i grandi eventi e le speculazioni finanziarie, che dal nord al sud della penisola negli ultimi tempi si sono moltiplicate e rafforzate.

La potenza di fermare una decisione stabilita dai grandi tavoli e consessi del potere locale e transnazionale, è una delle forme del potere costituente di cui parliamo. Un potere che determina non solo nuova partecipazione popolare ma che irradia, con una logica rovesciata e sovversiva della sovranità, la decisione nello spazio politico. Chi decide su cosa? E’ un quesito che rappresenta la prima forma d’indipendenza delle comunità locali dalle nuove oligarchie e dai nuovi centri del potere. E’ la forma di vita che costruisce potere costituente. E’ l’alterità che sul territorio sedimenta indipendenza, che si fa potenza, nuova res-pubblica. 

In primo luogo indipendenza dal sovrano. E immediatamente dopo dal sistema capitalistico. Partendo da qui possiamo ripensare l’indipendenza anche sotto un profilo culturale, facendo crescere la prospettiva ideale e la praticabilità politica, necessariamente dentro e insieme, se lo si desidera ancora, a quella radicale visione alternativa della realtà sociale ed economica che vogliamo poter autogestire, immaginare, praticare. A partire dai grandi e piccoli NO che saremo in grado di far crescere, potremo immaginare le forme dei SI e delle alternative possibili. Anche a costo di rievocare fuori dalle mode, l’esercito di quei sognatori, di zapatista memoria, che hanno a metà degli anni 90’ umilmente riaperto alla nostra generazione la possibilità dell’autogoverno, il simbolo del conflitto e della degna alterità, per il cambiamento di un’opzione politica ancora possibile. Tutto sommato, a distanza di dieci anni, anche se “giocato” malissimo sul piano della politica, il movimento (quello giornalisticamente definito no-global) aveva ragione, ce lo riconoscono un po’ tutti! Oggi più che mai, quello che sostenevamo sulle barricate di Seattle, di Praga o di Genova nel biennio anticapitalista della transizione (1999/2001) si sta materializzando in un’imbarazzante crisi sistemica per il potere globale, insieme economica e politica. Quello che noi abbiamo continuato a dire anche negli anni recenti, purtroppo sempre più divisi, tribalizzati e in taluni casi anche banalmente regalati al politicismo nella “saga no-global alla italiana”, era corretto. Era ed è tutto vero. Il capitalismo neoliberista sta depredando il pianeta e la sua umanità, in un’ossessiva e compulsiva ideologia del profitto, fino a rendere il mare nero, fino a far dire a alla BCE e al FMI che la crisi appunto è sistemica e che il modello attuale, per l’appunto, non è più sostenibile. Alla crisi economica corrisponde il tracollo della politica e della sua rappresentanza formale.

Questo è un passaggio importante sul quale vale la pena di ragionare politicamente sotto il profilo dei movimenti indipendenti anche a partire da cosa, dentro, intorno e a sinistra, sta nascendo con le “Fabbriche di Nichi”. Sorvolando la prima critica, quasi scontata, che riguarda quello che si sente spesso da più parti, ovvero il tema dell’accentramento personalistico e del lìderismo – che indubbiamente rappresenta un limite del processo in corso, che ha un po’ il sapore amaro dei tempi odierni – la scelta messianica della figura religiosa del salvatore – fa emergere in realtà con grande semplicità i limiti evidenti per affrontare la difficile sfida in corso. Se a Niki malauguratamente gli casca un vaso in testa, che fa tutta la nuova sinistra mobilitata, aspetta che cresca da qualche parte un altro carismatico poeta? Invero per la sinistra radicale istituzionale così come per quella per l’autorganizzazione sociale, il temi reali rimangono sempre gli stessi: come si sostengono le lotte, come ci si radica sul territorio, come si condividono i saperi, come si coniuga alterità, immaginario e presenza reale, come si accumula credibilità politica all’interno delle alleanze sociali che si costruiscono nelle città, come si fa vivere il controllo democratico dal basso sul territorio contro le speculazioni, come si anima e si organizza la resistenza alle scorribande neofasciste. In sostanza come si accumula potenza per il cambiamento al di là di questa o quell’opportunità politica?

