Dopo lo sgombero di Horus

Pubblichiamo un comunicato dell’Horus dopo lo sgombero subito.

La vertenza dell’Horus non si ferma, dopo lo sgombero di giovedì 19 novembre. L’occupazione del IV municipio, come reazione allo sgombero, ha ottenuto la convocazione di un tavolo interistituzionale. Venerdì pomeriggio c’è stato il primo incontro tra gli attivisti, il Municipio, la Regione e la Provincia per riconoscere il diritto all’Horus di proseguire le attività che svolgeva nello stabile di piazza sempione. Oggetto della trattativa, “la destinazione a uso sociale e culturale dell’ ex Gil di Montesacro”, un immobile abbandonato da dieci anni, da più di un mese presidiato da precari, migranti e senza casa.
E’ questo lo spazio che vogliamo riconsegnare alla città come esito della lunga lotta condotta contro la speculazione.
Un percorso per nulla scontato, visto che anche venerdì abbiamo dovuto occupare gli uffici
del presidente Bonelli per costringerlo a un ruolo più attivo nella trattativa. Questa l’ipotesi di lavoro, immaginata sulla base della Delibera 26: la Regione Lazio, proprietaria dell’immobile, darebbe in concessione gli spazi al Comune, vincolando questo passaggio all’assegnazione degli stessi alla rete che ha promosso l’esperienza dell’Horus. I lavori di ristrutturazione sono a carico del Campidoglio, mentre la Provincia concorre all’istallazione di una struttura temporanea per garantire le attività svolte precedentemente a piazza Sempione.
Premesse positive, che inchiodano il Comune alle proprie responsabilità e che aprono la strada a un percorso di riappropriazione dal basso di un altro spazio nel quadrante nord est di Roma. Ma questa trattativa, ovviamente, non può vivere in una dimensione tecnico-burocratica. I nodi politici – congruità del nuovo spazio, finanziamenti, tempistica dei lavori, natura giuridica dell’assegnazione – possono essere affrontati soltanto con una mobilitazione ampia
Crediamo sia giunta l’ora di fermare la stagione di guerra contro i diritti e le libertà, inaugurata da Alemanno il primo settembre scorso con lo sgombero del Regina Elena. Occorre ricostruire un punto di resistenza diffuso e radicale, rompere l’inerzia di una città governata con la paura, in cui la politica coincide con gli interessi economici, finanziari e immobiliari. Dobbiamo riconquistare uno spazio di agibilità dei movimenti, per il presente e per il futuro.

Per queste ragioni, martedì 24 novembre, alle 18, a Strike spazio pubblico autogestito (via Partini angolo via di Portonaccio) si terrà un’assemblea pubblica che discuterà le forme, i contenuti e gli obiettivi della manifestazione cittadina di venerdi 4 dicembre.

La proposta di data non è casuale perché coincide con la giornata di mobilitazione nazionale contro gli sfratti, che vedrà iniziative diffuse in tutto il paese. Una connessione simbolica e materiale per esprimere la ricchezza e la molteplicità delle lotte che vivono negli spazi occupati e autogestiti.
Invitiamo le realtà di movimento ad allargare la partecipazione all’assemblea a tutte le reti, i progetti, le associazioni, i comitati che attraversano gli spazi sociali e le occupazioni.

Horus ovunque

Links
articolo repubblicaonline
http://roma.repubblica.it/dettaglio/sgomberato-il-centro-sociale-horus-e-gli-attivisti-protestano-al-municipio-iv/1783118

video occupazione municipio ed agente di polizia con la pistola in mano
http://roma.indymedia.org/node/14444

Take back the night!

Ecco il comunicato stampa della street parade notturna di sabato sera 21 novembre, partenza ore 18:30 da piazza vittorio.

«Dopo anni di politiche sempre più restrittive per la libertà di tutti ma soprattutto di tutte, abbiamo pensato di dover ribadire cosa vuol dire sicurezza per noi. Nell´immaginario comune, la notte è sempre stata associata all’insicurezza, alla violenza, alla paura e col tempo noi stesse abbiamo imparato a introiettare l´idea del pericolo del mondo esterno». comincia cosi l

’appello lanciato da un percorso di donne di vari movimenti di lotta cittadini: femministi, per il diritto all’abitare, lgbtq e udenteschi,  che vuole porre l‘autodeterminazione come propria risposta politica e culturale al cosi detto “problema sicurezza”. Tali soggettività, collettivi e movimenti hanno convocato la manifestazione «Take back the night» per il 21 novembre a Roma. L’appuntamento è alle 18,30 a pizza Vittorio, lungo il corteo che si concluderà in piazzale del Verano ci saranno diverse piazze tematiche.

«Siamo pronte a uscire nelle strade a ridosso del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne – spiegano le promotrici – per ribadire che non sono telecamere ed emarginazione, detenzione ed espulsione degli immigrati e delle immigrate a darci sicurezza, ma la nostra libertà e autodeterminazione dentro e fuori casa». «Vogliamo vivere le nostre strade anche di notte e vogliamo che sia questo a farci sentire sicure. Vogliamo non sentirci mai da sole. Vogliamo dire questo da donne alle donne, alle lesbiche, alle trans, ai gay perché non è sicurezza una città militarizzata, non è sicurezza una città fatta di ronde e lame, perché la nostra arma è la solidarietà», affermano le firmatarie dell’appello.