Osservando da vicino la fase post-ideologica dentro quello svuotamento dei corpi intermedi, rappresentati dai partiti di massa o dalle organizzazioni sindacali, c’è un punto dirimente, che vuole essere un invito alla riflessione intorno all’opzione che prende piede con l’imminente candidatura di Vendola al governo del Paese. Un’osservazione che non può sfuggire alla consapevolezza di chi da anni anima i movimenti sociali, radicali, indipendenti e alternativi che dir si voglia e di chi – suo malgrado – ha imparato a conoscere il sistema politico italiano, il Paese del Gattopardo, dove realmente tutto cambia, affinché nulla muti.

Con la crisi della rappresentanza politica nella crisi sistemica del capitalismo globale, si evidenzia un aspetto centrale del processo in corso che rafforza il seguente ragionamento. Vi è una macrofisica che potremmo sintetizzare con la fine della partecipazione di massa alla politica, la fine della fiducia nelle istituzioni corrotte, la fine della governabilità dall’alto, dell’azione governamentale top down. Ma scopriremo poi un successivo livello che è quello relativo al sistema politico della cosiddetta Seconda Repubblica, ovvero di quella crisi nella crisi: la fine del bipolarismo, il riemergere, contro le false credenze del partito liquido, della soggettività organizzata ed identitaria – la Lega Nord sta lì a dimostrarlo – una legge elettore antidemocratica definita “porcata” da chi l’ha redatta, dove in realtà considerando le astensioni prende la formale maggioranza in Parlamento,  quella che è una reale minoranza nel Paese.

E ancora, la forma bloccata della democrazia incompiuta degli ultimi quindici anni dove ogni spazio riformatore, ogni iniziativa di avanzamento e modernizzazione dei diritti ha dovuto fare i conti con i veti incrociati, i ricatti, i giochi di potere, le continue mediazioni al ribasso. Tutto ciò non accade per caso. Vi è una radicata e profonda strumentalità dietro questo schema. In Italia (e non solo!) vi sono gruppi di potere, lobby trasversali, corporazioni nel mercato e nello Stato che non hanno nessun interesse affinché muti la struttura sociale consolidata o l’iniqua divisione della ricchezza socialmente prodotta. Le oligarchie economiche al potere non hanno nessuna intenzione di mediare con i precari che crescono esponenzialmente, con i pensionati al minimo, con i cassaintegrati senza futuro, con i disoccupati di lunga durata. Non solo, le caste al potere sguazzano nella crisi, si rigenerano, mentre si appellano alle politiche dimagranti della Unione Europea, della BCE e dell’FMI. E non hanno nessun interesse a cedere le porzioni di privilegio accumulato, non hanno nessuna intenzione di pagare le tasse e di investire sulla conoscenza o sull’avanzamento culturale.

In definitiva alcuni gruppi di potere in Italia governano sempre, a prescindere dalle sfumature, determinando pesantemente qualsiasi esecutivo e azione di governo. Fino a quando non muteranno radicalmente i rapporti di forza economici e sociali nella costituzione materiale, taluni assetti di potere, incideranno più di qualsiasi scommessa ideale e finiranno per condizionare anche una “radicale sorpresa” come quella rappresentata per esempio dalle Fabbriche di Nichi. La governance locale e globale da un lato e le tecnostrutture dall’altro, occupate ad interim dalle figure apparentemente solo tecniche, bastano di per sé a rendere anche una maggioranza elettoralmente qualificata, incapace ed impossibilitata a dare seguito all’azione di governo preannunciata nella campagna elettorale. Basta un direttore generale non allineato a bloccare o ritardare le attività di un assessorato o di un ministero, con la burocrazia pilotata, i veti incrociati, i ricorsi e i piccoli cabotaggi. Anche laddove si è Presidente di Regione (e Vendola ne sa qualcosa) basta un ministro economico, come l’attuale, per essere imbavagliati e commissariati. E anche se il nuovo leader divenisse Premier, laddove volesse attuare una radicale riforma sociale dovrebbe stare dentro il patto di stabilità, all’interno dei parametri di Maastricht (o i nuovi vincoli che verranno), dentro la soglia del 3% sul rapporto deficit/pil, dovrebbe attenersi al rigoroso contenimento della spesa pubblica, alle direttive della Commissione europea e via discorrendo.

In definitiva la governance politica della globalizzazione economica ha determinato una stratificazione così articolata della complessità, che ai cittadini sfugge non solo il controllo della macchina, ma anche la conoscenza di come si accende il motore o si cambiano le marce. Per quello diciamo da anni che la rivolta o è globale o non è. Che il cambiamento o sarà radicale, o semplicemente non potrà essere. Ovviamente una spinta riformatrice coraggiosa, un ascolto disinteressato delle istanze sociali o una sensibilità istituzionale diversa dagli ultimi governi, non potrà che essere un passo di avanzamento complessivo, anche per i movimenti. Sotto questo aspetto non si possono avere dubbi. All’aumentare del peso della sinistra istituzionale, per esempio negli anni ’60/’70 – in cui il conflitto sociale rappresentava il motore della democrazia – aumentava anche il peso e il protagonismo politico dei movimenti rivoluzionari ed extraparlamentari – si pensi anche ad esperienze di governo molto avanzate in altre parti del mondo, come nel Cile di Allende. Tra l’altro anche lì c’era un poeta che fu candidato alle primarie del 1969, dal partito comunista cileno, si chiamava Pablo Neruda. Ma in Italia di quell’esperienza si fece una “confusione” tanto grande addirittura da chiamarla “sindrome cilena”. La questione rimane per come è stata fin qui descritta. Dal solo piano alto del governo, la trasformazione mediata, graduale e dall’interno del sistema-Italia, rappresenta una meta irraggiungibile, “un’utopia irrealizzabile”. Al contrario, ciò che sembra irrompere dai piani bassi, ciò che sembra uscire dal cassetto dei sogni, dal desiderio dell’assalto al cielo, apre la strada per “un’utopia concreta”, necessaria. Disvela un cammino di riscatto e di emancipazione, una via per la libertà e l’indipendenza da intraprendere umilmente, fino alla vittoria!

Bibliografia sragionata:

G. Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003

F. Borkenau, La transizione dall’immagine feudale all’immagine borghese del mondo, Il mulino, Bologna 1984

C. Mortati, La costituzione in senso materiale, Giuffrè editore, Milano 1998

A. Negri, Il potere costituente, Sugarco edizioni, Varese 1992

C. Schmitt, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 2003

I libri vanno letti per essere dimenticati” M. Montaigne, Essais

 *articolo uscito sul  X° numero di Loop (settembre/ottobre 2010)

Stati Generali della Precarietà 3.0

Verso lo sciopero precario: il desiderio dalla narrazione all’esplosione

In questi ultimi due anni di crisi e devastazione economica, sociale ed ambientale la nostra condizione di precarietà è divenuta esplosiva. Chi ogni giorno produce la ricchezza generale è costretto nel ricatto del lavoro senza diritti e garanzie; chi ogni giorno vive un sequestro della libertà di scelta che va ben al di là delle mura del proprio lavoro o non lavoro; chi vive in territori immiseriti dal mercato che li mette a profitto, chi, come noi, vive questa condizione che si è fatta esistenziale oltre che sociale, sa che sta montando la rabbia precaria.
Per lo stesso motivo sappiamo che siamo stanche e stanchi di sentirci addosso la veste avvelenata che si dà alla precarietà attribuendole il sinonimo di sfiga. Non siamo stati segnati dal destino, ci hanno invece imposto una condizione: esistono i precari e i precarizzatori. Per questo il tempo del racconto della sfiga quotidiana è finita. Per questo vogliamo parlare dei nostri desideri, della libertà che vogliamo riprenderci, della forza che vogliamo far esplodere. Del solo modo di superare la precarietà. Di come farlo, cioè, attraverso lo sciopero precario: quello che non abbiamo potuto fare mai e che ora, adesso, vogliamo e possiamo organizzare. Uno sciopero politico, non dei precari ma sulla precarietà e nella molteplicità di luoghi e forme, per il suo superamento. La potenza di questo processo si darà solo attraverso la cospirazione e le complicità crescenti e continue nelle quali elaborare e sperimentare insieme le pratiche capaci di colpire davvero i profitti. Vogliamo riappropriarci della ricchezza delle nostre relazioni e dei loro flussi produttivi, riconoscere il protagonismo precario e migrante, reclamare un nuovo welfare e l’accesso ai beni comuni. E riprenderci la vita.

Per tutto questo ci vedremo a Roma nella terza edizione degli Stati Generali della Precarietà 3.0 il 15-16-17 aprile 2011.

Verso lo sciopero precario!