«Nel paese in cui escort e prostitute sono messe alla berlina, umiliando e denigrando la donna attraverso comportamenti di certi personaggi politici che vengono imposti come modello vincente, tra l´affanno dei giornali e dei politici preoccupati, anche noi vogliamo dire la nostra» conclude l’appello che invita donne, puttane, comunità glbtq, migranti e rom, gruppi e collettivi femministi e tutti coloro che vogliono riprendersi la notte a partecipare alla manifestazione del 21 novembre.

Per informazione:
takebackthenight(at)grrlz.net
tel: 3392109598

Loa Acrobax: morire di stato

Morire di Stato

Loa Acrobax: Morire di Stato, 14 novembre 2009 ore 17:30

Salutare un figlio. Rivederlo morto.
E’ il dramma di Patrizia, madre di Federico Aldovrandi, ucciso da quattro poliziotti durante un fermo.
E’ il dramma di Ornella madre di Nike Aprile Gatti, morto nel carcere di Sollicciano (Firenze),
E’ il dramma di Maria, madre di Manuel Eliantonio,morto nel carcere di Marassi a 22 anni.
E’ il dramma della mamma di Stefano Cucchi, morto in carcere a Roma dopo un arresto per pochi grammi di droga.
Uno stato che sottrae un figlio e  lo restituisce morto, negando ogni possibilità di avvicinarlo, di esercitare il diritto di ogni madre di constatare la salute e le condizioni del proprio figlio, anche di chi  si trovi in carcere.

In ricordo di Renato, accoltellato per odio e intolleranza nel 2006,  le Madri per Roma Città Aperta vogliono interrogarsi su questi eventi, su queste maternità negate che calpestano i  diritti dell’individuo e rappresentano un gravissimo segnale di  deriva della nostra democrazia.
Anche queste morti appartengono al tema della sicurezza.
Sicurezza anche dei cittadini quando hanno a che fare con le istituzioni  repressive e carcerarie. Per questo come madri non vogliamo dimenticare Nabruka Mimuni, la donna che si è tolta la vita nella notte tra il 6 e il 7 maggio di quest’anno nel lager di Ponte Galeria, alle porte di Roma.carcere
Abbiamo contestato ai vari sindaci  la risposta xenofoba e repressiva delle istituzioni a fenomeni di grave disagio e precarietà, che ha alimentato episodi di razzismo e violenza, opponendo, praticando  e sostenendo la cultura della diversità e del rispetto.
Vogliamo  affrontare  il tema della sicurezza portandolo anche dietro le mura di un carcere o  di un CIE. Vogliamo riproporre il tema dei diritti dentro la città  e soprattutto nei luoghi dove sembra che rappresentanti dello Stato possano esercitare un diritto di vita e di morte su cittadini italiani e stranieri.

Come le madri argentine di Plaza de Majo, le madri cinesi di Piazza Tien-a-men e le madri iraniane hanno chiesto giustizia e verità per i loro figli, le Madri per Roma Città Aperta vogliono sostenere e dar voce ad ogni madre che voglia rivendicare la dignità e i diritti dei suoi figli strappati alla vita.

Comitato Madri per Roma Città Aperta
madrixromacittaperta@libero.it

A seguire dalle ore 22:
Factory e LOA Acrobax presentano:

DE ROMA LI MEJO FIORI- Festival del rock indipendente

MIA WALLACE
ROCK MC’s
TRINITY
HOT DRUGS
SADE SIDE PROJECT
VONDELPARK

Primi indagati per l’omicidio di Stefano

Cucchi, primi indagati per omicidio

Primi nomi nei registri. Il sottosegretario Giovanardi: “Morto perché anoressico e drogato”. Sul web le sue cartelle cliniche

Omicidio preterintezionale. Questa l’accusa per la quale si indaga nel caso di Stefano Cucchi, il 31enne arrestato a Roma e morto il 22 ottobre, una settimana dopo l’arresto, in stato di detenzione, con spaventose ferite ed ecchimosi visibili sul corpo. I magistrati hanno iscritto i primi sospetti nel registro degli indagati. Il numero degli indagati – fra coloro che hanno arrestato, avuto in custodia e che sono stati a contatto in carcere con Cucchi, dunque carabinieri, polizia penitenziaria e detenuti – non è stato precisato. Si attendono invece le iscrizioni nell’ambito del secondo filone di indagine, che riguarda medici e infermieri che hanno avuto in cura il giovane e per cui i magistrati ipotizzano l’omicidio colposo.

“Morto perché drogato”.
Intanto monta la polemica, dopo che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi ha commentato che Cucchi è morto perché “drogato”. “Era in carcere perché era uno spacciatore abituale. La verità verrà fuori, e si capirà che è morto soprattutto perché era di 42 chili”, ha detto stamattina a Radio24 Giovanardi. Per il sottosegretario, a uccidere il giovane è stata la droga, “che ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente, poi c’è il fatto che in cinque giorni sia peggiorato, certo bisogna vedere come i medici l’hanno curato. Ma sono migliaia le persone che si riducono in situazioni drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così”. Per il sottosegretario non ci sarebbero dubbi, non si può parlare di giallo. Non dice nulla dei lividi e della fratture trovate sul suo corpo, neppure dell’ipotesi che le sue cartelle cliniche siano state manomesse.