Precedenti edizioni degli Stati Generali della Precarietà

Servizio TG3, “Fuori TG” del 21/4/011

Programma

Venerdi 15, @ LOA Acrobax [via della vasca navale,6]
dalle ore 19 accoglienza e concerto di Asian Dub Foundation

Sabato 16, @ GENERAZIONE_P RENDEZ-VOUS [via alberto da giussano, 58]:

* h. 11 – 13: Tavolo di discussione: Precarietà e territori
* h. 11 – 13: Crisi economica, precarietà del lavoro e conflitto sociale
* h. 11 – 13: “The show must go on”: workshop dei lavoratori dello spettacolo, cultura ed editoria
* h. 11 – 13: Workshop sui flussi metropolitani

* Pranzo: incontro tra workshop sapere precario e workshop spettacolo cultura editoria
* h. 14 – 16: Verso lo sciopero del sapere precario
* h. 14 – 16: Workshop su informatica, hacking e reti digitali
* h. 14 – 17: Perfettamente inconciliabili: strumenti e strategie per sabotare lo pseudo-welfare familista
* h. 16 – 18: Working Class Heroes. I migranti, la guerra e l’impossibile democrazia
* h. 16 – 18: Workshop Terzo Settore
* h. 16 – 18: Lo sciopero corre sul filo. Workshop sui call center
* h. 18 – 20.30: Lo sciopero precario e il welfare desiderabile

Sera:
dalle 21 serata di festeggiamento dei primi 6 mesi di occupazione con cena
+ proiezione della videoinchiesta sulla precarietà Inpreca video
+ proiezione del docufilm “Lampedusa next stop” a cura di Insutv (presenti gli autori)
a seguire dj set

Domenica 17, @ Volturno [via Volturno, 37]:
dalle 10 alle 17 tavoli di discussione e plenaria conclusiva

* h. 11 – 13: Workshop Dopo la narrazione l’esplosione
* Pranzo. Tavolata sulla precarietà giovanile. Incontro tra le realtà presenti che si occupano di precarietà giovanile.
* h. 14 – 17: Assemblea Plenaria

* Generazione Precaria. Dalle 10 alle 13: Il Coordinamento precari scuola indice un’assemblea nazionale aperta a tutti i precari della scuola

Durante la tre giorni sarà possibile visitare la mostra fotografica dedicata ad Antonio Salerno Piccinino”raccontare la crisi comincia da uno sguardo” a cura di Occhirossi festival indipendente di fotografia e comitato “no morti lavoro” di Roma

Spot

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STATI GENERALI DELLA PRECARIETA’ 3.0 from sara dp on Vimeo.

9 Aprile. Il nostro tempo è adesso

Sciopero Precario: mettici le mani!

FotoFoto 2Foto 3Articolo Liberazione

Chi va Piano resta senza casa

2 MAR. Ieri 1 marzo movimentata seduta del Consiglio Comunale dove si votava l’approvazione  del Piano Casa. La presenza massiccia dei movimenti per il diritto all’abitare, sia in Aula sia nel presidio in Piazza del Campidoglio ha portato ad una importante vittoria: migliorare un piano Casa mediocre e totalmente incentrato sulla ripresa edilizia piuttosto che sulla garanzia del diritto all’abitare.

Nonostante le cifre dilaganti dell’emergenza abitativa, la realtà di precarietà quotidiana che tutti conosciamo, nonostante l’opposizione (annacquata) in aula, e quella sostanziosa dei movimenti in strada e sui tetti, il Piano ancora una volta si annunciava timido, con poche case popolari, senza un vero rilancio dell’abitare pubblico e con la totale cancellazione di ogni possibilità di recupero del patrimonio immobiliare in abbandono (le cui cifre a Roma sono da capogiro).

I movimenti per il diritto all’abitare, con il sostegno di molti altri collettivi e situazioni in lotta, si sono dati appuntamento in Campidoglio, per comunicare alla città le proprie ragioni e per farle recepire, almeno in parte, all’assemblea comunale, sommersa da 1.500 emendamenti.  Mentre una cospicua delegazione dei movimenti veniva accreditata ad entrare in Consiglio, sotto la piazza del Campidoglio veniva blindata e chiusa da ogni lato dalle forze dell’ordine. Anche Veltroni, in occasione dell’appovazione del Piano Regolatore, aveva fatto la stessa scelta: militarizzare la piazza a dimostrazione che la forza è sempre il migliore argomento politico.

Non contente le forze dell’ordine sono entrate anche in Aula del Consiglio, contravvenendo a qualsiasi pratica e consuetudine e creando così un inquietante precedente di prevaricazione della dimensione politica di quei luoghi. Gli agenti inoltre non hanno esitato a spintonare, per salire in Aula, alcune manifestanti che erano rimaste nell’anticamera, anche con bambini in braccio.

Ciò non ha però impedito che i movimenti strappassero 6.000 case popolari invece delle 3.000 previste. Un risultato ancora insufficiente di fronte all’emergenza, ma altri emendamenti devono ancora essere discussi giovedi prossimo nella seduta conclusiva. Tra i punti più importanti la sanatoria delle occupazioni di stabili abbandonati dopo il 2007 (anno dell’ultima sanatoria, la delibera 206) ed un censimento di edifici vuoti da requisire e recuperare nel patrimonio pubblico.

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Nel frattempo i movimenti rimangono sull’impalcatura della cupola in piazza Madonna di Loreto e sul Colosseo, in segno di protesta contro lo sgombero e per acquisire la meritata visibilità in vista dell’approvazione del Piano. Lo scorso 26 febbraio, in occasione delle prime discussioni sul Piano Casa in consiglio comunale, ci sono stati dei momenti di tensione – presto rientrati – nel momento in cui i molti manifestanti hanno lasciato sdegnati la piazza del Campidoglio per raggiungere il presidio dei manifestanti sulla cupola, dopo che gli era stato rifiutato un incontro.

Centocelle | Recuperata una scuola abbandonata

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La notizia dell’occupazione della scuola Grossi, abbandonata da circa due anni nel quartiere di Centocelle e circondata dai lavori della metro C che la rendono quasi invisibile, è arrivata al Campidoglio nel pieno della riunione della Commissione sul Piano Casa del Comune di Roma che, nonostante il dilagare dell’emergenza abitativa (42.000 domande di casa popolare), ancora una volta decide di rimandare un serio intervento sull’edilizia pubblica ma anche sul recupero del patrimonio esistente.

IL PIANO CASA. Alla notizia dell’occupazione Alemanno & Co. provano a mandare a monte una discussione difficile con l’opposizione e con i movimenti per il diritto all’abitare che mentre occupano sono anche lì, a discutere col Comune, a proporre emendamenti, a strappare case popolari, a mostrare le enormi lacune del Piano Casa che la giunta vorrebbe approvare in tutta fretta.

Ma alla fine la discussione continua, nonostante l’accusa di sabotaggio che alcuni soci del sindaco riservano ai movimenti.  Buon per loro, visto che, ad esempio, i membri della commissione, che evidentemente non leggono i giornali, vengono a conoscenza della lista delle caserme dell’esercito in dismissione: un’importante risorsa che potrebbe garantire il diritto all’abitare a Roma.

Ma evidentemente non ne vogliono proprio sapere di stornare risorse dalla speculazione edilizia e ai centri commerciali per recuperarle al patrimonio abitativo. Si mantengono nel vago impegno di destinare una parte degli introiti della vendita delle caserme per l’edilizia residenziale. Tanto, testuali parole, questo piano casa risolverà l’emergenza abitativa e a Roma non ci sarà più bisogno di più di  case popolari. Da ora in poi, è questo il nuovo credo, housing sociale, cioè edilizia sovvenzionata destinata a redditi più alti. Sembra tanto la versione capitolina del “la crisi è finita, ottimismo” di più alti livelli istituzionali.

LA SCUOLA. Nel frattempo nella scuola sono arrivate tutte, le famiglie e le persone che per mesi sono state al freddo nella tendopoli di Viale del Policlinico e poi di Lungotevere dei Cenci, a far visita ad Antoniozzi, assessore alla casa. Finalmente c’è un posto. Si vocifera che la scuola debba diventare una ASL, che lunedi dovrebbero cominciare i cantieri. Ma poi voci istituzionali confermano che ancora non ci sono i soldi, la Regione potrebbe stanziarli giovedi. Qualcuno deve aver messo in giro delle notizie positive in viste delle elezioni…

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La scuola è in un forte stato di abbandono, è chiusa da due anni. Qualcuno già ci dorme, sporadicamente. Gli occupanti lavorano per chiudere gli spazi sensibili, dove ci sono ancora materiali utilizzati quando la scuola era in funzione. Ci sono le lavagne scritte, libri, dischi, giochi per bambini. Non deve sparire nulla. Iniziano le pulizie in vista della notte. Ma si dormirà a metà, con un occhio vigile per un possibile sgombero. Non sarebbe il primo e non sarà l’ultimo. Vedremo se questo edificio tra le centinaia che marciscono vuoti nella capitale dovrà rimanere una discarica. Vedremo se queste persone potranno realizzare questo lusso: il diritto ad avere una casa.