La risposta della sorella. Parole molto pesanti alle quali segue la risposta della sorella del 31enne: “Queste parole si commentano da sole”. E aggiunge: “A Giovanardi che fa queste dichiarazioni a titolo gratuito, rispondo semplicemente che il fatto che Stefano avesse problemi di droga, noi non l’abbiamo mai negato, ma questo non giustifica il modo in cui è morto”.

Pubblicate le cartelle cliniche. Intanto Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto, dalle 13 di oggi, ha pubblicato sui siti abuondiritto.it, italiarazzismo.it e innocentievasioni.net, l’intera documentazione clinica a partire dal referto del medico del 118 delle 5.30 del 16 ottobre, fino ai diari sanitari del reparto detentivo del Pertini e al certificato di morte del 22 ottobre. Nelle carte non c’è alcuna firma di Cucchi per chiedere che la famiglia non venga a sapere delle sue condizioni di salute, come riportato invece dal ministro della Giustizia Alfano. Ci sono anche alcune frasi che, secondo i familiari, sono state aggiunte in seguito alla morte di Stefano, non prima. “Abbiamo deciso questo passo – si dice in una nota – perché da quella documentazione emerge come una moltitudine di operatori della polizia giudiziaria, del personale amministrativo e delle strutture sanitarie, abbiano assistito al declino fisico di Stefano Cucchi e fino alla morte”. “Ed emergono, con
cruda evidenza – prosegue il comunicato – le contraddizioni, ma anche le vere e proprie manipolazioni ai danni di Stefano Cucchi e dell’accertamento della verità. E risulta soprattutto che Stefano decide di non nutrirsi e di non assumere liquidi – causa della morte, secondo i sanitari – fino a quando non avesse parlato con il proprio avvocato (così ha scritto un medico). Non gli fu consentito”.

09 novembre 2009

fonte: http://city.corriere.it/2009/11/10/milano/documenti/caso-cucchi-giovanardi-morto-perche-anoressico-20580769344.shtml

Corteo per Stefano Cucchi. Le agenzie stampa

CUCCHI, NESSUN FERMATO PER DISORDINI DURANTE CORTEO (OMNIROMA) Roma, 07 nov – A quanto si apprende non ci sarebbero stati fermati per i disordini durante il corteo per Stefano Cucchi. red 072043 nov 09

CUCCHI: SORELLA, GESTI SCONSIDERATI CI DANNEGGIANO (ANSA) – ROMA, 7 NOV – «Ringrazio quanto stanno manifestando per mio fratello ma io la mia famiglia ci dissociamo da qualsiasi gesto sconsiderato e manifestiamo solidarietà per la polizia. I gesti sconsiderato possono solo danneggiare noi e la nostra battaglia». Lo ha detto Ilaria, la sorella di Stefano Cucchi, la quale è scesa sotto casa sua, in via Ciro da Urbino, dove è arrivato il corteo organizzato dai centri sociali. (ANSA). Continua a leggere

Verità per Stefano Cucchi

Corteo cittadino a Tor Pignattara

Sabato 7 novembre, h 15 al parco dell’acquedotto alessandrino (angolo via di torpignattara)

La tragica vicenda di Stefano Cucchi sta sconvolgendo la coscienza civile della nostra città e del paese tutto. Un giovane uomo di 31 anni è stato arrestato dai carabinieri per il possesso di una modica quantità di sostanza stupefacente e viene riconsegnato morto alla famiglia dopo un calvario di sei giorni trascorso tra una camera di sicurezza dell’Arma, il carcere di Regina Coeli e il reparto per detenuti dell’ospedale Pertini.
l suo corpo gli evidenti segni di un brutale pestaggio, reso di pubblico dominio dalla coraggiosa decisione della famiglia di consegnare alla stampa le foto che documentano l’accaduto.
Tanti sono ancora i lati oscuri della vicenda, tanta la voglia di verità e giustizia che sta spingendo alla mobilitazione e alla presa di parola molte persone preoccupate della svolta autoritaria che sta prendendo questo paese.
Oggi questa iniziativa presso l’Ospedale di Roma vuole denunciare il fatto che di fronte a tanti misteri Stefano Cucchi forse è stato ucciso anche qui. La direzione sanitaria dell’Ospedale Pertini deve infatti spiegare come mai non sia stato fatto il possibile per salvarlo e le dichiarazioni fatte ai mezzi stampa ci confermano l’inquietudine che anche in questo ospedale ci sono delle responsabilità pesantissime. Nessuno ha avvertito i genitori e la famiglia del ricovero e dello stato di salute di Stefano, Nessuno si è preoccupato delle lesioni sul suo corpo, nessuno lo ha alimentato, gli è stata addirittura diagnosticata una anoressia.
Ci sono dei responsabili che devono spiegare perchè una persona entra in ospedale ed esce morta. Ci sono dei responsabili che devono spiegare a tutti come mai se un detenuto entra nel reparto penitenziario di un ospedale in stato di salute precario non gli vengono somministrate le cure e le attenzioni necessarie.

La Storia terribile di Stefano Cucchi è solo la punta di un iceberg. Chi vive quotidianamente il disagio sociale di questa città sa bene che non si tratta di un caso isolato. L’uso della violenza contro le persone sottoposte a provvedimenti restrittivi è cosa comune. Come è ormai data per scontata l’impunità di coloro che, forti di una divisa e dell’appoggio senza remore del potere costituito, si permettono di tutto.
In questi giorni stanno venendo alla luce un’infinità di episodi tragicamente simili a quello che ha spezzato la vita di Stefano, episodi come quello di Federico Aldrovandi o di Aldo Branzino. MA sappiamo anche che sono tante le storie di persone rimaste in silenzio perché sole, spaventate, minacciate. E’ ora di dire basta. E’ ora di dire mai più violenza sulle persone detenute; mai più violenza nelle caserme, nei commissariati, nelle carceri, nei Centri di Detenzione per Immigrati – CIE.
E’ anche ora di dire basta all’anonimato di cui godono le forze dell’ordine nello svolgimento del loro servizio, una circostanza che garantisce loro l’impunità nella stragrande maggiorana dei casi.
E’ per tutti questi motivi che invitiamo tutte e tutti quelli che non rinunciano ad esercitare la loro coscienza critica, a manifestare nelle strade del quartiere di Stefano, Tor Pignattara. Per esprimere la massima solidarietà alla famiglia, per rivendicare verità e giustizia per Stefano Cucchi e per tutte le persone che subiscono quotidianamente la violenza istituzionale.

Perquisizioni di antifascisti a Firenze

Mannu libero. Solidarietà agli antifascisti perquisiti.

Pubblichiamo un comunicato degli antifascisti e delle antifasciste di Firenze.

Stamani le solerti forze di polizia hanno perquisito numerosi abitazioni di compagni e compagne appartenenti a centri sociali e non solo. Se questo non bastasse un compagno è stato arrestato adducendo ad un presunto pericolo di fuga per un viaggio in sud America che avrebbe dovuto, e farà, nel mese di Febbraio.
Le accuse vanno dalla detenzione di presunti esplosivi, ai rapporti di solidarietà nternazionale, alle iniziative contro la presenza dei fascisti in città, alle iniziative contro Forza Nuova a Rignano sull’Arno.
Il GIP Pezzuti ha pensato bene di tentare la carta dell’aggravante di terrorismo, utilizzando in maniera piuttosto stravagante quanto previsto dal Decreto Pisanu sulla nuova  definizione di terrorismo stesso “ Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia ”.
Non stiamo qui a leccarci le ferite ma lanciamo da subito quello che deve essere per ognuno di noi una pratica da cui nessuno può “dissociarsi”: la solidarietà. Fuori da ogni richiesta di giustizialismo pensiamo che non sia casuale che in prossimità dell’ennesimo tentativo di svolgere iniziative in città da parte di quei fascisti di Forza Nuova, si vada a colpire proprio chi in questi anni è stato protagonista nell’impedire qualsiasi tipo di agibilità politica a questi loschi figuri.
Nell’ultimo anno magistratura, questura hanno operato in maniera tale da cercare di stroncare nella nostra città ogni tentativo di protagonismo politico, attraverso gli avvisi orali e le perquisizioni agli studenti, convocazioni in questura, fino ad arrivare a quanto è successo oggi.
Un clima davanti al quale, come più volte abbiamo detto e scritto, non si può sottacere.
Particolarmente in questo momento non possiamo pensare e tollerare che qualcuno si possa sentire non coinvolto da quanto sta succedendo.
Che sappia chi di dovere, davanti a quanto venuto alla luce in questi mesi, che non tollereremo nessun atto di vessazione verso il compagno arrestato.