NEWS

L’occupazione è sotto sgombero dalle ore 15 di sabato 20 febbraio.

Il 23 febbraio si è tenuta un’assemblea pubblica in cui i neo-occupanti hanno spiegato le loro ragioni alla cittadinanza di Centocelle

IL COMUNICATO STAMPA DI QUESTA ASSEMBLEA. Verso il consiglio comunale sul piano casa. I movimenti che dal 23 dicembre presidiano l’assessorato alla casa del Comune di Roma e che venerdì scorso 19 febbraio hanno censito, occupandolo, uno stabile di proprietà pubblica in via degli Eucalipti nel VII municipio, indicono per domani martedì 23 febbraio alle 17 un incontro generale degli inquilini resistenti, degli occupanti senza titolo e per necessità, degli sfrattati, degli abitanti degli alloggi in dismissione, di chi non ce la fa a pagare il mutuo, dei precari e delle precarie con redditi insufficienti per accedere al mercato degli affitti, dei migranti e degli studenti che pagano cinquecento euro a stanza. L’assemblea si svolgerà all’interno dell’ex scuola “Tommaso Grossi” in via degli Eucalipti 14, edificio occupato in concomitanza con lo svolgimento delle commissioni congiunte casa e urbanistica sul “piano casa”, dove i movimenti hanno dato battaglia sostenendo i propri emendamenti e proposte. Di fronte ad una filosofia di fondo della delibera di giunta che guarda più agli interessi dei costruttori che all’emergenza abitativa e che anzi, usa colpevolmente quest’ultima, per mettere mano agli ambiti di riserva e alle aree agricole, i movimenti proseguono il censimento dal basso degli stabili vuoti pubblici e privati e ne chiedono l’utilizzo ed il recupero.

L’edificio di via degli Eucalipti, destinato ad ospitare un presidio socio sanitario con un consultorio, grazie anche alle lotte dei cittadini e delle cittadine di Centocelle e all’impegno del presidente del VII municipio, è presidiato da un centinaio di nuclei familiari in emergenza abitativa, anche del quartiere. Gli occupanti non hanno nessuna intenzione di vivere nella struttura, chiedono solamente il riconoscimento del loro diritto alla casa che ad oggi risulta negato.

Non esiste nessuna contrapposizione tra il diritto alla salute e il diritto alla casa.

I movimenti, con l’assemblea di martedì 23, intendono ribadire la propria contrarietà ad un piano casa inadeguato che cancellerà nella quasi totalità i circa 42.000 nuclei familiari in graduatoria da anni insieme alle tantissime persone che vivono in situazioni di emergenza. Contro un Piano insufficiente e ancora una volta guidato dagli interessi della rendita immobiliare piccola e grande, per coltivare l’idea di un’altra città possibile, da costruire e conquistare insieme invitiamo i cittadini e le cittadine del VII municipio, le reti sociali, gli studenti, le associazioni e i centri sociali della città a partecipare numerosi/e. Per costruire una forte mobilitazione giovedì 25 febbraio in Campidoglio, in occasione della discussione in consiglio del “piano casa”.

Essendo per il riuso e per l’utilizzo del patrimonio esistente piuttosto che per nuovo cemento, salutiamo positivamente la trasformazione della scuola “Tommaso Grossi” in una struttura pubblica destinata alla tutela della salute e non intendiamo intralciare questo processo. Sappiamo che il cantiere per l’inizio dei lavori non è immediato e che ci sono tutti i tempi di una mediazione che impedisca uno sgombero forzoso dei nuclei in emergenza abitativa che adesso presidiano la scuola. Chiediamo a tutti e tutte di adoperarsi per trovare soluzioni civili senza manganelli e forza pubblica, di non utilizzare strumentalmente una vicenda drammatica come questa per fare campagna elettorale e di batterci insieme sia per accelerare l’apertura della ASL che per il diritto alla casa per chi ha occupato per necessità.