Lettera aperta per la libertà di movimento

di Rafael Di Maio*

Quello che sta avvenendo nell’ultimo periodo è degno di nota e di riflessione se ancora si hanno a cuore gli spazi di democrazia reale e di agibilità politica in questa piccola parte di mondo. Ancor di più dovrebbe interessare chiunque voglia ancora opporsi ed alzare la testa di fronte alla dilagante e sistematica svolta autoritaria intrapresa dal nostro paese negli ultimi anni.
Scriviamo dalla condizione imposta della custodia cautelare che ha colpito noi dopo gli arresti e le carcerazioni durante le contestazione del G8 della crisi tenutosi in Italia nello scorso luglio e che ancora ci obbliga alla firma quotidiana. Un G8 2009 di repressione preventiva, gogna mediatica e carcere duro che ha colpito tutti coloro che vi si sono opposti con diverse pratiche e molteplici percorsi e che hanno animato i movimenti sociali contro la crisi che il senato globale neoliberista ha provocato e determinato nei primi scorci del nuovo millennio.
Quello che abbiamo assaggiato a luglio è ciò che si prepara per i movimenti sociali nel prossimo autunno.
Un trattamento particolare già avviato da tempo dentro quel generale laboratorio repressivo che i poteri dello Stato e dei centri di comando hanno inteso attuare all’interno di una profonda svolta autoritaria, cresciuta culturalmente e sedimentata, particolarmente in Italia, all’ombra della crisi economica che da qualche anno in forma epocale travolge e ri-significa lo spazio politico ed il tempo economico.
All’interno della dimensione globale e post/statuale si va costituendo ovviamente anche in Italia la forma dell’eccezionalità sulla norma, nel senso specifico della sospensione dell’ordinamento che la sorregge, trasformando in prassi consolidata la gestione autoritaria della crisi economica e sociale.
Nella crisi economica a cui corrisponde la crisi della politica e della sua rappresentanza formale, prende forma la crisi della cittadinanza e dei suoi fondamentali diritti.
La penalizzazione delle lotte sociali, dell’agibilità politica dei movimenti indipendenti, il bavaglio mediatico imposto alle opposizioni, il controllo poliziesco sugli attivisti, significano molto di più e rappresentano un tratto ancor più inquietante se considerati all’interno nel contesto politico e sociale più generale nel quale si ascrivono.
Dalle manifestazioni contro il Global Forum di Napoli nel 2001, tanto per prendere una data significativa nella storia recente delle lotte contro la globalizzazione neoliberista, la repressione sta colpendo ampi settori sociali, dai lavoratori in sciopero con migliaia di precettazioni, dalle cariche della polizia sui blocchi stradali di cassaintegrati e disoccupati agli sgomberi e agli sfratti delle case (e giù botte agli occupanti alle loro manifestazioni, distribuendo obblighi di firma, come fossero caramelle).
E ancora, dal sovraffollamento delle carceri, di cui la stragrande maggioranza della popolazione è ancora in attesa di giudizio all’applicazione infame del pacchetto sicurezza e delle leggi razziste che con gli illegali e famigerati CIE, contribuisce a rendere nauseabondo il clima che questo governo ci vuole far respirare. E poi la repressione sugli studenti, sui comitati territoriali contro le grandi opere e le speculazioni, sugli ultras, assunti già da diversi anni come cavie sociali nel grande laboratorio della repressione. Insomma, alle carcerazioni preventive per il G8 dell’università a Torino, Napoli e Padova e per quelle attuate a Roma nel giorno dell’accoglienza ai grandi della terra, si arriva solo dopo una lunga ed interminabile trafila di episodi e storie di quotidiana repressione ed intimidazione del dissenso e dell’opposizione sociale che si stanno succedendo costantemente e che con la riforma del processo penale ipotizzato dal governo si moltiplicheranno a dismisura.
Urge quindi una presa di parola. Urgono spazi di confronto e di discussione.
Oltre l’indignazione è necessaria l’attivazione, il protagonismo sociale, l’iniziativa politica. È necessario aprire una vasta ed ampia campagna informativa che quantifichi la dimensione del processo autoritario in corso e ne denunci le condizioni, i metodi e le responsabilità politiche.
È altrettanto necessaria una campagna comunicativa, una manifestazione dislocata e nazionale che dia voce alla libertà di opporsi e di resistere, alla libertà di vivere e di non sopravvivere, al diritto naturale e profondamente radicato nell’uomo di pensare liberamente e di lottare per la condivisione dei beni comuni. Infine è necessario che i movimenti a partire dalle realtà più giovani siano capaci di ristabilire le giuste connessioni per non subire passivamente la difficile stagione che attende tutti scandita dal dividi et impera. In sostanza ed oltre gli slogan, è necessario e vitale difendere e rilanciare per tutte e tutti, la libertà di movimento.

*tra gli arrestati a Roma durante il G8 del Luglio_2009

Roma, Italia, agosto 2009

http://altronline.it/node/842

Casapound chiama perquisizione

Pubblichiamo un comunicato della rete epicentro solidale, nata all’indomani del terremoto del 6 aprile in Abruzzo.

Nella mattinata di venerdì 23 ottobre la polizia ha effettuato una perquisizione nelle abitazioni dove Vincenzo e Francesco vivono e in quelle dei loro genitori, alla ricerca di armi (di cui non hanno trovato traccia) e portando via diversi computer (anche quelli dei familiari e dei coinquilini di Vincenzo) oltre a del materiale cartaceo come libri e volantini.

La perquisizione ai danni di Vincenzo e Francesco avvengono all’indomani di una denuncia per aggressione e minacce fatta nei loro confronti da alcuni esponenti avezzanesi dell’associazione neofascista Casa Pound Italia, denuncia assurda e pretestuosa visto che proprio Vincenzo e Francesco sono stati aggrediti da questi stessi figuri lo scorso agosto.
La loro colpa? Staccare da un muro dei manifesti di Casa Pound.

Vincenzo e Francesco sono attivisti di Epicentro Solidale, associazione nata all’indomani del terremoto in Abruzzo per portare solidarietà attiva alla popolazione da tutte le parti d’Italia, rete di cui sono stati fin dai primi momenti protagonisti con generosità e impegno, in particolare nel raccontare quello che accadeva nell’aquilano e nel promuovere una ricostruzione dal basso, partecipata e attiva.

Vincenzo e Francesco portano avanti il loro impegno sociale in maniera pubblica e alla luce del sole, ed è per questo che ci sembra assurdo il procedimento che li vede protagonisti e riteniamo sia grave e inspiegabile la perquisizione che hanno dovuto subire loro e i propri familiari, ma soprattutto gli esprimiamo la nostra massima solidarietà e vicinanza.

epicentrosolidale.org

Pubblichiamo un comunicato della rete epicentro solidale, nata all’indomani del terremoto del 6 aprile in Abruzzo.

Nella mattinata di venerdì 23 ottobre la polizia ha effettuato una perquisizione nelle abitazioni dove Vincenzo e Francesco vivono e in quelle dei loro genitori, alla ricerca di armi (di cui non hanno trovato traccia) e portando via diversi computer (anche quelli dei familiari e dei coinquilini di Vincenzo) oltre a del materiale cartaceo come libri e volantini.

La perquisizione ai danni di Vincenzo e Francesco avvengono all’indomani di una denuncia per aggressione e minacce fatta nei loro confronti da alcuni esponenti avezzanesi dell’associazione neofascista Casa Pound Italia, denuncia assurda e pretestuosa visto che proprio Vincenzo e Francesco sono stati aggrediti da questi stessi figuri lo scorso agosto.
La loro colpa? Staccare da un muro dei manifesti di Casa Pound.

Vincenzo e Francesco sono attivisti di Epicentro Solidale, associazione nata all’indomani del terremoto in Abruzzo per portare solidarietà attiva alla popolazione da tutte le parti d’Italia, rete di cui sono stati fin dai primi momenti protagonisti con generosità e impegno, in particolare nel raccontare quello che accadeva nell’aquilano e nel promuovere una ricostruzione dal basso, partecipata e attiva.

Vincenzo e Francesco portano avanti il loro impegno sociale in maniera pubblica e alla luce del sole, ed è per questo che ci sembra assurdo il procedimento che li vede protagonisti e riteniamo sia grave e inspiegabile la perquisizione che hanno dovuto subire loro e i propri familiari, ma soprattutto gli esprimiamo la nostra massima solidarietà e vicinanza.

epicentrosolidale.org

Pubblichiamo un comunicato della rete epicentro solidale, nata all’indomani del terremoto del 6 aprile in Abruzzo.

Nella mattinata di venerdì 23 ottobre la polizia ha effettuato una perquisizione nelle abitazioni dove Vincenzo e Francesco vivono e in quelle dei loro genitori, alla ricerca di armi (di cui non hanno trovato traccia) e portando via diversi computer (anche quelli dei familiari e dei coinquilini di Vincenzo) oltre a del materiale cartaceo come libri e volantini.

La perquisizione ai danni di Vincenzo e Francesco avvengono all’indomani di una denuncia per aggressione e minacce fatta nei loro confronti da alcuni esponenti avezzanesi dell’associazione neofascista Casa Pound Italia, denuncia assurda e pretestuosa visto che proprio Vincenzo e Francesco sono stati aggrediti da questi stessi figuri lo scorso agosto.
La loro colpa? Staccare da un muro dei manifesti di Casa Pound.

Vincenzo e Francesco sono attivisti di Epicentro Solidale, associazione nata all’indomani del terremoto in Abruzzo per portare solidarietà attiva alla popolazione da tutte le parti d’Italia, rete di cui sono stati fin dai primi momenti protagonisti con generosità e impegno, in particolare nel raccontare quello che accadeva nell’aquilano e nel promuovere una ricostruzione dal basso, partecipata e attiva.

Vincenzo e Francesco portano avanti il loro impegno sociale in maniera pubblica e alla luce del sole, ed è per questo che ci sembra assurdo il procedimento che li vede protagonisti e riteniamo sia grave e inspiegabile la perquisizione che hanno dovuto subire loro e i propri familiari, ma soprattutto gli esprimiamo la nostra massima solidarietà e vicinanza.

epicentrosolidale.org

Pubblichiamo un comunicato della rete epicentro solidale, nata all’indomani del terremoto del 6 aprile in Abruzzo.

Nella mattinata di venerdì 23 ottobre la polizia ha effettuato una perquisizione nelle abitazioni dove Vincenzo e Francesco vivono e in quelle dei loro genitori, alla ricerca di armi (di cui non hanno trovato traccia) e portando via diversi computer (anche quelli dei familiari e dei coinquilini di Vincenzo) oltre a del materiale cartaceo come libri e volantini.

La perquisizione ai danni di Vincenzo e Francesco avvengono all’indomani di una denuncia per aggressione e minacce fatta nei loro confronti da alcuni esponenti avezzanesi dell’associazione neofascista Casa Pound Italia, denuncia assurda e pretestuosa visto che proprio Vincenzo e Francesco sono stati aggrediti da questi stessi figuri lo scorso agosto.
La loro colpa? Staccare da un muro dei manifesti di Casa Pound.