Usiamo tutta la nostra intelligenza per organizzarci in difesa dei nostri diritti e non fidiamoci più di chi, soprattutto a ridosso delle elezioni, fa promesse che poi non mantiene. Alemanno prima di essere eletto promise 40mila case popolari, stiamo ancora aspettando!

IL COMUNICATO STAMPA DEL 20 FEBBRAIO. “I movimenti per il diritto all’abitare non mollano”. La commissione casa del Comune di Roma riunita oggi, ha visto la partecipazione dei movimenti, che hanno ribadito, argomentandola puntigliosamente, una valutazione negativa degli indirizzi del “piano casa” deliberato dalla Giunta di Alemanno. Gli emendamenti proposti sono stati tutti respinti, se si escludono alcune “concessioni” che non modificano però la ratio del provvedimento, tutto sbilanciato verso l’housing sociale e tiepidissimo sul capitolo dell’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) in sovvenzionata.

La necessità di dare risposte a chi ha atteso per anni in graduatoria (42mila persone), agli inquilini sotto sfratto o alle prese con le dismissioni, a chi vive nei residence o nelle occupazioni, alle nuove generazioni precarie, ai migranti che lavorano in questa città, agli studenti fuorisede, rimane lettera morta.

Per questo i movimenti hanno deciso di proseguire nel censimento dal basso degli stabili vuoti pubblici e privati.

Intorno alle 14.30 di oggi i nuclei che hanno occupato il 4 dicembre via del Policlinico e dal 23 dicembre presidiano l’assessorato alla casa dopo aver lasciato lo stabile di proprietà della Bnp/Paribas, hanno trovato un tetto all’interno dell’ex scuola media “Tommaso Grossi” nel VII municipio.

Nelle prossime ore è previsto un incontro con il Presidente del municipio Mastrantonio. In questo passaggio i movimenti intendono conoscere i motivi del mancato utilizzo della struttura pubblica e se ci sono progetti in essere. La proposta sarà di usare lo spazio per l’emergenza abitativa se non c’è diversa destinazione.

Di fronte al fatto che l’amministrazione tenga in poco conto la necessità di definire un piano in grado di affrontare e programmare seriamente il superamento delle emergenze, alla fretta con cui si vuole chiudere la partita proponendo strumenti deboli e inefficaci, nonché subalterni agli interessi dei costruttori, portando in consiglio comunale, presumibilmente, giovedì prossimo 25 febbraio la discussione sulla delibera.

Induce i movimenti a lanciare per lo stesso giorno una manifestazione in Campidoglio e invitiamo tutta la città, le forze politiche sensibili, le associazioni, le reti e i centri sociali a partecipare. Ricordiamo ancora come Veltroni chiuse la discussione sul Prg, sarebbe auspicabile che l’attuale giunta e l’attuale sindaco non utilizzassero i manganelli e la forza pubblica per zittire il dissenso. A cominciare dall’occupazione in corso nel VII municipio.

Movimenti per il diritto all’abitare

INFO. www.coordinamento.info | abitarenellacrisi.noblogs.org

La polizia carica la manifestazione della rete contro la crisiLa polizia carica la manifestazione della rete romana contro la crisi

roma_polizia_caricaUn arresto, oltre dieci i feriti.

Lavoratori in lotta di Eutelia, MVS ex-IBM, Coordinamento precari della scuola, Movimenti per il diritto all’abitare, Comitati per il reddito, lavoratori africani cacciati da Rosarno: tutte le realtà della Rete romana contro la crisi che oggi manifestava davanti alla prefettura per chiedere di partecipare al vertice interistituzionale indetto da Sindaco e Prefetto sul tema della crisi nella città di Roma. Nonostante la piazza fosse autorizzata, improvvisamente ed inaspettatamente la polizia ha caricato i manifestanti che pacificamente gridavano i loro slogan dietro gli striscioni. Le persone sono state inseguite fin dentro i vicoli dove cercavano riparo, la violenza e la durata della carica ha provocato più di dieci feriti alcuni dei quali già portati in ambulanza nei vicini ospedali. Un arresto,  liberato oggi 11 febbraio attorno alle 11.

Crisi, conflitti, democrazia | Assemblea pubblica martedi 16 febbraio


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