Vincenzo e Francesco sono attivisti di Epicentro Solidale, associazione nata all’indomani del terremoto in Abruzzo per portare solidarietà attiva alla popolazione da tutte le parti d’Italia, rete di cui sono stati fin dai primi momenti protagonisti con generosità e impegno, in particolare nel raccontare quello che accadeva nell’aquilano e nel promuovere una ricostruzione dal basso, partecipata e attiva.

Vincenzo e Francesco portano avanti il loro impegno sociale in maniera pubblica e alla luce del sole, ed è per questo che ci sembra assurdo il procedimento che li vede protagonisti e riteniamo sia grave e inspiegabile la perquisizione che hanno dovuto subire loro e i propri familiari, ma soprattutto gli esprimiamo la nostra massima solidarietà e vicinanza.

epicentrosolidale.org

Il prefetto su Ponte Galeria

Ponte Galeria, conto alla rovescia. Il prefetto: “Va chiuso”

Il prefetto a Maroni: “Il centro va ristrutturato o è meglio chiuderlo”. La disastrosa situazione del Cie: disagi e privazioni “Sembra di essere in carcere”

di Anna Maria Liguori

«Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha inviato una relazione al ministro dell´Interno Roberto Maroni, e per conoscenza al sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Mario Mantovani e a Mario Morcone, capo dipartimento per le libertà civili e l´immigrazione, dopo aver a lungo analizzato la disastrosa situazione del Cie tra le cui mura gli immigrati vivono ogni tipo di disagio e di privazione. Pecoraro ha scritto a Maroni specificando che il Centro o «viene ristrutturato o chiuso e spostato altrove».

La situazione negli ultimi mesi è infatti molto peggiorata. L´inasprimento delle norme in tema d´immigrazione ha portato più gente a Ponte Galeria: la popolazione del Cie, il più grande d´Italia, è salita in estate di circa 80 unità, da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) al limite della capienza tollerabile che è di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di nordafricani in attesa di essere rimpatriati. L´accoglienza è al limite, tanto che spesso gli immigrati, fermati dalle forze dell´ordine vengono trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere. E anche chi vive lì non sta certo bene. Il sovraffollamento e il caldo insopportabile di questi ultimi mesi, senza dimenticare le ferie degli operatori, hanno creato una miscela potenzialmente esplosiva. Poi ci sono i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine e il fatto che i nuclei familiari al momento dell´arrivo vengono divisi nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza.

Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, ha molte volte lanciato un grido d´allarme: «Eventi drammatici all´interno del Centro di Roma ce ne sono stati tanti. Il vero equivoco di fondo è che i Cie sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri. A Ponte Galeria, ad esempio, non c´è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano nei penitenziari. In queste condizioni è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione». Il prolungamento dei tempi di reclusione contribuisce certamente a degradare la dignità umana dei trattenuti ma non sembra aver minimamente risolto il problema della identificazione, precondizione all´espulsione, che dipende dalla collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza. «È unanime – dicono gli addetti ai lavori – la volontà di risolvere una situazione, che, nonostante le nuove norme in materia di sicurezza, non sembra migliorare la condizione di vita degli immigrati». E ora il prefetto ha scelto di imboccare una strada definitiva.
(Repubblica.it del 10 ottobre 2009)

Ponte Galeria, conto alla rovescia. Il prefetto: “Va chiuso”
Il prefetto a Maroni: “Il centro va ristrutturato o è meglio chiuderlo”. La disastrosa situazione del Cie: disagi e privazioni “Sembra di essere in carcere”
di Anna Maria Liguori

«Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha inviato una relazione al ministro dell´Interno Roberto Maroni, e per conoscenza al sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Mario Mantovani e a Mario Morcone, capo dipartimento per le libertà civili e l´immigrazione, dopo aver a lungo analizzato la disastrosa situazione del Cie tra le cui mura gli immigrati vivono ogni tipo di disagio e di privazione. Pecoraro ha scritto a Maroni specificando che il Centro o «viene ristrutturato o chiuso e spostato altrove».

La situazione negli ultimi mesi è infatti molto peggiorata. L´inasprimento delle norme in tema d´immigrazione ha portato più gente a Ponte Galeria: la popolazione del Cie, il più grande d´Italia, è salita in estate di circa 80 unità, da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) al limite della capienza tollerabile che è di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di nordafricani in attesa di essere rimpatriati. L´accoglienza è al limite, tanto che spesso gli immigrati, fermati dalle forze dell´ordine vengono trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere. E anche chi vive lì non sta certo bene. Il sovraffollamento e il caldo insopportabile di questi ultimi mesi, senza dimenticare le ferie degli operatori, hanno creato una miscela potenzialmente esplosiva. Poi ci sono i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine e il fatto che i nuclei familiari al momento dell´arrivo vengono divisi nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza.

Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, ha molte volte lanciato un grido d´allarme: «Eventi drammatici all´interno del Centro di Roma ce ne sono stati tanti. Il vero equivoco di fondo è che i Cie sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri. A Ponte Galeria, ad esempio, non c´è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano nei penitenziari. In queste condizioni è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione». Il prolungamento dei tempi di reclusione contribuisce certamente a degradare la dignità umana dei trattenuti ma non sembra aver minimamente risolto il problema della identificazione, precondizione all´espulsione, che dipende dalla collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza. «È unanime – dicono gli addetti ai lavori – la volontà di risolvere una situazione, che, nonostante le nuove norme in materia di sicurezza, non sembra migliorare la condizione di vita degli immigrati». E ora il prefetto ha scelto di imboccare una strada definitiva.
(10 ottobre 2009)

Ponte Galeria, conto alla rovescia. Il prefetto: “Va chiuso”
Il prefetto a Maroni: “Il centro va ristrutturato o è meglio chiuderlo”. La disastrosa situazione del Cie: disagi e privazioni “Sembra di essere in carcere”
di Anna Maria Liguori

«Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha inviato una relazione al ministro dell´Interno Roberto Maroni, e per conoscenza al sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Mario Mantovani e a Mario Morcone, capo dipartimento per le libertà civili e l´immigrazione, dopo aver a lungo analizzato la disastrosa situazione del Cie tra le cui mura gli immigrati vivono ogni tipo di disagio e di privazione. Pecoraro ha scritto a Maroni specificando che il Centro o «viene ristrutturato o chiuso e spostato altrove».

La situazione negli ultimi mesi è infatti molto peggiorata. L´inasprimento delle norme in tema d´immigrazione ha portato più gente a Ponte Galeria: la popolazione del Cie, il più grande d´Italia, è salita in estate di circa 80 unità, da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) al limite della capienza tollerabile che è di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di nordafricani in attesa di essere rimpatriati. L´accoglienza è al limite, tanto che spesso gli immigrati, fermati dalle forze dell´ordine vengono trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere. E anche chi vive lì non sta certo bene. Il sovraffollamento e il caldo insopportabile di questi ultimi mesi, senza dimenticare le ferie degli operatori, hanno creato una miscela potenzialmente esplosiva. Poi ci sono i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine e il fatto che i nuclei familiari al momento dell´arrivo vengono divisi nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza.

Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, ha molte volte lanciato un grido d´allarme: «Eventi drammatici all´interno del Centro di Roma ce ne sono stati tanti. Il vero equivoco di fondo è che i Cie sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri. A Ponte Galeria, ad esempio, non c´è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano nei penitenziari. In queste condizioni è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione». Il prolungamento dei tempi di reclusione contribuisce certamente a degradare la dignità umana dei trattenuti ma non sembra aver minimamente risolto il problema della identificazione, precondizione all´espulsione, che dipende dalla collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza. «È unanime – dicono gli addetti ai lavori – la volontà di risolvere una situazione, che, nonostante le nuove norme in materia di sicurezza, non sembra migliorare la condizione di vita degli immigrati». E ora il prefetto ha scelto di imboccare una strada definitiva.
(10 ottobre 2009)

Ponte Galeria, conto alla rovescia. Il prefetto: “Va chiuso”
Il prefetto a Maroni: “Il centro va ristrutturato o è meglio chiuderlo”. La disastrosa situazione del Cie: disagi e privazioni “Sembra di essere in carcere”
di Anna Maria Liguori

«Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha inviato una relazione al ministro dell´Interno Roberto Maroni, e per conoscenza al sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Mario Mantovani e a Mario Morcone, capo dipartimento per le libertà civili e l´immigrazione, dopo aver a lungo analizzato la disastrosa situazione del Cie tra le cui mura gli immigrati vivono ogni tipo di disagio e di privazione. Pecoraro ha scritto a Maroni specificando che il Centro o «viene ristrutturato o chiuso e spostato altrove».

La situazione negli ultimi mesi è infatti molto peggiorata. L´inasprimento delle norme in tema d´immigrazione ha portato più gente a Ponte Galeria: la popolazione del Cie, il più grande d´Italia, è salita in estate di circa 80 unità, da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) al limite della capienza tollerabile che è di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di nordafricani in attesa di essere rimpatriati. L´accoglienza è al limite, tanto che spesso gli immigrati, fermati dalle forze dell´ordine vengono trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere. E anche chi vive lì non sta certo bene. Il sovraffollamento e il caldo insopportabile di questi ultimi mesi, senza dimenticare le ferie degli operatori, hanno creato una miscela potenzialmente esplosiva. Poi ci sono i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine e il fatto che i nuclei familiari al momento dell´arrivo vengono divisi nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza.

Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, ha molte volte lanciato un grido d´allarme: «Eventi drammatici all´interno del Centro di Roma ce ne sono stati tanti. Il vero equivoco di fondo è che i Cie sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri. A Ponte Galeria, ad esempio, non c´è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano nei penitenziari. In queste condizioni è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione». Il prolungamento dei tempi di reclusione contribuisce certamente a degradare la dignità umana dei trattenuti ma non sembra aver minimamente risolto il problema della identificazione, precondizione all´espulsione, che dipende dalla collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza. «È unanime – dicono gli addetti ai lavori – la volontà di risolvere una situazione, che, nonostante le nuove norme in materia di sicurezza, non sembra migliorare la condizione di vita degli immigrati». E ora il prefetto ha scelto di imboccare una strada definitiva.
(10 ottobre 2009)